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I quattro modelli fondamentali di repressione della corruzione privata

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34 CAPITOLO SECONDO

LA CORRUZIONE PRIVATA NEGLI ORDINAMENTI STRANIERI: UNA VALUTAZIONE COMPARATISTICA

Sommario: 1. I quattro modelli fondamentali di repressione della corruzione privata. - 2. Il modello lealistico-fiduciario (o giuslavoristico) francese. - 3. Il modello concorrenziale tedesco. - 4. Il modello onnicomprensivo adottato nell'ordinamento svedese. - 5. Il modello patrimonialistico adottato nell'ordinamento austriaco.

1. I quattro modelli fondamentali di repressione della corruzione privata.

Il problema della corruzione privata è alquanto diffuso nella società odierna, e non soltanto a livello nazionale. Nonostante questo però, sono ancora diversi i Paesi che, come l’Italia, hanno iniziato solo da poco a contrastare e punire in concreto il fenomeno.

Alcuni addirittura non hanno ancora iniziato a farlo (ad esempio la Danimarca), anche se in questi casi la corruzione privata non è lasciata totalmente impunita dal legislatore, non si rinuncia a perseguirla in toto. Semplicemente le condotte che la concretizzano, vengono punite attraverso altre fattispecie già riconosciute dall’ordinamento.

Vediamo un esempio pratico: in Spagna, prima che entrasse in vigore la Ley Organica nel 2010, che ha introdotto il reato di Corrupcion entre particulares all’art.286-bis del Codigo Penal, alcune ipotesi che oggi rientrano a pieno titolo nella fattispecie di corruzione privata, venivano punite facendo ricorso alle già note fattispecie di amministrazione infedele (art. 295 c.p.) o di rivelazione di segreti industriali (art. 279 c.p.)(1).

Così facendo il problema principale era, ed è tuttora, che queste

“altre fattispecie” incriminano condotte che sono certamente simili a quelle della corruzione privata, ma solo per certi aspetti.

In altre parole: non sono completamente sovrapponibili, e la conseguenza di ciò è che l’esigenza punitiva nei confronti della corruzione privata, non può essere ritenuta pienamente soddisfatta, in quanto le predette fattispecie non sono idonee a coprire tutte le varie ipotesi attraverso cui la corruzione in esame si può manifestare.

Analizzando più da vicino il fenomeno, conviene partire da un’analisi di tipo comparatistico.

(1) E. LA ROSA, “La repressione penale della corruzione privata” pag. 17-18.

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Se si confronta l'atteggiamento dei diversi ordinamenti che già reprimono la corruzione privata, si può subito osservare che non tutti gli Stati adottano gli stessi criteri.

Le linee di intervento possibili infatti sono diverse, e si differenziano in base agli interessi scelti come oggetto di tutela; si possono enucleare così ben quattro modelli repressivi:

un primo modello è quello “lealistico-fiduciario” (detto anche

“giuslavoristico”), di matrice francese. Esso individua il disvalore nel

“tradimento di fiducia” che il lavoratore subordinato compie nei confronti del datore di lavoro: il lavoratore subordinato viene meno ai doveri di fedeltà e lealtà che dovrebbero contraddistinguere il suo

operato verso il principale, e questo è l'oggetto del rimprovero.

Un secondo modello è quello “concorrenziale”, di matrice tedesca, che invece tende a salvaguardare la lealtà della concorrenza nel mercato: ciò che l’ordinamento vuol garantire, è che la fisiologica concorrenza all’interno del libero mercato non venga inquinata da accordi oscuri presi sottobanco, i quali finirebbero inevitabilmente per rendere l’intero mercato malato.

Un terzo modello è quello “onnicomprensivo” (altrimenti detto

“pubblicistico”), adottato nel Regno Unito e in Svezia, che più sinteticamente tende ad equiparare la corruzione privata a quella pubblica, sia sul piano del disvalore, che sul piano della strutturazione del tipo.

Infine un quarto modello è quello “patrimonialistico”, che tutela gli interessi economici del soggetto principale della relazione di agenzia (2).

Le linee di demarcazione tra i vari modelli, così nette sulla carta, nella realtà finiscono per affievolirsi non di poco, col risultato che i quattro modelli enucleati sono solo il frutto di una scelta convenzionale, mentre quel che è certo è che un ordinamento può scegliere solo tra due modelli di contrasto al fenomeno: quello interno-privatistico, e quello esterno-pubblicistico.

2. Il modello lealistico-fiduciario (o giuslavoristico) francese.

Come già anticipato, il modello francese mira a tutelare il dovere di fedeltà del lavoratore nei confronti del suo datore di lavoro (ecco perché è detto modello giuslavoristico o lealistico).

(2) Commento di V. NAPOLEONI, Art. 1, comma 76, L.6.11.2012, N.190 (corruzione tra privati).

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Tale dovere può assumere sia una valenza oggettiva (deeds-loyalty) che una valenza soggettiva (reasons-loyalty):

nella prima accezione, il lavoratore corrotto viene meno al dovere di perseguire il miglior interesse del datore,

mentre nella seconda accezione, viene meno al dovere di seguire diligentemente quelle che sono le indicazioni e gli obiettivi impartiti dal datore.

A conferma di quanto anticipato in precedenza, se si guarda all'essenza delle cose senza lasciarsi influenzare troppo dalle distinzioni terminologiche, ci si accorgerà che l'accezione oggettiva altro non è che una riproposizione, in veste diversa, del modello patrimonialistico (che analizzeremo meglio in seguito): il dovere del dipendente fedele consiste infatti nel perseguire il miglior interesse

del datore si è detto, e tale interesse è proprio di natura patrimoniale.

Nella prassi applicativa ha sempre riscosso più successo la versione soggettiva, e il caso emblematico è stato a lungo rappresentato dalla fattispecie di “corruzione di dipendente”.

Tale norma, presente sin dal 1919 all'interno del codice penale francese, all'art. 177, era collocata subito dopo la fattispecie della

“corruzione del pubblico funzionario”.

Questa sistemazione non era certamente casuale ma dettata da ragioni di carattere storico: nel periodo della Prima guerra mondiale e nell'immediato dopo guerra infatti, si erano verificati molteplici casi in cui i dipendenti di alcune imprese private accettavano remunerazioni occulte per favorire o estromettere concorrenti, oppure in cui i dipendenti delle compagnie di trasporto (soprattutto delle ferrovie) concedevano la disponibilità dei mezzi soltanto ad alcune imprese e non ad altre, sempre in cambio di pagamenti di tangenti. La conseguenza delle condotte di tali dipendenti, a ben vedere, era la lesione di un interesse pubblico (e non privato come verrebbe da pensare in un primo momento): infatti la natura di tali soggetti formalmente era privata (si trattava per l'appunto di dipendenti di imprese private), ma nella sostanza attentavano a un interesse avente natura pubblicistica, previsto a protezione e nell'interesse dell'intera collettività, perché manipolavano i piani predisposti per razionare e distribuire al meglio i pochi beni disponibili durante quel difficile periodo bellico (3).

Ecco perché il legislatore francese scelse di collocare il reato di

“corruzione di dipendente” immediatamente dopo quello di

“corruzione di pubblico funzionario”: esattamente come i dipendenti

(3) E. LA ROSA, “La repressione penale della corruzione privata”, pag. 29.

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pubblici che accettavano tangenti attentavano a un interesse che riguardava tutta la collettività, in egual maniera i dipendenti privati che accettavano tangenti, attentavano ad un interesse pubblico, dato che le imprese private in quel periodo assicuravano un vero e proprio servizio pubblico; ragion per cui la norma che sanzionava i loro

comportamenti era inserita nel Codice penale.

In Francia l'assetto normativo appena delineato è mutato per la prima volta nel 1992 con la Loi d'adaptation del 16 dicembre 1992;

fu approvata la riforma del nuovo Codice penale (entrato poi in vigore due anni dopo, nel 1994), e in quell'occasione fu operata una traslazione nella sedes materiae della fattispecie di corruzione privata: dal Codice penale fu “trasferita” nel Code du travail all'art.

152-6.

Dal punto di vista della struttura della fattispecie, ciò non comportò grandi mutamenti, ma il trasferimento di codice fu comunque determinante nel comportare alcune conseguenze non di poco conto.

Si registrò innanzitutto un calo di attenzione nei confronti della corruzione privata, sia dal punto di vista dibattimentale, sia dal punto

di vista della sua concreta applicazione a livello di giurisprudenza.

Per quanto riguarda il primo aspetto, il fatto che la fattispecie in esame adesso fosse inserita nel Codice del lavoro, e non si presentasse più come uno dei reati enunciati all'interno del Codice penale, determinò il risultato che la concentrazione sulla corruzione privata di fatto diminuì: il dibattito dottrinale e politico sulla corruzione pubblica infatti, non si è più minimamente interessato all'art. 152-6 del Code du travail.

La corruzione privata non è stata più considerata parte integrante del

“problema – corruzione” del Paese, e questo, francamente, è difficile da comprendere alla luce del fatto che, nella realtà empirica, i fenomeni corruttivi tra privati non accennavano affatto a diminuire.

Il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e dipendenti continuava ancora ad essere spesso violato, e a titolo di esempio basta citare i numerosi casi di “licenziamento selvaggio” o di “spionaggio industriale” che ancora si verificavano: nel primo caso si intende “il fatto di pagare il dipendente di un concorrente affinché si licenzi senza rispettare l'obbligo di preavviso prescritto dal contratto di lavoro. Essendo il preavviso un atto connesso alla funzione di dipendente, la sua omissione rientrava perfettamente nel fatto tipico descritto dall'art. 152-6 del Codice del lavoro” (4).

(4) E. LA ROSA, “La repressione penale della “corruzione privata”, pag. 31.

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Nel secondo caso invece si intende l'ipotesi in cui “ un dipendente venda ad un concorrente informazioni segrete, delle quali sia venuto a conoscenza in ragione del suo incarico.

Si tratta di fatti che, ovviamente, avevano già di per sé una autonoma rilevanza penale, integrando il reato di violazione dei segreti di fabbrica, previsto dall'art. 152-7 del Codice del lavoro.

La circostanza che la rivelazione del segreto fosse avvenuta dietro pagamento di una tangente portava, però, all'applicazione in concorso dei due delitti” (5).

Nonostante quindi il fenomeno corruttivo in ambito privato non si apprestasse affatto a diminuire, a partire dal 1992 si è registrato il poco comprensibile calo di attenzione appena delineato.

Ma ciò non ha costituito la sola ripercussione dell'intervento legislativo perché con la Loi d’adaptation sono stati modificati anche altri aspetti oltre a quello della sedes materiae.

Nell'individuazione dei possibili soggetti attivi, il legislatore della riforma optò per la sintetica espressione dei “dipendenti e direttori della impresa”: così facendo, furono designati come possibili autori dell'illecito solo i titolari di un contratto di lavoro in senso stretto, e furono tagliate fuori dall’ambito di applicazione della norma, altre figure (su cui si discuteva) che ne erano sprovviste come ad esempio

mandatari, apprendisti, amministratori e dirigenti di società (6).

La struttura del fatto tipico ricalcava quella del delitto di corruzione ma con due peculiarità:

la prima è che occorreva che l'offerta o la dazione di utilità avvenissero in segreto, cioè all'insaputa del datore di lavoro,

e la seconda è che l'accordo illecito fosse anteriore al compimento o all'omissione dell'atto (ma ciò “comportava non pochi problemi sul piano dell'accertamento concreto del fatto, tant'è che nella prassi giudiziaria si era sviluppata la tendenza ad applicare ipotesi criminose

di più agevole accertamento, quali la ricettazione” (7) ad esempio).

Si è accennato al fatto che, anche a livello di applicazione giurisprudenziale, la corruzione privata aveva subìto un progressivo calo nel tempo, in particolare dopo la riforma del 1992.

Le ragioni di ciò andavano individuate in una pluralità di ragioni:

prima di tutto, c'era una scarsa conoscenza della norma da parte degli operatori giuridici (oltre che dei comuni cittadini, come è più comprensibile); poi la sua collocazione all'interno del Codice del

(5) E. LA ROSA, “La repressione penale della “corruzione privata”, pag. 31.

(6) E. LA ROSA, “La repressione penale della “corruzione privata”, pag. 32.

(7) E. LA ROSA, “La repressione penale della “corruzione privata”, pag. 33.

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lavoro, aveva finito per far passare l'idea che si trattasse di un reato bagatellare; inoltre c'era il problema del termine prescrizionale troppo breve (di soli tre anni dalla data di stipula dell'accordo corruttivo), che spesso spirava senza che l'autorità giudiziaria potesse compiere i dovuti accertamenti; non da ultimo, si registrava una certa ritrosia da parte dei datori di lavoro a denunciare le condotte scorrette dei dipendenti infedeli, in particolare quando le somme ricevute erano di modesto valore (8).

Ebbene, nonostante tutte le problematiche appena esposte, la situazione nell'ordinamento francese è rimasta immutata per oltre un decennio dopo la riforma del 1992.

Una seconda riforma si è avuta infatti solo nel 2005, e più per una sollecitazione da parte dell'Unione Europea che per volere interno nazionale.

Il 4 luglio 2005 è entrata in vigore la Loi 2005-750, che ha abrogato l'art. 152-6 del Codice del lavoro e ha introdotto il nuovo Titolo V del Libro IV del Codice penale, rubricato De la corruption des personnes n'exercant pas une fonction publique.

La nuova normativa riproduce quasi perfettamente il contenuto degli artt. 2 e 3 della decisione-quadro del 22 luglio 2003, senza nessun adattamento specifico alle esigenze del diritto nazionale francese, tranne l'inserimento dell'espressione à tout moment:

in questo modo il legislatore ha voluto affermare senza lasciare dubbi che non rileva, ai fini dell'integrazione del reato, se l'accordo illecito è stato antecedente o susseguente (esattamente come avviene nella corruzione pubblica: si può avere condanna anche se non si prova che l'accordo è intervenuto prima del compimento dell'atto che viola i doveri) (9).

Non ci sono ancora, ad oggi, dati significativi che rivelano quale sia stata la portata della riforma del 2005 nella prassi applicativa.

Tuttavia, si è consolidato negli anni un atteggiamento scettico nei confronti del modello lealistico-fiduciario come strumento efficace di lotta al fenomeno della corruzione privata.

I critici hanno ritenuto che l'uso dello strumento penale non sia adatto a reprimere i comportamenti infedeli dei dipendenti, perché rischia di trasformare l'atteggiamento punitivo in uno strumento di rimprovero del mero immoralismo. Sarebbe più corretto, e senza

(8) E. LA ROSA, “La repressione penale della corruzione privata, pag. 34.

(9) E. LA ROSA, “La repressione penale della corruzione privata, pag. 35.

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dubbio sufficiente, utilizzare gli strumenti che il diritto civile fornisce per contrastare validamente il fenomeno (10).

3. Il modello concorrenziale tedesco.

Come si è già visto nell'esperienza francese, anche nell'ordinamento giuridico tedesco è presente da molti anni (oltre un secolo) una norma riconducibile alla fattispecie generale della corruzione privata;

ed esattamente come si è già visto nell'esperienza francese, anche in quella tedesca tale norma ha subìto un cambiamento di sedes materiae nel tempo.

Al di là di questi tratti comuni, ciò che differenzia notevolmente i due ordinamenti è l'oggetto di tutela: nel modello tedesco non si tratta del rapporto fiduciario tra datore di lavoro e dipendente come in Francia, bensì del corretto regime concorrenziale all'interno del libero mercato. Nel modello concorrenziale si ha la tutela “dei doveri degli operatori economici verso il mercato” (11).

All'interno dell'ordinamento tedesco, la norma che sin dal 1919 ha rappresentato la fattispecie generale della corruzione privata, era l'art. 12 della Legge sulla concorrenza sleale (UWG).

Il contenuto della norma poi è stato trasferito nel 1997 (in occasione della approvazione della Gesetz zur Bekampfung der Korruption) all'interno del Codice penale, più precisamente all'art. 299 StGB.

Il cambiamento di sedes materiae non ha comportato grandi mutamenti per quanto riguarda la struttura complessiva del reato; è stato perlopiù dettato dal fatto di voler “rafforzare la consapevolezza

dell'opinione pubblica, circa la punibilità nella vita degli affari” (12).

Prima di analizzare più nel dettaglio la fattispecie comunque, occorre precisare che essa non è l'unica utilizzata dalla giurisprudenza per sanzionare i fatti di corruzione in ambito privato:

si continuano, nonostante i processi di privatizzazione avvenuti negli ultimi anni, ad applicare le fattispecie di corruzione pubblica alle imprese che svolgono funzioni pubbliche, e la fattispecie di Untreue (art. 266 StGB) nei casi in cui la corruzione ha prodotto un danno, anche patrimoniale, all'impresa del dipendente corrotto.

L'esame dell'art. 299 StGB deve necessariamente partire col delineare quello che è il nucleo della fattispecie, ciò che viene tutelato dal legislatore tedesco, e si è già detto ampiamente che si tratta della concorrenza leale.

(10) E. LA ROSA, “La repressione penale della corruzione privata, pag. 38.

(11) A. NIETO MARTIN, “La corruzione”, pag. 115.

(12) B. HUBER, “Il sistema tedesco”, pag. 516.

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La norma dunque vuol contrastare i fenomeni di concorrenza sleale che si possono verificare, ma ad un'analisi più attenta, parte della dottrina ha rilevato che la concorrenza sleale a cui si riferisce l'articolo, altro non è che “la somma degli interessi patrimoniali del concorrente, estromesso ingiustamente dall'affare” (13).

In quest'ottica, la concorrenza leale avrebbe come scopo quello di tutelare in modo anticipato il patrimonio di ogni singolo privato (14).

Ciò sembrerebbe ricondurci al modello patrimonialistico, e sarebbe una conferma di quanto avevamo detto nella parte introduttiva del capitolo: i quattro modelli delineati, in realtà sono solo il frutto di una scelta convenzionale, perché le caratteristiche che ognuno presenta, non sono peculiari solo di esso stesso, ma si rinvengono anche negli

altri.

Per quanto riguarda il grado di protezione accordato al bene giuridico tutelato, quello dell'art. 299 StGB è senza dubbio un reato di pericolo

astratto.

Una considerazione critica deve essere rivolta all'ambito dei soggetti attivi: accogliendo le indicazioni derivanti da fonti internazionali ed europee, il legislatore tedesco ha stabilito che autori del reato possano essere solo gli impiegati (Angestellter) o gli incaricati (Beauftragter), ma ha escluso la punibilità per il titolare dell'impresa.

Ebbene: non si comprende quale sia la ratio di questa scelta, dal momento che la concorrenza diventa sleale anche quando ad accettare la tangente o a sollecitarla sia lo stesso imprenditore.

Ma non è tutto: questa presa di posizione del legislatore produce un effetto paradossale perché viene considerato punibile l'impiegato o l'incaricato corrotto, ma non il titolare dell'impresa per la quale il dipendente lavora, pur essendo in realtà colui che maggiormente ha

beneficiato dell'accordo corruttivo (15).

Il pactum sceleris deve prevedere l'impegno del soggetto attivo del reato a favorire qualcuno “in modo sleale”, dietro il pagamento o la promessa di un compenso.

La fattispecie non è applicabile ai casi di corruzione sistemica perché l'oggetto dell'accordo deve essere “un processo di acquisto sufficientemente determinato” (16).

Sul significato da attribuire all'espressione “in modo sleale” (in unlauterer Weise) si è divisa la dottrina:

(13) J. VOGEL, “La tutela penale”, pag. 89.

(14) E. LA ROSA, “La repressione penale della corruzione privata”, pag. 44.

(15) E. LA ROSA, “La repressione penale della corruzione privata”, pag. 47.

(16) E. LA ROSA, “La repressione penale della corruzione privata”, pag. 47.

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secondo una prima tesi, il privilegio sarebbe accordato in modo sleale quando contrasta con il buon costume (ma la tesi è criticabile perché il concetto di “buon costume” è troppo vago e moraleggiante);

secondo altra tesi invece, si avrebbe slealtà quando il privilegio concesso è contrario agli obblighi che gravano in capo ad impiegati e incaricati nei confronti del committente (ma anche questa è criticabile perché non tiene conto del rapporto con i concorrenti, e

tradisce così in parte la ratio ispiratrice del reato) (17).

Le diverse linee di pensiero appena menzionate, lasciano dedurre quanto sia difficile (se non impossibile) giungere a delle posizioni condivise da tutti. Probabilmente il legislatore tedesco, nel tipizzare una fattispecie di corruzione privata imperniata sulla tutela della concorrenza, dovrebbe prendere come punto di riferimento e guida la Costituzione, di modo che, tra le varie linee di pensiero possibili,

siano da preferire quelle ad essa conformi.

Il modello concorrenziale è criticabile sotto più aspetti: una prima critica si è già vista quando si è parlato dell'esclusione della punibilità per il titolare dell'impresa, e dell'effetto paradossale che questo produce.

Altra critica riguarda l'art. 300 StGB: nel prevedere una circostanza aggravante per il delitto di corruzione privata, fa leva non sull'effetto distorsivo della concorrenza (come ci si attenderebbe, visto qual è il criterio ispiratore alla base della fattispecie), bensì su un vantaggio di rilevante entità (18), ma così facendo il legislatore dimostra di non voler tutelare fino in fondo come esigenza primaria la concorrenza leale.

Infine un'ulteriore critica attiene al regime di procedibilità previsto per il reato: procedibilità a querela; anche questa scelta è in contraddizione con la tutela di un bene giuridico di rilevanza pubblica come è la concorrenza leale.

4. Il modello onnicomprensivo adottato nell'ordinamento svedese.

Il modello adottato nei Paesi scandinavi come Svezia e Finlandia (ma anche in Ungheria) è caratterizzato da una maggiore linearità e semplicità rispetto agli altri già visti. Infatti, in questi ordinamenti, la scelta operata dal legislatore è stata quella di trattare il problema della corruzione privata alla stessa maniera in cui si tratta quello della corruzione pubblica: i due tipi di corruzione sono stati equiparati a livello di previsione normativa.

(17) E. LA ROSA, “La repressione penale della corruzione privata”, pag. 48.

(18) E. LA ROSA, “La repressione penale della corruzione privata”, pag. 49.

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Alla base della scelta c'è la convinzione che “la corruzione finisce col mettere in gioco, sempre e comunque, interessi pubblici o di rilevanza

pubblica” (19).

Il legislatore svedese ha adottato questo modello sin dal 1978.

La preferenza per il sistema onnicomprensivo è stata dettata dal fatto che lo Stato (in prima persona o attraverso enti locali minori) si è sempre ingerito in attività aventi rilevanza pubblica come ad esempio la fornitura di elettricità, le comunicazioni etc., e anche se negli ultimi anni ci sono stati dei processi di privatizzazione, ha continuato a farlo attraverso aziende controllate.

Inoltre lo Stato svedese ha spesso attribuito importanti funzioni pubbliche a dei soggetti aventi natura privata come ad esempio le organizzazioni sindacali.

Tutto ciò ha portato ad una sorta di promiscuità tra settore pubblico e privato, dove i confini non sono ben tracciati, e da qui deriva la scelta di adottare il modello onnicomprensivo.

Va precisato che, in verità, questa tendenza non è propria solo dei Paesi scandinavi, ma di tutti i Paesi europei industrializzati, dunque

“la circostanza che in altri ordinamenti non si sia adottata la medesima strategia seguita dal legislatore svedese è segno che la stessa è frutto di una precisa scelta politico-criminale, figlia più di una certa visione dei rapporti tra Stato, economia, società e cittadino, che delle emergenze della realtà empirica” (20).

Passando all'analisi delle norme, dal combinato disposto dei Cap. 17 sez. 7 e 20 sez. 2 del Codice penale svedese, si ricava che la cerchia dei possibili soggetti attivi del reato può essere particolarmente ampia (il catalogo è lunghissimo): per citare solo qualche esempio, possono essere autori i dipendenti comunali, i ministri, gli ambasciatori, i titolari di impresa, coloro che svolgono una prestazione tecnica o di consulenza a favore di un'impresa, etc. (21).

Per quanto riguarda il contenuto del pactum sceleris, dalle norme si evince che l'utilità deve essere concessa in cambio dell'esercizio generico dei doveri inerenti l'ufficio: non si fa riferimento al compimento o all'omissione di un atto specifico.

L'unica peculiarità da segnalare, che pone un distinguo tra corruzione pubblica e privata, è il differente regime di procedibilità:

d'ufficio nel primo caso, e a querela di parte nel secondo caso;

(19) E. LA ROSA, “La repressione penale della corruzione privata”, pag. 40.

(20) E. LA ROSA, “La repressione penale della corruzione privata”, pag. 39.

(21) E. LA ROSA, “La repressione penale della corruzione privata”, pag. 40.

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ma anche in questo caso bisogna precisare che in realtà è possibile procedere d'ufficio anche nell'ipotesi di corruzione privata, quando viene coinvolto un particolare interesse pubblico (22).

Nel Regno Unito, il Prevention of Corruption Act del 1906 aveva inserito per la prima volta nell’ordinamento, la previsione della corruzione, senza operare nessuna rilevante distinzione tra quella di tipo pubblico e quella di tipo privato.

La fattispecie si riferiva infatti solo ad un soggetto indistinto (agent), da intendersi (come veniva precisato dalla norma stessa) come “ogni persona alle dipendenze di o che agisca per conto di un’altra persona”

(employer).

Il legislatore dunque, si è sempre preoccupato di proteggere essenzialmente il rapporto fiduciario che esiste tra l’agente ed il suo principale (cosiddetta “relazione di agenzia”), a prescindere dalla natura pubblica o privata di tale relazione.

Solo nel 2003, quando una Joint Committee è stata incaricata di riformare l’intera normativa in tema di corruzione, il Parlamento ha sottolineato l’esigenza di considerare maggiormente anche il disvalore che la corruzione presenta sotto il profilo dei riflessi sulla Pubblica Amministrazione e sull’economia.

Anche il Codice penale dell’Ungheria (Paese che, si noti, ha ratificato la Criminal Law Convention of Corruption del Consiglio d’Europa), nelle Sez. 250-255 (dedicate ai “reati contro l’integrità della vita pubblica”) prevede la punibilità della corruzione passiva, senza contemplare alcuna apparente distinzione a seconda che il destinatario sia un “dipendente o membro di un organo statale”, o un dipendente “di un’organizzazione economica o sociale di una società”.

Il modello onnicomprensivo è indubbiamente molto particolare e per questo è difficile “esportarlo” in altri ordinamenti; tuttavia si deve segnalare come il livello di corruzione diffusa (compresa quella privata) sia notevolmente più basso nei Paesi scandinavi, che adottano questo modello, rispetto alla maggior parte degli altri Paesi europei (23).

5. Il modello patrimonialistico adottato nell'ordinamento austriaco.

(22) E. LA ROSA, “La repressione penale della corruzione privata”, pag. 41.

(23) A. VANNUCCI, “Atlante della corruzione”.

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Il modello patrimonialistico si pone come obiettivo primario la tutela del patrimonio di una impresa o di una società.

L'ordinamento austriaco lo ha adottato sin dal 1987, anno in cui, all'art. 153a del Codice penale (153a StGB), è stata introdotta la fattispecie di “accettazione di doni da parte del rappresentante”

(Geschenkannahme durch Machthaber), norma emblematica della corruzione privata (24).

Per la verità, in Austria la corruzione privata veniva repressa anche prima che entrasse in vigore la legge di riforma del 1987: la giurisprudenza infatti applicava in modo estensivo la fattispecie di

“infedeltà” (Untreue - art. 153 StGB) per sanzionare gli amministratori che ricevevano indebite provvigioni per i contratti stipulati.

Il problema era che troppo spesso l'applicazione estensiva si rivelava assai imprecisa:

i giudici incorrevano in alcuni ostacoli di tipo applicativo, primo fra tutti il fatto che l'Untreue richiedeva, per essere integrata, che si fosse verificato un danno (anche patrimoniale) all'impresa del dipendente corrotto: fatto non sempre agevole da dimostrare, che si tentava di aggirare a livello probatorio.

La riforma del 1987 ha voluto fornire una risposta proprio a queste problematiche, ma non si può dire che ci sia riuscita pienamente:

ancora oggi infatti la giurisprudenza continua ad applicare l'Untreue alle ipotesi in cui il corrotto accetti provvigioni non autorizzate, e relega l'applicazione dell'art. 153a StGB alle sole ipotesi in cui la tangente provenga da un terzo e non da un socio, e ai casi in cui essa sia stata pagata subito dopo la conclusione del contratto, senza che ci fosse stato un precedente accordo in tal senso (25).

Se ci si chiedesse in che rapporto stanno tra loro le due previsioni appena viste, si potrebbe affermare che l'art. 153a StGB sia una

“fattispecie avamposto” (26) rispetto a quella di Untreue:

la “accettazione di doni da parte del rappresentante” sanziona, nella lotta contro il fenomeno della corruzione privata, i comportamenti infedeli di coloro che devono amministrare e tutelare il patrimonio, e per essere integrata non richiede che si verifichi il danno come elemento costitutivo: è sufficiente che si verifichi un pericolo astratto per il patrimonio;

nel caso dell'Untreue invece, perché la fattispecie sia perfettamente integrata, occorre che si verifichi il danno (27).

(24) E. LA ROSA, “La repressione penale della corruzione privata”, pag. 21.

(25) E. LA ROSA, “La repressione penale della corruzione privata”, pag. 24.

(26) L. FOFFANI, “Infedeltà”, pag. 584.

(27) E. LA ROSA, “La repressione penale della corruzione privata”, pag. 26.

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Questa scelta del legislatore ha destato diverse perplessità:

parte della dottrina si è domandata quanto sia opportuno che lo strumento penale sanzioni condotte “solo in via presuntiva idonee ad aggredire un bene giuridico, peraltro non di rango primario, quale il patrimonio” (28). Potrebbe ben darsi che il corrotto abbia accettato l'utilità ma non abbia affatto intenzione di compiere l'atto retribuito (“riserva mentale”), oppure che avesse già maturato l'intenzione di compierlo, prima che glielo chiedesse il corruttore.

Comunque anche in caso di classificazione della fattispecie come reato di danno anziché di pericolo, si potrebbe obiettare che

“un'ipotesi di corruzione privata così costruita si tradurrebbe in

un'inutile doppione dell'infedeltà patrimoniale” (29).

Un altro aspetto che ha sollevato critiche, è il fatto che autore del reato delineato dall'art. 153a StGB possa essere solo il rappresentante (Machthaber); si discute se la punibilità sia estensibile, o debba essere esclusa, per chi ha dato od offerto l'utilità, ovvero per l'imprenditore.

Chi ritiene che anch'esso sia punibile, lo fa sostenendo che non ci sono ostacoli in tal senso a livello dogmatico.

Chi invece ritiene che non debba mai essere punito, si giustifica sostenendo che va compresa “la scelta dell'imprenditore di fare ricorso al pagamento di provvigioni al fine di non lasciarsi sfuggire affari vantaggiosi in un contesto caratterizzato da una forte concorrenza” (30).

La struttura del fatto tipico è bifasica perché è costituita da due distinti momenti: il primo momento positivo, viene integrato quando il rappresentante (Machthaber) accetta l'illecita utilità,

mentre il secondo momento negativo, consiste nella sua mancata restituzione al corruttore (Machtgeber).

Dunque il vero nucleo centrale della fattispecie risiede nella fase omissiva; così facendo, il legislatore ha voluto lasciare al rappresentante la possibilità di pentirsi.

Perché la fattispecie sia integrata inoltre, è importante che il rappresentante non giri l'utilità percepita al rappresentato (cioè

all'imprenditore).

Un'altra puntualizzazione da fare, infine, è che la giurisprudenza non applica la norma in tutti i casi in cui il rappresentato riceva una tangente, senza badare a quanto essa ammonti: al contrario, infatti,

(28) E. LA ROSA, “La repressione penale della corruzione privata”, pag. 27.

(29) E. LA ROSA, “La repressione penale della corruzione privata”, pag. 27.

(30) E. LA ROSA, “La repressione penale della corruzione privata”, pag. 25.

(14)

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occorre che si tratti di un “vantaggio patrimoniale non insignificante”, e sebbene l'espressione sia non poco indeterminata, la ratio è quella di escludere la rilevanza penale dei munuscula, cioè dei doni di scarso valore (31).

A onor del vero, va detto che la fattispecie appena analizzata non ha riscosso, nel corso degli anni, grande attenzione nelle indagini internazionali e comparate, eccezion fatta per l'Italia (32):

il nostro legislatore si è fortemente ispirato all'art. 153a StGB quando (lo vedremo meglio in seguito) nel 2002 ha introdotto la fattispecie di

“infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità” all'art. 2635 c.c..

(31) E. LA ROSA, “La repressione penale della corruzione privata”, pag. 25-26.

(32) E. LA ROSA, “La repressione penale della corruzione privata”, pag. 21.

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