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Capitolo 1 Il Movimento del ‘77

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Academic year: 2021

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Capitolo 1

Il Movimento del ‘77

1.1 Le elezioni del 20-21 giugno 1976

Il 20 e 21 giugno 1976 per la seconda volta nella storia della Repubblica Italiana1, la popolazione venne chiamata a delle elezioni anticipate, a causa della “disfatta” della VI legislatura. Dal 1972 al 1976 si avvicendarono ben cinque governi diversi2, che videro una progressiva riduzione di partiti che componevano Senato e Camera dei Deputati, fino ad arrivare al monocolore Dc. In entrambe le occasioni, la tenuta dei governi vacillava per la pesante situazione economica e sociale degli anni ’70: dall’avanzata del terrorismo (di estrema destra e di estrema sinistra) che dalla metà degli anni ’70 si intensificò alla crisi petrolifera del 1973, dal referendum sul divorzio del 1974 (e al tentativo di referendum sull’aborto del 1976) ai numerosi scandali che colpirono i deputati della Dc.

Le elezioni del 1976, le prime che ebbero la partecipazione dei diciottenni, videro l’avanzata del Partito Comunista Italiano (Pci), anche se per pochi punti di percentuale la vittoria spettò alla Democrazia Cristiana (Dc). Nello specifico i risultati furono : Dc 38,7% (maggioranza relativa); Pci 34,1%; Psi 9,6%; Msi 6,1%; Psdi 3,5%; Pri 3,1%; Pli 1,3%; Democrazia proletaria 1,5%; Partito Radicale 1,1%, altre liste 0,1%3. Si prospettava un complicato cammino per la “sopravvivenza” del governo italiano: maggioranza netta non c’era, bisognava far coesistere partiti e personaggi politici che ben poco avevano in comune, o così sembrava.

Già negli anni precedenti apparve la proposta del nuovo segretario del Pci, Enrico Berlinguer4, di un nuovo “compromesso storico” tra il partito comunista, la Dc e il Psi, apparve già in una serie di articoli sul quotidiano “Rinascita” tra settembre e ottobre 19735

. Ciò incontrò la volontà da parte della Dc, o almeno del Presidente del Consiglio Aldo

1

La prima fu nel 1972, si votò il 7-8 maggio. Il presidente della Repubblica, Giovanni Leone, sciolse le camere anticipatamente rispetto al mandato quinquennale del governo, dopo che Giulio Andreotti non ottenne la fiducia come Ministro del Consiglio.

2

Dal 26 luglio 1972 al 7 luglio 1973: governo Andreotti, composto da DC, PLI, PSDI; dal 7 luglio 1973 al 14 marzo 1974: governo Rumor, composto da DC, PSI, PSDI, PRI; dal 14 marzo 1974 al 23 novembre 1974: governo Rumor, composto da DC, PSI, PSDI; dal 23 novembre 1974 al 12 febbraio 1976: governo Moro, composto da DC e PRI; dal 12 febbraio 1976 al 29 luglio 1976: governo Moro, composto dalla sola DC. http://www.governo.it/Governo/Governi/governi.html consultato il 29 dicembre 2014

3

Malgeri, Francesco (a cura di), Dal Centro Sinistra agli anni di piombo, 1962-1978, Roma, Cinque Lune, 1978, p 100.

4

Enrico Berlinguer (Sassari, 25 maggio 1922 – Padova, 11 giugno 1984), fu eletto segretario nel marzo del 1972 durante il XIII Congresso del partito comunista.

5

Berlinguer, Enrico, Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile, su “Rinascita”, 28 settembre, 5 e 9 ottobre 1973; ristampato in Idem, La questione comunista, 1969-1975, Roma, Editori Riuniti, 1975, vol. II, pp. 609-639. Cfr. Ginsborg, Paul, Storia d’Italia 1943-1996. Famiglia, società, Stato, Torino, Einaudi, 1998, pp. 424-428.

(2)

2 Moro6, di iniziare una collaborazione con il Pci a partire dal 1974, ma le continue crisi governative (che poi portarono alle elezioni anticipate del giugno 1976) posticiparono il “matrimonio politico” con il Partito comunista7

. La tenuta del governo monocolore Dc, ormai priva di sostegni sia a destra (per la sterzata a sinistra che si prospettava con l’accordo con il Pci) che a sinistra, non resse all’ennesimo scandalo, il più rovinoso, che colpì il partito. Questo “terremoto”, aggiunto alla proposta di legge che indicava l’aborto come un crimine (che passò alla Camera grazie all’appoggio del Msi) causarono l’ennesima sfiducia al governo (cui si aggiunse anche il Psi) e dunque le dimissioni del governo Moro8. Le continue crisi agevolarono la scelta del Presidente della Repubblica Giovanni Leone di sciogliere le camere e indire nuove elezioni per il giugno del 1976.

Dopo lo spoglio elettorale, l’unica certezza fu quella di non avere una maggioranza netta: sia il blocco di sinistra (Pci-Psi-partiti minori) sia il blocco di centro (Dc-repubblicani-socialdemocratici-liberali) aveva la stessa percentuale di voto. Da vari punti di vista, esteri e industria, la scelta di far entrare il Pci nel governo non era ben accetta; il governo, il primo delle “larghe intese”, che si formò fu monocolore, cioè tutti i ministri erano della Dc, con Giulio Andreotti9, per la terza volta, Ministro del Consiglio.

Tutto ciò provocava confusione, specialmente negli elettori, data la diversità di ideologie e di idee che distinguevano Pci e Dc, questione che si fece presente anche a Montecitorio, dove sarebbe più giusto dire, alla fine, che si formò il governo della “non sfiducia” o “delle astensioni”, battezzato dai cortei della sinistra extraparlamentare “governo Berlingotti” (Berlinguer + Andreotti). Alle votazioni per i provvedimenti il governo otteneva più astensione che voti, favorevoli o contrari. Stessa cosa successe quando si decise di non sfiduciare Andreotti e i suoi ministri: per un anno e mezzo10 si andò avanti con decisioni legislative prese da Dc e Pci “sottobanco”. La Dc garantiva l’assenso dei comunisti alle decisioni dell’esecutivo; il Pci garantiva la “non sfiducia” ai democristiani, gestendo anche i rapporti con i sindacati11.

6

Nasce a Maglie, in provincia di Lecce, il 23 settembre 1916. Nel 1946 viene eletto nell’Assemblea Costituente della Dc, di cui è uno dei fondatori; fa parte della Commissione dei Settantacinque che redige il testo della Costituzione Italiana. Durante tutta la sua carriera politica crede nella svolta a sinistra del suo partito, che si concretizzerà tra il 1975-1976 con la collaborazione con il PCI. Il 16 marzo 1978 viene catturato da un commando delle BR mentre si recava in Parlamento e gli uomini della sua scorta vengono uccisi; lo Stato italiano è diviso tra chi vuole trattare con i brigatisti e chi no, quest’ultima opinione ha la meglio. Il 9 maggio il cadavere di Moro viene ritrovato nel bagagliaio di una Renault 4 in via Caetani a Roma.

http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/biografie/aldo-moro/6/default.aspx consultato il 29 dicembre 2014

7

Alle elezioni regionali del 15-16 giugno 1975, il Pci acquistò un notevole consenso, sottraendo cinque regioni alla Dc.

8 Ginsborg, Paul, op cit., pp. 442-449. 9

Roma, 14 maggio 1919 – Roma, 6 maggio 2013. Uno dei principali esponenti della Dc, scrittore e giornalista, ha ricoperto per sette volte il ruolo di Presidente del Consiglio, oltre le innumerevoli altre cariche che ha assunto fino al 1991, quando divenne senatore a vita.

10

L’11 marzo 1978, dopo l’ennesima crisi, ci fu la formazione del IV governo Andreotti, monocolore, ma che questa volta avrebbe ottenuto l’appoggio diretto del PCI.

11

Santarelli, Enzo, Storia critica della Repubblica. L’Italia dal 1945 al 1994, Milano, Feltrinelli, 1996, pp. 240-244.

(3)

3 La scollatura tra partito ed elettori, soprattutto nel Pci, si fece sempre più forte, si accentuò l’insoddisfazione verso il partito di massa, che ormai stava diventando un altro partito d’elite. La contraddizione dei comunisti al governo fu quella di non identificarsi più con il popolo dei lavoratori e con le sue esigenze: ciò connotò l’insorgere di un movimento, durante il 1977, diverso dal precedente movimento di contestazione giovanile del 1968. In nove anni, la classe subalterna alla borghesia, il proletariato12 (termine che include sia gli operai che gli studenti. Questi ultimi perché, rendendosi conto di non avere possibilità di assumere ruoli lavorativi sicuri, post-laurea, aspiravano al lavoro in fabbrica o al rifiuto del lavoro) continuò la sua ribellione verso uno Stato e una società che progressivamente li stava emarginando. Quindi, unica prospettiva possibile divenne la consapevolezza di una lotta non contro la politica ma contro la “partitocrazia”13

.

1.2 Il contesto socio-economico

Gli anni di cui si discute appartengono all’ampio periodo che va dalla fine del decennio ‘60 all’inizio del decennio ’80, che provocarono forti scosse di cambiamento e turbamento a livello economico e sociale, oltre che politico. La maggiore consapevolezza dei propri diritti da parte dei lavoratori, con l’incremento degli iscritti ai sindacati, il femminismo, il referendum sul divorzio e la proposta di quello sull’aborto, i movimenti studenteschi portarono a un nuovo rapporto tra le classi sociali. La violazione dei diritti che garantivano il lavoro salariato (quantitativo delle ore lavorative, straordinari pagati, norme di sicurezza, ecc.), da parte degli industriali scaturì nei continui scioperi e cortei che attraversarono tutti gli anni Settanta. Le insurrezioni studentesche e operaiste del 1968 e del 1977 (con episodi intermedi tra le due date) in risposta ad esempio alle leggi di riforma universitaria14 interpretate come di ostacolo al percorso accademico e al futuro professionale degli studenti, contribuirono a creare un clima di malcontento generale e di grande sfiducia nelle istituzioni.

Marcello Fedele, nel libro Classi e partiti negli anni ’70, citando il politologo Giovanni Sartori, ricorda che «esiste in Italia una fortissima sfasatura tra modernizzazione

12 Debord, Guy, Il proletariato come soggetto e come rappresentazione, cap. IV, in La società dello spettacolo, Roma, Stampa Alternativa, 1997. Cfr. Negri, Antonio, Proletari e Stato. Per una discussione su autonomia operaia e compromesso storico, Milano, Feltrinelli, 1979, 5° ed.; «La proletarizzazione deve

risultare da un giusto equilibrio tra il livello di coscienza delle masse e i punti più avanzati raggiunti dalle avanguardie del movimento rivoluzionario» da Corvisieri, Silverio, Avanguardia Operaia. Gioia di vivere e

lotta di classe, su “Quotidiano dei lavoratori” del 27 settembre 1975, in Degli Incerti, Davide (a cura di), La sinistra rivoluzionaria in Italia. Documenti e interventi delle tre principali organizzazioni: Avanguardia operaia, Lotta Continua, PdUP, Roma, Savelli, 1976, p. 226.

13

Predominio, strapotere dei partiti, che tendono a sostituirsi alle istituzioni rappresentative nella direzione e nelle determinazione della vita democratica dello Stato. Il termine fu introdotto nel dibattito politico italiano a partire dagli anni ’70 in polemica con il consolidamento del sistema partitico dal secondo dopoguerra. Definizione da: http://www.treccani.it/enciclopedia/partitocrazia_%28Dizionario_di_Storia%29/ consultato il 3 gennaio 2015. Cfr. Santerelli, Enzo, op cit., pp. 202-208.

14

Le proposte di riforme universitarie e scolastiche che innescarono i movimenti studenteschi furono dei ministri Luigi Gui nel 1967 (protagonista anche dello scandalo Lockheed) e di Franco Maria Malfatti nel 1976. Di entrambe le leggi si tratterà nel Capitolo 2: Il Movimento del ’77.

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4 economica e sociale da un lato ed arcaismo politico dall’altro»15. In un paese dove la società e l’economia evolveva e si modernizzava, mentre le classi politiche rimanevano legate a idee gerarchiche ed elitarie ancorate al passato, appariva difficile il veder realizzata una corretta armonia tra le parti.

La crisi petrolifera del 1973, che aveva investito tutto l’Occidente, causò una forte contrazione della produzione industriale, segnando la fine di un prospero periodo commerciale a livello nazionale e mondiale che si traslò nella più grave crisi economica dopo quella del 1929. Di conseguenza l’innalzamento del costo del petrolio fece aumentare a dismisura la produzione industriale e la disoccupazione, innescando il ciclo: meno lavoro – calo degli acquisti – stagnazione dei prodotti non venduti – perdita di incasso. Si venne a creare quel fenomeno noto con il termine di “stagflagzione”, cioè stagnazione più inflazione; i prezzi rimanevano alti, i profitti bassi, mercato estero quasi nullo16.

In Italia le scelte di politica economica degli anni ’70 cercarono di utilizzare a fini di consenso sociale e politico l’intervento statale di finanziamento su varie tipologie di mercato, facendola combaciare con una politica fiscale legata al debito pubblico (nazionale ed estero). I fattori congiunti provocarono sul piano economico: inflazione, perdita del potere d’acquisto della lira, debito estero, surplus produttivo, aumento del costo della vita, con conseguente impoverimento delle famiglie italiane. Per usare le parole dello storico Francesco Malgeri: «Il rapido cammino di modificazione strutturale iniziato nel dopoguerra e ormai assestatosi sull’immagine di un’Italia industrializzata subiva più che mai un arresto, un processo di transizione verso un nuovo modello di società economica»17. Si fermava l’occupazione nell’industria e nel privato, mentre aumentavano gli enti e le occupazioni statali. Gli interventi promossi dall’autorità politica, da un lato miravano a supportare lo sviluppo delle industrie tramite incentivi e aumenti della spesa pubblica per trasferimenti; dall’altro, si scontravano con la volontà di riduzione del deficit, realizzata attraverso un incremento del gettito fiscale. Quattro – secondo lo storico Paul Ginsborg – furono i fenomeni che interessarono la vita nazionale: l’alto livello del tasso di inflazione, la crescita del settore sommerso dell’economia (lavoro nero), la diminuzione della produzione el’aumento del disavanzo pubblico18. Tra il 1973 e il 1975, il costo della vita raddoppiò, rispetto al decennio anteriore, con una conseguente perdita del potere di acquisto della lira e un catastrofico ribasso del cambio valuta con il dollaro19. Nello stesso periodo le lotte operaie, caratterizzate dagli scioperi (i più intensi furono quelli presso gli stabilimenti della Fiat) guidati dai sindacati, portarono sì ad adeguamenti salariali, ma comunque senza miglioramenti nella qualità della vita.

15

Sartori, Giovanni (a cura di), Antologia di scienza politica, Bologna, Il Mulino, 1971, p. 26; cfr. Fedele, Marcello, op cit., p. 35.

16

Ginsborg, Paul, op cit., pp. 419-421.

17 Malgeri, Francesco (a cura di), op cit., p. 309. 18

Ginsborg, Paul, op cit., pp. 421-422.

19

Coyle, D. J., The economy, in “Financial Times”, Survey of Italy, 12 aprile 1976; citato in Ginsborg, Paul,

(5)

5 Tutto quello che ci si era guadagnato con la ricostruzione e il boom economico sembrava perduto. Si tornò al trentennio precedente, ma questa volta la corruzione dei dirigenti politici e dell’alta borghesia non preannunciava nessuna fiducia nel futuro. Ciò si ripercosse specialmente sulle nuove generazioni che allora si muovevano per la costruzione del proprio futuro, in una situazione che con il passare del tempo portò alla consapevolezza dell’incertezza lavorativa del prossimo futuro20

.

1.2.1 Le due società

Dalla fine degli anni ’60, in Italia si stava assistendo a un cambio generale della composizione delle classi sociali, apportando una maggiore distanza tra la borghesia e il proletariato. Ma quello che più scosse il sentimento di unità di classe fu una maggiore disparità all’interno delle masse popolari, che fino a quel momento avevano costituito la base collettiva su cui i partiti organizzavano le partecipazioni politiche. Dopo le elezioni del giugno ’76 anche il Pci, partito di massa per eccellenza, si stava conformando ai criteri di governo della Dc, trascinando anche buona parte dei sindacati: il partito comunista sembrava aver tradito nella pratica politica i propri ideali21.

Nella struttura sociale italiana nacque quella che lo storico della letteratura e saggista Alberto Asor Rosa definì la “seconda società”, formata da giovani e classe operaia non organizzata, distinta dalla “prima società” che costituì la base del Pci e dei sindacati. Nell’articolo del 20 febbraio 1977 su “L’Unità”, intitolato appunto Le due società22

, Asor Rosa, deputato del Pci, notò l’esistenza di un nuovo anticomunismo nelle fila della sinistra stessa. In particolare tra studenti, disoccupati, precari, emigrati che non si sentivano rappresentati dagli indirizzi politici del Pci. Essi appartenevano all’ipotetica “seconda società” che aggrediva la prima e voleva farlo con una rivoluzione, non solo per la conquista del potere da parte del proletariato, ma anche per la conquista di una nuova consapevolezza della vita. Di contro, Pci e sindacati non compresero il bisogno di tutela che i movimenti operai e studenteschi stavano cercando di chiedere, e quindi li etichettarono come contestatori, terroristi, nuovi fascisti.

Non tutti erano concordi su questa distinzione nella società italiana e una parte degli intellettuali della sinistra extraparlamentare – come ad esempio Toni Negri, o l’attivista Oreste Scalzone, ma anche lo scrittore e agitatore politico Franco Berardi – proponevano un’unione tra prima e seconda società, riconoscendo l’esigenza di una lotta comune nei confronti di uno Stato che con il passare del tempo – sosteneva il giornalista Enrico Deaglio su “Lotta Continua” – avrebbe privato anche la “prima società”, composta cioè dai lavoratori del ceto medio, di quei diritti che ora stava garantendo e soprattutto

20 Per una bibliografia sulla storia economica italiana cfr. Colarizi, Simona, Storia del Novecento italiano,

Milano, Rizzoli, 2000, pp. 439-444; Santarelli, Enzo, op cit., pp. 214-219.

21

Fedele, Marcello, op cit., p. 46.

22

Ripubblicato in Asor Rosa, Alberto, Le due società. Ipotesi sulla crisi italiana, Torino, Einaudi, 1977, pp. 63-68.

(6)

6 perché bisognava riconoscere che la repressione imposta dal governo monocolore Dc, sostenuto da sindacati e Pci, era una questione che doveva smuovere un senso di giustizia sociale senza distinzioni23.

Il disagio si radicò tra il proletariato, nonostante il parlamento avesse approvato riforme sociali: statuto dei lavoratori (legge n. 300/1970), riforma del diritto di famiglia con l’introduzione della legge sul divorzio nel 1970, voto ai diciottenni (1976), consulte femminili (le prime si ebbero nella Regione Piemonte dalla metà degli anni ’70), decreti scolastici (1973-1974-1976) e riforma sanitaria (DPR 4/1972)24. La distanza che si era creata, e stava continuando a crearsi durante tutto il decennio del Settanta, apparteneva maggiormente alle dinamiche tra i partiti della sinistra (soprattutto Pci) e le masse. Silvio Corvisieri nell’articolo del 27 settembre sul “Quotidiano dei Lavoratori”, Avanguardia Operaia. Gioia di vivere e lotta di classe, parafrasava il compagno, nonché psichiatra, Giovanni Jervis25 che aveva criticato tutte le componenti della sinistra di quegli anni, che non erano riuscite a difendere la famiglia, l’istruzione e i rapporti interpersonali, dai dispositivi repressivi del capitalismo; inoltre Jervis dichiarava positivo il radicarsi tra la classe operaia e i giovani della consapevolezza di un bisogno di cambiamento radicale, che partisse direttamente dal modo di vivere e pensare, oramai egemonizzato dalla borghesia. Qui si inserisce il concetto esteso di proletariato che si costituì per combattere le istituzioni borghesi e per “rinascere” attraverso la creatività, l’inventiva e la sperimentazione: bisognava praticare una rivoluzione alimentata «di spinte affettive ed emotive, di sentimenti di indignazione e di speranza, di odio e di dedizione, che muovono le azioni dell’uomo». La combinazione tra lotta di classe e rivoluzione controculturale segnò il Movimento del ’77, dove il proletariato assunse un ruolo centrale e catalizzatore, proprio per la sua complessa e ampia formazione26.

1.3 Il cambiamento giovanile

23 Deaglio, Enrico, Quando la seconda società scoppierà dentro la prima, in “Lotta Continua”, 16 giugno

1977.

24

Ergas, Yasmine, Nelle maglie della politica: femminismo, istituzioni e politiche sociali nell’Italia degli

anni ’70, Milano, Franco Angeli, 1986, pp. 82-83. 25

Negli anni ‘70 collaborò con lo psichiatra Franco Basaglia (promotore della legge n. 180/1978) opponendosi alla detenzione coatta e alienante dei manicomi, ma già dopo l’applicazione della legge denunciava un perseverare di atteggiamenti oppressivi indotti dalla società. Inoltre evidenziava che il fatto che l’abuso di psicofarmaci per la cura dei malati mentali e la proliferazione degli ospedali pubblici alimentasse solo un maggior controllo capitalistico. Quest’ultimo elemento si esplicò anche nella teoria dell’antipsichiatria che riteneva la follia come atto rivoluzionario (l’argomento verrà trattato nel Capitolo 4 attraverso testi di Deleuze-Guattari, Baudrillard, Foucault). Comunque l’evoluzione del pensiero di Jervis è terminata anche nella negazione dell’antipsichiatria ritenuta antirazionalista e velleitaria. In Jervis, l’altra

faccia dell’antipsichiatria, su “La Stampa”, 03 agosto 2009

http://www.lastampa.it/2009/08/03/cultura/jervis-laltra-faccia-dellantipsichiatria-ZjVEa7w0YyRBcokKWHQWuJ/pagina.html consultato il 25 marzo 2015. Cfr. Basaglia, Franco (a cura di),

L’istituzione negata, Torino, Einaudi, 1968; Onnis, Luigi e Giuditta Lo Russo, Dove va la psichiatria? Pareri a confronto su salute mentale e manicomi in Italia dopo la nuova legge, Milano, Feltrinelli, 1980;

Corbellini, Gilberto e Giovanni Jervis, La razionalità negata. Psichiatria e antipsichiatria in Italia, Torino, Bollati Boringhieri, 2008.

(7)

7 L’emigrazione dal sud al nord continuava ad aumentare, in quel periodo non ci si spostava solo per lavoro, ma anche per lo studio. Tanti giovani, dopo la maturità, lasciavano il paese natio e la famiglia per andare a studiare nelle maggiori università italiane. A metà degli anni ’70 le università iniziavano a non essere popolate più solo da ragazzi provenienti da famiglie benestanti, destinati ai ruoli dirigenziali nelle istituzioni economiche e politiche italiane; anche i figli dei contadini e degli operai iniziarono ad iscriversi nelle varie facoltà. Nell’ultimo decennio si stava verificando un rinnovamento della base sociale, che riguardava specialmente l’acquisizione di un’identità “decisionale” da parte delle nuove generazioni. Ciò scaturiva sia dall’apprendimento degli avvenimenti di cambiamento e di rivolta nel mondo, sia dall’ingrossarsi del numero di giovani scolarizzati, traducendosi in Italia nei movimenti studenteschi del 1968 e del 1977.

Dal 1968 al 1977 il cambiamento del proprio stile di vita, basato su un nuovo modo di pensare e interpretare le regole sociali e religiose da sempre imposte, fu una costante, soprattutto da quando sempre più insistentemente giungevano da oltreoceano e dai paesi europei notizie di ribellione rispetto allo status quo. La musica rock, i capelli lunghi, le droghe leggere erano tra gli indicatori di un crescente «bisogno di costruire nuove forme di esperienza personale, di scelta e di identità, di presa di coscienza e di rapporti interpersonali»27, che non fossero nelle modalità di vivere imposte dalla borghesia. Queste “evoluzioni” furono precursori di tutti i movimenti nati durante gli anni Cinquanta e Sessanta negli Stati Uniti, come quelli contro il razzismo o la guerra in Vietnam; movimenti che nella maggior parte dei casi prendevano le mosse dalla volontà degli studenti, che dalle aule universitarie discutevano come e cosa ottenere per il riconoscimento di eguali diritti per tutti.

In Italia, non stavano cambiando solo gli studenti universitari, ma tutto ciò che concerneva il mondo scolastico e accademico, dagli insegnanti agli operatori, dai ricercatori agli studenti medi. I sindacati degli insegnati si potenziarono; i militanti di sinistra promossero progetti didattici “alternativi”; sorsero nuove associazioni docenti-genitori; le principali forze politiche sottolinearono l’importanza di un necessario rapporto tra i processi di istruzione e la struttura socio-economica del paese. Da questi processi in atto, si sollevarono delle richieste nette: che venisse garantito la stato di uguaglianza per le opportunità educative; che dalla prassi scolastica venissero eliminati contenuti autoritari e classisti, i quali da una parte ostacolavano le capacità creative degli individui di esprimersi, e dall’altra, invece, ostacolavano il libero accesso all’istruzione delle classi sociali meno abbienti; ed infine, che le gestioni delle scuole venissero riconsegnate alle comunità locali, e non alle regioni (provvedimento ministeriale del 1973)28.

La base sociale e le motivazioni che spinsero la formazione dei movimenti studenteschi del 1968 e del 1977 furono ben diversi. Il primo sicuramente ha influenzato il

27

Ivi, p. 223.

(8)

8 secondo, e come alcuni sostengono tutt’oggi, senza il ’68 non ci sarebbe mai potuto essere il Movimento del ’7729

. La ribellione del 1968, giovanile e al 90% studentesca, fu il primo movimento di massa30 (nel significato di unione di un gran collettivo con le stesse idee) che esplose oltre il controllo riformista e quindi generò vari gruppi rivoluzionari di stampo piccolo-borghese. La sua composizione studentesca originaria fu superata con l’inclusione di classi sociali e di partecipazione delle masse popolari che contraddistinse il 1977. Il problema principale del movimento del 1968 fu la mancanza di legami con la classe operaia e con la maggioranza della popolazione, che a sua volta si rifletteva con il diverso modo di vivere degli uni (gli studenti) rispetto al proletariato, distanza che, nonostante la buona volontà di coinvolgere dall’esterno il mondo delle fabbriche o dei quartieri popolari, si coronò nel “secondo” movimento, facendo germogliare ciò che già dal 1972-1973 si era iniziato a coltivare: collaborazioni tra lavoratori e studenti, il nuovo proletariato, la seconda società31.

Tutto quello che successe prima del 1977 confluì nel Movimento: gli scioperi degli operai, l’occupazione delle case abbandonate, il risanamento dei quartieri periferici delle città, il terrorismo, il movimento femminista, la contestazione ai cambiamenti delle leggi sull’istruzione, la contestazione politica, la lotta al capitalismo. Ognuno di questi aspetti ebbe comunque la partecipazione e la promozione giovanile; non esisteva più una separazione tra le parti in “campo”, ma un’unione. Ogni forma di contestazione aveva i suoi obiettivi particolari, ma la forza propulsiva risiedeva soprattutto nel cambiamento giovanile. Gli Indiani Metropolitani si inserirono in questo amalgama di anime del Movimento, apportando uno spirito ironico, gioioso e non violento alla sensazione di rivoluzione che si respirò dal mese di febbraio al mese di settembre del 1977.

1.4 Dai Circoli del Proletariato Giovanile alle Brigate Rosse

Le manifestazioni che agitarono gli anni ’70 nacquero dalla costituzione e affiliazione a gruppi della sinistra rivoluzionaria. Questi gruppi erano estranei alle istituzioni politiche, non nel senso che non praticarono la politica, ma perché le loro attività di opposizione al “regime” democristiano si svolsero al di fuori dei “palazzi del potere”:

29

Una sparatoria tranquilla. Per una storia orale del ’77, Roma, Odradek, 1977. Si tratta di una raccolta di testimonianze di Vincenzo Miliucci, Raul Mordenti, Marco Moretti, Oreste Scalzone, Dario Paccino, Tano D’Amico e altri protagonisti del Movimento, con un’intervista a Francesco Cossiga.

Le testimonianze verranno riprese in maniera più approfondita nei capitoli successivi.

30

Il concetto di massa può sembrare improprio se contrapposto alla formazione sociale e quantitativa dei partiti Dc e Pci nel periodo 1976-1977 che professavano la difesa di idee di gran parte della popolazione, che andavano dalla religione (Dc) alla rivendicazione di maggiori poteri per i lavoratori (Pci), contro il monopolio della sola borghesia. Attribuire il concetto di massa a un movimento sembra infondato anche perché la maggior parte degli aderenti al Movimento del ’77 contestava soltanto le scelte politiche e sociali del momento accodandosi agli obiettivi denunciati dalle “menti” dei vari gruppi, da Deleuze-Guattari agli Indiani Metropolitani o al femminismo. Potrebbe sembrare che massa sia un termine improprio se non venisse associato al cambiamento culturale che in fondo caratterizzò il Movimento e che venne esemplificato nel concetto di avanguardia di massa da Maurizio Calvesi. Di ciò si tratterà nel Capitolo 4.

(9)

9 ecco quindi la definizione di forze extraparlamentari. Queste incrementarono la ferita inferta già dalle ondate di protesta, a partire dalla fine degli anni ’60, al sistema dei partiti “istituzionale”. Ma le forze extraparlamentari si collocarono anche come nuova alternativa al Pci che non fu stato in grado di monopolizzare il movimento studentesco (nel 1968) né di governare il movimento operaista (a partire dal 1968). Le forze extraparlamentari si formarono proprio sull’onda delle contestazioni spontanee collocabili nella sinistra non istituzionale, volendo applicare una forma organizzativa generale che doveva competere con la direzione revisionista del Pci32.

Il libro a cura di Davide Degli Incerti, La sinistra rivoluzionaria, del 197633, raccoglie documenti e interventi delle tre maggiori forze che, dalla fine degli anni ‘60 fino a metà anni ‘70, militarono come movimenti o partiti politici al fianco degli operai e degli studenti. Si trattava di Avanguardia operaia (fondata nel 1968 a Milano), Lotta Continua (1969) e PdUP (Partito di Unità Proletaria, dal 1972, poi dal 1974 insieme a “Il Manifesto” confluì nel Partito di Unità Proletaria per il comunismo), a cui bisogna aggiungere Potere Operaio, costituitosi nel 1969 da un nucleo chiamato La Classe. Erano organizzazioni che durante il loro precorso ebbero rapporti con il Pci, specialmente il PdUP, ma che comunque mantennero sempre attivo il legame che li univa al proletariato (sempre nell’accezione di studenti e lavoratori). “Lotta Continua” dal 1972 al 1981 fu anche un quotidiano, di stampo prettamente di sinistra, che si distaccava da tutte le forze istituzionali, pubblicando articoli di contestazione e di denuncia.

L’autoscioglimento di questi gruppi comportò anche l’inasprimento delle idee che muovevano molti militanti, che credevano fermamente nella necessità di una rivoluzione marxista-leninista, in cui il pieno potere spettasse alle classi lavoratrici. Questa ideologia confluì nell’Autonomia operaia, movimento attivo tra il 1973 e il 1979. Il gruppo nato dalla confluenza, appunto, di vari organizzazioni di estrema sinistra, fu un coacervo di personalità e pensieri che, in definitiva, concordarono sui seguenti punti chiave: radicalizzazione dello scontro sociale e rottura definitiva sia con i partiti politici istituzionalizzati, sia con le rappresentazioni sindacali.

Autonomia operaia fece pubblicare sulle pagine del quotidiano “Lotta Continua” un comunicato per far chiarezza su quali fossero i loro obiettivi. Si definì un movimento di lotta che credeva in un concetto più ampio di “autonomia” che doveva essere applicato soprattutto alla classe operaia svincolata dall’egemonia del capitale; avevano la piena coscienza che l’unità tra studenti e operai fosse l’obiettivo da privilegiare perché comuni erano le motivazioni che spingevano alle contestazioni (disoccupazione, sottoccupazione, lavoro nero) da raggiungere attraverso la distruzione del governo e del sistema che gestiva il Paese. Secondo loro, il capitale stava manovrando la società per liberarsi del Movimento

32 Revelli, Marco, Movimenti sociali e spazio politico, in Barbagallo, Francesco (a cura di), Storia dell’Italia repubblicana, vol II.2, La trasformazione dell’Italia: sviluppo e squilibri. Istituzioni, movimenti, culture,

Torino, Einuadi, 1994-., pp. 461-462.

33

Degli Incerti, Davide (a cura di), La sinistra rivoluzionaria in Italia. Documenti e interventi delle tre

(10)

10 e voleva far arrivare i contestatori alla disperazione e all’abbandono della lotta attraverso la “dittatura” del governo Dc. A questo, secondo l’Autonomia operaia, bisognava rispondere con la formazione di un partito rivoluzionario guidato dagli operai che gestisse il Movimento e decidesse come e quando usare la legalità e l’illegalità per raggiungere il potere34, cosa a cui invece l’ala creativa del Movimento si opponeva. Con l’aggravarsi degli scontri, con i continui attentati terroristici, attribuibili sia ai movimenti di destra che di sinistra, e con la svolta finale che il Movimento del ’77 stava prendendo, molti esponenti dell’Autonomia operaia scelsero di seguire la strada della violenza e di confluire nelle fila delle Brigate Rosse35.

Più strettamente collegata all’espressione del modo di vivere e di pensare che caratterizzò gli Indiani Metropolitani, fu l’organizzazione dei Circoli del Proletariato Giovanile (C.P.G.): dal 1976 se ne ebbe la diffusione, in area milanese, agglomerando giovani della periferia e offrendo luoghi dove potersi recare per confrontare i propri problemi e ciò che la società imponeva loro di poter fare o non fare. Le motivazioni che spinsero i ragazzi che iniziarono ad appassionarsi alla politica tra il 1975 e il 1976 erano un totale rifiuto degli schemi e dei valori che fino a quel momento avevano dovuto subire negli ambienti scolastici e familiari. I C.P.G. nell’arco di pochi mesi dalla loro costituzione promossero una serie di occupazioni di stabili e case da adibire a centri sociali, anche nel cuore di Milano; le iniziative venivano pubblicizzate con giornali, volantini, manifesti, reinventando la grafica, i colori, l’impaginazione derivati dai modelli della stampa creativa underground e da cui presero le mosse gli Indiani Metropolitani. Durante la loro esperienza i Circoli vennero coadiuvati dalle riviste “Re Nudo” e “Lotta Continua”, che rispettivamente apportavano il motivo controculturale e nuovi militanti delusi dall’esperienza politica; il coordinamento offrì fin da subito la possibilità ai giovani di confrontarsi sui problemi del lavoro, delle droghe, del tempo libero, della politica e quindi decidere quali dovessero essere le iniziative e le forme di lotta adeguate a raggiungere gli obiettivi. La presa di coscienza della propria forza da parte dei Circoli si ebbe tra l’estate e l’autunno del 1976, quando si iniziò a sviluppare una vera e propria cultura del proletariato giovanile, che si tradusse nella rivendicazione di un senso di libertà oppresso dalla borghesia e dai sacrifici in nome del capitalismo. Princìpi cardine erano l’affermazione dei propri desideri, la soddisfazione delle aspirazioni di ogni singolo individuo, il “diritto al lusso”, le “autoriduzioni”36

al teatro o al cinema: evidenti in ciò che si definì Teoria dei

34

La parola “autonomia” ha un significato ben più ampio, in “Lotta Continua”, 17 marzo 1977.

35 Grispigni, Marco, Il settantasette. Un manuale per capire, un saggio per riflettere, Milano, Il Saggiatore,

1997, p. 118.

36

Questa pratica fu introdotta come forma di protesta nell’agosto del 1974 da alcuni operai pendolari della Fiat Rivalta, questi si rifiutarono di pagare gli aumenti sulla tariffa del biglietto delle compagnie private degli autobus. Con il sindacato locale dei metalmeccanici si organizzarono pagando la tariffa del vecchio biglietto che raccoglievano e spedivano alla società dei trasporti. La stessa pratica venne applicata dal movimento sindacale contro l’aumento delle bollette dell’energia elettrica e del telefono; ma nel corso del 1975 molte famiglie, vedendo che il Pci e le sezioni centrali dei sindacati denunciarono la protesta, si defilarono, cosicché con il tempo le autoriduzione non vennero più effettuate. Cfr. Ginsborg, Paul, op cit., pp. 428-430.

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11 bisogni e bisogni di teoria37, che nel Movimento del ’77 divenne la formula per definire la necessità di soddisfare i propri desideri senza rimandarli e/o metterli in secondo piano rispetto alla “rivoluzione”.

I contributi degli stessi partecipanti alle manifestazioni, come quelli riportati da “Lotta Continua”, come il citato Teoria dei bisogni e bisogni di teoria, evidenziavano le rivendicazioni del proletariato giovanile come “classe oppressa”. La sensazione di oppressione non era dovuta solo ai sacrifici lavorativi ed economici che il “nuovo” proletariato doveva sostenere per permettere uno stile di vita agiato alla borghesia38, ma, soprattutto, alla percezione di essere in uno stato della propria vita transitorio, di instabilità sociale e politica. Nonostante i giovani avessero un loro ruolo produttivo (precario) diretto all’incremento capitalistico, affermavano la necessità di uscire da queste gabbie immaginarie, per concretizzare nuovi modelli di vita, attraverso la controcultura, la derisione e il disfacimento dei valori precedenti. L’accusa alla società capitalistica si rivelò anche nel rifiuto del lavoro, postulato dalle organizzazioni giovanili, in particolare, che lo accomunavano all’assenza di un futuro sicuro, ma anche da parte delle organizzazioni degli operai, che convergevano con il pensiero dei giovani. Il rifiuto del lavoro implicava anche non doversi più sacrificare per le alte sfere della società, a difesa della propria identità, intelligenza, autonomia. Il concetto di rifiuto del lavoro aveva due diverse prospettive di applicazione: la prima comprendeva l’intero processo in cui si inserivano le lotte operaie, lo sviluppo capitalistico, l’insubordinazione e la ristrutturazione tecnologica; la seconda invece era una coscienza diffusa, antiproduttiva per difendere le proprie libertà e la propria salute. Il filosofo e sociologo francese Jean Baudrillard affrontò la questione del mutamento della concezione del lavoro in alcuni dei suoi libri, tra cui Lo scambio simbolico e la morte che, si può considerare rivelatore di alcuni punti chiave sfruttati nel Movimento del ’77 e dagli stessi Indiani Metropolitani. Baudrillard riconsiderando il concetto di capitale formulato da Marx definì il sistema capitalista allora dominante come di una continua produzione di segni simbolici, piuttosto che merci; il lavoro diventava una modalità di consumo in una società consumistica che era diventata un’unica grande fabbrica dove tutti erano imprigionati «Il lavoro (anche sotto forma di tempo libero) invade tutta la vita come repressione fondamentale, come controllo, come occupazione permanente in luoghi e tempi regolati, secondo un codice onnipresente… Ma questo lavoro non è più produttivo nel senso originario: non è più lo specchio della società, il suo immaginario, il suo principio fantastico di realtà. Pulsione di morte, forse»39.

Si ebbe una ripresa con i Circoli del Proletariato Giovanile, dove però il concetto di autoriduzione si estese andando a riguardare il tempo libero dei giovani, quindi si praticarono riduzioni sui biglietti del teatro, del cinema, sui musei, sui libri, sui giradischi, ecc. Cioè su tutto quello che venne definito come volontà di soddisfare i propri desideri.

37 Maurizio e Francesco, Teoria dei bisogni e bisogni di teoria, in “Lotta continua”, 4 e 8 gennaio 1977. 38

Questa fu una delle motivazioni che spinsero alla contestazione per la Prima della Scala, a Milano, il 7 dicembre 1976.

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12 Il sentimento dei giovani era di segregazione all’interno di un “ghetto” e di una relativa emarginazione, idealmente e materialmente, rispetto ai benestanti, che classificavano la gioventù solo come oggetto, o come macchina, nel ruolo di apprendista, disoccupato, studente, criminale, drogato, ecc.40.

Dall’articolo di Maurizio e Francesco dei C.P.G. su “Lotta Continua”, inoltre, si rimarcava la questione che i movimenti giovanili e studenteschi nati negli anni ’60 negli Stati Uniti, rappresentarono la prima e vera contestazione al sistema capitalistico. La nascita di organizzazioni in difesa dei più “deboli” non solo fu il primo passo per la vittoria del regno della libertà sul regno delle necessità, ma per ottenere risultati bisognava sovvertite dal basso la situazione del sistema, acquisendo così, in Europa, i caratteri della rivoluzione comunista41.

1.4.1 Circoli del Proletariato Giovanile: preludio degli Indiani Metropolitani

Le manifestazione organizzate dai Circoli del Proletariato Giovanile erano svolte e interpretate soprattutto come momenti di festa, accompagnati da balli, canti, performance, dove l’obiettivo principale diventava quello di stare insieme e divertirsi. I Circoli divennero uno strumento della pratica di conquista della propria umanità, contro il fabbisogno necessario alla sola crescita del capitale. L’eliminazione della condizione di povertà umana, economica, sociale e spirituale si sarebbe potuta ottenere con il mescolamento degli esseri umani “ruolizzati” tra settori diversi, non più solo studenti con studenti, operai con operai, pazzi con pazzi42; per riconquistare la ricchezza e l’umanità usurpate dai borghesi.

Due, principalmente, furono gli eventi, a cui parteciparono i C.P.G., che segnarono il passaggio da un periodo di desiderio di libertà alla messa in pratica dello stesso desiderio. Il primo fu il Festival del Proletariato Giovanile, che si svolse al Parco Lambro, Milano, dal 26 al 30 giugno del 197643; mentre il secondo evento fu la contestazione davanti il teatro La Scala, a Milano, la sera della prima, il 7 dicembre del medesimo anno.

40

Uno dei testi che ha fatto da caposcuola a un determinato modo di pensare e di vivere fu Deleuze, Gilles e Felix Guattari, L’anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Torino, Einaudi, 1975; i due autori introducono il concetto di macchina desiderante, in cui si identificano i giovani ribelli dei C.P.G. e poi successivamente gli Indiani Metropolitani.

41

Maurizio e Francesco, Teoria dei bisogni e bisogni di teoria, in “Lotta continua”, 8 gennaio 1977.

42

Ivi. Gli autori dell’articolo definiscono gli esseri umani come “ruolizzati” alla mercé del capitalismo. L’idea di far vivere i pazzi, gli schizofrenici, i malati liberi e con le altre persone è presente sia nel testo di Deleuze e Guattari, op cit., sia in Baudrillard, Jean, op cit. Inoltre è da menzionare anche la legge n. 180/1978 di Franco Basaglia “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori” che impose la chiusura dei manicomi fino a quel momento connotati anche come luoghi di contenimento sociale.

I testi appena citati verranno analizzati più da vicino nel capitolo 4 : Controcultura e filosofia degli Indiani Metropolitani.

43

Questa fu la terza, e ultima, edizione del Festival: le precedenti si ebbero nel 1974 e 1975. Furono organizzati dalla rivista Re Nudo, diretta da Andrea Valcarenghi, fondata nel 1970 che si occupava di controcultura e controinformazione.

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13 I cinque giorni del Parco Lambro (fig. 1) si distinsero rispetto ai festival pop precedentemente organizzati per la presenza eterogenea dei tanti partecipanti (si stimarono dalle 50 mila alle 100 mila persone): «dai veri ai finti proletari, dagli anarchici agli stalinisti, dagli ex Sessantottini a quelli che di lì a poco si sarebbero chiamati “Indiani Metropolitani”, da chi predicava pace e amore a chi la violenza come metodo, da chi vedeva nella creatività una soluzione a chi ottusamente si appellava ai testi scritti»44. Dopo i primi due giorni di tranquilla convivenza, si iniziarono ad avere problemi, per l’aumentare incessante della gente che comportò una continua richiesta di cibo e bevande agli ambulanti; questi ultimi ben pensarono di aumentare i prezzi dei loro prodotti, cosa che provocò l’insorgere dei giovani che iniziarono a praticare “l’autoriduzione” e l’appropriazione diretta dei viveri. La contromossa degli ambulanti, per riprendersi quello che era stato loro derubato, avviò le prime scorribande e l’intervento della polizia, con cui non mancarono gli scontri. Nelle intenzioni, il Festival del Parco Lambro sarebbe dovuto essere la Woodstock italiana, ma così non fu, sia per il modesto spessore dei gruppi musicali presenti al Lambro, sia, e soprattutto, per il diverso messaggio che ne venne fuori. Il Festival di Bethel45 del 1969 concentrò il momento finale di quello che era stato negli anni precedenti il movimento hippy e il movimento dei pacifisti; invece, il festival italiano segnò il momento di svolta dalla militanza politica alla lotta armata, per alcuni, e dall’edonismo all’uso dell’eroina, per altri.

Al Lambro iniziò l’era dei freak46

, e iniziò anche a crearsi quella spaccatura poi definitiva nel Movimento del ’77, che da un lato vedeva ancora le organizzazioni collaborare con il Pci e la FGCI (Federazione Giovanile Comunista Italiana)47, mentre, dall’altro, vedeva la parte più violenta (Autonomia operaia) e che rifiutava in toto la politica di sinistra riformista e non rivoluzionaria. Quest’ultimo fu uno dei motivi per cui, allo scoppiare dell’occupazioni universitarie, molti additarono i giovani e le loro organizzazioni come fasciste e teppistiche, perché i metodi adottati di “prendersi tutto e subito” venivano fatti passare per usurpazioni, non capendo, in primis proprio il Pci e il sindacato, le richieste del proletariato giovanile: assenza di distinzioni di classi, libertà d’espressione, fisica e intellettuale, instaurazione di nuovi valori e di una nuova morale48

. Il secondo evento si svolse il 7 dicembre 1976, quando a Milano (ora come allora) si festeggia Sant’Ambrogio e si inaugura l’apertura della stagione teatrale alla Scala. Otto

44 Vassalli, Cristiano, Parco Lambro 1976, in D’Amico Fortunato, Blog Culturanatura, 12 ottobre 2013,

http://www.lastampa.it/2013/10/12/blogs/culturanatura/parco-lambro-HjqMelh93XM3x3UQr1e0HP/pagina.html consultato il 7 gennaio 2015.

45 Cittadina rurale, nella contea di Sullivan, New York, dove si svolse realmente il concerto di Woodstock dal

15 al 18 agosto 1969.

46

Parola inglese, in italiano sostituita anche dall’aggettivo fricchettone, sta ad indicare atteggiamenti anticonformistici non violenti, secondo un costume giovanile originario degli Stati Uniti durante gli anni Settanta.

47

Il mese successivo al Festival del Parco Lambro, si ebbe il festival di Ravenna, organizzato dal sindacato, a cui aderirono Avanguardia Operaia e PdUP, che da molti è stato definito “anti-Parco Lambro”.

48

Le radici di una rivolta. Il movimento studentesco a Roma. Interpretazioni, fatti e documenti

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14 anni dopo il 1968 si registrò una nuova contestazione dell’opulenza della borghesia, che trovò il suo emblema nell’alta società partecipante allo spettacolo teatrale più importante d’Italia. La manifestazione di contestazione dei Circoli del Proletariato Giovanile, insieme alle femministe, fu il tentativo di esprimersi attraverso l’arma della creatività, arma che gli Indiani Metropolitani portarono avanti durante tutto il 1977. L’invito a partecipare fu comunicato attraverso le riviste della sinistra extraparlamentare o di controinformazione, e infatti l’iniziativa prese forma la sera del 6 dicembre, con un grande happening all’Università di Milano, dove si riunì «tutta la gioventù creativa che aveva dissotterrato l’ascia di guerra»49. Il clamore che l’evento aveva suscitato portò le autorità a sventagliare un imponente servizio d’ordine, formato da polizia e carabinieri, nei pressi del teatro: poco bastò per innescare la miccia che causò arresti e molti feriti nelle fila dei contestatori.

Il cosiddetto “diritto al lusso” rivendicato dal proletariato giovanile, insieme alla possibilità e alla necessità del cambiamento del proprio stato familiare e lavorativo, era il messaggio della contestazione del 7 dicembre 1976.

Per molti segnò l’avvio del Movimento.

49

Salaris, Claudia, Il movimento del settantasette. Linguaggi e scritture dell’ala creativa, Roma, Editori Riuniti, 1999, p. 11.

Fig. 1

Foto di Cristiano Vassalli, partecipanti al Festival del Proletariato Giovanile al Parco Lambro, Milano.

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15

1.5 Similitudini e differenze: 1968 e 1977

Le contestazioni studentesche a partire dal 1968 iniziarono a considerare ovvia la compartecipazione alle contestazioni operaiste, e i nove anni che portarono al 1977 furono caratterizzati da momenti significativi di grandi scioperi e manifestazioni sia da un lato che dall’altro. Inizialmente tra le due parti (studenti e operai) non esisteva un collegamento diretto, specialmente nel ’68, quando il movimento studentesco riceveva una forte spinta anche dagli eventi che in quel periodo si stavano verificando nel mondo (vedi guerra in Vietnam), e quando la composizione sociale dei partecipanti alla contestazione era il ceto medio-alto. Al contrario, gli operai facevano parte del proletariato, del ceto basso della società italiana, e dunque denunciarono sempre la mancanza dei diritti adeguati ai doveri imposti, e la distanza che si imponeva implicitamente tra le due parti dei manifestanti non permetteva un’agglomerazione tra le ideologie e gli obiettivi. Ma da rilevare fu comunque il cambiamento della formazione di universitari che proprio a partire dalla fine degli anni ’60 si stava verificando: l’espansione della fascia di appartenenza sociale degli studenti universitari che provenivano da settori meno abbienti e che per garantirsi il diritto allo studio dovevano lavorare50.

Dal ’68 in poi vennero meno i consensi che fino a quel momento la struttura sociale e autoritaria dell’Italia aveva ricevuto; ci si stava emancipando dagli “obblighi” e dalle “tradizioni” imposte dall’alto. I giovani sentivano il bisogno di staccarsi dall’oppressione dell’ambiente familiare e dalle imposizioni dei propri genitori che, specialmente tra le classi medio-alte, gestivano il futuro dei figli. Oltre a ciò si aggiungeva anche la ricerca dei cosiddetti “bisogni radicali” da parte di tutte quelle persone che ormai si sentivano emarginate e a cui bisognava garantire le stesse opportunità di cui godevano le classi più abbienti51. Fu nell’ambiente milanese dei Circoli del Proletariato Giovanile che i dettami della “Scuola di Budapest” e, specialmente, la teoria dei bisogni radicali della filosofa ungherese Agnes Heller si ramificarono tra gli strati giovanili politicizzati, anche se a livello di vulgata, divenendo poi un appoggio teorico per l’intero Movimento del ’77. Durante il 1977 simboleggiarono la necessità di soddisfare i propri bisogni all’istante, cioè nel momento stesso in cui se ne avvertiva la presenza, senza dover attendere l’esito positivo della “rivoluzione” 52

. Il nuovo proletariato si confrontava con l’austerità e il compromesso storico vedendo negati i propri bisogni e desideri; questi comprendevano, secondo i Circoli, il rispetto dei diritti per i lavoratori e gli studenti e la garanzia di un futuro per tutti. Ma, in definitiva, i bisogni radicali teorizzati dalla Heller erano quei prodotti e modelli di vita della società capitalistica che, però, avevano reso la società stessa

50 Per le lotte studentesche e operaie del 1968 cfr. Ginsborg, Paul, op cit., pp. 358-391; Revelli, Marco, op cit., pp. 399-438.

51

Le radici di una rivolta, op cit., pp. 35-39.

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16 alienante. Per sfuggire da questa situazione bisognava sovvertire l’ordine socio-economico vigente attraverso il comunismo53.

Tra i due movimenti c’era una distinzione non solo nella composizione ma anche di tipo storico, tra un 1968 che ha segnato la contestazione “per eccellenza” perché mossa da fini che non ebbero a che fare con pratiche violente e un 1977 che per tanti anni è stato considerato solo associato a forme di terrorismo, mettendo da parte l’esperienza legata alla necessità di cambiamento sociale e personale di studenti e proletari. Tra il 1968 e il 1977 la contestazione crebbe in parallelo con l’aggravarsi della crisi economica che provocava disoccupazione, soprattutto tra i giovani e riguardava anche gli studenti. Si verificò un confluire di richieste di diritti, che comportarono a volte manifestazioni congiunte di lavoratori e studenti, spesso terminanti in scontri con le forze dell’ordine o tra le frange più estremiste. Pci e sindacati non seppero riconoscere nelle nuove figure dei semidisoccupati, precari, studenti una fascia debole della popolazione.

Nel 1968 la distanza tra studenti e operai poteva sembrare meno netta anche se gli obiettivi erano differenti: mentre i primi chiedevano una democratizzazione dell’accesso universitario che garantisse un lavoro sicuro, rendendosi anche conto che una carriera di prestigio ed economicamente vantaggiosa non fosse più assicurata54; i secondi chiedevano un sorta di libero arbitrio sulle ore di lavoro straordinario nel salario, ma comunque un lavoro duraturo nel tempo. Nel 1977 i nuovi soggetti proletari altamente scolarizzati avevano richieste inaccettabili per gli operai “classici”: non volevano più essere subordinati al genere di lavoro che l’industriale offriva, ma scegliere personalmente come e quando lavorare; e decidevano di intraprendere un rifiuto del lavoro, il che costituiva una scelta politica, sociale e culturale. Se la ristrutturazione capitalistica risultava da prestazioni lavorative precarie, saltuarie e interscambiabili, i soggetti del 1977 decisero di creare un terreno di estrema mobilità, optando per il lavoro occasionale come metodo di vita55.

Gianfranco Pala su “Lotta Continua” del 7 giugno 1977 pubblicò un articolo in cui metteva in evidenza la disomogeneità di idee che il Partito comunista italiano decantava nel 1968 rispetto al 1977 riguardo le proposte legislative per l’istruzione. Nel disegno di legge n. 707 dell’11 giugno 1969 presentato dal Pci vennero richieste una serie di modifiche al ddl del Ministro della Pubblica Istruzione Luigi Gui56 tra cui misure per garantire il diritto allo studio per tutti gli studenti inclusi i lavoratori; l’abolizione delle prove d’esame come erano costituite fino a quel momento; una democrazia nella gestione

53 Corrispondenze Metropolitane – collettivo di controinformazione e d’inchiesta, Per un ’77 “in mano” ai movimenti, in “Il pane e le rose. Classe, capitale e partito”, Roma, 31 maggio 2007, http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o9781 consultato il 25 marzo 2015.

54

Revelli, Marco, op cit., p. 432.

55 Balestrini, Nanni e Primo Moroni, L’orda d’oro 1968-1977. La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale, Milano, Feltrinelli, 1997, pp. 527-533.

56

Ddl 2314/1965: reintroduzione di limiti di accesso alle Università, tre livelli di laurea, assenza di sussidi per il diritto allo studio, pochi riconoscimenti alle rappresentanze studentesche, creazione dei dipartimenti. Cfr. Ginsborg, Paul, op cit., pp. 363-364; Revelli, Marco, op cit., pp. 430-432.

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17 universitaria; l’uguaglianza di diritti per tutti i membri degli organi universitari incluso il personale amministrativo, tecnico e ausiliario; l’istituzione delle assemblee studentesche come organo autonomo della struttura dipartimentale57.

Queste direttive del partito comunista per la difesa dell’ampia fascia degli studenti vennero disattese per buona parte, invece, nel 1976, il Pci non contestò la circolare del 3 dicembre del Ministro della Pubblica Istruzione, Franco Maria Malfatti, che causò lo scatenarsi delle occupazione degli atenei universitari, partendo da Palermo per poi estendersi in tutta Italia, comportando i gravi scontri all’Università La Sapienza di Roma nel mese di febbraio e il ritiro momentaneo della stessa circolare. Gli articoli più discussi furono: due livelli di laurea per poter accedere al mondo del lavoro, suddivisione dei docenti in due ruoli distinti (ordinari e associati), gerarchia rigida negli organi di gestione con maggior potere decisionale ai professori ordinari, aumento delle tasse universitarie, severo controllo sui piani di studio che venivano imposti direttamente dai docenti, abolizione degli appelli mensili con la presenza solo di due sessioni (estiva e autunnale) e la non possibilità di ripetere l’esame nella stessa materia58

.

Il Nuovo Ordinamento dell’Istruzione Universitaria del ministro Malfatti segnava insieme alle leggi economiche del periodo, la cosiddetta austerità, un’unica linea politica che si basava sull’ideologia della “potatura dei rami secchi” e si vedeva realizzata nell’ulteriore risparmio della spesa pubblica. Questa si otteneva, nell’ambito dell’istruzione, nel ridimensionamento del numero dei docenti associati e nel mantenimento della stessa quota degli incentivi agli studenti meno abbienti (nonostante le spese aumentassero a dismisura); ciò serviva, sostenevano allora Giorgio Brugnoli e Andrea Menzione docenti dell’Università di Pisa, esclusivamente a dare boccate d’ossigeno e a mantenere intatte le grandi industrie dei sostenitori finanziari del partito democristiano. Sia l’accesso all’Università con l’introduzione del numero chiuso e con l’indirizzamento a determinate facoltà in base alla scuola secondaria superiore frequentata, sia la frequentazione di corsi di formazione professionale (definiti corsi post-secondari) dopo la maturità per l’immissione nel mondo del lavoro, sia l’istituzione di corsi di specializzazione a numero chiuso dopo la laurea di secondo livello sembravano – sempre secondo l’opinione dei due docenti dell’Università di Pisa menzionati sopra – essere finalizzati alla crescita della disoccupazione giovanile e alla riduzione del tasso di scolarizzazione universitaria per chi non avesse le adeguate risorse economiche59.

Sul numero di “Lotta Continua” del 23 febbraio 1977 venne pubblicata la correlazione che gli studenti dell’Università di Bari avevano messo in luce tra la riforma Malfatti e il progetto del partito comunista, che era a quel tempo all’opposizione al

57

Pala, Gianfranco, Dal ’68 al ’77: il coerente contributo del Pci alla riforma dell’università italiana, in “Lotta Continua”, 7 giugno 1977

58 Mariscalco, Danilo, «A/traverso» la transizione. Le pratiche culturali del movimento del ’77 e il

paradigma artistico, in “Enthymema”, p. 388, nota 1,

http://riviste.unimi.it/index.php/enthymema/article/viewFile/2684/2912 consultato il 17 gennaio 2015

59

Brugnoli, Giorgio e Andrea Menzione, Diritto allo studio, crisi e progetto Malfatti, in “Lotta Continua”, 3 febbraio 1977

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18 governo Dc. Quello che dal Pci si aspettavano gli studenti e i docenti non garantiti, cioè un netto contrasto a Malfatti, in questo caso non si avverò perché per buona parte si supportavano le stesse direttive della circolare, anche se con parole diverse. Questo fu uno dei tanti segnali che contraddistinsero l’ormai imminente rottura tra partito e una parte della sua base elettorale. Il Pci non si schierò al fianco del Movimento del ’77, come invece avvenne nel ’68; da ciò derivarono quindi le reciproche accuse e gli scontri che successivamente si riversarono sulla storia politica del partito del proletariato.

1.6 Il Pci e il Movimento

Nella sua accezione generale, il Movimento del ’77 si batteva contro il governo monocolore Dc del Presidente del Consiglio Andreotti formatosi dopo le elezioni del 1976, che vedeva il Pci come partito di opposizione, ma orientato verso il compromesso storico60. Dunque il ’77 fu anche la storia del primo scontro frontale in Italia tra il Pci e un movimento sociale, che alla fine danneggiò entrambi: il movimento si disgregò, sia come forma di contestazione che come composizione politica; il partito comunista venne connotato come partito non tollerante al pari delle forze politiche di centro-destra; inoltre, l’idea di un’autonomia politica (teorizzata da alcuni intellettuali di sinistra) lo relegò nel “sistema dei partiti” da cui la realtà sociale era esclusa61. Il Pci sosteneva l’austerità, accusava di squadrismo i contestatori e tollerava le provocazioni poliziesche, il precariato, il lavoro nero, il decreto Stammati sulla spesa pubblica (n. 2/1977), la legge Reale che estese la custodia preventiva (n. 152/1975) attraverso l’astensione. Più il Pci si avvicinava al governo tramite il rafforzamento della sua alleanza con la Dc, più allontanava quel ceto giovanile urbano e universitario che nelle elezioni del giugno ’76 lo aveva sostenuto62

. La mobilitazione da risorsa si stava trasformando in minaccia per il Pci63.

Il Movimento difese il diritto alla stabilità lavorativa, allo studio non esclusivamente in funzione del merito; rifiutò il numero chiuso, l’aumento delle tasse; si schierò a favore della riunificazione tra didattica e ricerca universitaria, dell’immissione del docente unico nelle scuole primarie e secondarie, del valore legale del titolo di studio, supportò l’emancipazione individuale e collettiva non subordinata al capitalismo. Di contro, con il proseguire delle azioni tumultuose del Movimento, il Pci e la Fgci identificarono nei giovani una classe sociale formata da “ rivoluzionari” che cercavano un

60

Strategia politica elaborata dal segretario del Pci, Enrico Berlinguer, basata sulla collaborazione e l’accordo tra i partiti popolari comunista e socialista con quelli cattolici-democratici, per organizzare uno schieramento politico in grado di elaborare programmi di risanamento e rinnovamento dello Stato italiano. Venne applicato con l’astensione del Pci al governo Andreotti (1976-1977) e i governi di solidarietà nazionale (1978-1979), ma dopo l’assassinio di Aldo Moro, principale interlocutore con il Pci, il progetto fallì.

http://www.treccani.it/enciclopedia/compromesso-storico_%28Dizionario-di-Storia%29/ consultato il 23 gennaio 2015.

61

Bascetta, Marco et ali, op. cit., pp. 38-39.

62

Ginsborg, Paul, op cit., p. 454 e cfr. anche pp. 471-476.

(19)

19 inserimento nel mercato del lavoro senza rinunciare alla propria istruzione. Si dibatteva sull’antagonismo spontaneo e/o organizzato degli studenti rispetto all’organizzazione dello studio, della gerarchia e della cultura praticata nelle scuole secondarie e nelle università; ma ciò che destò maggiormente scalpore tra le fila del Pci fu la consapevolezza che il movimento studentesco si reggeva sulla scoperta dei bisogni individuali e collettivi delle masse, e che i giovani stavano rifiutando le mediazioni istituzionali e organizzando una lotta per i propri desideri radicali64.

Per ovviare alle manifestazioni e alle occupazioni, che si stavano facendo sempre più imponenti tra gli aderenti al Movimento del ’77, le istituzioni politiche risposero con la repressione attuata delle forze dell’ordine, che causarono scontri, feriti e morti da ambo le parti. Con i gravi fatti che caratterizzarono il Movimento del ’77 si ebbe una doppia lettura della situazione, in base al punto di vista in cui i protagonisti del periodo si identificarono: la sinistra rivoluzionaria dava una nuova interpretazione all’idea di compromesso storico, che non fungeva più da semplice cooperazione per la stabilità parlamentare, ma diventava una visione della realtà appiattita sulle idee democristiane del periodo. Viceversa la sinistra “revisionista”, così apostrofata dai militanti fedeli alla linea “storica” del Pci, non contestava le scelte politiche democristiane adeguate alla crescita del Paese in un momento di crisi e quindi si opponeva ai tentativi contestatari di studenti e proletari, che il Pci liquidava come assenza di responsabilità sociale e intellettuale. Maria Pia Garibaldo, una sindacalista bolognese iscritta al Pci dal 1972, scrisse al segretario della sua federazione che dopo gli avvenimenti del 1977 non avrebbe rinnovato la propria tessera perché: «Capisco che la nostra strategia di opposizione al movimento studentesco era assurda, dettata da una politica di conciliazione verso la Dc che ci porta inevitabilmente ad accettare la repressione. Non ci si può nascondere dietro la trita analisi che gli studenti siano ‘fascisti’ e agenti provocatori, perché questo movimento – gli Autonomi, gli Indiani Metropolitani – esprime una paura reale, una reale disintegrazione sociale… Noi pensiamo di rappresentare l’ordine ‘socialdemocratico’, buono per i bottegai e i capetti grandi e piccoli, mentre loro rappresentano la sovversione, l’estremismo, il lupo cattivo della favola»65.

Dal punto di vista di un articolo comparso su “Lotta Continua”, il Pci era diviso da una parte in una schiera elitaria di funzionari che si aggrappavano alla storia del loro recente passato, includendo la svolta a sinistra della Democrazia cristiana; dall’altra in una schiera di militanti organizzati che pensavano a tesserare nuovi compagni, a diffondere il giornale di partito, a preparare il festival dell’Unità, a fare i servizi d’ordine alle loro sezioni o durante i comizi. Ma probabilmente la contrapposizione maggiore che nacque e che delineò i caratteri del Movimento fu quella tra una parte che aveva ancora fiducia nel partito e rimpiangeva la militanza combattiva degli anni ’40, ’50 e ’6066

.

64 Il Pci propone di abolire i giovani come strato sociale, in “Lotta Continua”, 16 marzo 1977 65

Ginsborg, Paul, op cit., p. 454 [originale in Dear Comrade. Readers’ Letters to Lotta Continua, London, 1980, pp. 9-10].

(20)

20 Eugenio Scalfari, in un articolo su “La Repubblica” del 23 febbraio 1977, intitolato Il Pci e gli studenti, evidenziò le colpe di entrambe le parti; da parte degli studenti perché mossero al partito le stesse accuse che questo rivolgeva a loro (nuovo fascismo), mistificando così la realtà, nonostante il giornalista desse agli studenti il merito di aver creato un movimento libero dai meccanismi partitici; mentre accusò il Pci e la Fgci di rintanarsi in un sistema borghese e capitalistico, senza più dare voce a coloro che erano i deboli del momento. In conclusione, Scalfari propose alle organizzazioni dirigenziali del comunismo italiano di tornare ad occupare il loro ruolo di oppositori, specialmente dopo i fatti dell’Università romana.

1.7 Il Movimento nelle Università

Le prime manifestazioni di protesta per l’applicazione della circolare Malfatti iniziarono dal Sud agli inizi di gennaio 1977, e da semplici contestazioni all’interno delle Università passarono alle strade e alle piazze. Con il crearsi di un collegamento tra gli studenti si iniziarono a organizzare manifestazioni “nazionali” che convogliassero in un’unica città i contestatori. I mesi più caldi furono febbraio e marzo, periodo in cui l’intera didattica venne bloccata e si ebbe la gestione autonoma da parte del Movimento, si organizzarono assemblee in cui si doveva decidere come e quando manifestare, quali dovevano essere le richieste al governo e ai Rettori. La convivenza di tante linee di pensiero diverse fu molto difficile, sia perché il Movimento mal digeriva la presenza di leader, sia perché spesso coloro che cercavano di inquadrarlo sostenevano la necessità di un’impronta rivoluzionaria violenta. Spesso gli obiettivi di alcuni cortei furono sedi di partiti, di giornali, di sindacati, negozi o ristoranti di lusso, e le armi utilizzate consistettero in bombe carta, molotov, sanpietrini, bandiere. La reazione delle istituzioni passò attraverso una linea severa, imponendo divieti per i manifestanti, che nel momento in cui vennero trasgrediti si trasformarono in repressione armata.

L’Università La Sapienza di Roma, e in generale la città intera, furono il teatro centrale nella storia del Movimento. La scintilla fu l’aggressione fascista del 1° febbraio a un’assemblea di studenti degenerata in scontri tra le due fazioni, che provocarono il ferimento del giovane Guido Bellachioma (per quindici giorni in stato di coma). A questo evento seguì la manifestazione del giorno successivo dove già iniziarono a emergere divisioni tra la sponda “servile” alla politica, guidata dalla Fgci, che decise di organizzare un comizio all’interno dell’Università, dall’altra, studenti non organizzati che, insieme all’Autonomia Operaia e ciò che restava di Lotta Continua (forza extraparlamentare), decisero di manifestare e dirigersi alla sede fascista di via Sommacampagna. Quando il corteo giunse a piazza Indipendenza ci fu lo scontro tra dei poliziotti in borghese e un gruppo di partecipanti, con il ferimento di uno e di due ragazzi, in una dinamica dei fatti poco chiara67.

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