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CAPITOLO 1: L’ASSOCIAZIONE SINDACALE

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 1: L’ASSOCIAZIONE SINDACALE

Sommario: 1.1 La libertà sindacale ex art. 39, comma 1, Costituzione; 1.1.1 I destinatari della libertà sindacale; 1.1.2 La mancata attuazione dei comma 2, 3 e 4 dell’art. 39 della Costituzione; 1.2 Il sindacato e la sua natura giuridica; 1.3 Le organizzazioni sindacali dei lavoratori; 1.4 Le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro.

1.1 La nozione di libertà sindacale ex art. 39 Cost.

La libertà sindacale1 disciplinata nel 1° comma dell’art. 39 Cost. (“l’organizzazione sindacale è libera”) rappresenta il fondamentale principio giuridico su cui si fonda l’attuale sistema di diritto sindacale in cui viene riconosciuto al lavoratore la facoltà di coalizzarsi al fine di tutelare i propri interessi. Questo principio si contrappone al modello corporativo il quale prevedeva un forte e penetrante controllo delle organizzazioni sindacali da parte dello Stato caratterizzato dalla totale indifferenza ad una attiva partecipazione dei soggetti interessati. L’ordinamento corporativo prevedeva un unico sindacato, riconosciuto legalmente, per ogni categoria2 di datori di lavoro e di lavoratori. Una volta riconosciuta, l’associazione sindacale diventava persona giuridica di diritto pubblico e acquistava la rappresentanza legale di tutta la categoria, oltre alla funzione di stipulare contratti collettivi (detti corporativi) con efficacia erga omnes e inderogabili.

1 G. GIUGNI, Diritto Sindacale, Cacucci, Bari, 2006, p. 23.

2 Con “categoria” si intendeva quell’insieme di coloro che svolgevano la stessa attività economico-professionale.

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L’ordinamento corporativo è stato soppresso con r.d.l. n. 72 del 9 agosto 1943, e le organizzazioni sindacali fasciste vennero così sciolte. A seguito di questo scioglimento non vi fu però un’inesistenza totale di sindacati, infatti già prima della liberazione venne dato vita ad un’unica confederazione, la Cgil, da parte dei maggiori partiti di allora. L’unità ebbe vita breve, e già nel 1950 si poté contare l’esistenza di tre grandi confederazioni, ancora oggi presenti nel nostro paese3.

Per Esposito4, la proclamazione “l’organizzazione sindacale è libera” esclude che il perseguimento dei fini sindacali e l’esercizio dei relativi poteri consenta una regolamentazione particolare dell’organizzazione sindacale, oltre a non permettere alle leggi ordinarie di stabilire regole e principi specifici per tali organizzazioni e per il modo di essere dei sindacati. La norma della libertà dell’organizzazione sindacale va quindi a garantire che il conseguimento delle finalità giuridiche a cui tendono le associazioni sindacali non è subordinato alla conformità della singola associazione a fattispecie legali. Ciascuna associazione sindacale può estendersi fin dove vuole, raggruppando datori di lavoro o lavoratori secondo criteri soggettivi, propri e personali di coloro che partecipano all’associazione5

. Ogni esclusione, negazione o delimitazione legislativa risulterebbe del tutto arbitraria in un sistema costituzionale che sancisce piena libertà di organizzazione sindacale.

3

I due nuovi sindacati, nati a seguito della scissione dalla CGIL da parte della corrente cristiana e di quella socialdemocratica, sono, rispettivamente, la CISL e la UIL. Infra paragrafo 1.3

4

C. ESPOSITO, Lo Stato e i sindacati nella Costituzione italiana in La Costituzione italiana, 1954, p. 158.

5

Non vi è raggruppamento sindacale che non legittimi la creazione di una associazione sindacale; sono infatti legittime quelle associazioni la cui unione è fondata sulla similarità dell’attività lavorativa o delle mansioni, legittime sono quelle associazioni delimitate con criteri territoriali, oltre a quelle delimitate dell’identità dell’imprenditore o dell’impresa che dia lavoro.

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La dottrina6 è andata invece ad illustrare le varie manifestazioni concrete del principio di libertà sindacale, la quale si articola in: a) libertà, rispetto allo Stato, di costituire sindacati ed anche più strutture per la stessa categoria professionale; b) libertà per i singoli che appartengono alla categoria di scegliere fra i vari sindacati esistenti, di ritirarsi da un sindacato o di non aderire ad un sindacato; infatti per riconoscere natura sindacale ad un’organizzazioneoccorre che la sua attività di tutela sia svolta non solo a vantaggio degli associati, ma anche a vantaggio di tutti coloro che appartengono alla categoria, anche se rimangono fuori dall’organizzazione; c) libertà di azione dei sindacati, soprattutto, da ingerenze statuali nella loro organizzazione interna e nella loro attività esterna; d) libertà di organizzazione professionale rispetto alle parti del rapporto di lavoro.

L’attuale 1° comma dell’art. 39 Cost. è frutto di un difficile compromesso tra due diverse posizioni: la corrente cattolica concepiva il sindacato quale ente di diritto pubblico, giuridicamente riconosciuto dallo Stato e sottoposto al suo controllo, in sostanza, andava a riproporre idee corporative; all’opposto vi era la corrente di matrice comunista, ispirata ad una visione del sindacato come un organismo libero e autonomo dallo Stato, a cui doveva più ampia autonomia. In base a quest’ultimo orientamento, Pera7

infatti afferma che la libertà sindacale assume il carattere non di libertà politica, ma di libertà civile, nel senso che i soggetti privati vi rivendicano e vi esercitano una sfera di autonomia rispetto alla quale lo Stato deve astenersi, consentendo l’autoregolamento degli interessi nel quadro dell’ordinamento.

5

C. BALDUCCI, voce “Libertà sindacale” in Enc. Giur. vol.XIX, Roma, p. 7.

7

G. PERA, voce “Libertà sindacale(dir.vig.)” in Enc. Dir., vol.XXIV, Milano, p. 495.

(4)

Si tratta di una norma immediatamente precettiva, che opera nei rapporti intersoggettivi privati e per la sua attuazione non è necessaria una disposizione di legge, a differenza dei comma 2, 3 e 4 dell’art. 39. Un particolare problema che pone tale libertà è quello del suo accostamento alla libertà di associazione ex art.18 Cost. avvenuto in un periodo immediatamente successivo all’entrata in vigore della Costituzione. Si tratta di un accostamento8 con una doppia funzione: a) da una parte facilita una lettura sistematica del nuovo testo costituzionale, in cui per la prima volta veniva ad essere riconosciuta la libertà di associazione; b) dall’altra caratterizza la libertà di organizzazione sindacale come libertà civile, sottolineando così la necessità di salvaguardarla dall’ingerenza dello stato e di inserirla tra quelle riconosciute ai cittadini nei confronti dello Stato-apparato, come detto supra. Probabilmente la ragione principale di questo accostamento è dato dal fatto che entrambe hanno sofferto, fino all’entrata in vigore della Costituzione, simili vincoli. Il tempo però ha fatto modificare le cose in modo tale da portare la libertà sindacale a vivere propri e specifici problemi, che non condivide con la libertà di associazione, così da considerare non più proponibile l’accostamento specificato precedentemente9. Una marcata differenza10 emerge dall’utilizzo del termine “organizzazione” nell’art. 39 in luogo di “associazione”: tale vocabolo implica una nozione più ampia del fenomeno sindacale, in modo tale da comprendere anche forme organizzative diverse da quella associativa, purché idonee a ricevere la qualificazione di ‘sindacati’. La dottrina11

infatti ha fatto cadere spesso l’accento sul profilo del godimento effettivo della stessa

8

M. RUSCIANO, Libertà di associazione e libertà sindacale in RDIL, 1985, 585.

9

Ivi, p. 588.

10

G. GIUGNI, Sub art.(39) in Comm. della Cost. Branca (a cura di), Bologna-Roma, 1979, p. 265.

11

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libertà, andando ad affermare così che la libertà sindacale non coincide con la figura dell’associazione designata nel codice civile, ma può concretizzarsi in qualunque tipo di organizzazione, anche spontanea o temporanea, purché strumento effettivo dell’autotutela sindacale. Quindi le organizzazioni sindacali non sono necessariamente una species del genus delle associazioni. A ciò si aggiunga che la Costituzione pone alcuni limiti alla libertà di associazione rispetto ai suoi fini e ai suoi metodi di esercizio, mentre il fine sindacale è tipizzato dall’art. 39 come lecito e quindi la libertà sindacale sotto questo aspetto è assoluta.

Alla nozione di organizzazione succede il predicato ‘sindacale’12. Il significato di esso non può essere ricavato né da un’analisi lessicale né dal linguaggio costituzionale; siamo di fronte ad un rinvio a nozioni d’esperienza le quali ci mostrano come tale predicato possa essere inteso sia in senso teleologico, sia in senso strutturale. Sotto il profilo teleologico, è sindacale quell’attività diretta all’autotutela di interessi connessi a relazioni giuridiche dove sia dedotta l’attività di lavoro. Sotto il profilo strutturale, la qualificazione sindacale presuppone un’aggregazione di soggetti, cioè una coalizione. Questo però non significa che titolare della libertà sia solo il gruppo e non anche l’individuo; infatti l’attività sindacale può essere imputabile ad un solo individuo, purché sia funzionale ad una coalizione, ad esempio l’attività di proselitismo svolta da un lavoratore per promuovere la costituzione di una rsa è un’attività sindacale svolta da un singolo soggetto funzionale però ad una coalizione; quindi si deduce che l’oggetto del riconoscimento costituzionale non è tanto l’organizzazione, ma l’attività a cui questa è finalizzata.

12

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1.1.1 I destinatari della libertà sindacale

I primi titolari della libertà sindacale sono i lavoratori subordinati in senso stretto. La categoria di questi lavoratori è quella che ha assistito a meno vincoli e a maggiori misure promozionali da parte dello Stato. Riguardo ai vincoli soggettivi, un problema fortemente dibattuto è quello della libertà sindacale degli imprenditori. La nostra Costituzione, di fatto, sostenendo il principio della libertà sindacale, non ha precisato se essa fosse riconosciuta solo ai lavoratori o anche ai datori di lavoro. Alla base di tale dibattito vi è la possibilità di qualificare come sindacale l’attività svolta dagli imprenditori per soddisfare i propri interessi attinenti ai rapporti di lavoro, considerato che esso può sempre agire come singolo, ad esempio nella contrattazione aziendale, mentre l’attività sindacale dei lavoratori è riferita ad un termine collettivo e perciò è attività organizzata13. Per questi motivi, Giugni afferma l’unilateralità della libertà sindacale a favore dei soli lavoratori, coloro che se la sono conquistata e ne hanno effettivamente bisogno. Anche lo stesso Scognamiglio14 ha osservato che la Costituzione, nel suo titolo III, parte I, va a destinare gli artt. dal 35 al 40 solo alla tutela del lavoro, e che quindi l’associazionismo degli imprenditori non goda della tutela dell’art. 39, della quale se ne ha pieno e incondizionato riconoscimento ai lavoratori, ma trova il suo fondamento nell’art. 18. Esposito, invece, nel suo saggio15 esplicitava la parificazione costituzionale delle associazioni dei datori con quelle

13

Infra paragrafo 1.4

14

R. SCOGNAMIGLIO (diretto da), Libertà sindacale, diritto di sciopero e

partecipazione in Il lavoro nella giurisprudenza costituzionale, Franco Angeli

editore, Milano, 1978, p. 119.

15

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dei lavoratori, pur chiarendo in nota16 la presenza, nell’Assemblea Costituente, di vari tentativi volti a differenziare le due specie di sindacati.

Quella della disuguaglianza fra le due tipologie di associazioni sindacali rappresenta ormai una posizione minoritaria e superata in quanto, ad oggi, fonti internazionali17 nonché ripetute pronunce della Corte Costituzionale18 riconducono all’art. 39, comma 1, Cost. la libertà di organizzazione sindacale dei datori di lavoro, eguagliandola così a quella dei lavoratori.

La libertà di organizzazione sindacale è riconosciuta, secondo l’orientamento prevalente, anche ai cosiddetti lavoratori autonomi parasubordinati19, proprio per la dipendenza economica dal committente e la modalità di esecuzione della prestazione, e a quei lavoratori autonomi la cui prestazione è caratterizzata dalla subordinazione economica al committente, equiparandoli così ai lavoratori giuridicamente subordinati. Del resto questi soggetti fanno concreto uso di tale libertà aggregandosi in organizzazioni che rappresentano e tutelano i loro interessi. Riconoscimento dovuto soprattutto alla Legge Vigorelli, la n. 741/1959; e nel 1973 alla l. n. 533 in cui, all’art.6, viene riformulato l’art.2113 c.c.20

, con cui sono stati esplicitamente equiparati gli accordi economici collettivi stipulati

16

Ibidem, nota n. 49.

17

Cfr art. 28 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: “I lavoratori e i datori di lavoro, o le rispettive organizzazioni, hanno, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali, il diritto di negoziare e concludere contratti collettivi, ai livelli appropriati, e di ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa dei loro interessi, compreso lo sciopero.”

18

CfrC. cost 21 gennaio 1960, n. 1; C. cost. 28 aprile 1960, n. 29.

19

M. V. BALLESTRERO - G. DE SIMONE, Diritto del lavoro, Giappichelli, Torino, 2012, p. 33.

20

Cfr co. 1, art. 2113 c.c.: “Le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile, non sono valide.”

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dalle associazioni sindacali dei lavoratori parasubordinati ai contratti collettivi di lavoro. Inoltre anche l’art.1 della legge ora ricordata, disponendo specificazioni aggiuntive all’art. 409, nn. 2 e 3, c.p.c.21

, contribuisce al suddetto riconoscimento. L’estensione della libertà sindacale a tali soggetti ha alimentato la cosiddetta tendenza espansiva del diritto del lavoro.

Con riferimento alla libertà sindacale dei pubblici dipendenti, se totalmente vietata nel periodo fascista22, ormai la si ritiene pacificamente riconosciuta grazie ai vari interventi legislativi che si sono succeduti nel tempo e che hanno portato alla cosiddetta privatizzazione del pubblico impiego, avvenuta con d.lgs. 165/2001, la quale ha esteso a tale ambito i diritti e le guarentigie sindacali di cui allo Statuto dei lavoratori.

I soli limiti soggettivi alla libertà sindacale attualmente vigenti nel nostro ordinamento riguardano i militari e gli appartenenti alla Polizia di Stato, in relazione alla particolare natura del servizio di questi soggetti nei confronti dell’organizzazione dello Stato.

Per quanto riguarda i militari di carriera, l’art. 8 della l. 11 luglio 1978 n. 382 esclude espressamente che possano costituire associazioni professionali di carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali, e che possano esercitare il diritto di sciopero. Tuttavia, la legge menzionata, ha consentito l’apertura di una piccola fessura con la quale si riconosce uno spiraglio di libertà sindacale a tale categoria

21

L’art. 409 c.p.c. , a seguito della l. 11 agosto 1973, n. 533, assoggetta alla competenza del giudice del lavoro anche le controversie relative a “rapporti di mezzadria, di colonia parziaria, di compartecipazione agraria, di affitto a coltivatore diretto, nonché rapporti derivanti da altri contratti agrari, salva la competenza delle sezioni specializzate agrarie”, come pure quelle relative a “rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”.

22

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di lavoratori, prevedendo la costituzione di consigli elettivi di rappresentanza militare con limitati compiti consultivi, e articolati a livello di base, intermedio e centrale.

La giustificazione di questa compressione di un diritto fondamentale di libertà sta nella funzione e nei compiti che questi svolgono, che a loro volta giustificano un’organizzazione gerarchica e una disciplina incompatibili con lo svolgimento di attività sindacali23.

I militari di leva possono invece iscriversi ad associazioni sindacali o rimanere iscritti a sindacati, ma non possono svolgere attività sindacali quando svolgono attività di servizio o quando indossano l’uniforme. Per quanto concerne poi il personale della Polizia di Stato, la svolta dall’arretratezza antecedente si ha con la l. n. 121/1982, con cui il suddetto personale fu smilitarizzato e ad esso venne riconosciuto il diritto di costituire associazioni sindacali o aderire a sindacati, purché si tratti di sindacati formati, diretti e rappresentati esclusivamente da appartenenti alla polizia; inoltre questi sindacati non possono aderire ad organizzazioni che vanno a rappresentare altre categorie, diverse dalla polizia, quali, in pratica, la Cgil, Cisl e Uil. Questa legge vieta in ogni caso il ricorso allo sciopero, da parte di questa categoria di lavoratori, mentre sono concessi alcuni diritti sindacali quali assemblee, permessi e aspettative sindacali, entro i limiti legalmente previsti.

23

La questione della legittimità costituzionale dei limiti alla libertà sindacale dei militari, sollevata dal Consiglio di Stato, è stata respinta dalla Corte Costituzionale con sentenza 13 dicembre 1999, n. 449.

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1.1.2 La mancata attuazione dei comma 2, 3 e 4 dell’art. 39 della Costituzione

I comma 2, 3 e 4 dell’art. 39 Cost prevedono, rispettivamente, l’obbligo di registrazione per i sindacati con conseguente acquisizione della personalità giuridica, la condizione che gli statuti dei sindacati vadano a sancire un ordinamento interno a base democratica (per la registrazione), nonché la successiva possibilità per le organizzazioni sindacali, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, di stipulare contratti collettivi aventi efficacia erga omnes. Essi, per diventare operativi, necessitano però di una serie di specificazioni da parte del legislatore ordinario (quali ad esempio la determinazione degli uffici competenti per la registrazione) a cui in realtà non ha mai provveduto, rimanendo in questo modo lettera morta.

L’autore Giugni va ad elencare le ragioni24

del mancato intervento del legislatore, le quali sono da ricondurre a fattori contingenti e fattori storici.

Tra i primi vi rientrano: a) il timore che il procedimento di registrazione divenisse un mezzo di penetrante ingerenza dello Stato all’interno del sindacato, ad esempio sul numero degli iscritti o sulla democraticità di esso; b) la difficoltà di porre in essere forme di verifica sul numero degli iscritti; c) l’opposizione all’attuazione della norma costituzionale, a seguito della scissione sindacale avvenuta nel 1948, da parte della Cisl a causa della suo carattere minoritario dell’epoca, in quanto in caso di un eventuale procedimento di contrattazione basato sul principio di proporzionalità avrebbe visto consacrare la posizione di preminenza del sindacato antagonista Cgil. L’atteggiamento della Uil era incerto in merito, anche se comunque sfavorevole ad ogni sistema di controllo sulla consistenza numerica

24

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del sindacato. La Cgil invece era favorevole all’attuazione del quarto comma dell’art. 39 Cost. appunto perché gli garantiva, come già detto precedentemente, una certa prevalenza nell’ambito della rappresentanza sindacale.

Tale articolo avrebbe potuto operare solo se l’unità sindacale, esistente nel momento in cui è stato elaborato, fosse perdurata.

Tra i fattori storici si annovera: a) la tendenziale generalizzazione di fatto nell’applicazione dei contratti ha fatto diminuire progressivamente l’importanza dell’efficacia erga omnes; b) il distacco graduale da parte della dottrina giuslavoristica nei confronti delle reminescenze corporative le quali consideravano la personalità giuridica e il contratto collettivo erga omnes necessari per un sistema sindacale di diritto; c) il consolidamento di un sindacalismo “di fatto” che a partire dagli anni ’60 andava ad ottenere sempre più potere contrattuale e politico, di fronte al quale il legislatore faceva fronte prevedendo legislazioni di sostegno anziché attuare il sistema costituzionale.

La mancata attuazione di tali commi ha comportato l’esigenza di dover sostituire lo spinoso meccanismo previsto in essi con un altro che trovasse la propria base al di fuori della legge costituzionale. Ciò è avvenuto tramite la privatizzazione del diritto sindacale, cioè la riconduzione di quest’ultimo nell’ambito del diritto privato25

.

1.2 Il sindacato e la sua natura giuridica

In Italia il riconoscimento del diritto di associazione sindacale avviene per fasi storiche26. La prima fase, situata nel periodo pre-corporativo, è caratterizzata dalla repressione penale di qualsiasi tipo di coalizione.

25

Infra paragrafo 1.2

26

G. GHEZZI - U. ROMAGNOLI, Il diritto sindacale, Zanichelli, Bologna, 1997, quarta edizione, p. 63.

(12)

Nell’immediato seguito, abbiamo la fase della tolleranza, contraddistinta dalla rimozione del preesistente divieto con il codice penale del 1889. La tolleranza non è però vera libertà in quanto lo Stato, in tale fase, non riconosce al sindacato il potere di stipulare contratti collettivi di lavoro e di stare in giudizio per le controversie inerenti a tale contratto. Ciò che effettivamente il sindacato vuole. La terza fase si compie nel periodo fascista in cui si ha l’incorporazione del sindacato nelle strutture istituzionali dello Stato, togliendoli qualsiasi tipo di autonomia. Infatti con l. n. 563/1926 furono mantenuti solo i sindacati riconosciuti dallo Stato, che si accettassero come suo strumento, mentre tutti gli altri non dovevano disturbare l’andamento legislativo dell’istituzionalizzazione del sindacalismo fascista. La quarta fase è invece caratterizzata dalla soppressione dell’ordinamento sindacale fascista e dal pieno riconoscimento, da

parte della Costituzione, dell’organizzazione sindacale

nell’ordinamento italiano. Il quarto comma dell’art.39 Cost. prevede il riconoscimento della personalità giuridica al sindacato come presupposto per la stipulazione dei contratti collettivi. In realtà, tale riconoscimento, a causa della mancata emanazione della relativa legge attuativa, non vi è mai stato, perciò, ad oggi, a questi soggetti si vanno ad applicare le regole di diritto comune, cioè gli artt. 3627, 3728 e 3829 del c.c. riguardanti la disciplina delle formazioni collettive di diritto

27

Cfr art. 36 c.c.: “L'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati. Le dette associazioni possono stare in giudizio nella persona di coloro ai quali, secondo questi accordi, è conferita la presidenza o la direzione.”

28

Cfr art. 37c.c.: “I contributi degli associati e i beni acquisiti con questi contributi costituiscono il fondo comune dell'associazione. Finché questa dura, i singoli associati non possono chiedere la divisione del fondo comune, né pretendere la quota in caso di recesso.”

29

Cfr art. 38 c.c.: “Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l'associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidamente le persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione.”

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privato non personificate, qualificando in tal modo anche il sindacato come associazione non riconosciuta. Tali norme dimostrano il fatto che l’associazione suddetta, anche se non riconosciuta giuridicamente, non è però sconosciuta all’ordinamento e può essere comunque centro autonomo di imputazioni giuridiche come l’associazione riconosciuta. L’equiparazione alle associazioni riconosciute viene meno con riferimento alla diversa estensione della responsabilità dei membri per i debiti dell’associazione: l’associazione riconosciuta gode di autonomia patrimoniale perfetta, mentre nell’associazione non riconosciuta coloro che hanno agito in nome e per conto di essa sono illimitatamente responsabili.

La disciplina ora descritta risulta tuttavia insufficiente, considerato che essa si occupa prevalentemente dell’aspetto patrimoniale del fenomeno associativo e trascura del tutto le rilevanti questioni della gestione della democrazia sindacale. L’emblema di tale scarsità è dato dal caso della scissione dalla Cgil delle correnti cattoliche e repubblicane30 laddove i gruppi dissidenti rivendicavano una parte del patrimonio dell’associazione e, allo stesso tempo, si considerava l’atto di secessione di un gruppo come la somma di dimissioni dei singoli componenti i quali, essendo recedenti, non potevano avanzare alcuna pretesa di ripetizione. Questione infatti mai risolta.

Ormai è prevalente l’idea che alle associazioni non riconosciute si applicano, in via analogica, anche le disposizioni sulle associazioni riconosciute, non incompatibili con il mancato “riconoscimento”31.Si

30

G. GIUGNI, Diritto sindacale, cit., p. 54.

31

O. MAZZOTTA, Manuale di diritto del lavoro, Cedam, Padova, 2013, edizione seconda, p. 36.

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tratta di disposizioni che includono regole di democrazia interna dell’associazione, non derogabili dalla volontà degli associati32

.

1.3 Le organizzazioni sindacali dei lavoratori

Nel nostro ordinamento viene contemplato il cosiddetto pluralismo sindacale, cioè la coesistenza di più organizzazioni sindacali, con diversa ispirazione ideologica, a cui aderiscono i lavoratori appartenenti ad uno stesso settore produttivo, per propria scelta.

Questa situazione di pluralità è prevista in vari paesi, tra cui anche l’Italia.

Prima ancora della liberazione dal fascismo, l’8 settembre del 1943, i maggiori partiti politici allora esistenti, la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista e il Partito Comunista, stipularono un accordo, il Patto di Roma, con cui davano vita ad una Confederazione Unitaria, la Cgil, Confederazione Generale Italiana del Lavoro, rappresentante tutti i lavoratori, con l’intento di far rinascere quel sindacalismo libero previsto prima dell’avvento del fascismo.

L’unità sindacale però ebbe vita breve; la prima spaccatura si ha da parte della corrente cristiana, nel 1948, la quale diede vita successivamente alla Cisl, Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori, e che in contrapposizione alla Cgil si considerava un sindacato “apolitico” e non classista; una seconda frattura si ha poi da

32

Cfr co. 2, art. 24 c.c.: “L'associato può sempre recedere dall'associazione se non ha assunto l'obbligo di farne parte per un tempo determinato. La dichiarazione di recesso deve essere comunicata per iscritto agli amministratori e ha effetto con lo scadere dell'anno in corso, purché sia fatta almeno tre mesi prima.”.

Cfr co. 3, art. 24 c.c.: “L'esclusione d'un associato non può essere deliberata dall'assemblea che per gravi motivi; l'associato può ricorrere all'autorità giudiziaria entro sei mesi dal giorno in cui gli è stata notificata la deliberazione.”

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parte della corrente socialdemocratica che nel 1950 diede vita alla Uil, Unione Italiana del Lavoro, sindacato laico di ispirazione socialdemocratica.

E queste tre Confederazioni dei lavoratori sono, ancora oggi, le tre principali organizzazioni sindacali italiane a cui milioni di lavoratori di tutte le categorie dei settori produttivi aderiscono volontariamente. La struttura di queste tre Confederazioni è piuttosto complessa, e può essere articolata in due linee organizzative: una orizzontale, secondo il criterio intercategoriale, e l’altra verticale, secondo il criterio della categoria, cioè in base al tipo di attività produttiva svolta dall’impresa dove sono impiegati i lavoratori iscritti.

L’organizzazione orizzontale si articola poi su tre livelli: a) la struttura territoriale, di solito provinciale che per la Cgil si tratta delle Camere del Lavoro, per la Cisl delle Unioni provinciali e per la Uil delle camere sindacali; b) la struttura regionale dove vanno a confluire le strutture territoriali; e c) la struttura nazionale, cioè la Confederazione, in cui confluiscono sia le strutture regionali che le strutture nazionali di categoria (le Federazioni).

L’organizzazione verticale invece si articola su quattro livelli: a) le strutture al livello del luogo del lavoro; b) la struttura territoriale di categoria; c) la struttura regionale di categoria; e d) la struttura nazionale di categoria (cioè la Federazione).

Oltre a queste confederazioni, il nostro ordinamento è caratterizzato dalla presenza di ulteriori organizzazioni cosiddette autonome, di connotazione prevalentemente settoriale, che le distingue dalle prime. Rientra in queste organizzazioni, l’Ugl, l’Unione Generale del Lavoro, concentrata soprattutto nei servizi, nata nel 1995, come erede della

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Cisnal, sindacato neocorporativo. Altre organizzazioni sono: la Confsal, Confederazione generale dei sindacati autonomi dei lavoratori, i Cobas e le Rappresentanze di Base.

Tali organizzazioni minori difficilmente però riescono a primeggiare rispetto ai sindacati maggiori, nel caso in cui dissentono sulla linea politica di questi ultimi.

1.4 Le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro

Il cosiddetto sindacalismo imprenditoriale rappresenta, storicamente, un sindacalismo di risposta33, vale a dire che si forma in funzione di resistenza nei confronti delle organizzazioni sindacali dei lavoratori. In ogni modo l’imprenditore può comunque agire da solo per tutelare i propri interessi, sia in fase di contrattazione che in fase di conflitto, può infatti sottoscrivere contratti e attuare serrate uti singulus. Al contrario, il singolo lavoratore non può partecipare alla lotta e all’attività sindacale se non uti socius.

Secondo Romagnoli all’organizzazione sindacale dei lavoratori è attribuibile solo la nozione tecnica di associazione, e non quella di coalizione in quanto tale concetto si misura storicamente sull’esigenza di tutelare gli interessi di lavoro34.

La responsabilità di porre sullo stesso piano l’organizzazione sindacale dei lavoratori con quella dei datori di lavoro ricade sul legislatore fascista attraverso il cosiddetto monopolio bilaterale del

33

G. GHEZZI - U. ROMAGNOLI, op.cit., p. 47.

34

U. ROMAGNOLI, “Le associazioni sindacali nel processo”, Giuffrè, Milano, 1969, p. 119.

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potere contrattuale collettivo35 e per effetto del considerare i sindacati come tutelanti più l’interesse pubblico della produzione nazionale che l’interesse delle rispettive categorie, oltre ad aver ostacolato una “lettura” diversa dell’art. 39 Cost.36

Con il passare del tempo, però è stato necessario escludere che le associazioni dei datori di lavoro fossero manifestazione della libertà sindacale costituzionalmente garantita. Ciò per motivi, innanzitutto, storici37. Infatti si ritiene che i datori di lavoro abbiano sempre vissuto di rapina con riferimento alla libertà di organizzazione sindacale in quanto si sono appropriati delle garanzie giuridiche di auto-organizzazione sindacale che i loro dipendenti avevano ottenuto per sé.

Altro motivo per il quale si ritiene che l’associazionismo datoriale debba essere differenziato da quello dei lavoratori risiede nel fatto che tale organizzazione costituisce una necessità per i lavoratori per tutelare i propri interessi, mentre per il datore una semplice opportunità, o anche eventualità, considerato che esso può agire uti

singulus. Inoltre una discrepanza notevole di nota sta nel diverso

interesse di cui è portatore il gruppo dei lavoratori con quello dei datori di lavoro, in quanto quest’ultimo sarà sempre descritto come una variante dell’interesse al profitto, mentre da parte dei lavoratori non si cerca nessun vantaggio ma solo condizioni stesse d’esistenza per tutelare i propri interessi.

Ciononostante, ci sembra eccessivo38 privare l’organizzazione sindacale dei datori di quella garanzia di libertà che la Costituzione prevede per tutti i sindacati, come per tutte le associazioni di cittadini,

35

Cfr. art. 2067 c.c.: “I contratti collettivi di lavoro sono stipulati dalle associazioni professionali.”

36

U. ROMAGNOLI, Le associazioni sindacali nel processo, cit., p. 117.

37

U. ROMAGNOLI, voce “Associazione” in Enc. Giur., cit., p. 16.

38

M. PERSIANI, “Saggio sull’autonomia privata collettiva”, Cedam, Padova, 1972, p. 63.

(18)

senza alcuna distinzione. Quindi la differenza andrebbe recuperata in altre norme, come ad es. nell’art. 40 relativo al diritto di sciopero, e non alla serrata; nello Statuto dei Lavoratori volta a promuovere soltanto i sindacati dei lavoratori.

I datori di lavoro si raggruppano in Confederazioni le quali si distinguono per settori economici. A loro volta poi si suddividono in base alla natura (pubblica o privata) del datore di lavoro, al suo orientamento politico, e, a causa dell’aumento delle piccole imprese, anche sulla base della dimensione delle aziende.

Le principali organizzazioni imprenditoriali sono: la Confindustria39, principalmente per il settore industriale; ad essa comunque sono associate anche imprese private del settore terziario, quali quelle dei servizi e dei trasporti; la Confcommercio, inerente al settore del commercio; la Confagricoltura, rappresentante gli imprenditori agricoli italiani.

Negli stessi settori operano anche altre organizzazioni, di dimensioni minori: la Confapi, nel settore industriale, che rappresenta le piccole e medie imprese; la Confesercenti, rappresentante gli imprenditori del settore commerciale; la Coldiretti e la Confederazione italiana agricoltori (CIA), che organizzano piccoli e piccolissimi imprenditori agricoli.

Vi esistono, infine, anche organizzazioni che rappresentano le imprese cooperative e le imprese artigiane.

39

La Confindustria è una federazione di associazioni, circa 260, articolate per territorio e per categoria produttiva. Le Associazioni provinciali rappresentano la struttura organizzativa di base e raggruppano gli industriali di tutte le categorie produttive che operano in una stessa provincia. Poi queste associazioni provinciali che agiscono in una stessa regione vanno a costituire a loro volta 18 Confindustrie regionali. Infine, sussistono le federazioni nazionali di categoria che raggruppano gli industriali che operano nello stesso settore merceologico.

(19)

Con riferimento alla struttura organizzativa di tali associazioni, prevale la dimensione territoriale e regionale. Mentre per quanto riguarda le organizzazioni minori, queste constano di unità di base territoriali e intercategoriali, e di strutture nazionali di categoria che vanno a costituire la confederazione.

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