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CAPITOLO II

STORIA ED EVOLUZIONE DEL MANAGEMENT

2.01 Cenni sull'evoluzione del management.

Il management è un concetto ormai divenuto così familiare nel nostro vivere quotidiano che la maggior parte di noi stenta a rendersi conto di quanto sia giovane questa professione e di quanti pochi siano gli anni di studio che questa disciplina ha visto dedicarsi. In poche decine di anni esso è però riuscito a causare un'enorme trasformazione sia del tessuto sociale che di quello economico di tutti i Paesi sviluppati. Ha provocato la nascita di nuove regole ed ha fatto sorgere il mercato globale.

Tutta questa evoluzione ha però attivato una profonda e veloce trasformazione del Management stesso; addirittura possiamo arrivare a sostenere che sono sicuramente pochi i dirigenti in grado di rendersi conto di quale sia stato il reale impatto che la loro professione ha avuto nell'economia globale.

"Molti sono come Jourdain, il personaggio del Borghese gentiluomo di Molière, che non sapeva di parlare in prosa".41

Non è il compito del Management ad essere cambiato ma il significato che ad esso viene attribuito ed al modo in cui le stesse mire vengono perseguite. Offrire obiettivi comuni, da ottenere realizzando performance basate su valori comuni, creare la struttura giusta capace di formare e sviluppare collaboratori affiatati tra loro, a questo mirava il management e vi mira tutt'ora. A cambiare però è il rapporto tra il management stesso e la forza lavoro. Là dove esso chiedeva l'affermazione della ripetizione delle mansioni, l'assoluta mancanza di specializzazione ed il solo utilizzo di abilità manuale e forza fisica, ora ricerca l'istruzione, la conoscenza e l'aggiornamento, non solo pratico ma anzi e soprattutto teorico: "nella società moderna dominata dalle imprese e dal management il sapere è la risorsa primaria e la vera ricchezza"42 e ancora come

41 Peter F. Drucker – Il management, l'individuo, la società. Editore Franco Angeli 2002, Pag.17 42 Peter F. Drucker – Il futuro che è già qui – Milano Etas 1999, pag 164

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sostenuto da Drucker: "la nascita del management ha trasformato la conoscenza da prestigio sociale e lusso a vero capitale di ogni economia"43.

Alla vigilia della I Guerra Mondiale in pochi si erano resi conto che il management esistesse già. Erano epoche in cui i lavori più frequenti erano: il domestico, l'agricoltore e l'operaio. Oggi un terzo della forza lavoro (questo accade più o meno in tutti i Paesi industrializzati) è suddivisa tra manager e lavoratori professionali che visti in quanto tali non producono nulla, ma considerati come un'organizzazione, generano una performance sinergica che riesce così a raggiungere gli obiettivi stabiliti.

Continuando a riportare quanto sostiene Drucker:"Nessuno sarebbe efficace se non lavorasse in un'organizzazione diretta da un management".44

Nel lontano 1870 il management non era ancora conosciuto, all'epoca l'unica grande organizzazione permanente osservabile era l'esercito. Caratterizzato da un vertice ristretto che impartiva ordini insindacabili ed eseguiva attenti controlli sull'operato dei subordinati. Questa struttura fortemente gerarchica servì da esempio alle aziende nascenti e fu così quasi per un secolo. Al di là delle apparenze, osserviamo che, nonostante la longevità del sistema militare, la sua organizzazione non fu mai statica e di conseguenza non lo fu nemmeno quella delle aziende che da essa avevano preso spunto. Nel 1867 infatti un'impresa tedesca assunse il primo ingegnere addetto alla produzione, e fu costui che nel giro di cinque anni creò uno dei primi reparti di ricerca. Piano piano nelle varie aziende nacquero altre attività specialistiche e alle soglie della I guerra mondiale la tipica azienda industriale prevedeva già oltre alla funzione produzione anche quelle di ricerca e sviluppo, vendita, finanza e contabilità. Pochi anni più tardi si aggiunse poi quella delle risorse umane.

In quegli anni si affermò anche il Management applicato al lavoro manuale sotto forma di training, cioè di addestramento: pratica ovviamente nata per esigenze militari.

43 Peter F. Drucker – Il management, l'individuo, la società. Editore Franco Angeli 2002, pag.19 44 Peter F. Drucker – Il management, l'individuo, la società. Editore Franco Angeli 2002, pag.18

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Prima della I guerra mondiale ci volevano tempi molto lunghi perché in un Paese o in una regione di esso si sviluppasse una specializzazione produttiva e si creasse l'esperienza (expertise) tecnica ed organizzativa necessaria per ben riuscire nella produzione e commercializzazione di un prodotto.

Durante la guerra però nacque l'esigenza di adeguare velocemente una massa di lavoratori non specializzati alle necessità belliche che richiedevano operai produttivi in tempi brevissimi. Per riuscire in questa opera, sia negli Stati Uniti che in Gran Bretagna, fu applicato il principio che Frederick Taylor sviluppò tra il 1885 ed il 1910 denominato "management scientifico"45, che prevedeva l'addestramento continuativo degli operai.

Tale sistema consisteva nel suddividere le varie attività in singole operazioni basilari che potevano così essere semplicemente imparate anche dagli operai meno esperti.

Durante la seconda guerra Mondiale questa pratica fu molto perfezionata, al punto che i giapponesi prima ed i coreani poi, la utilizzarono come base del loro portentoso sviluppo economico.

Negli anni '20 e '30 l'uso del management scientifico si allargò ancor di più, la funzione di amministrazione passò dalla mera contabilità all'analisi ed al controllo, la pianificazione andò oltre i "diagrammi di Gantt" utilizzati tra il 1917 ed il 1918 al fine di pianificare le produzioni belliche. Anche il marketing ebbe una evoluzione in quegli anni, proprio perché si iniziarono ad applicare i principi del management anche ai sistemi di distribuzione e vendita dei prodotti.

Dopo questo periodo, però, alcuni studiosi del management iniziarono a mettere in dubbio la positività della catena di montaggio: non negarono certo che essa garantisse un elevato grado di produttività ma osservarono che essa era anche causa di rigidità e iniziarono ad aprirsi a concetti nuovi come lavoro di gruppo, circoli di qualità, organizzazione basata sull'informazione. Iniziarono a capire che all'approssimazione doveva sostituirsi l'informazione ed allo sforzo fisico il

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lavoro intellettuale. Realizzarono dunque che avrebbero dovuto "lavorare meglio anziché lavorare di più".46

E' dopo la II guerra mondiale che iniziarono a comprendere che la pratica del management non era applicabile solo nell'impresa bensì in qualunque attività umana che riunisse in un'organizzazione un insieme di persone con diverse competenze e conoscenze, ma miranti ad obiettivi comuni. Realizzarono dunque che la sua applicabilità era fondamentale sia nella gestione di un museo come in quella di una scuola, di un' ospedale o di una chiesa.

Il management è nato nei Paesi sviluppati ma in realtà chi ne ha usufruito al meglio per generare espansione sono stati i così detti "Paesi emergenti". Possiamo osservare infatti che in passato gli Stati che hanno avuto un ruolo dominante sui mercati sono stati quelli che hanno dato spazio all'innovazione tecnologica. Esempi importanti sono quello della Gran Bretagna che tra il XVIII ed il XIX secolo vide l'avvento del motore a vapore oppure quello della Germania che nella seconda metà del XIX secolo si affermò in settori come chimica, elettricità ed elettronica.

Nel XX secolo però l'unica potenza economica che si è affermata è stata il Giappone e lo ha fatto senza utilizzare la tecnologia in nessun settore ma ben sfruttando la leadership nel management, che è stata in grado di creare idee innovative come la pratica del Just in time, iniziata ad essere utilizzata negli anni '60 dalla Toyota e che è risultata essere una tecnica di gestione molto ben collegata con l'obiettivo della flessibilità.

Tale tecnica prevedeva di produrre al momento giusto solo le quantità necessarie e si contrapponeva al sistema Just in Case utilizzato nell'industria occidentale che prevedeva di produrre enormi quantità perché prima o poi sarebbero servite. Oggi assistiamo alla crisi di tutti quei settori che negli ultimi cento anni sono stati trainanti per l'economia mondiale, quali automobili, acciaio ed elettronica. Purtroppo l'evoluzione non si può più basare sullo sfruttamento del lavoro manuale come in passato. Si rende sempre più necessario puntare alla conoscenza e all'evoluzione culturale, sarebbe quindi consigliato investire molto di più nella

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formazione scolastica. "Non innovare è la principale ragione per cui un'organizzazione esistente decade. Non sapere come gestire è la principale ragione per cui fallisce ogni venture innovativa".47

Restano tuttavia pochi i libri che si sono occupati dell'innovatività perché dopo la II guerra mondiale, quando la maggior parte di questi libri fu pubblicata, l'esigenza dominante era gestire il presente piuttosto che innovare. Oggi non è più così.

I Paesi Emergenti hanno causato una forte concorrenza basata sul basso costo del lavoro che costringe le aziende italiane a darsi una differente impostazione e ad investire in qualità e innovazione, per garantirsi la sopravvivenza. Per essere capaci di generare innovazione, occorre, come già detto, essere capaci di sviluppare le conoscenze e la cultura nei nostri futuri manager.

Colui che ha creato l'azienda e che con le sue scelte l'ha poi accompagnata al punto in cui è arrivata, ha agito con volontà, determinazione, voglia di fare e di lavorare, ma oggi tutto ciò non basta più, a queste doti è necessario affiancare la cultura e la preparazione teorica. E' necessario studiare le tecniche manageriali ed imparare ad applicarle al momento giusto nell'azienda giusta.

Il management può essere visto come una scienza, basata sull'applicazione delle conoscenze, ovviamente però per sua natura non può essere esatta in quanto non rispondente a leggi fisse ma a numerosi concetti che tendono ad essere veri ma a volte possono anche non esserlo per cui è meglio inquadrabile in una disciplina umanistica dato che ha a che fare con le persone e quindi con la loro crescita, il loro sviluppo culturale nonché con i valori in cui esse credono, ma anche come un' arte cioè un mestiere perché si manifesta anche nelle applicazioni pratiche. In quanto arte implica la conoscenza dei concetti del management e la capacità di saperli applicare al momento giusto e di saper riflettere e manifestare giudizio nelle occasioni in cui non sia possibile ricorre ad un principio sicuro. Non sono rari i casi di successo da parte di manager che pur mancando di adeguata formazione sono riusciti a mettere a frutto la loro personale arte pratica, essendo il management: " un corpo sistemico di conoscenze – la teoria del management –

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costituito da un nucleo di concetti che sono applicabili nella maggior parte delle situazioni manageriali".48

" Se i manager capiscono questo insieme di conoscenze e sanno come applicarle a determinate situazioni, la loro probabilità di successo risulterà notevolmente accresciuta".49

Per innovare la gestione aziendale bisogna quindi partire dal ben formare e aggiornare il suo punto di forza: la risorsa umana.

Formazione, (senza per questo volerle attribuire tutta la responsabilità della buona riuscita dell'andamento aziendale) è la parola chiave affinché l'azienda cresca. E' necessario, che le persone introdotte in azienda, apprendano sia i concetti di lavoro più basilari e semplicistici sia le tecniche di gestione più ardue e complesse. Per garantire questo all'interno della struttura occorre partire dal curare la forza lavoro quando si trova ancora fuori da essa e cioè sui banchi di scuola. La scelta di docenti con passato manageriale e il continuo contatto tra l'aula ed il lavoro in azienda (stage) garantirebbero una formazione sempre aggiornata e lo sviluppo di mentalità sempre più vicine anche a quelle delle piccole imprese e porrebbero sicuramente le basi per un'eventuale crescita dimensionale meno rischiosa per le stesse.

"La cultura del fare deve essere integrata con la cultura del sapere".50

2.02 la nascita del management moderno51

Verso la metà del 1800 negli Stati Uniti i dirigenti affrontavano seri problemi nella gestione dei loro dipendenti cioè nella gestione del fattore umano che consideravano semplicemente come uno dei fattori della produzione acquistabile e vendibile a loro piacimento; mantenevano da essi un ampio distacco e si concentravano soprattutto sul migliorare la gestione del processo produttivo, focalizzando l'attenzione sui fattori fisici come macchinari, materie prime e attrezzature. Non c'era una vera cura delle attività manageriali che infatti

48 AAVV. – Management, concetti e applicazioni – Milano Ed.. Franco Angeli – 2010 pag.49 49 AAVV. – Management, concetti e applicazioni – Milano Ed.. Franco Angeli – 2010 pag.49 50 Giorgio Brunetti – Artigiani, visionari e manager – Torino, Bollati Boringhieri, 2012, pag. 84

51 AAVV. – Management, concetti e applicazioni – Milano Ed.. Franco Angeli – 2010 – pag 89 e seguenti /116

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procedevano per tentativi. Gli eventuali risultati positivi non venivano poi comunicati all'esterno perché non c'era collegamento tra le aziende e tanto meno con le scuole. Non venivano fatti piani di lungo periodo ma si procedeva a vista nella soluzione dei problemi contingenti. Le doti richieste al manager erano quindi solo: esperienza, giudizio e intuito.

Dal metodo per tentativi si passò poi al sistema scientifico, cioè allo scientific management che non si distaccava ancora dal desiderio di aumentare l'efficienza dei rendimenti, considerando come di secondaria importanza la cura del fattore umano e solo più tardi al sistema behavioista con il quale finalmente si iniziò a considerare la forza lavoro come un bene da curare e non solo da sfruttare.

Per reazione a queste prime scuole di pensiero, dopo la II guerra mondiale, si svilupparono, in maniera consequenziale, altre scuole di pensiero quali:

- la management science , - il modello sistemico, - il modello situazionale.

2.03 Lo scientific management di Frederick W. Taylor negli Stati Uniti

Il concetto di scientific management americano, noto in Italia come la organizzazione o la direzione scientifica del lavoro, era un'insieme di principi enunciati da Frederick Taylor (1856-1915), un ingegnere che aveva iniziato la sua attività lavorativa come un semplice operaio in un'acciaieria di Filadelfia. All'incirca nel 1885 dette vita ad un vero e proprio movimento che mirava ad ottenere la massima produzione, nel più breve tempo possibile e al minor costo, suddividendo ogni attività lavorativa in operazioni semplici eseguibili facilmente e con ripetitività anche dai lavoratori meno qualificati, pur non tralasciando né l'importanza del miglioramento delle condizioni di lavoro né quella della retribuzione.

Furono invece proprio questi due ultimi principi ad essere molto trascurati e ad attirare le maggiori critiche. Il primo perché la scuola scientifica pur dichiarando di voler migliorare le condizioni di lavoro, aveva impedito l'utilizzo di alcuni dei sistemi che più tardi vennero inquadrati come molto coinvolgenti ed incentivanti

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per i lavoratori uno dei quali era la creazione dei gruppi di lavoro. Il secondo perché il nuovo sistema richiedeva di essere accompagnato da una rivoluzione mentale dei manager che avrebbero dovuto gestire la retribuzione facendola "apparire" come un incentivo monetario anziché l'onesta paga per un onesto giorno di lavoro.

Taylor, apprezzatissimo per aver posto l'attenzione sull'analisi razionale dei problemi, stilò anche l'elenco delle responsabilità dei manager, che prevedeva che costoro:

1) analizzassero le singole attività e le suddividessero secondo regole precise e razionali in operazioni più semplicistiche,

2) selezionassero e addestrassero i lavoratoti (che nel passato si sceglievano da soli le mansioni e le imparavano con l'andar del tempo),

3) cooperassero attivamente con i dipendenti per poter eseguire una prima forma di controllo,

4) distinguessero con precisione le mansioni e le responsabilità loro da quelle dei lavoratori,

5) motivassero i lavoratori a produrre di più grazie all'uso di incentivi monetari. La rigidità della disciplina tayloristica che chiedeva agli operai di obbedire senza discutere e di svolgere ripetutamente per ore la stessa identica mansione fu causa di malcontento tra i lavoratori anche se in effetti la produzione raggiunse livelli di eccellenza quantitativa. Contemporaneamente, inoltre, i livelli organizzativi più alti migliorarono molto poco in quel periodo, proprio perché trascurati dalle teorie dello scientific management che si concentravano soprattutto sui livelli operativi, quindi sulle attività svolte dalla base della piramide gerarchica.

E' comunque a questa scuola di pensiero che la nostra industria deve la sua efficienza durante lo svolgimento di entrambe le guerre mondiali.

Oltre a Taylor troviamo altri importanti nomi che hanno contribuito allo sviluppo della scuola scientifica tra i quali Henry Gantt (1861 1919) a cui dobbiamo l'uso della rappresentazione grafica delle performance nel tempo, noto come "diagramma di Gantt" (usato come già osservato nel primo capitolo tra le due

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guerre mondiali) nonché l'elaborazione delle prime tecniche di schedulazione della produzione, e Henry Ford (1863–1947), che negli anni '13-'14 apportò importanti cambiamenti alla catena di montaggio, già utilizzata nell'industria della carne in scatola, riuscendo ad avviare la produzione di massa (la famosa automobile modello T elusivamente nera).

2.04 La scuola amministrativa di Henri Fayol in Europa

La risposta europea all'ideologia Tayloristica arrivò dal francese Henri Fayol. (1841 – 1925) che con il suo approccio amministrativo-funzionale si preoccupò maggiormente, rispetto a quanto non avesse fatto Taylor, dell'organizzazione di tutto il sistema impresa nel suo complesso, definendo tra l'altro le funzioni ed i comportamenti attesi da un manager.

Non meno importanti, infine, le riflessioni sull'approccio amministrativo di M. Weber (1864–1920) e la comprensione da parte sua dell'importanza e dell'efficacia del sistema burocratico.

La scuola fondata da Fayol si avvicina molto all'attuale concezione del management. Le due tesi principali che egli sostiene sono:

- che i principi applicabili in ambito amministrativo/direttivo siano gli stessi che si applicano in qualunque forma di attività umana organizzata

- che le conoscenze base sul management siano un'insieme fisso di nozioni e quindi tramandabile.

L'unione di queste due teorie portò Fayol ad enunciare quattordici principi52 manageriali universali applicabili in qualunque ambito organizzativo e a definire inoltre le quattro funzioni manageriali necessarie per l'applicabilità dei principi dettati.

- pianificazione,

52 AAVV. – Management, concetti e applicazioni – Milano Ed.. Franco Angeli – 2002 – pag 96

I quattordici principi riguardavano:

1) divisione del lavoro, 2) autorità e responsabilità, 3) disciplina, 4) unità di comando, 5) unità di direzione, 6) subordinazione degli interessi individuali agli interessi generali, 7) remunerazione dei dipendenti, 8) centralizzazione, 9) catena di comando, 10) ordine, 11) parità di trattamento, 12)stabilità del personale, 13) iniziativa, 14) spirito di corpo.

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- organizzazione, - guida,

- controllo.

Il concepimento del management come processo suddiviso in più funzioni individuabili in qualunque ambiente organizzativo e l'idea che principi e funzioni manageriali debbano essere oggetto di studio sono concetti apprezzati tutt'oggi tanto che ormai sono molteplici i corsi di management istituiti a livello universitario e non solo.

Ad essere contestata, anche questa volta come per lo scientific management, fu la rigidità di applicazione dei principi. Essi erano, e come già detto sono tutt'oggi, molto apprezzati ma si sarebbe dovuta prevedere una maniera più consona per applicarli in funzione delle diverse situazioni/occasioni presentatesi perché se in alcuni casi non avrebbero potuto assolutamente essere considerati validi avrebbero comunque potuto essere usati come punti di riferimento.

A Fayol va comunque il merito di aver posto l'attenzione al vertice organizzativo ed alle attività da esso poste in essere..

2.05 La scuola behaviorista o modello umanistico, (human relations)

Tra gli anni '20 e fino all'insorgere della crisi degli anni '30 in America ci fu un decennio di enorme prosperità, dovuto alla meccanizzazione avviata con la Rivoluzione Industriale e all'affermazione dei suggerimenti offerti dalla scuola dello scientific management, ma ancora troppi erano i manager che si trovavano a dirigere per tentativi e pochi coloro che prestavano attenzione alla condizione lavorativa dei sottoposti come invece consigliava Fayol in Europa.

E' su quest'ultimo punto, ed in particolare sull'utilità e l'importanza di trattare bene i dipendenti piuttosto che di occuparsi solo della loro resa produttiva, che si concentra l'attenzione del movimento behaviorista o modello organico o modello umanistico.

Precursori di questo nuovo movimento di pensiero furono soggetti del calibro di Max Weber, sociologo che pose l'attenzione sull'utilità di una precisa burocrazia,

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Hugo Munsterberg 1863 –1916) che già nei primi del '900 predicava la necessità di studiare il comportamento umano a complemento dei principi dello scientif managemet, o Robert Owen (1771–1858), che concentrò i suoi studi sulla gestione del personale. Non ultimo poi Oliver Sheldon (1894–1951) che concepiva il management in un senso più ampio rispetto a Taylor e Fayol, attribuendogli addirittura una responsabilità sociale dato che inquadrava le aziende, da questo dirette, come elementi appartenenti ad una società. Furono soprattutto le sue idee ad aprire la strada all'affermazione del movimento delle Human relations, basato sull'attenzione alla motivazione degli individui ed alla loro soddisfazione personale,ritenuta da Sheldon, inevitabilmente collegata alla realizzazione degli obiettivi dell'organizzazione.

E' solo, o almeno questa è l'opinione generale, con la realizzazione degli esperimenti nello stabilimento Hawthorne della Western Electric, vicino a Chicago, tra il 1924 ed il 1932 che la scuola behaviorista inizia la sua ascesa. Tali esperimenti furono condotti da un gruppo di esperti incaricati di capire come mai all'interno dell'azienda regnasse il malcontento generale nonostante il buon andamento economico della stessa. Alla fine degli esperimenti, abbandonati anche a seguito del protrarsi della crisi iniziata nel '29, gli studiosi realizzarono che "l'incentivo maggiore all'aumento della produzione non era tanto il miglioramento delle condizioni fisiche di lavoro, e neppure il premio in denaro, ma la consapevolezza della propria importanza, da parte dei lavoratori, ovvero l'orgoglio di sapersi apprezzati e seguiti con speciale attenzione: il celebre

effetto Hawthorne.".53

Altri due nomi che molto hanno contribuito all'affermazione della scuola umanistica sono Mary Parker Follett (1868–1933) e Chester Barnard (1886-1961).

La prima studiò i conflitti che potevano insorgere tra i lavoratori e analizzò tutte le conseguenze che da essi si potevano sviluppare: vittoria di una delle parti, sottomissione volontaria di una delle parti, compromesso o l'integrazione dei due punti di vista (oggi definito: problem-solving). L'ultima, la soluzione che

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permette a tutti di vincere era la più auspicata dalla signora Parker Follett ed ella stessa la definì il processo integrativo; prevedeva di istruire colui che aveva il potere, a non esercitarlo con forza, bensì attraverso la partecipazione. (il dirigente deve aiutare il sottoposto a trovare l'errore e a lasciare che costui proponga la correzione).

Anche Barnard studiò come colui che ha il potere dovrebbe gestire la sua autorità ed enunciò la teoria dell'autorità attraverso l'accettazione, in base alla quale i subordinati si assoggettano ad eseguire gli ordini solo se li comprendono e se si ritengono capaci di eseguirli. Fu uno dei pioniere del modello sistemico.

Comunque nonostante le sfumature varie sulle quali si possono essere soffermati i vari studiosi, secondo il generale pensiero behaviorista, i manager si dovevano occupare del morale dei lavoratori più che concentrarsi sulla loro produttività, che comunque non sarebbe stata trascurata perché un morale elevato comporta una maggior soddisfazione personale e questa genera l'aumento dei rendimenti; dovevano quindi concentrarsi su come offrire ai dipendenti delle condizioni lavorative migliori, un ambiente più salutare ed un trattamento più umano. Solo in questo modo avrebbero potuto assolvere le due funzioni manageriali individuate dal modello:

- la prima, mantenere l'equilibrio tra costi e ricavi, concernente il considerare l'organizzazione come un sistema economico che deve produrre e distribuire un prodotto mantenendo un certo equilibrio tra queste due funzioni.

- la seconda, far lavorare efficientemente gli operai, riguardante il concepire e organizzare l'azienda come un sistema anche sociale, nell'ambito del quale gli individui riescano a soddisfare le loro aspirazioni.

Come avvenne anche per lo scientific management, anche il movimento delle human relations fu, inizialmente, frainteso e fu sottovalutata la rivoluzione concettuale riguardante sia la teoria che la pratica dei compiti manageriali, che presentava insita in sé.

Solo più tardi, tra la seconda guerra mondiale e la fine degli anni '50 si affermò, per rimanere in vigore fino all'avvento delle scuole contemporanee.

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2.06 Le scuole contemporanee.

A partire dalla fine della seconda guerra mondiale sono iniziate a svilupparsi altre forme di pensiero all'interno delle quali però sono evidenziabili sia caratteri tipici della scuola scientifica sia quelli di quella behaviorista.

Mentre i teorici della prima erano quasi esclusivamente ingegneri che puntavano all'efficienza produttiva, gli studiosi della seconda erano prevalentemente sociologi e psicologi del lavoro, che puntavano sulla soddisfazione dei lavoratori ed alla riduzione dei conflitti tra essi .

Le nuove scuole invece vedono l'integrazione di studiosi di ogni genere, dagli economisti ai sociologi, dagli ingegneri ai matematici, senza dimenticare gli statistici ed i programmatori, al fine di garantire vitalità e maggior validità alla ricerca.

Le scuole contemporanee che meritano più attenzione in quanto più seguite sono: - la scuola quantitativa "( movimento della Management Science)"54 ,

- la scuola sistemica, - la scuola situazionale.

La scuola quantitativa deve la sua nascita alla ricerca operativa attuata durante la seconda guerra mondiale, posta in essere da vari team di scienziati assoldati affinché studiassero le varie possibili soluzioni in merito alle operazioni militari da porre in essere. Vennero sviluppati dei modelli matematici usufruendo anche dell'aiuto del computer e fu con questi che si attuarono le tecniche del decision-making.

Sappiamo che la novità apportata dallo scientific management fu che le decisioni di management dovevano essere prese non secondo l'estro del momento bensì basandosi su di una analisi razionale dei problemi, ma questa scuola aveva fatto sempre uno scarso uso delle tecniche matematiche e scientifiche che successivamente si rivelarono invece molto fruttifere, aiutando gli alleati a vincere il secondo conflitto mondiale.

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Alla fine della stessa, gli specialista tornarono alle loro occupazioni civili apportando, inevitabilmente, l'esperienza maturata durante l'appartenenza ai team e modelli matematici furono dunque applicati anche nelle realtà aziendali. Una volta realizzato il modello e la sua implementazione di calcolo, lo si poteva usare per studiare quali effetti provocava la variazione di un parametro sugli altri presenti al fine di individuare la combinazione ideale dei valori dei parametri che avrebbe fornito il risultato più accettabile. Furono usati in ambito automobilistico, aerospaziale e soprattutto per sviluppare l'industria dei trasporti; vennero inoltre usati per studiare i layaout (disposizione) dei macchinari in modo da migliorare i cicli di lavorazione, ma anche per progettare prodotti innovativi.

Fu negli anni '60, che si arrivò all'affermazione della scuola sistemica, a seguito della comprensione da parte dei vertici aziendali che ogni loro decisione veniva inevitabilmente influenzata da fattori esterni alla compagine organizzativa, che potevano essere sia di ordine politico che giuridico che sociale. L'esigenza era quella di dare nuove risposte a nuovi problemi cercando di integrare la pianificazione aziendale nelle funzioni manageriali senza dimenticare di inserire in essa l'influenza dei fattori esterni. Gli studiosi dell'epoca "definirono sistema un insieme organizzato, o complesso; un'unione o una combinazione di elementi, o di parti, costituenti un complesso unitario".55 Questo sistema è formato da input, quali risorse finanziarie, materiali e umane; processi e operazioni di elaborazione e trasformazione; e output costituiti da beni, servizi o soddisfazione di bisogni. " Un sistema di management può essere paragonato al corpo umano nel quale ciascun organo è correlato agli altri organi, interagisce con essi e ne è dipendente. Se accade qualcosa a una parte del corpo umano, anche le altre parti ne avvertono le conseguenze".56

I sistemi possono essere sia chiusi che aperti; i primi non hanno contatti con l’ambiente esterno e non interagiscono con lo stesso a differenza dei secondi che

55 AAVV. – Management, concetti e applicazioni – Milano Ed.. Franco Angeli – 2002 – pag 110 56 AAVV. – Management, concetti e applicazioni – Milano Ed.. Franco Angeli – 2002 – pag 110

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anzi modificano il loro equilibrio in funzione dei mutamenti dell’ambiente circostante, adeguando ripetutamente struttura e processi produttivi interni fino a divenire, a volte, essi stessi causa di mutazione esterna.

Possiamo a questo punto affermare che per la scuola sistemica è importante quindi che il manager abbia la facoltà di capire che l'azienda che dirige è calata nell'ambito di un insieme aperto cioè di un mercato in continua evoluzione, dove tutti i fattori si influenzano gli uni con gli altri, è fondamentale quindi che egli sia in grado di cogliere la visione generale di ciò che circonda sia lui che la sua organizzazione, che possieda cioè , "la capacità di pensiero sistemico".57

Abbiamo infine la teoria della contingenza o scuola situazionale che prevede che i dirigenti, in funzione delle diverse situazioni, attuino soluzioni diverse, prendendo l'insegnamento migliore da ogni orientamento di pensiero fin qui esaminato e adeguandolo alla questione da risolvere.

"I seguaci della scuola situazionale affermano che non esistono verità universali, né principi applicabili sempre e comunque, ma che ogni situazione di management va affrontata secondo le sue specifiche contingenze. I teorici della scuola situazionale si limitano a presentare le soluzioni più adatte a questo o a quel tipo di situazione".58 Ossia: procedimento per tentativi + modello scientifico + modello behavioristico + modello quantitativo (della management science) + modello sistemico = modello situazionale

I teorici moderni nella definizione dei loro principi guida si avvalgono dei più innovativi metodi di ricerca sia matematici che informatici, capaci di inglobare dati raccolti con l'osservazione empirica, analizzare i problemi e determinarne le soluzioni. Fondamentale, affinché i modelli predisposti possano aiutare a capire le tendenze e gli sviluppi correnti è che i teorici inseriscano i dati, rappresentativi degli avvenimenti passati, solo dopo aver compreso il perché certi eventi si siano verificati.

57 AAVV. – Management, concetti e applicazioni – Milano Ed.. Franco Angeli – 2002 – pag 111 58 AAVV. – Management, concetti e applicazioni – Milano Ed.. Franco Angeli – 2002 – pag 113

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