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Cercherò allora di mostrare come nel testo considerato l'araignée dans sa toile sia allo stesso tempo immagine dell'anima mundi e della fisiologia di ciascuno

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Academic year: 2021

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ABSTRACT

«Il nostro vero sentimento - scrive Diderot ne Le rêve de d'Alembert (1769), richiamando le parole che già aveva utilizzato ne l'Essai sur le mérite et la vertu (1745) di Shaftesbury - non è quello in cui non abbiamo mai vacillato, ma quello a cui siamo tornati più abitualmente». È per questa ragione che l'obiettivo che mi propongo con la presente ricerca è di interrogare un'immagine, quella del ragno sulla sua tela (araignée dans sa toile), che attraversa trasversalmente, tra permanenze e variazioni, i territori dell'opera diderottiana.

La prima occorrenza dell'immagine dell'araignée dans sa toile nei testi del philosophe si trova nell'articolo «Asiatiques» de l'Encyclopédie (1751). È muovendo da quel luogo che cercherò di chiarire le ragioni filosofiche dell'uso diderottiano della metafora sullo sfondo della storia - non esaustiva - delle tradizioni che l'hanno generata e innervata.

In particolare, in un primo momento, ripercorrendo le fonti diderottiane tenterò di dar ragione di un peculiare uso dell'araignée dans sa toile che, attraverso Bayle e Brucker e tra Spinoza e gli stoici, si fa immagine dell'anima mundi.

In secondo luogo richiamerò una differente tradizione che, a partire dai territori della medicina e confluendo nel cartesianesimo di periferia della filosofia clandestina seicentesca, pensa il ragno e la sua tela come immagine della struttura nervosa della fisiologia umana.

Tutto ciò, innestandosi sul modello vibrazionale della biologia del XVIII secolo e a partire dalla riscrittura ironica dagli esperimenti sulle corde vocali di Ferrein così come Diderot la mette in scena ne Les Bijoux indiscrets (1748), tramuta l'araignée dans sa toile, da sempre estremamente sensibile alla musica, in un clavicembalo vivente che risuona col mondo.

Tutte queste tradizioni, all'apparenza divergenti, trovano una loro ricomposizione non statica ne Le rêve de d'Alembert. Cercherò allora di mostrare come nel testo considerato l'araignée dans sa toile sia allo stesso tempo immagine dell'anima mundi e della fisiologia di ciascuno. In particolare la metafora si farà capace di descrivere quella particolare condizione dell'umano che, deformandosi al contatto col mondo, è costretto a ridefinire in ogni istante i suoi confini, fisici e teoretici. È così che, tra continuità e contiguità, tra la dispersione del soggetto nella totalità del reale e l'individuazione che scinde ciascuno dai suoi contesti, l'araignée dans sa toile si fa immagine dell'immaginazione. Essa è in Diderot, cercherò di mostrarlo, la facoltà che presiede al rapporto tra l'uomo e il mondo. L'esperienza esiste sempre in immagini, così come non si può pensare se non in immagini: deformando una lunga tradizione di indagine sull'imaginatio e sulla phantasia, Diderot arriva così a dar vita a un materialismo d'immaginazione. Quest'ultima, ricorda il philosophe nel De la poésie dramatique (1758), è infatti «la qualità senza la quale non si è né poeti, né filosofi, né uomini di spirito, né esseri razionali, né umani».

In ultimo luogo cercherò di mostrare come l'immaginazione, facoltà delle forme che si sformano e delle immagini che mantengono la vitalità del contesto che rappresentano, assuma in Diderot un carattere mostruoso: essa fonda ciò da cui è a sua volta fondata in un gioco di riscritture e di relazionalità assoluta che fa dell'uomo il mostro della donna, della donna quello dell'uomo. Tra gli umani non rimane allora che una comunanza di bisogni e di desideri e una similare organizzazione fisica: è a quell'altezza che si installa allora l'ironico tentativo, destinato a un gioioso fallimento, di creare un linguaggio comune, un universale poetico e condiviso. È proprio lì che hanno origine il pensiero e la filosofia.

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