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INTRODUZIONE 1. I due modelli classici di giustizia costituzionale

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

1. I due modelli classici di giustizia costituzionale

Giunti ormai alla fine del XX secolo, definito efficacemente come il secolo della giustizia costituzionale, sembra opportuno, per coloro i quali si trovino ad affrontare uno studio comparativo sull'argomento, tirare le somme di quanto emerso negli ultimi decenni, focalizzando l'attenzione sui due modelli che nell'ultimo secolo si sono contesi il campo del costituzionalismo e sull'esistenza o meno di eventuali nuove prospettive.

A partire dalla metà del ventesimo secolo abbiamo assistito ad un rapido processo di “costituzionalizzazione”, processo testimoniato da due dati incontestabili, poiché evidenti a chiunque si occupi della materia costituzionale. Il primo consiste nell'assunzione, da parte di molti Stati, di Carte costituzionali contenenti al loro interno una Carta dei diritti fondamentali, in tal modo conferendo a tali diritti uno status gerarchicamente superiore rispetto alle leggi ordinarie.

Il secondo elemento è rappresentato invece dall'istituzione delle Corti costituzionali, organi giudiziari che, tra le varie mansioni, hanno quella di garantire il rispetto dei diritti sanciti dalle Carte fondamentali, soprattutto di fronte all'operato dei legislatori, attraverso i procedimenti cosiddetti di “judicial review of

legislation”, ossia procedimenti che consentono alle Corti stesse di

decidere sulla compatibilità delle leggi ordinarie con la Costituzione, e di rendere conseguentemente inoperanti le norme

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“affette” da tale incompatibilità. Si ottiene in tal modo un sistema di giustizia costituzionale nel quale il potere legislativo incontra sulla sua strada un limite, i cui contorni sono definiti da una Costituzione scritta la cui applicazione è resa possibile attraverso il giudizio di legittimità costituzionale ad opera delle Corti.

In sostanza, questo processo di costituzionalizzazione ha avuto luogo a seguito dell'esportazione del modello di giustizia costituzionale che vede negli Stati Uniti il proprio luogo d'origine, e che per questo viene definito da M.V. Tushnet “US model”1.

Storicamente, a questo modello se ne contrappone diametralmente un altro, il cosiddetto “Westminster model”, che ha invece origine in Inghilterra, e che differentemente dal primo si basa su una netta supremazia della legge (“legislative supremacy”), non essendo consentito a nessun organo sindacare sulla legittimità o meno di una legge regolarmente approvata dal Parlamento.

Per utilizzare una forte e sintetica espressione, in questo modello “democratically elected legislatures have power unconstrained by

anything other than the cultural presuppositions embedded in a majority's will”2.

Giova adesso rilevare, senza alcuna pretesa di giudicare quale dei due modelli sia da considerarsi migliore o più funzionale (operazione che sarebbe peraltro impossibile, considerando le diversità e le particolarità che caratterizzano ogni realtà sociale, giuridica e istituzionale), come senza dubbio entrambi i modelli presentino dei pregi e dei difetti.

1 M.V. Tushnet, New Forms of Judicial Review and the Persistence of Rights – And

democracy – Based Worries, Wake Forest Law Review, vol.38, 2003.

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Lo “US model” ha evidentemente il pregio di conferire agli organi gurisdizionali la possibilità di intervenire laddove il potere legislativo dovesse commettere una qualsivoglia violazione dei diritti fondamentali ormai universalmente riconosciuti in tutte le realtà liberali esistenti, ma allo stesso tempo porta con sé il rischio di consentire alle stesse Corti di interferire nelle scelte di natura politica che ogni maggioranza democratica ha il diritto/dovere di effettuare.

Il “Westminster model”, per contro, valorizza al livello massimo l'autogoverno dei legislativi democraticamente eletti per volere del popolo, e dunque in un certo senso si fa garante del basilare valore della sovranità popolare, ma d'altro canto rende possibili violazioni dei diritti fondamentali ad opera di maggioranze politiche autorizzate a governare dagli stessi cittadini, senza alcuna possibilità per questi ultimi di far sentire la propria voce ed opporsi a tali violazioni, se non sfiduciando il parlamento in occasione delle successive elezioni.

Come ben sappiamo, all'indomani del secondo conflitto mondiale e della caduta dei regimi totalitari che tale conflitto hanno animato, la questione dei diritti e delle libertà fondamentali è divenuta (e continua tutt'oggi ad essere) di primaria importanza in ogni realtà giuridica. È forse questo uno dei motivi per cui negli ultimi 60 anni si è registrata una netta tendenza in molti stati, europei e non, ad abbracciare lo “US model”, nel tentativo di trincerare i diritti fondamentali dietro una Costituzione scritta e difficilmente modificabile dalle maggioranze politiche3, e ad istituire Corti in

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grado di difendere tali Costituzioni dall'operato dei legislatori disapplicando le norme in contrasto con la legge fondamentale attraverso il già citato procedimento di judicial review.

2. Un nuovo modello di giustizia costituzionale

Alla luce di quanto esposto nel paragrafo precedente, sembrerebbe potersi affermare, dunque, una sorta di incompatibilità tra il principio della legislative supremacy e una effettiva tutela dei diritti fondamentali.

Sembrerebbe in sostanza che un sistema giuridico si trovi di fronte ad un'alternativa secca, dovendo scegliere se conferire garanzia di effettività ai diritti fondamentali attraverso l'adozione di una Costituzione scritta che sancisca tali diritti e che affidi ad una Corte costituzionale il compito di difenderli da eventuali abusi del legislatore, oppure attribuire un ruolo di primissimo piano al parlamento, lasciando al potere legislativo la massima autonomia e indipendenza, valorizzando in tal modo la volontà popolare che attraverso elezioni democratiche ha determinato la composizione dell'assemblea incaricata di rappresentare tutti i cittadini.

Tra i due modelli sopra descritti, però, sembra essersi insinuata negli ultimi decenni una terza opzione, una sorta di zona grigia, che permetterebbe di conciliare il principio istituzionale della

parliamentary sovereignty con la necessità ormai incalzante di

tutelare in modo effettivo i diritti e le libertà fondamentali4.

della stessa sono richieste maggioranze parlamentari rinforzate che quindi difficilmente possono essere raggiunte all'interno dell'assemblea, garantendo in tal modo una certa “stabilità” alle Carte fondamentali.

4 F. Duranti, Nuovi modelli di giustizia costituzionale, in Diritto Pubblico Comparato ed

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Si tratterebbe, in sostanza, di un terzo modello di giustizia costituzionale, che farebbe perno piuttosto che sulla prevalenza delle Corti costituzionali e del loro potere di judicial review o del Parlamento e delle sue leggi, su una sorta di dialogo tra Corti e legislatore, dialogo che avrebbe come risultato quello di portare sempre il giudice ad adottare l'interpretazione della legge compatibile con i diritti fondamentali, comunque contenuti in una Carta dei diritti di rango formalmente ordinario (con ciò stesso determinando una profonda evoluzione del principio di supremazia parlamentare), lasciando, in caso di contrasto insanabile tra la legge in discussione e i diritti sanciti nella Carta, l'ultima parola alla volontà del legislatore, non essendo previsto alcun tipo di meccanismo giudiziario atto a disapplicare la norma che si suppone lesiva di uno (o più) dei diritti fondamentali.

Stephen Gardbaum ha utilizzato, per il suddetto nuovo modello di giustizia costituzionale, la definizione di “new commonwealth

model of constitutionalism”5, sostenendo che l'origine di tale

assetto istituzionale sia da rinvenirsi in Inghilterra e in alcuni Paesi di matrice anglosassone appartenenti appunto al Commonwealth, ossia Canada e Nuova Zelanda.

Nel lasso di tempo che va dal 1982 al 1998, ognuno dei tre Stati appena menzionati, Stati nei quali vigeva il principio della

parliamentary sovereignty, si è dotato di un “Bill of rights”6.

5 Stephen Gardbaum, The New Commonwealth Model of Constitutionalism, American Journal of Comparative law, 2001.

6 Ad onor del vero, il Parlamento federale del Canada già nel 1960 approvò una prima Carta dei diritti, il “Canadian Bill of Rights”, ma, come vedremo più avanti, questo primo tentativo di conciliare la difesa dei diritti fondamentali con la parliamentary sovereignty si dimostrò fallimentare.

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Ma, secondo Gardbaum, l'adozione di una Carta dei diritti in questi Paesi non ha palesato la volontà di effettuare un netto cambio di rotta, abbandonando il Westminster model per abbracciare il modello americano; bensì, avrebbe condotto i sistemi costituzionali in questione in una sorta di “terra di mezzo” tra i due modelli che si sono contesi il campo della giustizia costituzionale nell'ultimo secolo: “these countries have created a

new third model of constitutionalism that stands between the two polar models of constitutional and legislative supremacy”7.

Secondo la tesi in discorso, Inghilterra, Canada e Nuova Zelanda, avrebbero cercato di garantire la più alta protezione possibile dei diritti fondamentali pur senza abbandonare totalmente il principio della parliamentary sovereignty, ed anzi rifiutando di abbracciare il modello americano ed in particolare il potere per le Corti di avere l'ultima parola in merito a ciò che è o non è “law of the

land”.

Il Paese che, ad opinione di Gardbaum, ha dato inizio a questa tendenza, è stato il Canada, seguito poi da Nuova Zelanda e Regno Unito, i quali, condividendo con il primo tradizioni giuridiche, politiche e culturali, hanno osservato, appreso e da ultimo adottato l'esempio canadese.

La circolazione di questo modello “ibrido” nei suddetti ordinamenti “ha determinato, oltre all'approvazione delle nuove Carte dei diritti, anche l'introduzione di originali strumenti interpretativi e dichiarativi a favore delle Corti, che assumono in tal modo un ruolo, in passato precluso, di più penetrante sindacato

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nei confronti del legislatore, tradizionalmente in posizione di inattaccabile primizia istituzionale”8.

Orbene, i nuovi strumenti di cui le Corti dispongono al fine di arginare la supremazia del potere legislativo, si sostanziano in alcune tecniche interpretative in materia di tutela dei diritti fondamentali, tecniche che consentono alle Corti stesse di interpretare le leggi in modo da rendere le norme che ne derivano il più possibile rispettose dei diritti sanciti nelle Carte dei diritti di cui abbiamo detto; oltre a tali mezzi di natura interpretativa, vi sono però strumenti a carattere dichiarativo, che autorizzano gli organi giudiziari, in caso di antinomie insuperabili in via interpretativa, a pronunciare delle dichiarazioni d'incompatibilità, dichiarazioni che non hanno l'effetto di rendere inoperanti le leggi di cui si discute (così come avviene nei sistemi che si rifanno allo

US model), ma che hanno lo scopo di “informare” il Parlamento di

detta incompatibilità, e dunque di suggerire ad esso una modifica (o una rimozione) di tali leggi. In ogni caso, l'unico soggetto in grado di procedere a tale modificazione/abrogazione resta il Parlamento stesso, che mantiene dunque, come chiarito in precedenza, fondamentalmente inalterato il diritto all' ultima parola in materia.

Si paventa, dunque, la possibilità di rifiutare, o quanto meno correggere, il classico schema classificatorio che vedeva fronteggiarsi i due storici modelli di giustizia costituzionale (judicial supremacy vs legislative supremacy), aggiungendo a questi un terzo nuovo modello.

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Come efficacemente suggerito da M.V. Tushnet, possono adesso individuarsi tre diverse famiglie di giustizia costituzionale: a) il modello strong-form of judicial review (o judicial supremacy), nel quale la difesa dei diritti è compito delle Corti, autorizzate a disapplicare le leggi del Parlamento ove incompatibili con i diritti sanciti in Costituzione; b) il modello parliamentary sovereignty (o

legislative supremacy), nel quale la protezione dei diritti è nelle

mani del Parlamento, non avendo le Corti la possibilità di sindacare la legittimità costituzionale delle leggi; c) il nuovo modello, denominato weak-form of judicial review, caratterizzato, oltre che da forme di controlli politici preventivi sulla compatibilità delle leggi ai diritti fondamentali, da un controllo giudiziario successivo ad opera delle Corti, le quali, tuttavia, possono al massimo rendere edotto il Parlamento circa la sussistenza di tale incompatibilità. Sarà poi il legislatore stesso a decidere se modificare (o abrogare) la legge in discussione o se lasciarla in vita all'interno dell'ordinamento così come è stata emanata. Le conseguenze, nel caso in cui il legislatore decida di optare per la seconda possibilità, saranno per lo più politiche, ma da un punto di vista prettamente giuridico, la legge resta pienamente valida ed efficace. In sostanza, dunque, il modello definito da Tushnet “weak-form of judicial review” coincide con il modello di giustizia costituzionale che Gardbaum afferma essersi sviluppato nei paesi del Commonwealth a partire dagli anni '80 del XX secolo.

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nella modellistica individuata, nel ritenere che i sistemi che si orientano verso la weak-form of judicial review sono per loro natura instabili: tali sistemi, cioè, tendono nel lungo periodo a “regredire” verso il modello di parliamentary sovereignty, oppure a “progredire” verso il modello di legislative supremacy. Lasciando ad altra sede l'analisi del sistema costituzionale della Nuova Zelanda, ci occuperemo qui dell'esperienza del Regno Unito e di quella del Canada, la quale, rispetto alle prime due, appare quantomeno parzialmente difforme.

La difformità dell'esperienza canadese rispetto alle altre esperienze di matrice anglossassone dipende in gran parte dal fatto che, dalla

patriation della Costituzione (1982) in poi, le Corti del Canada,

oltre ad esercitare il tradizionale sindacato diffuso di costituzionalità (che peraltro già esercitavano prima del 1982), dispongono di un catalogo dei diritti fondamentali di rango costituzionale al quale fare riferimento per valutare la costituzionalità o meno delle leggi approvate dal Parlamento federale e dai vari Parlamenti provinciali. Nonostante ciò, il sistema costituzionale del Canada viene normalmente annoverato tra quelli ricondotti al modello di weak-form of judicial review (o, per dirlo con Gardbaum, al new commonwealth model) soprattutto in ragione di una celebre disposizione situata all'interno del

Constitution Act, nota come “notwithstanding clause”, la quale

consente al Parlamento federale, nonché alle assemblee legislative delle varie province9, proprio appellandosi a tale clausola, di

9 Alle quattro province di Quèbec, Nuova Scotia, Ontario e New-Brunswick si sono aggiunte in seguito sei nuove province.

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emanare una legge nonostante essa sia in contrasto con quanto stabilito dall'art.2 e dagli artt.7-15 della Carta10. Si ottiene dunque

che una parte (limitata) della Costituzione può essere derogata da una legge ordinaria, “ciò che preclude ogni sindacato giurisdizionale su quest'ultima che abbia come parametro una delle disposizioni cui si è inteso derogare”11.

È evidente che la questione se definire il sistema canadese un sistema “debole” di giustizia costituzionale o meno, non è affatto di semplice soluzione, e necessita un'attenta analisi degli istituti che concorrono a costituire tale sistema, nonché un'indagine che abbia ad oggetto il concreto atteggiarsi dei poteri che con la loro attività su tale sistema vanno ad influire.

10 Sono dunque suscettibili di essere “scavalcati” dalla legge ordinaria la libertà di coscienza, di pensiero, di espressione, di riunione e di associazione (art.2), i diritti alla libertà ed alla sicurezza personali (artt. 7-14) e il principio di uguaglianza (art.15). 11 Paolo Passaglia, La Giustizia Costituzionale in Canada, in Luther – Romboli – Tarchi (a

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Capitolo I

LA GIUSTIZIA COSTITUZIONALE IN CANADA PRIMA DELLA “PATRIATION”

1. Il British North America Act del 1867

Nel 1867 il Parlamento britannico emana un atto per mezzo del quale quattro province coloniali vengono accorpate in una Confederazione, denominata inizialmente “Dominion of Canada”. Ciò che normalmente accade quando varie province o regioni dotate di una propria autonomia vengono accorpate sotto un ente politico più vasto è che le varie realtà territoriali che si uniscono rinuncino a parte o alla totalità dei loro poteri legislativi ed esecutivi in favore del nuovo ente.

Ma, quando l'unificazione avviene a seguito di trattative tra regioni o province che volontariamente accettano di sottomettersi a un organismo superiore, diviene alquanto improbabile che queste accettino di rinunciare completamente alle loro attribuzioni.

È proprio a seguito di trattative e di una convergenza delle varie province verso l'idea di attuare un progetto comune, che prende vita l'esperienza canadese, poiché, “mentre la Confederazione veniva realizzata attraverso un atto del Parlamento inglese, l'assetto dell'ordinamento federale fu predisposto dai rappresentanti eletti dai governi provinciali della pre-confederazione”1.

Furono i vari governi provinciali, infatti, a stabilire se entrare a far parte della nuova Confederazione o meno. Al termine della

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discussione e dell'approvazione di una serie di risoluzioni, prese forma il British North America Act (ora Constitution Act) del 1867, attraverso il quale la Confederazione fu suddivisa in tre province: il New Brunswick, la Nova Scotia e il Canada, a sua volta suddiviso in due regioni, ossia l'Ontario e il Quebec (altresì definiti

Upper Canada e Lower Canada). L' Act prevede poi una procedura

per mezzo della quale è possibile annettere altre province, che si sono poi effettivamente unite alla Confederazione2.

Con l'emanazione del British North America Act, atto che formalmente ha rappresentato, fino al 1982, la Costituzione del Canada, il Parlamento di Westminster procedette a concedere lo

status politico di auto-governo alla colonia canadese, la quale

avrebbe acquisito autonomia e indipendenza interna nel Paese, pur legando la politica estera a quella dell'Impero britannico, come territorio facente parte del Commonwealth.

1.1. Il riparto delle materie tra Parlamento federale e legislatori provinciali e l'organizzazione giudiziaria (cenni)

Con il British North America Act, “lo Stato canadese si strutturava secondo un modello federale, che lasciava ampi margini di autonomia alle province, margini che sono andati restringendosi progressivamente”3.

Nella sezione 92 dell'Act vennero enumerate le materie che rimanevano, nonostante l'avvento della Confederazione, di

2 L'ultima delle 6 province entrate a far parte della Confederazione successivamente al

British North America Act fu il Newfoundland, nel 1949.

3 Paolo Passaglia, La Giustizia Costituzionale in Canada, in Luther – Romboli – Tarchi (a cura di), Esperienze di Giustizia Costituzionale, Torino, Giappichelli, 2000, 85.

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esclusiva competenza dei legislatori provinciali. Tra queste, le più importanti erano senza dubbio l'imposizione diretta, i diritti di proprietà ed i diritti civili nella provincia, l'istruzione (ad esclusione di alcune limitazioni ralative alle scuole confessionali), nonché tutte le materie di natura meramente locale.

Erano invece riservate al parlamento federale la disciplina del commercio e degli scambi, l'imposizione indiretta, la difesa militare, il sistema bancario, il matrimonio e il divorzio e il diritto penale e processuale.

Quanto al sistema giudiziario, i principi fondanti che andavano a determinarne il funzionamento (la maggior parte dei quali venne importata dal sistema inglese), vennero inseriti nelle sezioni 92 (14) e 96-101 dell'Act4.

In sintesi, venne delineato un sistema in cui la competenza relativa alla costituzione delle corti e all'organizzazione dell'ordinamento giudiziario era divisa tra potere federale e Province, con una posizione di preminenza, però, riservata al primo, in quanto venne riservato al governo federale il potere di nomina dei giudici delle corti provinciali. Spettava poi al Parlamento federale, in base alla sezione 101, il potere di istituire “una Corte d'appello generale del Canada” e “qualsivoglia Corte aggiuntiva, ai fini di una migliore amministrazione della giustizia”. Utilizzando la prima disposizione fu creata la Corte suprema (Supreme Court Act, 1875), mentre utilizzando la seconda si diede vita alla Corte federale. Sempre il governo federale si occuperà di nominare i giudici di entrambe le

4 Sul tema, v., in particolare, R.J. Sharpe, Ordinamento giudiziario e giustizia

costituzionale, in L'ordinamento Costituzionale del Canada, Torino, Giappichelli, 1997,

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corti.

Principio fondamentale del sistema giudiziario canadese è quello della “centralità” delle corti superiori provinciali, le quali esercitano la propria giurisdizione su tutti i tipi di cause e possono scegliere se applicare il diritto provinciale o federale.

Tutte e dieci le Province sono dotate di organi giudiziari di primo grado e di appello. Giudicano in primo grado le Provincial courts e le Superior Courts: le prime si occupano dei reati minori, le seconde delle controversie di maggior rilievo5.

Chi intende impugnare una sentenza di questi organi deve rivolgersi alle corti provinciali d'appello (Provincial Courts of

Appeal), mentre il ricorso contro una decisione di queste ultime

deve essere presentato alla Corte suprema del Canada.

1.2. Il significato del British North America Act

Non v'è dubbio circa il fatto che il British North America Act, oltre a rappresentare lo storico atto per mezzo del quale il Dominion venne ad esistenza, e ad essere rimasto sino ad oggi (insieme con i vari atti che lo seguirono e che portano lo stesso nome) parte integrante della Costituzione del Canada, consentì alla Confederazione, nonché alle province, di emanare provvedimenti legislativi efficaci sul territorio coloniale, e di organizzarsi con un certo grado di autonomia.

Nonostante ciò, fondati sono i dubbi che emergono circa il raggiungimento, attraverso l'atto in questione, di una effettiva

5 Queste esercitano, inoltre, il controllo di costituzionalità sugli atti delle agenzie amministrative, e sono competenti a giudicare in appello sulle decisioni dei giudici provinciali.

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autonomia legislativa da parte del Canada.

L'atto del 1867, infatti, lasciava inalterate talune disposizioni contenute all'interno di un precedente provvedimento adottato dal parlamento di Westminster, il Colonial Laws Validity Act, 1865 (tuttora valido, anche se non per il Canada), il quale affermava, in modo chiaro e sintetico, che qualsiasi atto emanato nella colonia che fosse in contrasto con una legge della madrepatria era da considerarsi “absolutely void and inoperative”6.

Rimaneva forte, dunque, il legame tra il Parlamento federale (e le assemblee provinciali) e il Parlamento inglese, e ciò proprio perchè qualsiasi legge il Parlamento di Ottawa o le assemblee provinciali decidessero di approvare, doveva sempre e comunque passare un vaglio di legittimità, che aveva come parametro di riferimento il diritto della madrepatria.

1.3. Lo Statute of Westminster

Fu solo nel 1931, con l'approvazione dello Statute of Westminster, che venne esclusa l'applicazione ai dominions del Colonial Laws

Validity Act. La conseguenza di tale esclusione fu in sostanza “una

restrizione in termini di estensione delle fonti sovra-legislative, restrizione che aveva l'effetto di privare le corti del potere di censurare le leggi per violazione dei diritti individuali, giacchè nel

British North America Act non figuravano disposizioni

contenutisticamente inquadrabili all'interno di un bill of rights”7.

Se da un lato, dunque, il Dominion del Canada recideva in parte lo

6 Colonial Laws Validity Act, 1865, 28 & 29 Vict., c. 63.

7 Paolo Passaglia, Modello inglese vs. modello statunitense nell'edificazione del sistema

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stretto legame che lo vedeva sottoposto alla legislazione vigente nella madrepatria, e da Dominion diveniva formalmente uno Stato sovrano, dall'altro si profilava un quadro giuridico in un certo senso incompiuto, data l'assenza di una fonte superiore alla legge che contenesse un catalogo dei diritti cui far riferimento per garantire una tutela effettiva.

Unico atto che potesse fungere da parametro di legittimità delle leggi emanate all'interno del Canada, era il British North America

Act, il quale si preoccupava quasi esclusivamente di ripartire le

competenze tra la Federazione e le varie province. Ne deriva che, nonostante si fosse sviluppato un sistema che può essere definito di judicial review, e che già di per sé aveva significato un certo allontanamento del diritto canadese dalla dottrina inglese della supremazia del Parlamento, tale controllo di costituzionalità si limitava, in sostanza, a garantire il rispetto delle competenze così come erano state suddivise tra Federazione e province nel British

North America Act del 18678.

2. Il Canadian Bill of Rights

Il quadro che si profilava era quindi il seguente: uno Stato federale, con competenze ripartite tra Federazione e Province, la cui Costituzione era rappresentata da un atto legislativo ordinario emanato dal Parlamento della ex-madrepatria (e che in ragione di ciò prevaleva sulle leggi emanate dal Parlamento federale e dai Parlamenti delle varie province) e privo di una carta dei diritti

8 T. Groppi - L. Luatti, La Corte Suprema del Canada, “custode della Costituzione”:

alcune considerazioni sulla sua composizione e sulla procedura del controllo di costituzionalità, in Politica del Diritto, 1997, 217 e ss.

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fondamentali, divenuto, a seguito dell'emanazione dello Statute of

Westminster, l'unico parametro cui le corti avevano la possibilità di

riferirsi nel giudicare la legittimità di una legge federale o provinciale. La Corte Suprema del Canada tentò di sopperire alla totale assenza di una carta contenente dei diritti fondamentali, e lo fece attraverso una teoria, definita dell'“implied bill of rights”, che sostanzialmente affermava la vigenza, sul territorio del Canada, di una Costituzione nei principi simile a quella esistente nel Regno Unito.

La teoria in discorso fu utilizzata soprattutto in relazione ai diritti fondamentali connessi alla libertà d'espressione, ma non si affermò mai in modo definitivo e mostrò in varie occasioni i suoi limiti. Fu allora lo stesso legislatore federale, nel 1960, a tentare di sopperire all'assenza di una Carta dei diritti, attraverso l'emanazione del Canadian Bill of Rights.

Fu proprio questo, ad opinione di Gardbaum9, il primo passo

attraverso il quale un Paese del Commonwealth tentò di conciliare il principio della parliamentary sovereignty con la necessità di garantire i diritti fondamentali. Tale tentativo, però, si rivelò ben presto fallimentare, e ciò per varie ragioni che verranno brevemente qui esposte.

Innanzitutto il legislatore federale, nell'emanare il Canadian Bill of

Rights, non si preoccupò di specificare quale dovesse essere il

comportamento delle Corti nel caso in cui una legge non potesse essere interpretata in modo conforme ai diritti affermati all'interno della Carta. In sostanza, non era ben chiaro se le Corti avrebbero

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dovuto applicare la legge in questione o invalidarla. Ad ogni modo, furono estremamente rari i casi in cui la Corte Suprema si orientò nel senso di disapplicare una legge poiché incompatibile con una disposizione contenuta nel Canadian Bill of Rights10.

Oltre a quanto esposto, il motivo comunemente considerato alla base del fallimento del Canadian Bill of Rights è rinvenuto nella tendenza che le Corti ebbero ad interpretare questo catalogo dei diritti “through the traditional lens of parliamentary sovereignty,

thereby limiting the scope and effectiveness of the rights protected”11.

Tale tendenza si consolidò proprio perché, nella maggior parte dei casi, i tribunali decisero di non ritenere la disciplina contenuta nel

Canadian Bill of Rights vincolante per il legislatore successivo: ciò

in ragione del suo status di legge ordinaria, ed in quanto tale destinata ad essere “scavalcata” dalle leggi successive con essa contrastanti, in virtù del principio cronologico di risoluzione delle antinomie.

Pare evidente, dunque, come una tale situazione fosse ben lontana dal poter offrire una effettiva garanzia dei diritti fondamentali. Il flebile tentativo, contenuto nella section 2 del Bill e consistente nell'obbligo imposto ai giudici di interpretare e applicare qualsiasi legge del Canada in modo tale da non violare alcuno dei diritti riconosciuti nella carta o da ridurne la portata, non ha reso il

10 Unica norma che, nei primi 10 anni di vita del Canadian Bill of Rights, la Corte Suprema decise di rendere “inoperative”, fu quella contenuta nella Section 94 dell' Indian Act, 1952, la quale prevedeva una figura di reato rivolta esclusivamente alle persone di nazionalità indiana. La norma in questione fu ritenuta illegittima poiché in conflitto con il principio di uguaglianza davanti alla legge contenuto nel Canadian Bill of Rights.

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Canadian Bill of Rights “una fonte capace di ergersi al di sopra del

fluire della legislazione ordinaria”12.

La volontà di vincolare il legislatore al rispetto di un catalogo di diritti fondamentali dovette cedere di fronte all'inadeguatezza del mezzo utilizzato per raggiungere tale scopo. Ed ai giudici canadesi non restava che rimanere arbitri, per lo più, delle questioni di competenza che vedevano fronteggiarsi lo Stato centrale e le varie province.

3. Una forma primordiale di judicial review

A conclusione di quanto constatato in questa breve analisi della nascita e delle prime fasi dell'esperienza costituzionale del Canada, sembra opportuno porre l'accento su alcuni punti che si ritiene meritino attenzione.

Abbiamo osservato in più occasioni come il Dominion del Canada ebbe origine attraverso l'approvazione di un atto proveniente dal Parlamento londinese, ciò che ha significato, come è ovvio, una forte compenetrazione di elementi ed una evidente consonanza tra colonia e madrepatria quanto agli assetti istituzionali, pur considerando le diversità in gran parte dovute alla natura federale del neo-Stato.

Ma, proprio in questo dato, si annida una differenza che fin da subito ha contraddistinto l'esperienza costituzionale canadese da quella della madrepatria. L'atto legislativo per mezzo del quale si procedette alla creazione del Canada, infatti, in quanto proveniente

12 Paolo Passaglia, Modello inglese vs. modello statunitense nell'edificazione del sistema

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da Westminster, si pose, all'interno del Dominion, al vertice della gerarchia delle fonti, costituendo il parametro di legittimità delle leggi emanate dal Parlamento di Ottawa e dai legislatori provinciali. Non deve dimenticarsi, inoltre, che già nel periodo precedente all'emanazione del British North America Act, il

Colonial Laws Validity Act del 1865 ancorava l'“operatività” delle

leggi delle colonie al rispetto del diritto politico proveniente dalla madrepatria.

È innegabile che gli atti posti in essere dalle autorità canadesi sono sempre stati oggetto di un controllo giurisdizionale, data, fin da subito, l'esistenza di fonti che si ponevano al di sopra della legge del Canada, e che affidavano alle corti il potere/dovere di invalidare le leggi in contrasto con esse; fonti che, peraltro, non potevano essere modificate da nessuna autorità canadese, stante l'assenza di previsioni relative a meccanismi di revisione costituzionale all'interno delle stesse.

Pare potersi affermare, dunque, che il sistema costituzionale canadese è stato caratterizzato, fin dall'inizio, da meccanismi che possono essere latamente definiti di judicial review, i quali escludevano una adesione integrale al principio della

parliamentary sovereignty, se considerato nella sua forma

originaria.

A ciò si aggiunga, sebbene si sia già discusso circa la negatività del suo esito, il tentativo, già nel 1960, di conferire valore sovra-legislativo ad un catalogo dei diritti fondamentali per mezzo dell'approvazione del Canadian Bill of Rights, allo scopo di

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condizionare e in qualche modo circoscrivere i limiti dell'attività del legislatore.

È possibile rinvenire, in questi elementi, gli embrioni di un sistema costituzionale caratterizzato da un certo grado di “rigidità”, e da una certa tendenza a cercare di sottrarre i diritti fondamentali dalla disponibilità del legislatore ordinario.

Sarà tuttavia soltanto nel 1982, anno del “rimpatrio” della Costituzione, che il sistema di giustizia costituzionale del Canada troverà, almeno sulla carta, il suo assetto definitivo.

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Capitolo II

LA “PATRIATION” DELLA COSTITUZIONE CANADESE 1. Premessa

Abbiamo avuto modo di osservare, nel capitolo precedente, che l'ordinamento giuridico del Canada recava in se alcune problematiche ed alcune lacune, rappresentate, in sintesi, a) dal fatto che la legge fondamentale del Dominion consisteva in un atto di legge ordinaria del Parlamento inglese, circostanza che impediva al Canada di recidere in modo definitivo i legami coloniali con il Regno Unito, b) dalla totale assenza, nel British

North America Act, di previsioni normative che stabilissero

meccanismi di revisione costituzionale, c) dalla mancanza di un catalogo dei diritti fondamentali di rango costituzionale che fungesse da limite nei confronti dell'attività del legislatore federale e dei legislatori provinciali.

Tutto ciò, oltre ad impedire al Canada di ottenere una effettiva indipendenza dal Parlamento inglese, rendeva il sistema costituzionale canadese incompiuto, e soprattutto incapace di assolvere ad una delle funzioni più importanti della giustizia costituzionale, ossia l'effettiva tutela dei diritti fondamentali dei cittadini.

Fu così che, a seguito di una risoluzione del Parlamento di Ottawa (cui si giunse al termine di lunghe trattative che videro fronteggiarsi soprattutto la Federazione e le rivendicazioni nazionalistiche del Quebec) e con l'approvazione del Parlamento

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inglese, venne emanato, nel 1982, il Canada Act.

Si compì in tal modo la c.d. “patriation” della Costituzione canadese. Viene utilizzato il termine “rimpatrio” poiché la Costituzione del Canada “per la prima volta dalla nascita della Confederazione, nel 1867, è stata sottratta, anche formalmente, ad ogni interferenza del Parlamento di Westminster”1. Il processo di

emancipazione dalla madrepatria poté finalmente dirsi compiuto. Con tale atto si riconosce al British North America Act, ai suoi emendamenti, e al Constitution Act (che costituisce l'allegato B dello stesso Canada Act) il valore di legge suprema del Paese.

2. Il Constitution Act del 1982

L'approvazione del Constitution Act, proclamata ad Ottawa il 17 aprile 1982, rappresenta, come già osservato, uno spartiacque nella storia della giustizia costituzionale del Canada. A seguito di tale evento, “il Canada può dirsi, dal punto di vista formale, dotato di una Costituzione gerarchicamente sovraordinata a tutte le altre fonti dell'ordinamento”2.

Tale affermazione è corroborata da tre elementi che si accompagnano all'adozione dell'Act, e che rappresentano una assoluta novità per l'ordinamento canadese, ossia l'affermazione della supremacy clause, l'inserimento nella Costituzione della

Canadian Charter of Rights and Freedoms e l'introduzione di

regole nuove per la revisione costituzionale.

1 T. Groppi – L. Luatti, op.cit., 215.

2 C. Drigo, La Giustizia Costituzionale in Canada, in Mezzetti (a cura di), Sistemi e

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2.1. La “supremacy clause”

Inserita nella Section 52 [1] del Constitution Act, la Supremacy

Clause chiarisce in modo esplicito quelli che sono i rapporti tra

fonti costituzionali e fonti ordinarie, autorizzando i giudici a disapplicare una legge incompatibile con la Costituzione. La disposizione ha generato diatribe interpretative, che hanno visto fronteggiarsi orientamenti più rigorosi, i quali ritengono sussistere in capo ai giudici un vero e proprio dovere di disapplicare la legge in contrasto con la Costituzione, e orientamenti più blandi, i quali sostengono la necessità di procedere ad una attenta analisi degli interessi in gioco di volta in volta.

Dottrina e giurisprudenza sono, ad oggi, prevalentemente orientate nel senso di sostenere l'interpretazione più restrittiva, e nel ritenere dunque le Corti “obbligate” a dichiarare l'incostituzionalità di una legge in contrasto con la Costituzione, sebbene ciò non abbia impedito agli organi giurisdizionali di creare tecniche decisorie atte ad evitare, quando possibile, pronunce “secche” d'incostituzionalità3.

Ad ogni modo, tale dato non svilisce la portata di una clausola che sancisce in modo chiaro la superiorità della Costituzione sia sugli atti legislativi emanati dal Parlamento federale, sia sugli atti legislativi adottati dalle assemblee provinciali.

3 Come, ad esempio, le dichiarazioni di illegittimità parziale, o la tecnica del reading down. Sul tema v. R. J. Sharpe, Ordinamento Giudiziario e Giustizia Costituzionale in

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2.2. La “Canadian Charter of Rights and Freedoms”

Altro evento fondamentale, verificatosi contestualmente all'approvazione del Costitution Act, consiste nell'inserimento, all'interno dell'atto stesso, di una Carta dei diritti e delle libertà. Il percorso che ha portato all'adozione, da parte del Canada, di un

bill of rights di rango costituzionale, non è stato affatto semplice.

Fallito, come abbiamo visto, il primo tentativo, rappresentato dall'adozione del Canadian Bill Of Rights nel 1960, la questione torna a farsi viva sul finire degli anni settanta, soprattutto a seguito delle forti pressioni derivanti dal desiderio di adeguare il livello di protezione dei diritti fornito dalla legislazione nazionale a quello garantito dalle organizzazioni internazionali. Fu così che la nuova Carta dei diritti venne inserita all'interno del progetto di “rimpatrio” della Costituzione canadese.

Tuttavia, tale progetto dovette fare i conti con il forte disaccordo delle Province, le quali vedevano, nell'inserimento di una Carta dei diritti fondamentali all'interno della Costituzione, una grave minaccia per la loro autonomia legislativa. Delle dieci Province facenti parte della Confederazione, solo l'Ontario e il New Brunswick appoggiarono il disegno federale, mentre le altre otto si dichiararono contrarie alla Charter, affermando l'incostituzionalità dell'iniziativa del Governo federale, il quale, a loro avviso, non aveva l'autorità per proporre emendamenti costituzionali al Parlamento di Westminster senza aver prima ottenuto il consenso delle Province.

Della questione fu investita, in sede di reference4, la Corte 4 Particolare procedura che, come vedremo più approfonditamente in seguito, consente al

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Suprema, la quale riconobbe la legittimità costituzionale dell'iniziativa governativa, ma allo stesso tempo rilevò la vigenza di una consolidata convenzione costituzionale che affermava la necessità di un consenso sostanziale delle Province al progetto di riforma federale5. Tale decisione della Corte determinò una

riapertura delle trattative, al termine delle quali il Governo federale e tutte le Province, ad eccezione del Quebec, convennero sull'inserimento di un catalogo dei diritti all'interno della nuova Costituzione del Canada. Il prezzo da pagare, per il Governo federale, fu la cosiddetta “notwithstanding clause”, clausola derogatoria che rappresenta un unicum nel panorama costituzionale attuale, la quale, come vedremo più approfonditamente in seguito, consente al Parlamento federale, nonché alle assemblee legislative provinciali, di emanare un atto legislativo in deroga ad alcuni dei diritti sanciti all'interno della Carta. Oltre ad un limite di carattere contenutistico, il Costituente ne ha previsto un altro, di carattere temporale, in base al quale l'applicazione della notwithstanding clause non può avere durata superiore ai cinque anni.

Sull'importanza ed il peso effettivamente esercitato da tale clausola torneremo nel seguito della trattazione. Basti per il momento sottolineare che, sebbene da un punto di vista prettamente teorico la clausola in questione presenti profili di grande interesse, da un

Parlamento federale o all'esecutivo di investire la Corte Suprema per ottenere una

advisory opinion su importanti questioni relative all'interpretazione della Costituzione. La

stessa procedura può essere attivata dalle province presso le rispettive Corti provinciali d'appello. Le decisioni di queste ultime sono impugnabili davanti alla Corte Suprema. 5 Re: Resolution to Amend the Constitution (1981) I SCR 753, conosciuta anche come

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punto di vista pratico essa ha conosciuto un utilizzo quanto mai raro.

L'adozione della Charter, è innegabile, conferendo status costituzionale ai diritti contenuti nella prima parte (precisamente nelle Sezioni 1-34) del Constitution Act del 1982, ha rappresentato un punto di svolta sostanziale per la giustizia costituzionale canadese ed un elemento di cesura nei confronti della tradizione anglosassone.

Inoltre, pur essendosi posta come fonte d'ispirazione per le successive Carte dei diritti adottate in Nuova Zelanda e nel Regno Unito, si distingue da queste per un dato non trascurabile: il valore sovra-legislativo della Carta, che consente alle Corti canadesi di disapplicare le norme di legge incompatibili con i diritti ivi contenuti. Non può dirsi altrettanto con riguardo agli altri due ordinamenti del Commonwealth, nei quali il Bill of Rights mantiene la veste di legge ordinaria, consentendo, al massimo, agli organi giudiziari di far presente al legislatore la sussistenza di un'incompatibilità tra un atto legislativo e una disposizione contenuta nel Bill, ma certo non di rendere l'atto legislativo “inoperative”.

2.3. Il procedimento di revisione costituzionale

Terzo fondamentale elemento di novità, intervenuto a seguito dell'approvazione del Constitution Act del 1982, consiste nel “rimpatrio” del potere di revisione costituzionale.

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Canada era rappresentata dal British North America Act (1867), un atto legislativo ordinario proveniente dal Parlamento del Regno Unito, atto che non conteneva al suo interno alcuna procedura di revisione costituzionale. Qualsiasi cambiamento si intendesse apportare alla Costituzione del Canada doveva operarsi, quindi, per mezzo di un atto del Parlamento britannico, unico organo abilitato a modificare il British North America Act.

Un timido tentativo di conferire alla Federazione il potere di modificare la propria Costituzione fu esperito nel 1949, quando con il British North America Act (No. 2) venne attribuita al Parlamento federale la competenza di emendare alcune limitate materie costituzionali. Da questo “rimpatrio” rimasero tuttavia escluse vaste aree costituzionali6, ciò che consente di affermare

che la problematica dell' “amending power” rimase sostanzialmente irrisolta. In conclusione, “quando il Canada abbisognava di una innovazione costituzionale, anche modesta, doveva pur sempre sottoporre il disegno o progetto di legge a

Westminster e ottenere da quel parlamento un voto favorevole”7.

Solo con il Constitution Act del 1982 l'amending power può effettivamente dirsi “rimpatriato” nell'ordinamento canadese. La parte V dell'Act infatti si occupa di regolare la disciplina della revisione costituzionale, avvalendosi di varie procedure emendative (a seconda della materia sulla quale la modifica pretende di intervenire) riconducibili, convenzionalmente, a tre

6 Tra le quali, particolarmente importanti, quelle relative alle attribuzioni esclusive delle assemblee legislative provinciali e i “diritti e privilegi” attribuiti da un Atto costituzionale all'assemblea legislativa o al governo di una Provincia.

7 A. Reposo, Sul “rimpatrio” dell'amending power nell'ordinamento costituzionale

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tipi.

Il primo tipo prescrive la deliberazione del Parlamento federale e quella di almeno due terzi delle assemblee legislative provinciali, purché le rispettive province rappresentino almeno il cinquanta per cento del totale della popolazione Canadese. Questo tipo di procedura si utilizza per le materie non altrimenti disciplinate dalla Costituzione e per sei materie espressamente previste, ovvero la rappresentanza proporzionale delle Province alla Camera dei Comuni; i poteri del Senato e il metodo di selezione dei senatori; il numero dei Senatori per ciascuna Provincia; la Corte Suprema (ad eccezione delle norme riguardanti la sua composizione); alcune modifiche territoriali; la creazione di nuove Province. Un accenno merita il particolare istituto cosiddetto dell'“opting out”, che consente ai legislativi provinciali di opporsi espressamente all'emendamento approvato: in tal modo l'emendamento entra in vigore nelle restanti Province, ma non in quella che lo ha esplicitamente rifiutato.

Il secondo tipo, consistente in una procedura aggravata, prevede la deliberazione del Parlamento federale e di tutti i legislativi provinciali. Tale formula è richiesta in cinque casi specifici, per gli emendamenti che andrebbero a interessare a) la Corona, il Governatore generale, i Vice Governatori, b) l'esistenza giuridica delle Province, garantendo ad esse un certo numero di deputati, c) l'uso dell'inglese o del francese, d) la composizione della Corte Suprema, e) la revisione delle procedure emendative.

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situazione giuridica e politica delle singole Province, richiede la deliberazione del Parlamento federale e dell'assemblea legislativa della Provincia interessata.

Questa breve schematizzazione8 dei procedimenti di revisione

previsti dalla Costituzione canadese serve, in questa sede, a porre l'accento su un profilo di particolare rilevanza ai fini della trattazione: dalle procedure aggravate richieste dalla parte V del

Constitution Act del 1982, infatti, si evince in modo

incontrovertibile la rigidità del testo costituzionale canadese. I procedimenti emendativi, come abbiamo visto, richiedono, oltre all'approvazione da parte del Parlamento federale, come minimo la deliberazione dei due terzi delle assemblee legislative provinciali che rappresentino non meno della metà della popolazione delle Province nella loro totalità. Per alcune materie, invece, è addiritturà concesso un diritto di veto agli organi decentrati, essendo richiesta, per procedere alla revisione costituzionale, l'unanimità di consensi da parte dei vari legislativi provinciali. L'assetto federale del Canada, e soprattutto la grande opposizione delle Province incontrata dal Governo federale nel suo tentativo di far approvare il progetto di “rimpatrio” della Costituzione, ha fatto si che l'accordo potesse essere raggiunto attraverso l'adozione di procedure di revisione costituzionale che prevedono una partecipazione diretta (e non mediata attraverso l'attività della seconda camera del Parlamento federale9), delle varie Province.

8 Per un approfondimento v. Nino Olivetti Rason, Canada, 1982-1992: come non si

modifica la Costituzione, in Quaderni Costituzionali, 1993, 325 ss.

9 Sul tema v. T. Groppi, La revisione costituzionale negli Stati decentrati, tra pluralismo

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Questo comporta la necessità, qualora un organo dotato del potere d'iniziativa (e cioè il Senato, la Camera dei Comuni o le Assemblee legislative provinciali) decida di proporre una modifica alla Carta fondamentale, che il progetto di revisione ottenga consenso sia all'interno del Parlamento federale sia tra i vari legislativi provinciali, cosa niente affatto semplice in un ordinamento federale connotato da forti spinte centrifughe e da entità territoriali molto diverse tra loro.

Ciò che si verificò attraverso la patriation fu, in sostanza, oltre alla nascita di un catalogo dei diritti fondamentali di rango costituzionale, una modificazione del fondamento della rigidità costituzionale canadese: a partire dal 1982, la rigidità della Costituzione del Canada deriva dalla previsione di procedure aggravate e che coinvolgono organi federali e provinciali per la revisione di determinate leggi, e non più dalla circostanza che tali leggi provenivano dal Parlamento di Westminster, e che dunque solo attraverso un atto di tale organo potevano subire delle modifiche.

3. Una Costituzione lunga, rigida e garantita

Sulla scorta di quanto sino ad ora rilevato, non sembra azzardato definire la Costituzione del Canada, così come si presenta a seguito della patriation, una Costituzione lunga, rigida e garantita.

Lunga, in quanto non si limita a disciplinare la materia

strettamente costituzionale, ma contempla anche i principi fondamentali dello Stato cui l'attività dei poteri deve uniformarsi e

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i diritti fondamentali dei cittadini, per mezzo della Canadian

Charter of Rights and Freedoms.

Rigida, poiché le disposizioni della stessa non possono essere

modificate o abrogate se non attraverso procedure diverse e più complesse (aggravate) rispetto a quelle previste per procedere all'approvazione, modifica o approvazione delle leggi ordinarie.

Garantita, dato il potere di judicial review attribuito agli organi

giudiziari, i quali sono tenuti a disapplicare le leggi, sia federali che provinciali, qualora queste siano incompatibili con una disposizione costituzionale.

È lo stesso Gardbaum10, sostenitore dell'appartenenza del Canada

al cosiddetto new Commonwealth model of constitutionalism, e dunque a quei sistemi di giustizia costituzionale definiti da Tushnet

weak-form of judicial review, ad ammettere l'adesione della Carta

costituzionale canadese alle caratteristiche essenziali del modello americano di strong-form of judicial review.

4. La “notwithstanding clause”

Detto ciò, in un quadro costituzionale che sino a questo punto pare caratterizzato da un elevato grado di rigidità, non si può certo ignorare quella previsione, peculiare della Carta fondamentale canadese, contenuta nella sua Section 33, nota con il nome di “notwithstanding clause”, dalla quale gran parte dei detrattori della rigidità del sistema costituzionale canadese fanno dipendere, in

10 “ [...] the Constitution Act adopts all the essential features of the American model: (1)

fundamental rights enjoyng the status of supreme law, (2) entrenched against amendment or repeal by ordinary legislative majority, and (3) enforced by courts granted the power of judicial review.”, op.cit.,723.

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sostanza, la “debolezza” dello stesso.

La Section 33 del Constitution Act, inserita a chiusura delle disposizioni facenti parte della Charter of Rights and Freedoms, afferma quanto segue:

“(1) Parliament or the legislature of a province may expressly

declare in an Act of Parliament or of the legislature, as the case may be, that the Act or a provision thereof shall operate notwithstanding a provision included in section 2 or sections 7 to 15.

(2) An Act or a provision of an Act in respect of which a

declaration made under this section is in effect shall have such operation as it would have but for the provision of this Charter referred to in the declaration.

(3) A declaration made under subsection (1) shall cease to have

effect five years after it comes into force or on such earlier date as may be specified in the declaration.

(4) Parliament or the legislature of a province may re-enact a

declaration made under subsection (1).

(5) Subsection (3) applies in respect of a re-enactment made under

subsection (4)”.

La disposizione, in sostanza, autorizza il Parlamento federale, nonché le assemblee legislative provinciali, a dichiarare espressamente, al momento dell'emanazione di un atto legislativo ordinario, che lo stesso andrà ad esplicare i suoi effetti nonostante quanto previsto dalle sezioni 2 e da 7 a 15 del Constitution Act. In questo modo, l'atto emanato in forza della Section 33, non potrà

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essere dichiarato inoperative per mezzo di una pronuncia che assuma come parametro di legittimità le suddette disposizioni costituzionali.

Al comma 3, è previsto che la notwithstanding clause mantenga la sua efficacia per un periodo massimo di 5 anni, allo spirare del quale, dunque, l'atto torna ad essere suscettibile di una declaratoria d'incostituzionalità ad opera delle Corti; il comma 4, poi, consente all'organo federale o provinciale di rinnovare l'efficacia della clausola, in tal modo rendendo nuovamente l'atto, sempre per un periodo di 5 anni, immune da qualsivoglia pronuncia di incostituzionalità fondata sulle disposizioni costituzionali di cui al comma 1.

È quindi consentito, in tal modo, ad uno qualsiasi degli undici legislatori canadesi, “sospendere” l'efficacia di una parte della Costituzione, al fine di garantire efficacia ad una legge che potrebbe entrare in collisione con i diritti e le libertà sanciti dalla sezione 2 e dalle sezioni che vanno dalla 7 alla 15 della Charter.

4.1. Le ragioni politiche dietro all'adozione della “notwithstanding clause”

Una tale disposizione costituzionale potrebbe sembrare in qualche modo “stonata”, se osservata come parte di quel grande disegno costituzionale rappresentato dalla patriation. Perché, verrebbe da chiedersi, adottare un Bill of Rights che, consentendo di mettersi alle spalle decenni di insuccessi nell'effettiva protezione dei diritti fondamentali11, avrebbe finalmente messo le Corti in condizione di

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divenire garanti di tali diritti, e, allo stesso tempo, inserire all'interno della Costituzione una clausola che consente ai Parlamenti di legiferare “scavalcando” parte delle disposizioni poste proprio a protezione dei fundamental rights?

La risposta a tale questito va ricercata non in una qualche indecisione del costituente, in un'incertezza circa la scelta definitiva di abbandonare la dottrina della parliamentary

sovereignty per abbracciare un modello strong-form of judicial review, bensì nella complessità dei rapporti che intercorrono tra

enti decentrati e Federazione, e soprattutto nelle tendenze autonomiste delle Province.

La Section 33 può essere considerata come il risultato di un compromesso politico tra il Primo Ministro Trudeau, e i primi ministri delle varie Province, raggiunto al termine del cosiddetto “Kitchen accord”. I motivi alla base del disaccordo tra Federazione e Province circa il progetto di “rimpatrio” della Costituzione di Trudeau vertevano sostanzialmente su due temi fondamentali: le procedure emendative che sarebbero state previste nella nuova legge fondamentale canadese, da un lato, e l'adozione della Charter of Rights and Freedoms, dall'altro. La già citata pronuncia della Corte Suprema, la quale rilevò la possibilità per il Parlamento federale di procedere in via autonoma alla patriation, ma allo stesso tempo affermò la vigenza di una convenzione costituzionale circa la necessità di un consenso da parte delle

della patriation, affermando che l'unica domanda che le corti potevano porsi era “which

jurisdiction, federal or provincial, should have the power to work the injustice, not whether the injustice should be prohibited completely”, Constitutional Law of Canada

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Province, suggerì una riapertura delle trattative. Giunti a questo punto, “la consapevolezza di aver perduto la partita da parte delle Province, e l'opportunità di raccogliere il maggior consenso possibile attorno al pacchetto da parte di Trudeau hanno fatto sì che alcune misure contenute nello stesso venissero fortemente annacquate attraverso formule dilatorie o elusive”12.

Fu così che le forti riserve mostrate dalle Province circa l'adozione di un catalogo dei diritti fondamentali di rango costituzionale che avrebbe causato, con ogni evidenza, uno “scivolamento” di potere dai parlamenti provinciali agli organi giudiziari, furono sciolte grazie alla formula elusiva contenuta nella Section 33. L'accordo venne poi trovato anche con riguardo all' amending formula, della quale abbiamo già detto in precedenza.

Il pacchetto di Trudeau ottenne l'approvazione di nove Ministri, ossia tutti tranne il Primo Ministro del Québec, René Levésque, il quale con il suo Governo rifiuterà di approvare la patriation.

A conferma di quanto sinora osservato, vi è una celebre affermazione del Ministro della Giustizia Jean Chrétien, il quale asserì, a proposito della notwithstanding clause, “Canada

probably wouldn't have had any charter without it”13.

4.2. L'utilizzo dell'override power

Nonostante il grande valore che la Section 33 detiene, sia da un punto di vista politico che da un punto di vista prettamente giuridico, il suo utilizzo da parte dei legislativi provinciali è stato

12 F. Lanchester, La “Patriation” della Costituzione canadese: verso un nuovo federalismo? in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 1983, 345 ss.

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quanto mai raro; il Parlamento nazionale non ne ha anzi mai fatto uso.

Come sottolineato da Peter Hogg, “seven of the ten provinces and

two of the three territories have never used the power of override; nor has the federal parliament”14.

La prima volta in cui una Provincia o un Territorio del Canada ha invocato la clausola è stato nel 1982: lo Yukon ne ha fatto uso per procedere all'approvazione del Land Planning and Development

Act, atto che, peraltro, non entrò mai in vigore.

Vi è poi il caso del Québec, unica Provincia contraria sino all'ultimo all'adozione della Charter e a non aver avallato la

patriation della Costituzione canadese. Si spiega in tal senso

l'invocazione della notwithstanding clause da parte della Provincia francofona nel 1982, in relazione a tutte le leggi che sarebbero state approvate da quel momento in poi.

Tale comportamento rappresentò evidentemente una sfida alle istituzioni federali, le quali avevano proceduto al “rimpatrio” della Costituzione canadese senza il consenso del Quebéc, ma già nel 1987, quando salì al potere il partito liberale, la situzione si calmò e l'“abuso” della notwithstanding clause cessò immediatamente. L'override power fu nuovamente utilizzato dal Quebéc nel dicembre del 1988, con l'emanazione del Bill 178, legge che aveva lo scopo di limitare l'apposizione di insegne commerciali in lingue diverse dal francese, “scavalcando” le disposizioni della Charter

of Rights and Freedoms in materia di libertà di espressione15.

14 Peter Hogg, Constitutional Law of Canada. Student Edition, 2007, 842.

15 L'assemblea legislativa del Quebéc reagì in questo modo alla decisione della Corte Suprema nel celebre caso Ford V. Quebéc, nel quale la Corte dichiarò l'illegittimità

(38)

Tuttavia, cinque anni più tardi, dopo le forti critiche ricevute dallo

United Nations Human Rights Commettee, il Governo Bourassa

riscrisse la legge in conformità con quanto stabilito dalla Charter, e la notwithstanding clause fu rimossa.

Gli altri due casi in cui la Section 33 è stata invocata dalle Province sono quello del Saskatchewan, nel 1988, quando la clausola fu utilizzata per ordinare di porre fine a uno sciopero generale, scavalcando la libertà di associazione dei lavoratori sancita nella Carta dei diritti, e quello dell'Alberta, nel 2000, caso in cui, peraltro, la clausola fu apposta ad una legge che la Provincia non aveva la competenza ad emanare, essendo la materia riservata al Parlamento federale.

5. La Section 33: ago della bilancia?

Quanto esposto in questo capitolo è servito a dare un quadro generale degli strumenti di cui le Corti canadesi dispongono per poter attuare il controllo di costituzionalità delle leggi.

Abbiamo dapprima analizzato gli elementi che, da un punto di vista “statico”, consentono di affermare la vicinanza del modello canadese ai sistemi costituzionali caratterizzati da uno strong

judicial review, ovvero la Supremacy clause, la Canadian Charter of Rights and Freedoms, e la previsione di procedure aggravate per

la revisione costituzionale.

In questo contesto, tuttavia, non poteva non venire in considerazione la notwithstanding clause, contenuta nella Section

costituzionale del Bill 101, atto che imponeva l'uso del solo francese per le insegne commerciali.

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33 della Costituzione del Canada, formula elusiva che, almeno da un punto di vista prettamente formale, sembrerebbe rimettere in discussione gli obiettivi raggiunti con fatica attraverso la

patriation in tema di difesa dei diritti fondamentali e di rigidità

costituzionale.

L'ampio spazio dedicato al contenuto e alla storia di tale clausola è tornato utile, in questa sede, per porre l'accento sul fatto che l'override power, come in precedenza rilevato, consenta ai legislatori di disattendere solo alcuni dei diritti fondamentali enucleati all'interno della Canadian Charter of Rights and

Freedoms; il suo presentarsi come frutto di una scelta obbligata del

costituente al fine di raggiungere un compromesso con le Province circa il “rimpatrio” della Costituzione e l'adozione di una carta dei diritti fondamentali; il raro (se non rarissimo) utilizzo che tale potere sino ad oggi ha conosciuto. Tali elementi rappresentano senza dubbio un ostacolo non da poco per coloro i quali tentano di fare perno sulla presenza della section 33 allo scopo di affermare la debolezza del sistema di giustizia costituzionale canadese.

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Capitolo III

LA CORTE SUPREMA DEL CANADA E IL JUDICIAL REVIEW

1. Premessa

Abbiamo sinora analizzato l'esperienza costituzionale del Canada da un punto di vista dinamico, cercando di ripercorrere le varie tappe attraverso le quali la Costituzione canadese è giunta ad essere ciò che è oggi.

È necessario, a questo punto, cercare di determinare quanto, effettivamente, la legge fondamentale del Canada sia in grado di incidere nella protezione dei diritti fondamentali.

Un'analisi del genere non può prescindere da un approfondimento circa l'organo che della Costituzione canadese rappresenta il garante di ultima istanza, ossia la Corte suprema.

La nascita della Corte suprema del Canada risale al 1875, quando il legislatore federale, sulla base dell'attribuzione contenuta nella sez. 101 del British North America Act (1867)1, approvò il

Supreme and Exchequer Act, il quale, nonostante le varie

modifiche intervenute nel corso del tempo, rimane a oggi la fonte di riferimento per quanto riguarda l'organizzazione ed il funzionamento della Corte.

Il motivo per cui, probabilmente, il legislatore federale decise di provvedere all'istituzione della Corte suprema solo 8 anni dopo la nascita della Confederazione è rinvenibile nel fatto che una Corte

1 La section 101 prevedeva infatti la possibilità che il Parlamento federale “provide for the

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d'appello il Canada la aveva già: questa era rappresentata dal Privy

Council, un organo giurisdizionele i cui membri erano nominati

dalla Regina su proposta del Primo Ministro, e che esercitava la giurisdizione d'appello per tutte le colonie inglesi. Ed anche dopo l'istituzione della Supreme Court, l'organo giurisdizionale di ultima istanza rimase il Privy Council fino al 1949, anno in cui il potere di quest'ultimo quale giudice d'appello fu abolito: “è stato soltanto con l'abolizione del controllo, in ultimo grado, del Privy Council, che la Corte suprema è venuta a porsi al vertice del potere giudiziario, configurandosi quale interprete finale di tutte le leggi canadesi, federali o provinciali che siano”2.

2. La questione circa la natura costituzionale o meno della

Supreme Court

Come precedentemente sottolineato, fu il legislatore federale ad istituire la Corte suprema del Canada, e lo fece attraverso un atto legislativo ordinario. Ne consegue che, teoricamente, sempre attraverso un atto ordinario, il Parlamento federale potrebbe procedere ad abolire la stessa Corte. Ciò è ancor più vero se si considera che il Supreme Court Act non rientra in quella serie di atti che, a seguito della patriation, sono stati costituzionalizzati per mezzo dell'art. 52, comma 2, del Constitution Act del 1982.

Tuttavia, l'art. 42 dello stesso Act menziona la Corte suprema tra quelle materie per le quali occorre l'ordinaria procedura di revisione costituzionale di cui all'art. 38. Inoltre, l'art. 41, lettera

2 T. Groppi – L. Luatti, La Corte Suprema del Canada, “custode della Costituzione”:

alcune considerazioni sulla sua composizione e sulla procedura del controllo di costituzionalità, in Politica del Diritto, 1997, 219.

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