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1. Le tre applicazioni astronomiche:

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Academic year: 2021

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Introduzione.

9 Ottobre 1604. Gli occhi degli astronomi sono puntati da tempo sulla regione della volta celeste compresa tra la costellazione del Sagittario e quella dell’Ofiuco, o Serpentario. Osservano un evento assai raro, ancorché ciclicamente ricorrente e prevedibile: la coniugazione celeste di tre pianeti, cioè l’avvicinamento nel cielo di Giove, Saturno e Marte. Sono in molti a fissare lo sguardo in direzione di quella zona del cielo quando, con grande meraviglia, vedono apparire all’improvviso una nuova ( da cui il termine nova ) sorgente luminosa. La misteriosa fonte di luce cresce di intensità per un paio di settimane, fino a eguagliare Venere, per poi perdere progressivamente luminosità sparendo dalla vista circa un anno e mezzo dopo l’apparizione. Emozioni contrastanti agitano le persone che osservano il fenomeno: un misto di stupore e paura, di superstizione e curiosità.

Al tempo la concezione dominante, sostenuta dai seguaci di Aristotele, distingueva i fenomeni e gli oggetti del cielo da quelli terrestri. Le stelle, create ab inizio da Dio, non erano soggette a variazione alcuna e la loro perfezione si rispecchiava nei loro eterni moti circolari. Una siffatta concezione del cosmo, fortemente intrisa di elementi teologici e metafisici, non poteva accordarsi con l’apparizione di nuove stelle. La controversia scientifica che si accese sulla nuova apparizione metteva in gioco non solo la spiegazione di un evento, ma una visione millenaria del cosmo. Alcuni scienziati, tra cui Galileo Galilei, erano convinti che l’indagine intorno alla generazione della nova potesse avvalorare sia l’unificazione della fisica del Cielo e della Terra, sia il fatto che la proposta copernicana fosse quella corretta (per ulteriori dettagli consultare la bibliografia [1], [2]).

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Da lì a breve sarebbero caduti i due capisaldi della tradizione aristotelica e avrebbe preso il via l’inarrestabile sviluppo dell’astronomia e dell’astrofisica.

Da allora ogni progresso tecnologico ha portato, e continua a portare, moltitudini di nuove scoperte astronomiche, quando non addirittura a nuove teorie, o ad ulteriori conferme delle precedenti.

Basta pensare alle svolte portate all’astronomia dal primo cannocchiale rifrattore di Galieo del 1609 o dal telescopio riflettore proposto da Keplero nel 1611.

Nell’ultimo secolo, nuovi passi da gigante sono stati fatti, basti pensare allo sviluppo delle tecniche fotografiche, alla nascita della radioastronomia, ai telescopi orbitanti che non risentono della distorsione dovuta all’atmosfera e al perfezionamento degli strumenti di visione nelle operazioni critiche come la messa a fuoco e il puntamento dello strumento.

Negli ultimi decenni inoltre, lo sviluppo dell’elettronica e dell’informatica ha rivoluzionato ancora il mondo dell’astronomia. Enorme è stato lo sviluppo dei sistemi elettronici di ausilio ai grandi telescopi; calcolatori sempre più potenti permettono l’elaborazione di masse di dati sempre più consistenti; la stessa acquisizione delle immagini viene ormai fatta non più solo tramite l’occhio umano o la lastra fotografica, ma anche e soprattutto tramite sensori elettronici, sempre più spesso basati sulla tecnologia del silicio.

Presentiamo quindi il nostro lavoro che, svolto nell’ambito del progetto di ricerca

“Cofin-Prin 2002” – “Development of Monolithic Photon-Counter Arrays for Transient High-Energy Phenomena and Adaptive Optics in Astrophysics” 1 – , s’inserisce proprio in tale contesto di sviluppo tecnologico rivolto ad applicazioni astronomiche. In particolare il progetto è finalizzato alla realizzazione di un innovativo sistema di acquisizione del segnale luminoso nella lunghezza d’onda del visibile, basato su una matrice di 60 sensori fabbricati su silicio monolitico.

Questi sensori sono chiamati SPAD (Single Photon Avalanche Diode ) e sono sensibili all’arrivo di ogni singolo fotone.

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Gli obiettivi principali che si vogliono conseguire sono: l’alta sensibilità del sistema anche alle fonti luminose più deboli, la possibilità di effettuare acquisizioni molto veloci, la possibilità di visualizzare i dati raccolti in tempo reale e di svolgere alcune elaborazioni direttamente in hardware.

Il progetto è rivolto essenzialmente a tre applicazioni astronomiche, per le quali sensibilità del sistema e velocità di acquisizione sono parametri critici; esse sono:

l’acquisizione di immagini di transitori veloci, o Fast Transient Imaging (FTI), l’ottica adattiva, o Adaptive Optics (AO), e l’analisi degli strati atmosferici, o Layer Sensing (LS).

Le unità di ricerca coinvolte nel progetto sono il Politecnico di Milano per quanto concerne la realizzazione della matrice di sensori e la relativa scheda di controllo e individuazione degli eventi .

La Facoltà di Ingegneria dell’Università di Pisa per ciò che concerne la scheda di acquisizione e processing dei dati rivelati.

L’Osservatorio Astrofisico di Catania e l’ESO (European Southern Observatory) per la parte relativa ai telescopi e all’assemblaggio degli esperimenti.

Questo lavoro è organizzato in cinque capitoli. Nel primo capitolo vengono presentate le tre applicazioni astronomiche cui si rivolge il progetto e si evidenzierà come il sistema studiato cerchi di rispondere in modo innovativo alle esigenze percepite dagli astronomi.

Il secondo capitolo, dopo una più dettagliata descrizione del sistema complessivo con particolare attenzione ai sensori SPAD, illustra le specifiche definitive legate alla sezione di Data-Processing del sistema, affidata all’università di Pisa.

Il capitolo tre è dedicato alla descrizione di un’implementazione del sistema. Sarà effettuata e motivata la scelta della piattaforma di sviluppo, saranno brevemente descritte le schede di ausilio ad essa, e sarà infine effettuata la partizione del progetto della Data-Processing Board.

Il capitolo quarto, illustra i passi compiuti nella progettazione della scheda di

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costituiscono, per giungere a una prima versione di scheda funzionante in tempo reale per il testing operativo con i sensori su telescopio per l’applicazione di FTI.

Il capitolo successivo, quinto ed ultimo, illustra le conclusioni del lavoro e le modifiche di progetto per la realizzazione di una seconda versione, più funzionale e valida per tutte e tre le applicazioni astronomiche descritte. Verrà effettuata in questo modo un’ultima panoramica delle funzionalità dell’intero sistema.

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1. Le tre applicazioni astronomiche:

quando la visione fa la differenza.

1.1. Introduzione.

In questo capitolo vengono presentate le tre applicazioni astronomiche cui si rivolge il progetto: l’acquisizione di immagini di transitori veloci, o Fast Transient Imaging (FTI), l’ottica adattiva, o Adaptive Optics (AO), e l’analisi degli strati atmosferici, o Layer Sensing (LS).

Per ciascuna sono descritti alcuni recenti esempi significativi dell’applicazione, mettendo in evidenza le esigenze percepite dagli astronomi per migliorare i risultati. Si vedrà infine come il sistema studiato cerchi di rispondere in modo innovativo a queste esigenze.

1.2. Fast Transient Imaging.

In anni recenti lo studio accurato di fenomeni che avvengono in transitori veloci (detti Fast Transient Fenomena FTP) è stato richiesto in svariati campi scientifici, ad esempio per il decadimento della fluorescenza, per la caratterizzazione delle fibre ottiche, per il testing non invasivo di circuiti VLSI, per lo studio della portata dei laser, per la spettrografia a correlazione di fotoni e per esperimenti di astrofisica ad alta energia.

Andando ad approfondire questo ultimo punto riguardo alle applicazioni di astrofisica si hanno almeno quattro categorie di fenomeni che avvengono velocemente e sono legati a grandi quantità di energia emessa e sono:

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• Le esplosioni stellari : supernovae, novae.

• Il riscaldamento stellare: gli scoppi e le eruzioni stellari.

• Le stelle variabili: le pulsar, le nane bianche e le stelle di neutroni.

• Fenomeni cosmici: movimento di pianeti, fasi di accelerazione o decelerazione dell’espansione dell’universo.

Storicamente, come abbiamo visto nell’introduzione, il primo fenomeno astronomico studiato legato a un transitorio veloce ad alta energia è stato quello delle esplosioni di supernovae. Si tratta di gigantesche esplosioni termonucleari che si verificano in stelle di grande massa o nelle così dette nane bianche. In questi catastrofici processi della dinamica stellare viene emessa una quantità di radiazione che può essere pari a quella di alcuni miliardi di soli ( si possono sprigionare energie anche superiori a 1026 megaton nel giro di poche ore). Le esplosioni di supernovae sono tuttavia eventi piuttosto rari, è stato calcolato che in ogni Galassia di medie dimensioni, come la nostra, esplode una supernova ogni circa 300 anni. Finora Solamente tre supernovae sono state ben visibili dalla Terra, ad occhio nudo: quelle del 1054 (che ha anche provocato la creazione della Nebulosa del Granchio), del 1572 e del 1604. Tutte le altre supernovae conosciute, ormai parecchie centinaia, sono state osservate negli ultimi decenni tramite potenti telescopi.

Figura 1.1: Supernova comparsa nella galassia NGC 4725 tra il 1940 ed il 1941.

Notare la luminosità dell’esplosione, confrontabile con quella dell’intera galassia. Vedi anche bibliografia [25].

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Particolarmente significativo è il caso dell'ultima supernova visibile ad occhio nudo, quella del 1987 nella Grande Nube di Magellano, assai prossima alla nostra galassia. La stella esplosa (indicata con una freccia nelle foto sotto a sinistra) si trattava di una stella supergigante blu. Per ulteriori dettagli consultare la bibliografia [35].

Figura 1.2: La Nebulosa Tarantola nella Grande Nube di Magellano, che dista 170000 anni-luce, (a sinistra ripresa nel 1984) prima e dopo l’esplosione (a destra) della Supernova 1987-A nel Febbraio del 1987

Figura 1.3: Dettaglio ingrandito dell’esplosione della supernova SN1987A

Per la prima volta gli astronomi di tutto il mondo hanno avuto modo di osservare da vicino l’evoluzione di una supernova utilizzando sia strumentazione a terra che nello spazio. Durante i tre anni e mezzo successivi la brillantezza è inizialmente cresciuta di un fattore 100 per poi indebolirsi oltre un milione di volte rispetto

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all’intensità di picco. L’affievolimento della luminosità ha permesso agli astronomi di osservare meglio la supernova e il suo intorno.

L’immagine della SN1987A ottenuta dal telescopio spaziale Hubble con la Faint Object Camera mostrata sotto rivela al centro la SN1987A e ai lati due stelle compagne. Per ulteriori dettagli consultare la bibliografia [27].

Figura 1.4: L’immagine del 1990 , scattata alla lunghezza d’onda di 501 nanometri, mostra una curioso anello di debole luminescenza attorno alla SN1987A.

L’anello che si osserva nelle immagini si ritiene sia stato formato probabilmente da una perdita di massa della stella prima dell’esplosione. L’anello, che si estende per circa 1 anno-luce, brilla perché riflette la luce della supernova ed è stato osservato dagli astronomi per investigare gli effetti dell’esplosione. La prima evidente collisone fu rivelata nel 1996. Le osservazioni seguenti hanno mostrato dozzine di eventi simili. Per ulteriori dettagli consultare la bibliografia [21].

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Figura 1.5: Queste immagini scattate dalla Wide Field and Planetary Camera 2 and the Advanced Camera for Surveys mostrano molti punti luminosi lungo l’anello e la variazione della luminosità nel tempo.

Il dettaglio dell’immagine del 1997 mostrata sotto, evidenzia una zona di alta brillanza (in alto a destra dell’immagine) che si estende nella parte interna

Figura 1.6: Dettaglio delle immagini del 1994 e 1997 scattate dalla Wide Field and Planetary Camera 2

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dell’anello, dovuta all’interazione tra l’onda d’urto che si estende verso l’esterno, generata dalla supernova, e parte della materia dell’anello stesso. La materia espulsa si può osservare sottoforma dei resti di colore giallo-bianco al centro delle immagini. Essa si espande alla velocità di circa 10-11 milioni di Km/h.

La stella nova, spesso chiamata semplicemente nova, si forma in seguito ad una esplosione nucleare che avviene negli strati superficiali della nana-bianca. Qui, il fenomeno esplosivo non coinvolge il nucleo della stella come avviene invece per le supernovae. Gli strati superficiali della stella nana-bianca vengono espulsi alla velocità di 700-800 Km/sec o, in certi casi, a velocità maggiori. L’esplosione e l’espulsione della materia dalla stella compatta sono accompagnati da un intenso brillamento. Per ulteriori dettagli consultare la bibliografia [36].

Figura 1.7: Immagini della Nova Cygni 1992, che si trova ad una distanza di circa 10000 anni-luce nella costellazione del Cigno; prima e dopo l’esplosione.

Nell’immagine sopra è raffigurata la Nova Cygni 1992, una tra le più brillanti stelle novae. L’immagine a destra è stata ripresa dal telescopio spaziale Hubble circa due anni dopo lo scoppio, l’anello è il gas espulso dalla stella dopo l’esplosione. L’immagine a sinistra è stata ripresa 467 giorni prima

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dell’esplosione e si nota la stella nana-bianca che ha dato luogo alla formazione della stella nova.

Fatta salva la diversa quantità di radiazione emessa, i fenomeni legati alle novae ed alle supernovae appaiono molto simili nella curva di luce della banda visibile in cui ad un picco di irraggiamento massimo, raggiunto nel giro di poche ore, segue una coda di luminosità decrescente che può protrarsi anche alcuni mesi.

Figura 1.8: Esempio di curva di luce di una nova, CP Lacertae. Si noti il brusco aumento e la lenta diminuzione della luminosità subito dopo il massimo.

Nel 1998 l’osservazione di supernove distanti, esplose circa cinque miliardi di anni fa, è servita per misurare l’espansione dell’Universo, espressa dalla legge di Hubble, e dimostrare che l’espansione dell’universo sta accelerando. Per ulteriori dettagli consultare la bibliografia [4].

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Figura 1.9: Immagine delle fasi di espansione dell’universo.

Per studiare l’espansione cosmica, gli astronomi hanno bisogno di oggetti di cui sia nota e costante la luminosità intrinseca, ossia la quantità di radiazioni per secondo emessa dalla sorgente luminosa, e che possano essere visti nell’intero universo. Una particolare classe di supernove lontane molto rare, quelle di tipo

“Ia” , soddisfa perfettamente questi requisiti . Per ulteriori dettagli consultare la bibliografia [37].

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Figura 1.10: Immagini di tre supernovae di Tipo-I riprese dal Telescopio Spaziale Hubble Nella foto, le distanze delle tre supernovae sono 7 miliardi di anni-luce (a sinistra) e 5 miliardi di anni-luce (al centro e a destra).Per dettagli vedere [23].

Le supernovae di Tipo Ia si distinguono per avere nel loro spettro l’assenza delle righe dell'Idrogeno e la presenza delle righe del Silicio ionizzato. Queste, oltre ad avere le curve di luce della stessa forma, hanno tutte una luminosità assoluta molto simile, intorno a 2 miliardi di volte quella del Sole. Negli ultimi dieci anni i ricercatori confrontando la luminosità osservata con la luminosità intrinseca sono riusciti a stimare per ogni supernova Ia la sua distanza. Esaminando poi la variazione della luminosità in funzione della lunghezza d’onda è stato possibile risalire alla velocità di allontanamento. Le distanze e le velocità di allontanamento hanno permesso di ottenere informazioni importanti riguardanti l’espansione dell’Universo.

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Figura 1.11: Immagine del percorso della luce emessa dalla supernova e della sua variazione in funzione dell’espansione dell’universo.

In particolare dalle osservazione degli astronomi è risultato uno spostamento verso il rosso della luce emessa dalle supernove di tipo Ia. Dunque, poiché la radiazione di un oggetto che si allontana rispetto a un osservatore si sposta verso lunghezze d’onda più elevate, cioè la luce emessa tende verso la parte rossa dello spettro, si deduce che l’espansione dell’universo sta accelerando. Per ulteriori dettagli consultare la bibliografia [6], [23] e [29].

Un altro esempio di transitorio veloce è quello legato al movimento dei pianeti e al fenomeno di microlente gravitazionale, sfruttato oggi per l’individuazione di nuovi sistemi planetari. In questo caso la lente è una stella che passa davanti ad un’altra deviandone verso di noi fotoni che altrimenti si propagherebbero in direzioni diverse. Il risultato è un temporaneo aumento della luminosità della stella sorgente ( fino anche a un fattore 10).

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Figura 1.12: Immagine esplicativa del fenomeno di microlente gravitazionale

Il 5 maggio del 2000 il gruppo di ricerca EROS ( Experience pour la Recherche d’Objets Sombres ) annunciò l’individuazione di una microlente denominata poi EROS-BLG-2000-5, un mese dopo il gruppo di ricerca MPSP ( Microlensing Placet Search Project ) rivelò un inaspettato aumento di luminosità. Fu chiaro che si trattava del transito di una stella doppia e che presto ci sarebbe stato un altro massimo. Nel giro di 24 ore il direttore dell’ESO concesse il tempo di osservazione richiesto con uno degli strumenti da 8,2 metri del Very Large Telescope. Le osservazioni vennero condotte dal 4 al 7 luglio del 2000 e risultarono molto preziose. Per ulteriori dettagli consultare la bibliografia [3].

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Figura 1.13: Immagine dell’evento EROS-BLG-2000-5 , uno dei più spettacolari fenomeni di microlente gravitazionale finora osservati.

Per quel che riguarda i fenomeni periodici di brevissimo periodo, si possono invece citare le pulsar.

La pulsar è un sistema binario in cui si ha trasferimento di materia tra due stelle, la stella compatta (di solito una stella di neutroni che possiede campi gravitazionali molto intensi fino a 100 milioni di tesla) e la stella compagna. La materia viene trasferita dalla stella compagna alla stella compatta a causa del forte campo magnetico che “guida” la materia verso i poli magnetici della stella di neutroni. Quando la materia impatta sulla stella di neutroni lungo le linee di forza del campo magnetico, le regioni polari raggiungono temperature elevate, in alcuni casi fino a centinaia di milioni di gradi, e avvengono emissioni molto energetiche

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sia a lunghezze d’onda radio che nel visibile. Il campo magnetico della stella di neutroni focalizza i raggi emessi lungo due coni nella direzione dell’asse del campo magnetico. Ora se l’asse del campo magnetico è inclinato rispetto all’asse di rotazione della stella di neutroni, si formano due coni di emissione di radiazione che spazzano il cielo, durante la rotazione della stella compatta, e che noi osserviamo come impulsi di raggi ogni qualvolta la linea di vista è allineata con il cono da cui fuoriesce la radiazione.

Un esempio molto esplicativo è la pulsar nella Nebulosa del Granchio, generata dall’esplosione di una supernova nel 1054 e scoperta nel novembre del 1968, i cui impulsi vengono emessi ad intervalli di tempo brevissimi: uno ogni 33 millesimi di secondo. Con la tecnologia fotografica a pose tradizionali, lunghe, la pulsar non fu riconosciuta poiché apparve simile a tutte le altre stelle, mentre in realtà è una sorgente che emette luce a scatti, in lampi cento volte più luminosi del Sole, in ragione di 30 lampi al secondo. Tra un lampo e l’altro è oscura, invisibile, anche col più grande telescopio del mondo. Per ulteriori dettagli consultare la bibliografia [26], [38] e [39].

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Figura 1.14: Oscillazioni di luminosità della “Stella di Baade”

Negli anni la pulsar del granchio a causa della sua relativamente alta lucentezza e della sua alta frequenza di rotazione è stata l’obiettivo favorito per dimostrare le capacità di risoluzione di molti fotometri ottici ad alta velocità.

Nel novembre 1998 presso l’osservatorio di Asiago con un telescopio di 182 cm e utilizzando come contatori di fotoni camere a ICCD (Intensify Charge Couplet Devices) si è raggiunto una risoluzione spaziale di 25um FWHM (Full Width at Half Maximum).

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Figure 1.15 Immagini dell’osservatorio di Asiago del 1998. A sinistra la curva di luminosità risultante dall’elaborazione del conteggio dei fotoni rivelati nel contorno di regione della pulsar (la più debole delle due sorgenti) mostrata nell’immagine a destra. La griglia corrisponde alla dimensione di 54 mm/pixel usata durante l’osservazione. Le isoipse sono in conteggi in ore-1.

Un anno dopo un gruppo di ricercatori spagnolo e tedesco ho messo a punto OPTIMA ( Optical Pulsar Timing Analyser ) utilizzando come contatori di fotoni una matrice di otto sensori basati su fotodiodi a valanga di vecchia generazione e una camera a CCD per assicurare il corretto posizionamento del telescopio. Il risultato dell’osservazione è stata la misura del ciclo rotazionale della pulsar pari a 33.505115 msec e un errore di fase di 112us in una finestra di osservazione di oltre 80 ore.

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Figure 1.16 Curva di luce della Pulsar del Granchio (PSR B0531+21) come misurata con OPTIMA nel Dicembre1999 a Calar Alto (Spagna) con telescopio da 3.5m in 10 minuti di esposizione. I numeri rappresentati in ordinata rappresentano il conteggio assoluto dei sensori. Dettagli in bibliografia[9]e [10].

Alla luce degli esempi discussi risulta evidente l’importanza per gli astronomi di avere dei sistemi per osservare, con sempre maggior dettaglio e più elevata velocità, fenomeni transitori veloci. Il miglioramento delle tecniche di visione infatti porta a una sempre maggiore comprensione degli eventi noti e alla scoperta di nuove importanti osservazioni.

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1.3. Ottica Adattiva

Al contrario dei telescopi spaziali, la qualità dell’immagine dei telescopi montati sulla terra è affetta dalle turbolenze atmosferiche. Questo effetto è causato dal mescolamento turbolento di masse d’aria con temperature differenti nell’atmosfera. Così, le onde perfettamente piane provenienti da stelle lontane sono distorte dall’atmosfera prima di entrare nel telescopio. L’ottica adattiva nasce nel 1953 dall’idea di H.Babcock di correggere queste aberrazioni (distorsioni variabili) con uno specchio deformabile per ottenere immagini con una diffrazione limitata. Nell’immagine sotto sono mostrati i principali elementi per realizzare un sistema di ottica adattiva.

Figure 1.17 Principali elementi e possibile architettura di un sistema di ottica adattiva. Per ulteriori dettagli consultare la bibliografia [5].

I sensori di fronte d’onda misurano l’aberrazione con una alta velocità di campionamento e spediscono l’informazione di controllo allo specchio deformabile per correggere l’aberrazione e dunque raddirizzare il fronte d’onda,

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infine una camera posta nel fuoco riceve l’immagine ricostruita con un tempo di esposizione dipendente dalle turbolenze atmosferiche. Sebbene il processo sembri facile alcuni requisiti tecnologici per la realizzazione dei sensori e dello specchio deformabile hanno ritardato la realizzazione di sistemi adattivi per alcuni decenni. I primi sistemi di ottica adattiva furono sviluppati nel 1970 nella U.S. Air Force per migliorare le immagini dei satelliti spia e per il puntamento dei laser nei dispositivi antimissile. Nel campo civile il primo sistema di ottica adattiva fu istallato su un telescopio di 3,6 metri dell’ESO in Cile negli ultimi anni ottanta.

Nell’emisfero nord il sistema di ottica adattiva PUEO istallato sul Hawaii Telescope ( di proprietà di Francia e Canada ) è stato il primo a essere disponibile alla comunità astronomica per regolari osservazioni scientifiche nel 1996.

I requisiti tecnologici per questi sistemi concernono la velocità di campionamento, la sensibilità al fronte d’onda del sensore della camera e la frequenza che può essere applicata allo specchio deformabile. La velocità di campionamento richiesta è determinata dalla velocità dei cambiamenti delle turbolenze atmosferiche, ecco quindi che i parametri statistici delle turbolenze giocano un ruolo vitale. La maggior parte dei sistemi adattivi utilizza le statistiche di Kolmogorov che forniscono un appropriato modello teorico per le turbolenze atmosferiche, per lo più confermato dalle misure statistiche sperimentali.

La domanda più importante per l’applicabilità dei sistemi di ottica adattiva applicati alla ricerca astronomica è quale copertura della volta celeste si riesce a discriminare. La risposta a questa domanda dipende però dal grado di correzione desiderato e quindi dai corrispondenti parametri per il campionamento, che a loro volta abbiamo visto dipendere dalle condizioni atmosferiche.

Gli astronomi, per quantificare la qualità del cielo dal punto di vista del potere risolutivo, utilizzano il parametro di Fried, dal nome di David Fried che lo introdusse nel 1966. Tale parametro, indicato con ro, indica il massimo diametro di un telescopio il cui potere risolvente non viene influenzato dalla turbolenza atmosferica. Si osserva inoltre che il parametro di Fried dipende circa linearmente

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dalla lunghezza d’onda λ utilizzata nell’osservazione. Tuttavia gli effetti indesiderati di diffrazione ottica influiscono con un peso inversamente proporzionale a λ, quindi non è possibile sfruttare troppo la dipendenza di ro dalla lunghezza d’onda.

La figura sotto mostra la grossa diversità di requisiti per i sistemi di ottica adattiva in corrispondenza di differenti lunghezze d’onda.

Figure 1.18 A sinistra l’immagine di una stella nello spettro del visibile a 0,5 µm nell’immagine a destra a una lunghezza d’onda di 10 um sotto le stesse condizioni atmosferiche utilizzando un telescopio di 3,5 m. Nella foto a destra si può osservare un primo anello di diffrazione.

Le immagini mostrano l’esposizione di una singola stella su un telescopio di 3,5 m sotto identiche condizioni atmosferiche per due lunghezze d’onda. A 10µm (a destra) una singola macchia a diffrazione limitata si muove lentamente e la stabilizzazione dell’immagine è sufficiente per creare una immagine a diffrazione limitata. Nel visibile a 0,5µm una nube di alcune centinaia di macchie mostra un comportamento dinamico di tipo Browniano. La figura astrale appare meno netta, ed è difficile avvertire con chiarezza un qualche movimento erratico della stella, che appare come un oggetto la cui forma dettagliata cambia in continuazione;

questa immagine prende il nome di disco di seeing. Per ricreare una immagine

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come prima a singola diffrazione limitata servirebbe uno specchio deformabile con tanti attuatori quante sono le macchie. Per ulteriori dettagli consultare la bibliografia [7] e [8].

Per poter correggere l’aberrazione tramite la distorsione dello specchio deformabile, è però necessario compiere una preventiva osservazione di una stella sufficientemente brillante (detta stella guida) , per valutare la distorsione da compensare. La stella guida deve essere luminosa e molto prossima all’oggetto che si vuole puntare. Se nell’intorno dell’obiettivo non si hanno oggetti sufficientemente luminosi da poter essere usati come riferimento, gli astronomi hanno realizzato delle stelle guida "artificiali" che suppliscono quelle naturali nelle regioni di spazio dove queste ultime scarseggino. Si riescono per esempio a creare stelle guida artificiali ad un altezza di 90 Km sopra ad un telescopio utilizzando un laser che lavora alla frequenza D2 del sodio per eccitare gli atomi di sodio nell’atmosfera. Con un laser sufficientemente potente i fotoni emessi quando gli atomi ritornano al loro stato fondamentale possono funzionare da stella guida. Alcuni sistemi di ottica adattiva dotati di laser modesti hanno già prodotto risultati al limite delle aspettative come mostrato nelle immagini sotto.

Figure 1.19 Il telescopio dell’osservatorio W. M. Keck situato a 4000 metri sul livello del mare sulla sommità del vulcano dormiente Mauna Kea nelle Hawaii durante il primo esperimento di stella guida laser nel dicembre 2001 .

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Figure 1.20 Gli astronomi usando il telescopio Keck con ottica adattiva hanno ottenuto le migliori immagini di Nettuno fino ad oggi. a) L’immagine mostra bande che circondano il pianeta che sembrano essere nubi in rapido movimento.

(b) La stessa immagine senza l’ottica adattiva .Vedi anche [34]nella bibliografia.

Ad oggi tutti i maggiori osservatori astronomici mondiali dispongono di sistemi di ottica adattiva che diventano di giorno in giorno più raffinati via via che il progresso tecnologico porta migliorie in particolare nella realizzazione dei sensori di fronte d’onda (di recente proprio con l’utilizzo dei sensori SPAD), dello specchio deformabile e nella generazione di impulsi laser più potenti e affidabili.

Importante è l’esempio attualissimo, il 18 aprile 2003, del montaggio su uno dei quattro telescopi dell’ESO nell’osservatorio Paranal in Cile del sistema di ottica adattiva MACAO-VLTI (Multi-Application Curvature Adaptive Optics and Very Large Telescope Interferometry) .

L’interferometro ricombina in fase le acquisizioni dei raggi di luce provenienti da due o più telescopi da 8.2 m. Questo permette una risoluzione dell’immagine di oltre 100 volte più fine rispetto al passato.

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Figure 1.21 L’immagine mostra il notevole incremento di risoluzione dell’immagine del sistema MACAO-VLTI anche utilizzando una stella guida poco luminosa come la HIC 74324. Sulla sinistra dell’immagine è mostrata l’immagine senza la correzione adattiva. Per ulteriori dettagli consultare la bibliografia [40].

Oltre all’interferometro anche il sistema il MACAO si presenta come rivoluzionario avendo uno specchio deformabile dimorfo con ben 60 attuatori distinti. Anche il sensore di curvatura del fronte d’onda è molto innovativo ed è basato su una lente contenente un array di 60 elementi che alimentano una fibra ottica connessa a 60 moduli di foto diodi a valanga.

L’applicazione per l’ottica adattiva studiata in questo lavoro è studiata per essere poi montata proprio sul sistema MACAO. Per ulteriori dettagli consultare la bibliografia [30], [31], [32] e [33].

Da quanto discusso in questo paragrafo si evince l’importanza per gli astronomi di avere dei sistemi per poter osservare con sempre maggior precisione. Il miglioramento delle tecniche di visione infatti porta a una sempre più profonda

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comprensione degli eventi noti e alla scoperta di nuove importanti osservazioni.

Nelle figure sotto sono mostrati alcuni esempi di quello che con l’ottica adattiva si riesce già oggi ad ottenere.

Figure 1.22 L’immagine, ottenuta con il sistema MACAO-VLTI alla lunghezza d’onda di 2.2µm , mostra la stella HIC 59206 prima (a sinistra) e dopo (a destra) l’accensione del sistema di ottica adattiva. L’immagine a destra rivela che l’oggetto è una stella binaria separata da 0,120 arcsec. Per ulteriori dettagli consultare la bibliografia [20].

Figura 1.23: Ammasso globulare NGC 6934 ripreso senza e con sistemi di ottica

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1.4. Layer Sensing.

La terza applicazione per la quale è stata richiesta la possibilità di usare il sistema di acquisizione fotonica basato sul sensore SPADA riguarda il layer sensing (LS) atmosferico. Lo scopo è quello di osservare i vari strati dell’atmosfera terrestre in funzione della loro altitudine, analizzarne da terra le caratteristiche ottiche e fisiche e utilizzare tali dati per correggere le distorsioni originate sul telescopio. Per poter fare ciò, ad intervalli regolari viene sparato verso l’alto un impulso laser che percorre l’intera atmosfera, attraversandone i vari strati. Studiando le caratteristiche dei fotoni di ritorno in vari istanti successivi, si desumono le caratteristiche dei diversi strati turbolenti.

Questa applicazione nasce come lo sviluppo della tecnica delle stelle guida laser (anche dette LGS acronimo di laser guide stars) viste nel paragrafo precedente. In quel caso si trattava di emissioni di luce create dalla retro-dispersione di un impulso di luce laser ottenuto per mezzo di atomi di sodio nell’alta mesosfera (a 90 Km di altitudine); in questa applicazione il laser viene sempre puntato nel cielo vicino all’oggetto di interesse, ma la sua luce viene riflessa dalle molecole e particelle d’aria della bassa stratosfera tra i 10 e i 20 Km di quota. Questo secondo tipo di stella artificiale è chiamata "Rayleigh guide star”; l’effetto è simile a quello di un proiettore ed appare come una macchia nel cielo.

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Figura 1.24 Test di lancio del maggio 2001 al telescopio William Herschel di un laser Rayleigh di 5W con frequenza tale da produrre luce verde a lunghezza d’onda di 523nm .

Ci sono però delle limitazioni fisiche connesse alle stelle guida. Un primo problema è l’effetto cono infatti la stella artificiale essendo ad una altitudine relativamente bassa riflette dei raggi verso il telescopio che non sono paralleli tra loro come quelli di stelle anni luce lontane; questo causa un errore nella stima della fase. Un secondo più serio problema è il movimento dell’immagine cioè la determinazione della inclinazione. Infatti, mentre il centro della stella artificiale è fisso nel cielo, la posizione apparente di una sorgente astronomica soffre di movimenti laterali moti come tip/tilt.

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Una nuova tecnica di compromesso chiamata GLAO (Ground-Layer Adaptive Optics) minimizza i problemi detti sopra andando a considerare e correggere le sole distorsioni agli stati più bassi dell’atmosfera in quanto la maggior parte delle turbolenze atmosferiche avvengono in questi strati. La correzione risultante dà risultati paragonabili all’ottica adattiva di base mentre la portata dei problemi visti sopra viene notevolmente attenuata. Infatti rispetto alle LGS al sodio a 90 km di quota con le guide Rayleigh a soli 10-20 Km di quota l’effetto cono si riduce. Il secondo difetto può essere risolto in via di principio utilizzando simultaneamente infinite LGS attorno all’oggetto e combinando i dati dalle varie sorgenti per eliminare il tip/tilt. Poiché è molto raro trovare stelle guida naturali sufficientemente luminose la soluzione più semplice è utilizzare i vari strati atmosferici come multiple stelle guida di Rayleigh. Tali sistemi devono affrontare grandi sfide tecnologiche: dallo sviluppo di laser appropriati, potenti e affidabili che proiettino il raggio in cielo con minima distorsione, all’introduzione di tecniche che tengano conto della variazioni temporali della distribuzione degli strati turbolenti nell’atmosfera per finire con la duplicazione di tutti i componenti (specchi deformabili, sensori di fronte d’onda laser ecc.) e l’aumento della complessità di calcolo. Per ulteriori dettagli consultare la bibliografia [28] e [41].

Un importante studio sul layer sensing è attualmente in corso presso l’installazione telescopica William Herschel sull’isola La Palma, nelle Canarie, da un team dipendente dall’inglese University of Durham. Nell’esperimento in esame si è scelta una frequenza di ripetizione degli impulsi laser di 7kHz: in questo modo ogni nuovo impulso corrisponde al ritorno del segnale precedente dall’altezza di circa 21.5km. Questa è quindi la quota entro la quale si ha l’area di studio. Bisogna però puntualizzare che con questo metodo non possono essere studiate le basse quote a causa dei fenomeni di fluorescenza provocati dall’elevata potenza dell’impulso laser, come mostrato nella figura sotto.

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Figura 1.25: Misura degli effetti di fluorescenza dell’impulso laser.

Dagli esperimenti è risultato che per i primi 2.5µs prevalgono gli effetti di fluorescenza relativi al laser per cui non ha senso fisico lo studio dei dati provenienti dal sensore di fotoni in questo intervallo temporale (che corrisponde ad un percorso del raggio di circa 400m.).

Lo studio prevede l’acquisizione di dieci immagini provenienti dall’array di sensori, secondo la seguente temporizzazione: i primi 2.5µs, dopo l’arrivo dell’impulso di sincronizzazione relativo all’invio del raggio laser, sono di attesa affinché si esauriscano i fenomeni di fluorescenza; quindi per i successivi 130µs vengono acquisiti in diversi registri i conteggi relativi a 10 slot temporali, lunghi 13µs ciascuno, corrispondenti a 10 diversi layer atmosferici di profondità 2km circa; a questo punto si attende un nuovo segnale di sincronizzazione dell’impulso laser.

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Figura 1.26: Schema temporale approssimato del modello di acquisizione per LS.

Si osserva come aumentando il numero di slot temporali si ottengono da un lato un numero maggiore di strati più sottili e dall’altro finestre temporali di acquisizioni sempre più piccole.

Il risultato notevole di questo studio è la capacità di distinguere accuratamente la presenza di corpi nuvolosi stratificati negli stati atmosferici sopra il telescopio.

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Figura 1.27: Rilevamento di corpi nuvolosi negli strati atmosferici.

La figura sopra mostra i risultati di una acquisizione fatta il 15 maggio 2001 in cui si evidenziano due corpi nuvolosi sottili, uno a 2,8 km e l’altro a 4,7 km di quota.

Per ulteriori dettagli consultare la bibliografia [24].

Concludendo si capisce come lo sviluppo dei sistemi di layer sensing sia importante e in rapidissimo sviluppo, infatti ormai tutti i grandi telescopi si stanno dotando di sistemi che integrano l’ottica adattiva di base, vista nel paragrafo precedente, con la correzione tramite il layer sensing degli strati più bassi dell’atmosfera.

Parallelamente, lo sviluppo di attuatori più veloci ed economici, il miglioramento degli algoritmi di combinazione dei risultati, l’incremento della velocità di elaborazione dei dati e i nuovi sistemi laser che porteranno nel breve periodo a poter studiare fino a oltre 35 Km di altitudine, sono la garanzia di nuove significative scoperte.

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