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LA MURATURA E GLI ELEMENTI STRUTTURALI

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Academic year: 2021

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LA MURATURA E GLI ELEMENTI STRUTTURALI

ASPETTI MORFOLOGICI

Dal punto di vista morfologico la muratura può definirsi come un aggregato di elementi lapidei (naturali o artificiali) generalmente legati da malta.

Il termine “generalmente” è necessario perché esiste anche una muratura “a secco”, costituita cioè da soli elementi lapidei. Tale morfologia, ancora oggi usata in modeste opere rurali di contenimento o recinzione, fu nell’antichità usata anche per la

realizzazione di mura e fortificazioni di notevole importanza (mura “ciclopiche”). Sia nelle opere maggiori che in quelle minori è riconoscibile un’attenta regola dell’arte per ottenere tessiture idonee a conferire al manufatto la sua solidità.

Nella maggioranza dei casi la muratura si presenta come un materiale composito, formato cioè sia da pietre che da malta, ove ciascuna componente conferisce all’insieme la sua specificità.

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Il costruito storico offre una vasta rassegna tipologica classificabile sulla base di: - Composizione (assortimento di elementi lapidei e malta);

- Tessitura (disposizione ed organizzazione delle pietre); - Tecniche costruttive, tipiche delle varie epoche;

- Area geografica.

La variabile storica e geografica assume grande importanza, al punto che il rilievo

dettagliato di una muratura può costituire elemento probante di datazione della fabbrica e, viceversa, la datazione documentale in un determinato areale può farne presumere con ragionevole certezza la morfologia e, come vedremo, anche le caratteristiche meccaniche.

ASPETTI STRUTTURALI

Dal punto di vista strutturale la muratura si può definire come un materiale con resistenza a compressione molto maggiore di quella a trazione. Per quanto attiene la resistenza a trazione è opportuno precisare che essa può presentarsi anche come una pseudo resistenza a trazione correlata cioè al fenomeno dell’attrito.

Nella figura sotto, la muratura di altezza H offre resistenza allo sgranamento per effetto dell’attrito che si esercita, in virtù del carico verticale, tra gli z/H mattoni di lunghezza b ed altezza z. Tale pseudo resistenza a trazione misurata sull’altezza H è di conseguenza proporzionale alla lunghezza b ed inversamente proporzionale all’altezza z, rivelandosi in definitiva fortemente dipendente dalla tessitura muraria.

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Tale resistenza è fondamentale nelle ammorsature delle pareti nei cantonali e quindi per l’integrità delle croci di muro.

Comunque la debole resistenza a trazione (ed a taglio) non può essere ignorata,

altrimenti non sarebbe possibile giustificare la diffusione delle sollecitazioni nelle masse murarie. Sarebbe quindi sbagliato modellare la muratura come un materiale in assoluto non resistente a trazione. Questo però non significa che non sia opportuno o

ragionevole prescindere da tale resistenza in alcune verifiche di resistenza.

Dal punto di vista meccanico la muratura è un materiale disomogeneo, anisotropo ed inelastico, il che lo rende molto meno docile alla modellazione meccanica rispetto ai materiali strutturali moderni.

IL LEGAME COSTITUTIVO

Se nelle murature a secco si può pensare ad un oneroso studio che ricerchi la soluzione di equilibrio attraverso la possibile trasmissione degli sforzi tra i punti di contatto delle pietre, nelle murature legate con malta si fa in genere riferimento ad un ideale

materiale omogeneo equivalente del quale è possibile ricavare il legame costitutivo mediante prove di compressione monoassiale.

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In generale la curva tipica fa riferimento ad un’azione verticale ortogonale ai filari di conci e assume l’andamento qualitativo rappresentato in figura.

Tale curva indica una debole resistenza a trazione con rottura fragile, un andamento non lineare in compressione fino al raggiungimento della massima sollecitazione ed un successivo ramo discendente che si considera, convenzionalmente, fino ad una

assegnata riduzione della sollecitazione massima. I parametri meccanici fondamentali sono la massima resistenza a compressione ed a trazione ma anche la deformazione in corrispondenza della pressione massima e quella ultima. L’attenzione alla deformabilità del materiale, che pur nella sua specificità corrisponde ad una sorta di duttilità, risponde al moderno approccio dell’analisi strutturale nei problemi sismici. Nelle applicazioni di tale analisi ci si dovrà tuttavia rassegnare ad idealizzare il legame con una bilatera elasto-plastica equivalente che consente anche di definire un modulo di elasticità secante.

LE REGOLE APPLICATIVE DELLA NORMA Murature per nuove costruzioni

I parametri meccanici che caratterizzano le murature sono: - La resistenza caratteristica a compressione fk;

- La resistenza caratteristica a taglio in assenza di sforzo assiale fvk0;

- Il modulo di elasticità secante E;

- Il modulo di elasticità tangenziale secante G.

La resistenza caratteristica a compressione fbk del singolo blocco resistente, artificiale o

naturale, viene fornita dal produttore e deve essere verificata mediante prove di accettazione. Le malte per muratura sono classificate in base alla resistenza media a

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compressione garantita dal produttore. Le resistenze caratteristiche della muratura a compressione fke a taglio in assenza di sforzo assiale fvk0 possono essere determinate

per via sperimentale, con prove svolte seguendo specifiche modalità su almeno 6 campioni. I valori caratteristici sono in questo caso quelli ottenuti dai valori medi sperimentali, mediante le relazioni:

fk=fm-ks

fvk0=0,7fvm

con s=scarto quadratico medio dei dati sperimentali e k coefficiente che dipende dal numero di campioni. In alternativa, è possibile ricavare la resistenza della muratura mediante tabelle che la mettono in relazione alla resistenza caratteristica del blocco ed alla classe di resistenza della malta utilizzata. La resistenza caratteristica della muratura a taglio in presenza di sforzo assiale fvk può essere ricavata in funzione della resistenza

in assenza di sforzo assiale e del valore della tensione nominale media dovuta ai carichi verticali σn mediante la relazione:

fvk=fvk0+0,4 σn

infine, i moduli elastici possono essere valutati sperimentalmente, ma più semplicemente possono essere assunti pari a:

E=1000fk

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Murature di costruzioni esistenti

Le indicazioni precedenti, pur essendo di portata generale, sono valide per le nuove costruzioni ma difficilmente applicabili a quelle esistenti.

Per queste ultime occorre riferirsi all’appendice C8A della circolare applicativa, in cui si tenta di rappresentare il vasto e variegato assortimento morfologico delle murature storiche fornendo per ciascuna di esse i valori minimi e massimi dei seguenti parametri:

- fm valore medio della resistenza a compressione;

- fvm0 valore medio della resistenza a taglio in assenza di sforzo assiale;

- E,G moduli di elasticità normali e tangenziali; - W peso per unità di volume.

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coefficienti correttivi dei parametri meccanici, tabella 2:

I valori indicati nelle prime 6 righe della tabella 1, che sono relativi alle murature

storiche, sono da riferirsi a condizioni di muratura con malta di scadenti caratteristiche, giunti non particolarmente sottili ed in assenza di ricorsi o listature che, con passo costante, regolarizzano la tessitura ed in particolare l’orizzontalità dei corsi; inoltre si assume che queste murature siano a paramenti scollegati, ovvero che manchino sistematici elementi di connessione trasversale (o di ammorsamento per ingranamento tra i pannelli murari). Nel caso in cui la muratura presenti caratteristiche migliori rispetto ai suddetti elementi di valutazione, le caratteristiche meccaniche saranno ottenute, a partire dai valori di tabella 1, applicando coefficienti migliorativi fino ai valori indicati nella tabella 2. Si noti che la presenza di ricorsi o listature e di elementi di connessione trasversale deve essere considerata applicando i coefficienti solo alle resistenze; negli altri casi i coefficienti vanno applicati anche ai moduli elastici.

I valori indicati per le murature regolari sono relativi a casi in cui la tessitura rispetta la regola dell’arte. Nei casi di tessitura scorretta (giunti verticali non adeguatamente sfalsati, orizzontalità dei filari non rispettata), i valori della tabella devono essere adeguatamente ridotti.

La circolare non indica in che modo determinare, ove occorra, i valori caratteristici delle resistenze. Si ritiene che la relazione fk=fm-kse fvk0=0,7fvm , valida per la resistenza a

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Si sottolinea infine che non viene data alcuna indicazione circa la deformazione ultima del materiale, né con riferimento alle nuove costruzioni né a quelle esistenti.

LIVELLO DI CONOSCENZA E FATTORE DI CONFIDENZA

La caratterizzazione meccanica del materiale muratura di un edificio esistente deve tener conto anche del livello di conoscenza della fabbrica che determina l’assegnazione di un fatture di confidenza FC: esso opera come un ulteriore coefficiente parziale di sicurezza che prudenzialmente riduce il valore della resistenza da utilizzare nei calcoli. Si sottolinea che le incertezze legate alle conoscenze parziali ed alle indagini spesso non esaustive si riferiscono non solo al materiale strutturale ma anche alla geometria della fabbrica, agli elementi strutturali ed ai particolari costruttivi. Questa penalizzazione viene però tutta convenzionalmente esercitata sulla resistenza del materiale.

RESISTENZE DI CALCOLO

I valori di calcolo si ottengono in generale da quelli caratteristici dividendoli per i coefficienti parziali di sicurezza γM

𝑓𝑓𝑑𝑑 =𝛾𝛾𝑓𝑓𝑘𝑘 𝑀𝑀

𝑓𝑓𝑣𝑣𝑑𝑑 =𝑓𝑓𝛾𝛾𝑣𝑣𝑘𝑘 𝑀𝑀

Per le nuove murature la normativa indica valori del coefficiente γM compresi tra 2 e 3,

in funzione dei controlli di produzione dei blocchi e della classe di esecuzione dell’opera. Nel caso di verifiche sismiche le NTC 08 prescrivono espressamente di assumere γM pari

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Nel caso di edifici esistenti la normativa prescrive di farri ferimento al valore medio delle resistenze e di applicare come ulteriore coefficiente di sicurezza il fattore di confidenza FC, assumendo quindi:

𝑓𝑓𝑑𝑑 =𝛾𝛾𝑓𝑓𝑘𝑘 𝑀𝑀𝐹𝐹𝐹𝐹

𝑓𝑓𝑣𝑣𝑑𝑑 = 𝛾𝛾𝑓𝑓𝑣𝑣𝑘𝑘 𝑀𝑀 𝐹𝐹𝐹𝐹

Nello stesso punto della circolare è precisato che se si effettua un’analisi non lineare si può prescindere dal coefficiente parziale di sicurezza γM (cioè assumerlo pari a 1). Non

vengono però fornite indicazioni precise per i valori da assumere nelle verifiche non sismiche su edifici esistenti. In questo caso γM potrebbe essere assunto

prudenzialmente pari a 3 (valore proposto per murature nuove, in assenza di particolari controlli). Valori più bassi possono essere giustificati in base alla considerazione che il coefficiente γM tiene conto anche delle incertezze insite nel progetto e nella esecuzione,

incertezze che non hanno ragione d’essere nel caso di edifici esistenti. Si sconsiglia comunque di scendere al di sotto di 2.

INDIVIDUAZIONE DEGLI ELEMENTI STRUTTURALI

Con riferimento agli edifici ordinari si possono individuare essenzialmente tre elementi strutturali:

- Il pannello verticale, detto anche maschio murario o semplicemente maschio; - Il pannello orizzontale, o fascia di piano o semplicemente fascia;

- Le zone nodali rigide.

L’insieme di questi elementi dà forma alla parete muraria.

Nelle geometrie più comuni degli edifici tali elementi assumono sezione rettangolare. Anche i maschi, ove presentano sezioni ad L, a T, o ad X, possono essere assimilati a sezioni rettangolari equivalenti. L’equivalenza può ottenersi definendo uno spessore ed un’altezza fittizia della sezione in maniera da ottenere il medesimo momento d’inerzia e la medesima area a taglio.

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Per il comportamento di tali elementi si farà riferimento alla teoria della pressoflessione per materiali non resistenti a trazione mentre per il taglio alle teoria elastica delle tensioni principali o a quella attritiva di Coulomb.

IL PANNELLO MASCHIO: COMPORTAMENTO NEL PIANO

L’elemento è o viene comunque assimilato ad una sezione rettangolare di dimensioni l x t, dove t è lo spessore; si indica con H l’altezza del pannello.

Valutazione del momento ultimo

Si considera la sezione parzializzata con deformazione lineare (conservazione della sezione piana) e si assume, a rottura, un diagramma delle compressioni con

distribuzione costante pari a 0,85fd (figura 6a). La dimensione x della zona compressa

può essere ottenuta dalla condizione di equilibrio, imponendo che la risultante delle tensioni sia pari alla forza assiale P.

𝑋𝑋 =0.85 𝑡𝑡 𝑓𝑓𝑃𝑃

𝑑𝑑

La resistenza flessionale del pannello, ovvero il momento ultimo Mu, può essere

determinata moltiplicando lo sforzo normale P per l’eccentricità alla base del pannello einf.

𝑒𝑒𝑖𝑖𝑖𝑖𝑓𝑓 = 12(𝑙𝑙 − 𝑥𝑥) = 2 (1 −𝑙𝑙 0.85 𝑙𝑙 𝑡𝑡 𝑓𝑓𝑃𝑃 𝑑𝑑)

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Indicando con σn il valore medio della tensione di compressione (col segno positivo),

riferito all’area totale della sezione.

𝜎𝜎𝑖𝑖 =𝑙𝑙 𝑡𝑡𝑃𝑃

Si ottiene l’espressione indicata dalla normativa (punto 7.8.2.2.1):

𝑀𝑀𝑢𝑢 = 𝑙𝑙 2 𝑡𝑡𝜎𝜎 𝑖𝑖 2 (1 − 𝜎𝜎𝑖𝑖 0.85 𝑓𝑓𝑑𝑑)

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(figura 6b); avendo convenzionalmente trascurato la resistenza a trazione, esso si colloca interamente nel semipiano positivo degli sforzi (assumendo col segno positivo la compressione). Si osserva innanzitutto che il massimo momento flettente corrisponde ad un valore di P pari alla metà di quello ultimo. Negli edifici esistenti, per le ordinarie condizioni di servizio (combinazione di carico quasi permanente), si ha generalmente uno stato tensionale medio compreso tra il 10 e il 25 % della tensione di rottura a compressione. Ci si trova quindi nel primo quarto del diagramma. In tale zona il momento ultimo è condizionato soprattutto dall’equilibrio alla rotazione ed in misura molto minore dalla resistenza fcd della muratura. Quando ai carichi verticali si sommano

le azioni orizzontali (sismiche) occorre ovviamente considerare la possibile variazione di sforzo assiale, che produce un aumento del momento ultimo (in caso di aumento dello sforzo di compressione) ovvero un decremento.

La sicurezza allo stato limite ultimo viene misurata confrontando il momento di calcolo Md con quello ultimo Mu corrispondente al valore dello sforzo normale agente Pd. Una

situazione particolare è rappresentata dalla completa decompressione dell’elemento. Il momento ultimo in questo caso è nullo e l’elemento non offre quindi alcuna capacità di resistenza a flessione.

Le espressioni fornite dalla norma sono valide per sezioni rettangolari; nel caso di sezioni di forma diversa il momento ultimo sarà determinato con le medesime ipotesi e condizioni di equilibrio e quindi con formulazioni solo formalmente diverse.

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Valutazione del taglio ultimo

a) Rottura per scorrimento orizzontale

Si fa riferimento all’equazione fvk=fvk0+0,4 σn, già citata, che corrisponde al criterio

dell’attrito interno (Coulomb). Da questa si ottiene, inserendo i coefficienti parziali di sicurezza: 𝑉𝑉𝑡𝑡 =𝑙𝑙 ′𝑡𝑡𝑓𝑓 𝑣𝑣𝑘𝑘 𝛾𝛾𝑀𝑀 = 𝑙𝑙′𝑡𝑡𝑓𝑓 𝑣𝑣𝑘𝑘 𝛾𝛾𝑀𝑀 + 0.4 𝑙𝑙𝑡𝑡𝜎𝜎𝑖𝑖 𝛾𝛾𝑀𝑀

Ove l’ indica la zona di base reagente, che può essere determinata ipotizzando una distribuzione lineare delle tensioni normali in fase elastica sotto l’azione dello sforzo normale Pd e del momento flettente Md di calcolo (figura 7). In ogni caso fvk non può

superare più del 40% la resistenza caratteristica a compressione degli elementi nella direzione di applicazione della forza né il valore di 1.5 MPa (punto 7.8.2.2.2). Se si usa l’analisi statica non lineare, la normativa consente di far riferimento al valore medio delle resistenze (punto 7.8.2.2.2) e di assumere 𝛾𝛾𝑀𝑀=1; si ha quindi:

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In questo caso fvm non può essere assunto superiore al doppio della resistenza media a

compressione degli elementi nella direzione di applicazione della forza, né superiore al valore di 2.2 MPa. La normativa indica inoltre come spostamento ultimo del pannello il valore 0.004 H.

Nel caso di edifici esistenti si considera sempre il valore medio delle resistenze (con𝛾𝛾𝑀𝑀=1 se si usa un’analisi non lineare) e si aggiunge il fattore di confidenza FC.

𝑉𝑉𝑡𝑡 =𝑙𝑙 ′𝑡𝑡 𝑓𝑓 𝑣𝑣𝑣𝑣0 𝛾𝛾𝑀𝑀𝐹𝐹𝐹𝐹 + 0.4 𝑙𝑙 𝑡𝑡 𝜎𝜎𝑖𝑖 𝛾𝛾𝑀𝑀𝐹𝐹𝐹𝐹

Nel caso di decompressione del ritto, essendo nullo sia P (e quindi σn) che l’estensione l’

della zona di base reagente, la resistenza si annullerebbe.

b) Rottura per trazione diagonale

Questa condizione, consentita dal punto C8.7.1.5 delle NTC 08 (quindi solo per gli edifici esistenti), risulta generalmente più favorevole. Si determina quando la tensione

principale di trazione al centro del pannello raggiunge la resistenza a trazione di calcolo della muratura ftd (trazione diagonale).

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Con riferimento alla figura sopra, la tensione principale di trazione 𝜎𝜎𝜀𝜀al centro del

pannello può essere ottenuta con il cerchio di Mohr:

𝜎𝜎𝜀𝜀 = ��𝜎𝜎2 �𝑖𝑖 2

+ (𝑏𝑏 𝜏𝜏𝑣𝑣)2−𝜎𝜎2𝑖𝑖

Ove 𝜎𝜎𝑖𝑖 e 𝜏𝜏𝑣𝑣 rappresentano i valori medi delle tensioni normali e taglianti e b tiene

conto della influenza della snellezza della parete sulla distribuzione delle tensioni tangenziali (il parametro b può essere assunto pari a H/l e comunque non inferiore a 1 né superire a 1.5). Eguagliando la tensione principale di trazione al valore della

resistenza di calcolo ftd si ottiene:

𝜏𝜏𝑣𝑣,𝑢𝑢𝑙𝑙𝑡𝑡 =𝑓𝑓𝑏𝑏 �1 +𝑡𝑡𝑑𝑑 𝑓𝑓𝜎𝜎𝑖𝑖 𝑡𝑡𝑑𝑑

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𝑉𝑉𝑡𝑡 = 𝑙𝑙 𝑡𝑡 𝜏𝜏𝑣𝑣,𝑢𝑢𝑙𝑙𝑡𝑡 = 𝑙𝑙 𝑡𝑡 𝑓𝑓𝑏𝑏 �1 +𝑡𝑡𝑑𝑑 𝑓𝑓𝜎𝜎𝑖𝑖 𝑡𝑡𝑑𝑑

La resistenza a trazione ftd può essere posta pari a 1.5 fvm0.

Nel caso di completa decompressione (𝜎𝜎𝑖𝑖 = 0)la resistenza a taglio non è nulla ma,

come vedremo, il valore fornito dall’espressione:

𝑉𝑉𝑡𝑡 = 𝑙𝑙 𝑡𝑡 𝜏𝜏𝑣𝑣,𝑢𝑢𝑙𝑙𝑡𝑡 = 𝑙𝑙 𝑡𝑡 𝑓𝑓𝑏𝑏 �1 +𝑡𝑡𝑑𝑑 𝑓𝑓𝜎𝜎𝑖𝑖 𝑡𝑡𝑑𝑑

Non potrà essere utilizzato perché in un ritto decompresso l’impossibilità di portare momento flettente determina anche l’assenza del taglio.

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IL PANNELLO MASCHIO: COMPORTAMENTO FUORI PIANO

Valutazione del momento ultimo

In questo caso, considerata la snellezza dell’elemento si può escludere la crisi per taglio. La verifica di resistenza consisterà quindi nel confrontare il momento di calcolo con quello resistente, determinato per il valore di calcolo dello sforzo assiale

𝑀𝑀𝑑𝑑 ≤ 𝑀𝑀𝑢𝑢𝑙𝑙𝑡𝑡(𝑁𝑁𝑑𝑑)

Il valore del momento ultimo può essere determinato anche in questo caso ipotizzando una distribuzione uniforme delle tensioni (stress block) e trascurando la resistenza a trazione.

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VALUTAZIONE DELLA DEFORMAZIONE ULTIMA

La deformazione “elastica” dei pannelli, sia nel piano, che fuori, è funzione dei moduli di elasticità e della geometria dell’elemento oltre che, ovviamente, dei carichi. La sezione resistente tuttavia non corrisponde a quella geometrica a causa della parzializzazione (derivante dalla trascurabile resistenza a trazione del materiale) che si estende

progressivamente all’aumentare dell’azione orizzontale. In termini di deformazione c’è da attendersi un comportamento non lineare caratterizzato da una deformabilità

crescente con l’azione orizzontale. La plasticizzazione del pannello nel piano è attesa in prossimità degli spigoli e, nella prospettiva di una modellazione a plasticità concentrata, può configurarsi come una cerniera plastica che abbia le dimensioni pari all’estensione dell’area reagente (stress block). La rotazione ultima del concio elasticizzato risulta di conseguenza pari numericamente all’accorciamento ultimo della muratura, evidenziando quindi una non trascurabile duttilità in caso di crisi per pressoflessione. Quando però si modella il pannello come un’asta occorre prendere atto che la rotazione plastica della cerniera non restituisce il sollevamento del pannello e ciò costituirà una problematica approssimazione nelle analisi sismiche non lineari dinamiche. Nel caso invece che si raggiunga la crisi per taglio questa potrà essere simulata da una cerniera plastica a scorrimento nel centro del pannello (il taglio infatti è costante) alla quale andrà attribuita una capacità di deformazione molto minore (meccanismo fragile).

Sotto l’aspetto prescrittivo i limiti di deformazione plastica dei pannelli da utilizzare nelle verifiche allo stato limite SLV, quando si esegue l’analisi non lineare, vengono sanciti dalle NTC 08 (punti 7.8.2.2.1, 7.8.2.2.2 e C8.7.1.4) con riferimento allo spostamento relativo tra la sezione di base e quella di testa:

- Crisi per pressoflessione: spostamento ultimo del pannello ≤ 0.8% H (0.6% H per edifici esistenti)

- Crisi per taglio: spostamento ultimo del pannello ≤ 0.4% H.

- E’ opportuno precisare, come peraltro ribadito dalla Circolare esplicativa delle NTC 08, che lo spostamento del pannello va determinato al netto della eventuale rotazione rigida di base e che quindi non corrisponde necessariamente al

cosiddetto drift di piano. Le istruzioni sanciscono inoltre che nel caso che i maschi si comportino nella parete come mensole questi limiti possono raddoppiarsi.

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PANNELLI DI FASCIA

I pannelli di fascia sono sempre stati oggetto di minore attenzione da parte sia dei ricercatori che, di conseguenza, dei codici normativi. In effetti il costruito storico offre una ampia varietà di assetti strutturali di questo elemento che possiamo così

riassumere, anche con riferimento alla più generale classificazione degli edifici: - Fascia debole, non solo priva di cordoli ma anche di qualsiasi elemento tenso

resistente sia pure nella striscia di solaio limitrofa. Può rinvenirsi negli edifici più problematici della 1°o 2° classe e non offre alcuna capacità di resistenza.

- Fascia “a puntone”, cioè tale che, seppure priva di cordoli, si giova almeno di un elemento tenso resistente (in genere una catena) che gli conferisce capacità di accoppiamento grazie alla formazione di un puntone. Situazione tipica degli edifici delle prime due classi che siano stati oggetto di interventi di

consolidamento.

- Fascia trave, dotata di cordoli di piano e piattabande tensoresistenti che gli conferiscono capacità flessionale come una trave. Configurazione tipica della 3° classe o di edifici delle prime due classi fortemente trasformati.

Per quanto attiene la normativa italiana, l’elemento fascia comincia ad essere

considerato solo dall’ordinanza 3431, con prescrizioni riproposte oggi nelle NTC 08. Le prescrizioni normative si riferiscono solo alla cosiddetta fascia “a puntone”. L’Eurocodice 6 (EC6) esamina invece solo il comportamento dei pannelli di fascia dotati di cordoli armati di confinamento (fascia trave). Neanche le normative americane forniscono trattazioni più esaustive.

Per il pannello di fascia “a puntone” si prende in considerazione esclusivamente il comportamento nel piano, individuando le capacità ultime sia in termini di resistenza che di deformazione. L’approccio seguito è quello di considerare il pannello come un maschio ruotato di 90 gradi, con la complicazione però che in questo caso non è facilmente determinabile lo sforzo assiale, lo sforzo normale nella fascia dipende dalla reazione iperstatica di eventuali catene o altri elementi tensoresistenti presenti in prossimità della fascia. In mancanza di tali elementi lo sforzo assiale e la conseguente capacità della fascia sono da considerarsi trascurabili (fascia debole). I limiti di capacità prescritti dalle NTC 08 prevedono quindi l’esistenza di tali elementi tensoresistenti.

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Valutazione del taglio ultimo

Il taglio ultimo può essere valutato, in maniera cautelativa, con: 𝑉𝑉𝑡𝑡 = ℎ 𝑡𝑡 𝑓𝑓𝛾𝛾𝑣𝑣𝑘𝑘0

𝑀𝑀

O più in generale (per edifici esistenti) con: 𝑉𝑉𝑡𝑡 = ℎ 𝑡𝑡 𝛾𝛾𝑓𝑓𝑣𝑣𝑘𝑘0

𝑀𝑀𝐹𝐹𝐹𝐹

Essendo h l’altezza di fascia e t il suo spessore. Tale espressione, con eccessiva cautela e incongruentemente con il presupposto dello sforzo assiale, determina la rottura per taglio considerando solo la resistenza tagliante in assenza di sforzo assiale; essa però la estende, imprudentemente, all’intera sezione geometrica h t, come se non vi fosse parzializzazione.

Valutazione del momento ultimo

Il momento ultimo può essere valutato con:

𝑀𝑀𝑢𝑢 = 𝐻𝐻𝑝𝑝ℎ2 �1 −0.85 ℎ 𝑡𝑡 𝑓𝑓𝐻𝐻𝑝𝑝 ℎ𝑑𝑑�

L’espressione corrisponde a quella dei maschi 𝑀𝑀𝑢𝑢 = 𝑙𝑙 2 𝑡𝑡𝜎𝜎 𝑖𝑖 2 (1 − 𝜎𝜎𝑖𝑖 0.85 𝑓𝑓𝑑𝑑)

Assumendo uno sforzo assiale pari ad Hp. Questo sforzo viene assunto pari alla

massima trazione sopportabile dalla catena (che quindi è assolutamente necessaria) e comunque non superiore a:

𝐻𝐻𝑝𝑝,𝑣𝑣𝑚𝑚𝑥𝑥 = 0.4 ℎ 𝑡𝑡 𝑓𝑓ℎ𝑑𝑑

Ove fhd indica il valore di calcolo della resistenza a compressione della muratura in

direzione orizzontale (non coincidente con quella in direzione verticale a causa dell’anisotropia). Il coefficiente 0.4 che compare nell’espressione di Hp,max fornisce il

valore dello sforzo assiale che massimizza il momento ultimo (più precisamente si dovrebbe assumere 0.85/2).

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𝑉𝑉𝑝𝑝 = 2𝑀𝑀𝐿𝐿𝑢𝑢

Valutazione della deformazione ultima

La norma non definisce espressamente limiti di deformazione per le fasce di piano; si ritiene che si possano cautelativamente assumere anche in questo caso i valori adottati dai maschi per il taglio.

ZONE NODALI

Sono costituite dalla intersezione delle fasce verticali (maschi) e quelle orizzontali (pannelli di fascia) ed in generale possono essere considerate come zone rigide e resistenti. L’ipotesi discende dal confinamento esercitato sull’area nodale da parte dei due maschi e due pannelli di fascia che lo delimitano. Questa configurazione fa

presumere uno stato tensionale piano caratterizzato da compressione sia in orizzontale che in verticale (quasi una condizione idrostatica) e da ciò discende la fiducia nella rigidità e sovra resistenza delle aree nodali rispetto agli elementi limitrofi. Tale fiducia tuttavia viene meno per le zone nodali di estremità ove il confinamento è solo parziale. Ciò costituisce una criticità nelle modellazioni assunte, alla quale si puòporre in parte rimedio considerando nella modellazione a telaio della parete tratti rigidi di estremità delle aste estesi solo ad una parte dell’area nodale.

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ANALISI CINEMATICA LINEARE Principi

L’analisi cinematica lineare si basa sulla modellazione del macroelemento come un sistema di blocchi rigidi che evidenzia quindi un comportamento rigido-labile. Nella condizione non sismica il macroelemento è soggetto ai carichi gravitazionali verticali ed alle eventuali azioni orizzontali (ad esempio le spinte delle volte e degli archi o del vento). Il coefficiente di sicurezza rispetto al ribaltamento, o allo scorrimento per superamento della resistenza di attrito, di uno dei blocchi esprime la valutazione della sicurezza.

Nella condizione sismica si immagina di assegnare azioni orizzontali, ciascuna come percentuale delle azioni verticali, monotonamente crescenti fino alla crisi per

ribaltamento ovvero per scorrimento di uno dei blocchi. Il moltiplicatore limite α0 di tali

azioni orizzontali può essere interpretato come una accelerazione spettrale (in termini di accelerazione di gravità g), cioè l’accelerazione assoluta “sentita” dal sistema per un input sismico del suolo il cui valore di picco vale S ag. Essendo il sistema costituito da

blocchi rigidi l’accelerazione è identica per tutti i blocchi poiché il moto assoluto del sistema coincide con quello del suolo.

Dobbiamo ora chiederci quale relazione intercorra tra l’accelerazione spettrale del sistema e quella del suolo. La rigidezza del sistema, sostanzialmente infinita (T=0), dovrebbe comportare la coincidenza tra i due suddetti termini, anche per l’assenza di un comportamento deformativo prima elastico e poi plastico che evidenzi una duttilità meccanica e conduca alla definizione di un “coefficiente di struttura”.

In realtà un sistema rigido-labile non è privo di una sua duttilità (geometrica o

cinematica) correlata alla possibilità di subire la escursione cinematica del meccanismo, nei limiti di una sua non irreversibilità. Questo consente quindi l’introduzione di un coefficiente di struttura nelle relazioni che legano l’accelerazione spettrale a quella del suolo anche per sistemi rigido-labili.

Nel caso inoltre che il macroelemento non sia direttamente collegato al suolo ma sia collegato in un sistema deformabile di altezza H, ad una certa quota Z rispetto alle fondazioni, l’accelerazione deve tener conto della sua possibile amplificazione (o deamplificazione) dell’accelerazione del suolo Sag, dovuta alla risposta del sistema

sottostante. Più precisamente ad una assegnata accelerazione del suolo Sagcorrisponde

l’accelerazione spettrale S(T1) del sistema deformabile di periodo principale T1, distribuita in verticale secondo la forma modale. L’input sismico del macroelemento

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diviene quindi l’accelerazione spettrale del sistema deformabile alla quota Z ove il macroelemento si collega al sottostante sistema.

Ove si voglia infine tener conto della limitata resistenza a compressione della muratura, ipotesi ovviamente non coerente con una modellazione a blocchi rigidi, si possono considerare arretrate le cerniere rispetto agli spigoli dei blocchi collocandole nel centro degli sforzi di compressione (stress-block).

Modalità applicative

L’analisi cinematica lineare trova applicazione ai fini della valutazione della sicurezza nei confronti dello stato limite di equilibrio (EQU). Nella condizione sismica e non sismica le azioni gravitazionali saranno diversamente amplificate mediante i coefficienti γG, γQe ψ

che, ad esempio, in condizione sismica fanno riferimento alla combinazione quasi permanente. L’appendice C8A.4 delle Istruzioni alle NTC 08 esplicita le modalità applicative. Si ritiene utile commentare la procedura richiamando le principali espressioni e conservandone la numerazione adottata nel testo normativo. Il

moltiplicatore di collasso α0 viene determinato utilizzando il principio dei lavori virtuali

che richiede l’applicazione della stessa espressione per tutti i possibili meccanismi di ribaltamento o scorrimento, al fine di determinare il minore. In caso di meccanismo per scorrimento, improbabile negli schemi strutturali in esame caratterizzati da blocchi snelli, nell’espressione C8A.4.1 interviene il lavoro attritivo delle forze interne Lfi

𝛼𝛼0�� 𝑃𝑃𝑖𝑖 𝑖𝑖 𝑖𝑖=1 𝛿𝛿𝑥𝑥,𝑖𝑖 + � 𝑃𝑃𝑗𝑗𝛿𝛿𝑥𝑥,𝑗𝑗 𝑖𝑖+𝑣𝑣 𝑗𝑗 =𝑖𝑖+1 � − � 𝑃𝑃𝑖𝑖 𝑖𝑖 𝑖𝑖=1 𝛿𝛿𝑦𝑦,𝑖𝑖 − � 𝐹𝐹ℎ 0 ℎ=1 𝛿𝛿ℎ = 𝐿𝐿𝑓𝑓𝑖𝑖

Allo stesso risultato si perviene effettuando una verifica al ribaltamento (o scorrimento) per azioni orizzontali crescenti.

Per meglio evidenziare i diversi termini che compaiono nell’espressione, si consideri la figura 1, già precedentemente mostrata, che rappresenta un ipotetico sistema costituito dalle catene delle capriate, in aderenza ad un leggero chiostro sul lato sinistro che si

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correlati alle masse ponderali portate dal sistema ma che non hanno effetto

stabilizzante. Nel caso del sistema rappresentato, il meccanismo di ribaltamento alla base, a causa del collegamento pendolare tra i due piedritti, deve coinvolgerli entrambi. La procedura prevede quindi la definizione di un sistema ad un grado di libertà

equivalente le cui caratteristiche meccaniche saranno contraddistinte da un asterisco. Il moltiplicatore delle azioni orizzontali inerziali può essere inteso come un’accelerazione spettrale dividendo la forza orizzontale per la massa. Come massa si suggerisce di adottare non la massa totale ma la “massa partecipante” fornita dall’espressione:

𝑀𝑀∗ =�∑𝑖𝑖+𝑣𝑣𝑖𝑖=1 𝑃𝑃𝑖𝑖𝛿𝛿𝑥𝑥,𝑖𝑖�2

𝑔𝑔 ∑𝑖𝑖+𝑣𝑣𝑖𝑖=1 𝑃𝑃𝑖𝑖𝛿𝛿𝑥𝑥,𝑖𝑖2

Ottenuta considerando il cinematismo atteso come forma modale.

L’accelerazione spettrale dell’oscillatore semplice equivalente è espressa dalla formula:

𝛼𝛼0∗ = 𝛼𝛼0∑ 𝑃𝑃𝑖𝑖 𝑖𝑖+𝑣𝑣 𝑖𝑖=1

𝑀𝑀∗𝐹𝐹𝐹𝐹

Nella quale interviene come parametro cautelativo a denominatore il fattore di confidenza FC.

Nota l’accelerazione spettrale 𝛼𝛼0∗ che comporta l’attivazione del meccanismo, questa

viene confrontata con quella attesa. Nel caso di stato limite di danno (SLD) distinguiamo due possibili situazioni:

a) Macroelemento poggiato direttamente al suolo: 𝛼𝛼0∗ ≥ 𝑚𝑚𝑔𝑔(𝑃𝑃𝑉𝑉𝑉𝑉)𝑆𝑆

b) Macroelemento collocato a quota Z rispetto all’altezza complessiva H della struttura:

(25)

𝛼𝛼0∗ ≥ 𝑆𝑆𝑒𝑒(𝑇𝑇1)𝛹𝛹(𝑍𝑍)𝛾𝛾

Ove 𝛹𝛹(𝑍𝑍) rappresenta lo spostamento relativo al primo modo normalizzato in sommità (è consentito il ricorso ad una formula linearizzata z/H) e 𝛾𝛾 il corrispondente coefficiente di partecipazione modale, che può assumersi pari a 3N/(2N+1) se si indica con N il numero dei piani.

Nel caso di stato limite di salvaguardia della vita (SLV) nelle espressioni compare il coefficiente di struttura q (al quale si attribuisce convenzionalmente il valore 2) e i due casi si particolarizzano come segue:

a) Macroelemento poggiato direttamente sul suolo:

𝛼𝛼0∗ ≥ 𝑚𝑚𝑔𝑔(𝑃𝑃𝑞𝑞𝑉𝑉𝑉𝑉)𝑆𝑆

b) Macroelemento collocato a quota Z rispetto all’altezza complessiva H della struttura:

𝛼𝛼0∗ ≥𝑆𝑆𝑒𝑒(𝑇𝑇1)𝛹𝛹(𝑍𝑍)𝛾𝛾𝑞𝑞

Dobbiamo osservare che la collocazione del macroelemento ad una quota superiore a quella del suolo comporta in genere una maggiorazione della domanda di accelerazione, ma non sono da escludere situazioni nelle quali il macroelemento sia collocato al di sopra di una struttura particolarmente deformabile che determini, agendo come un isolatore, una diminuzione della domanda.

Le espressioni precedenti, assumendo il segno di eguaglianza, possono fornire la massima accelerazione del suolo (Sag) che può sopportare il sistema.

(26)

ANALISI CINEMATICA NON LINEARE

Principi

Il macroelemento viene sempre modellato come sistema di blocchi rigidi, ma si richiede di tener conto dell’effetto in stabilizzante dei carichi verticali dopo l’attivazione del meccanismo. E’ quindi possibile tracciare una curva di capacità in termini di spostamento che in corrispondenza dell’attivazione del meccanismo presenta una biforcazione, generalmente linearizzata, con ramo decrescente della capacità fino al valore nullo.

La verifica rispetto allo stato limite ultimo di salvaguardia della vita si differenzia per il non utilizzo di un coefficiente di struttura ma mediante un confronto tra domanda e disponibilità in termini di spostamento. Il punto critico dell’analisi cinematica non lineare consiste nel fatto che per definire una domanda in termini di spostamenti relativi

spettrali è necessario considerare la deformabilità del sistema (ipotizzato invece

inizialmente come infinitamente rigido). Questo è un elemento contraddittorio che può trovare una soluzione convenzionale solo nelle regole applicative.

Modalità applicative

Determinata l’accelerazione di attivazione del meccanismo e la curva di capacità (accelerazione spettrale vs spostamento di un punto di controllo).

𝛼𝛼 = 𝛼𝛼0�1 −𝑑𝑑𝑑𝑑𝑘𝑘 𝑘𝑘0�

Si passa alla curva di capacità dell’oscillatore equivalente:

𝛼𝛼0∗ = 𝛼𝛼0∑ 𝑃𝑃𝑖𝑖 𝑖𝑖+𝑣𝑣 𝑖𝑖=1 𝑀𝑀∗𝐹𝐹𝐹𝐹 𝑑𝑑∗ = 𝑑𝑑 𝑘𝑘 ∑ 𝑃𝑃𝑖𝑖𝑑𝑑𝑥𝑥,𝑖𝑖 2 𝑖𝑖+𝑣𝑣 𝑖𝑖=1 𝑑𝑑𝑥𝑥,𝑘𝑘∑𝑖𝑖+𝑣𝑣𝑖𝑖=1 𝑃𝑃𝑖𝑖𝛿𝛿𝑥𝑥,𝑖𝑖

(27)

𝛼𝛼∗ = 𝛼𝛼 0

�1 −𝑑𝑑∗

𝑑𝑑0∗�

Si assume come valore ultimo dello spostamento 𝑑𝑑𝑢𝑢∗ il 40% di quello corrispondente

all’annullarsi della capacità. Viene definita quindi una rigidezza secante convenzionale (in corrispondenza dello spostamento 𝑑𝑑𝑠𝑠∗ pari al 40% dello spostamento massimo 𝑑𝑑𝑢𝑢∗) e

di conseguenza il periodo Ts assume il valore:

𝑇𝑇𝑠𝑠 = 2𝜋𝜋�𝑑𝑑𝑠𝑠 ∗

𝛼𝛼𝑠𝑠∗

La verifica si effettua controllando che lo spostamento ultimo sia non minore di quello richiesto; ciò si esplicita nelle due seguenti diseguaglianze, che si riferiscono

rispettivamente ad un macroelemento poggiato al suolo ovvero ad una quota Z della costruzione: 𝑑𝑑𝑢𝑢∗ ≥ 𝑆𝑆𝐷𝐷𝑒𝑒(𝑇𝑇𝑠𝑠) 𝑑𝑑𝑢𝑢∗ ≥ 𝑆𝑆𝐷𝐷𝑒𝑒(𝑇𝑇𝑠𝑠)𝛹𝛹(𝑍𝑍)𝛾𝛾(𝑇𝑇𝑇𝑇𝑠𝑠1)2 �(1 −𝑇𝑇𝑠𝑠 𝑇𝑇1) 2+ 0.02𝑇𝑇𝑠𝑠/𝑇𝑇1

In ogni caso entrambe le disequazioni vanno verificate.

Amplificando l’intensità del sisma, e di conseguenza lo spettro SDe(T), si perviene

all’eguaglianza dei due termini della disequazione. In questa situazione l’ordinata iniziale dello spettro (per T=0) esprime la massima accelerazione del suolo sostenibile dal sisma (vulnerabilità sismica).

(28)

ANALISI MODALE Principi

Il macroelemento viene considerato ora come un sistema deformabile,

convenzionalmente elastico. Si conduce un’analisi lineare del sistema sottoposto ad un sistema di azioni sismiche convenzionali derivate dalle forme modali e, nel caso di analisi statica, dalla forma linea rizzata del primo modo, mediante l’utilizzo di uno spettro di progetto che sconta una riduzione delle ordinate spettrali rispetto a quello elastico modulato da un coefficiente di struttura convenzionale.

Modalità applicative

Non vengono fornite particolari modalità specifiche per le particolari strutture in esame. Ci si riconduce quindi alle modalità applicative fornite per gli edifici ordinari, ma è evidente la difficoltà a trasferire su queste forme strutturali le indicazioni convenzionali assunte per gli edifici. Poiché però nella procedura cinematica si è indicato un

coefficiente di struttura pari a 2 si potrebbe estendere tale indicazione anche al caso in esame.

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ANALISI STATICA NON LINEARE Principi

Con riferimento ad un sistema deformabile si costruisce una curva di capacità facendo crescere monotonamente un sistema di azioni orizzontali distribuite in altezza secondo una forma modale significativa. Per i sistemi strutturali in esame costituenti i

macromodelli, la curva di capacità si riduce spesso ad una semplice bilatera a causa della isostaticità o bassa iperstaticità dello schema.

Modalità applicative

Non vengono fornite modalità applicative specifiche per tali sistemi. Si suggerisce pertanto di seguire la seguente procedura, conforme ai principi fisici del metodo:

- Si determinano innanzitutto le forme modali ed i relativi periodi per accertare se il primo periodo T1 sia maggiore o minore di Tc, punto dello spettro elastico (fornito dalla normativa per il luogo e per il tipo di edificio in esame) che delimita superiormente il tratto ad accelerazione spettrale costante.

- Si effettua una analisi lineare spettrale modale con riferimento al suddetto spettro elastico.

- Su di un diagramma che riporta in ascissa lo spostamento di un puntodi controllo ed in ordinata l’accelerazione del suolo (si sottolinea che si tratta

dell’accelerazione del suolo e non di quella spettrale), si traccia la retta che ne esprime il comportamento.

- Si determina il punto di biforcazione di tale retta corrispondente all’attivazione del meccanismo da cui parte il ramo orizzontale (o sub orizzontale ove si consideri l’effetto P-δ); indicheremo con (Sag)y l’accelerazione del suolo

corrispondente a tale punto.

- Si determina su tale ramo lo spostamento ultimo correlato alla massima rotazione (o scorrimento) della cerniera plastica che ha determinato il

meccanismo ovvero a condizioni cinematiche critiche corrispondenti alla perdita di appoggio di solai o alla crisi del concio di chiave degli archi.

- Si determina il fattore q* come rapporto tra l’accelerazione del suolo per

comportamento lineare in corrispondenza dello spostamento ultimo (Sag)u e

quella in corrispondenza della formazione del meccanismo (Sag)y. La verifica

consiste nel controllare che l’accelerazione prevista al suolo sia minore di (Sag)u

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- Minore di �𝑆𝑆𝑚𝑚𝑔𝑔�𝑢𝑢 𝑞𝑞

1+(𝑞𝑞∗−1)𝑇𝑇

𝑐𝑐/𝑇𝑇1𝑠𝑠𝑒𝑒 𝑇𝑇1 < 𝑇𝑇𝑐𝑐.

Definendo come vulnerabilità sismica della fabbrica la massima accelerazione del suolo tollerabile dalla struttura, questa sarà espressa proprio dai suddetti valori e cioè (Sag)u se T1>Tc o (sag)uq*/(1+(q*-1)Tc/T1) se T1<Tc.

(31)

ANALISI DINAMICA NON LINEARE Principi

Costituisce in linea teorica l’approccio più avanzato perché, risolvendo

numericamente le equazioni dinamiche del moto del sistema in successivi istanti (integrazione delle equazioni del moto nel dominio del tempo), ha l’ambizione di fornire la soluzione rigorosa del sistema a “plasticità concentrata”, cioè con aste alle cui estremità possono formarsi cerniere plastiche (a flessione o a taglio).

In realtà l’incertezza di alcuni fattori fondamentali di fatto vanifica tale ambizioso obiettivo. Tra tali fattori si ricordano innanzitutto la scelta dell’input sismico, che necessariamente deve limitarsi ad un numero finito di accelerogrammi, la notevole influenza sui risultati degli smorzamenti di difficile valutazione, l’incerta modellazione del comportamento ciclico delle cerniere plastiche. Infine è da ricordare il grande onere computazionale e la grande mole di risultati numerici, difficile da gestire ed interpretare.

Modalità applicative

Il metodo, che si qualifica più come uno strumento di indagine scientifica che tecnica, trova nella normativa poche istruzioni applicative che si riducono essenzialmente nella prescrizione di un numero minimo di accelero grammi da considerare.

(32)

ANALISI DEI MECCANISMI LOCALI DI COLLASSO Introduzione

L’analisi del comportamento sismico degli edifici esistenti è caratterizzata da significativi margini di incertezza che dipendono dal livello di conoscenza delle caratteristiche meccaniche dei materiali e, soprattutto, dall’effettiva organizzazione delle strutture. I numerosi e sofisticati codici di calcolo oggi disponibili richiedono l’adozione di parametri la cui determinazione è spesso problematica.

La muratura non è né omogenea, né tantomeno isotropa e lineare.

In un edificio sono spesso presenti più tipologie murarie, diverse per materiali, leganti e numero di paramenti. La scelta di moduli diversi per le diverse zone

dell’edificio richiederebbe indagini sperimentali poco praticabili in modo sistematico. Sarebbe in ogni caso illusorio pensare che la conoscenza puntuale delle

caratteristiche meccaniche sia in grado di rendere più affidabile il modello.

L’esperienza mostra infatti che, molto spesso, nelle vecchie costruzioni in muratura, dalla carenza dei vincoli o da difetti costruttivi o dalla presenza di discontinuità non sempre visibili: questi aspetti non sono ancora efficacemente modellabili nei codici disponibili. Un altro elemento che rende poco utile l’utilizzo di codici sofisticati è la complicazione intrinseca degli edifici dei centri storici.

Gli edifici sono aggregazioni di moduli strutturali costruiti in epoche diverse, con modalità di connessione non sempre chiaramente individuabili. L’efficacia dei codici agli elementi finiti è da considerare valida solo per analisi di oggetti specifici, con organizzazione strutturale relativamente semplice; l’efficacia deve essere comunque certificata da una adeguata analisi di sensitività che non può essere proposta in modo sistematico per gli usi professionali correnti.

Si è perciò deciso di fissare l’attenzione sull’approccio basato sui meccanismi locali di collasso, che sono già stati descritti in numerosi studi precedenti, a partire da Giuffrè nel 1993 fino ai più recenti redatti a valle del terremoto Umbro-Marchigiano del 1997. I danni rilevati sulle strutture murarie dopo gli eventi sismici mostrano che il sistema tende a selezionare le parti strutturali e le soluzioni tecnologiche più deboli: l’analisi dell’organizzazione strutturale attuale consente così di prevedere i possibili danni o collassi futuri. A differenza di quanto avviene negli edifici con struttura a telaio, la carenza o la mancanza di connessione tra gli elementi strutturali delle costruzioni in muratura realizzate in assenza di norme specifiche permettono il

(33)

verificarsi di collassi parziali; in genere il crollo della struttura muraria avviene per perdita dell’equilibrio di porzioni di essa.

Per questo motivo, la valutazione della sicurezza degli edifici in muratura esistenti va eseguita, oltre che con riferimento al comportamento sismico globale, anche

considerando i possibili meccanismi locali di collasso. Questo approccio richiede una osservazione accurata delle caratteristiche costruttive degli edifici da analizzare, per procedere ad una affidabile modellazione strutturale.

Spesso gli edifici dei centri storici sono realizzati in aggregato ed hanno subito trasformazioni successive nel tempo tali da rendere incerta ed inadeguata una analisi in termini di risposta globale. In tali edifici è necessario ricercare la presenza degli elementi caratteristici di vulnerabilità legati a :

- La qualità delle connessioni tra le pareti murarie e gli orizzontamenti; - La qualità e la tessitura muraria;

- Le interazioni con gli altri elementi della costruzione e con gli edifici esistenti. E’ così possibile ipotizzare, sulla base della conoscenza del comportamento sismico di strutture analoghe i meccanismi locali ritenuti significativi.

La presenza di quadri fessurativi e di dissesti prodotti dai terremoti passati fornisce una efficace indicazione per una corretta previsione degli incipienti meccanismi di collasso. Individuati tali meccanismi , occorre poi definire uno o più modelli di analisi per valutare l’entità dell’azione sismica che ne determina l’attivazione provocando il collasso della costruzione. L’analisi è rivolta alla quantificazione del coefficiente sismico λ, moltiplicatore dei carichi orizzontali agenti sugli elementi strutturali, che attiva il cinematismo in questione.

A tal fine è utile considerare le strutture murarie come costituite da corpi rigidi, i macroelementi coinvolti nei cinematismi; la valutazione delle condizioni di equilibrio limite sotto l’azione del sisma è condotta trascurando la resistenza a trazione della muratura. I valori dei moltiplicatori di collasso ottenuti per i diversi meccanismi compatibili con le caratteristiche costruttive dell’edificio analizzato, consentono di individuare quello che determina la crisi della struttura, corrispondente al

moltiplicatore minore e, l’entità dell’azione sismica che lo attiva; consentono anche di segnalare altre potenziali situazioni di pericolo dovute a possibili meccanismi associati ai più bassi valori del moltiplicatore λ.

(34)

monoliticità delle pareti murarie, tale da impedire collassi localizzati per disgregazione della muratura.

A tal riguardo la tipologia muraria che caratterizza la porzione dell’edificio di cui si vogliono analizzare le condizioni di sicurezza può essere catalogata facendo

riferimento a categorie di qualità che distinguono le murature nelle classi A, B e C. La tipologia C (muratura di qualità scadente) identifica una situazione di elevata vulnerabilità incompatibile con l’analisi mediante meccanismi: corrisponde infatti ad un tipo di muratura per il quale è prevedibile una crisi associata alla frantumazione dell’opera muraria per azioni fuori dal piano e ad una scarsa resistenza per azioni nel piano.

I casi restanti, muratura di tipo A (di ottima qualità) e di tipo B (di media qualità) assicurano un comportamento monolitico di intere pareti o di parti di esse per azioni fuori dal piano ed una maggiore resistenza ad azioni nel piano; è perciò possibile individuare ed analizzare i meccanismi di collasso in relazione alle peculiarità costruttive rilevate nell’edificio.

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DESCRIZIONE DEI MECCANISMI DI COLLASSO FUORI PIANO

I modelli per l’analisi dei più frequenti meccanismi di collasso fuori dal piano riscontrati negli edifici in muratura ordinari, sono stati classificati in:

- Meccanismi di ribaltamento semplice; - Meccanismi di flessione verticale; - Meccanismi di flessione orizzontale; - Meccanismi di ribaltamento composto.

Per ognuno di tali raggruppamenti è opportuno illustrare le caratteristiche e le modalità di collasso, l’ambito di applicazione ed i requisiti che si devono verificare negli edifici affinchè il meccanismo si possa manifestare e le possibili condizioni differenti che è possibile riscontrare nelle strutture e che possono influenzare l’evoluzione del fenomeno.

Meccanismi di ribaltamento semplice

Il ribaltamento semplice di pareti esterne degli edifici dovute all’azione del sisma rappresenta una situazione di danno tra le più frequenti e pericolose.

Viene schematizzato come una rotazione rigida di porzioni di parete attorno ad una cerniera cilindrica orizzontale posta alla base; la rotazione è attivata da sollecitazioni fuori dal piano. Tale situazione si verifica quando il muro investito dall’azione sismica risulta libero in sommità e non ammorsato alle pareti ad esso ortogonali.

Figura 11: meccanismo di ribaltamento semplice

(36)

mantello murario ed assenza di dispositivi di collegamento, come cordoli o catene, in testa alla tesa ribaltante. Se l’edificio ha subito l’azione di un sisma questo tipo di meccanismo è facilmente individuabile da lesioni verticali presenti in corrispondenza dell’incrocio tra la tesa ribaltante e le pareti ad essa ortogonali, oppure dall’avvenuto sfilamento di travi dall’incastro con il muro.

Il ribaltamento semplice di porzioni di muratura può riguardare diverse geometrie della parete in esame, in relazione ad un quadro fessurativo rilevato o alla presenza di aperture nel muro (porte e finestre) che ne influenzano la progressione.

Può interessare uno solo o più piani dell’edificio, relativamente alla modalità di connessione tra i solai e le murature ai vari livelli della struttura. In questi casi occorre considerare la possibilità che il ribaltamento possa coinvolgere diversi livelli della parete; bisogna quindi valutare il moltiplicatore di collasso per differenti posizioni della cerniera cilindrica.

Nell’analisi dei meccanismi di ribaltamento semplice di pareti non vincolate agli orizzontamenti e non efficacemente collegate alle pareti ortogonali, l’applicazione dell’equazione dei lavori virtuali porta alla scrittura di una equazione di equilibrio tra momento ribaltante e momento stabilizzante. Il problema viene formulato

distinguendo edifici con pareti a comportamento monolitico ed a doppia cortina e, considerando in ogni caso la possibilità che il meccanismo di ribaltamento coinvolga uno o più piani dell’edificio in relazione alle condizioni di vincolo relative ai vari livelli.

Ribaltamento semplice di parete monolitica

Nel caso dei meccanismi di ribaltamento semplice l’individuazione di un quadro fessurativo o di danneggiamento imputabile a tale meccanismo rende immediata la definizione dei macroelementi da considerare nel calcolo di λ secondo la

formulazione proposta. Il primo passo da compiere consiste nel definire la geometria dei corpi ribaltanti e quindi nel tracciare uno schema di calcolo quanto più

verosimile. Se l’edificio da analizzare non presenta alcun tipo di danneggiamento, si deve accertare la possibilità dell’instaurarsi di un meccanismo di ribaltamento

semplice a partire dalle condizioni di vincolo della parete; successivamente è possibile ipotizzare la geometria coinvolta nel cinematismo prendendo in considerazione ulteriori fattori come la presenza di aperture o la qualità della muratura. In questi casi è tuttavia opportuno considerare diverse possibilità e

(37)

valutare i relativi valori del coefficiente di collasso associati. In particolare per pareti che risultano non vincolate a vari livelli dell’edificio bisogna considerare la possibilità che il ribaltamento avvenga per diverse posizioni della cerniera cilindrica in

corrispondenza dei diversi piani.

Cinematismo di ribaltamento semplice di parete monolitica ad un piano

E’ questo il caso in cui l’assenza di trattamento in testa alla tesa ribaltante riguarda soltanto l’ultimo livello dell’edificio dove il ribaltamento dell’intera parete o di porzioni di essa può essere agevolato da una copertura spingente. Sia definita la geometria del macroelemento coinvolto nel ribaltamento, risulta allora definito lo schema di calcolo al quale fare riferimento con tutte le grandezze richieste.

Risultano inoltre determinate le condizioni di vincolo ed i carichi agenti sul sistema, rappresentati dai pesi trasmessi al macroelemento dalle strutture e sovrastrutture su esso agenti e dalle azioni orizzontali dovute al sisma oppure a spinte statiche. In condizioni sismiche, infatti, a ciascun carico verticale corrisponde un carico orizzontale calcolato come il prodotto del primo per il coefficiente sismico λ. Il moltiplicatore di collasso λ delle forze orizzontali è valutato imponendo le condizioni di equilibrio che il sistema di forze agenti deve rispettare in condizioni di incipiente ribaltamento. Si procede quindi alla valutazione del momento delle forze che determinano il ribaltamento del corpo attorno alla cerniera cilindrica considerata (momento ribaltante) e quello delle forze che si oppongono a tale rotazione (momento stabilizzante).

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- W è il peso proprio della parete;

- Fv è la componente verticale della spinta di archi o volte sulla parete;

- Fh è la componente orizzontale della spinta di archi o volte sulla parete;

- Ps è il peso del solaio agente sulla parete calcolato in base all’area di influenza;

- Ph rappresenta la spinta statica trasmessa dalla copertura;

- T rappresenta il valore massimo dell’azione di un eventuale tirante in testa alla parete;

- h è l’altezza della parete rispetto alla cerniera in A o, più in generale, la quota del punto d’applicazione dell’azione trasmessa dal solaio o dal tirante rispetto alla cerniera A;

- hv è la quota del punto di applicazione della spinta di archi o volte rispetto alla

cerniera A;

- d è la distanza orizzontale dalla cerniera A del punto di applicazione di Fv; - yG è l’altezza del baricentro della parete rispetto alla cerniera in A;

- λ è il moltiplicatore delle forze orizzontali.

Si scrive una equazione di equilibrio alla rotazione intorno alla cerniera A. Il momento stabilizzante è dato da:

𝑀𝑀𝑠𝑠(𝐴𝐴) = 𝑊𝑊2 + 𝐹𝐹𝑠𝑠 𝑣𝑣𝑑𝑑𝑣𝑣+ 𝑃𝑃𝑠𝑠𝑑𝑑 + 𝑇𝑇ℎ

Il momento ribaltante è dato da:

𝑀𝑀𝑟𝑟(𝐴𝐴) = 𝜆𝜆(𝑊𝑊𝑦𝑦𝐺𝐺 + 𝐹𝐹𝑣𝑣ℎ𝑣𝑣+ 𝑃𝑃𝑠𝑠ℎ) + 𝐹𝐹𝐻𝐻ℎ𝑣𝑣 + 𝑃𝑃𝐻𝐻ℎ

(39)

𝜆𝜆 =𝑊𝑊

𝑠𝑠

2+ 𝐹𝐹𝑣𝑣𝑑𝑑𝑣𝑣+ 𝑃𝑃𝑠𝑠𝑑𝑑 + 𝑇𝑇ℎ − 𝐹𝐹𝐻𝐻ℎ𝑣𝑣− 𝑃𝑃𝐻𝐻ℎ

𝑊𝑊𝑦𝑦𝐺𝐺 + 𝐹𝐹𝑣𝑣ℎ𝑣𝑣 + 𝑃𝑃𝑠𝑠ℎ

Si fa osservare che la valutazione della posizione del baricentro della parete rispetto alla cerniera cilindrica attorno alla quale si attiva il cinematismo, ed in particolare la distanza verticale di questa dal punto di applicazione del peso proprio del corpo, permette di considerare nel calcolo la reale geometria in facciata del macroelemento ribaltante. Infatti, la presenza di aperture nella parete generalmente modifica la posizione del baricentro della stessa e comporta quindi una variazione nella valutazione del momento ribaltante. Inoltre in presenza di macroelementi di geometria irregolare, definita da un quadro fessurativo osservato in facciata, la definizione della posizione verticale del baricentro del corpo che ribalta permette di considerare nell’analisi una più realistica distribuzione dei carichi orizzontali applicati alla parete. Si sottolinea infine che tale procedura permette altresì di prendere in considerazione l’arretramento della cerniera cilindrica attorno alla quale si ha ribaltamento, per tenere conto della eventuale ridotta resistenza a compressione della muratura, semplicemente misurando i bracci orizzontali delle forze verticali a partire dal punto A’, interno allo spessore del muro.

Cinematismo di ribaltamento semplice di parete monolitica a più piani

E’ il caso in cui in corrispondenza dei solai (che si presentano generalmente semplicemente appoggiati alle murature) l’edificio è privo di dispositivi in grado di contrastare il ribaltamento della parete di facciata su diversi livelli. In tal caso bisogna considerare la possibilità che la tesa muraria, sottoposta anche alla spinta esercitata dai solai in condizioni sismiche, subisca il ribaltamento attorno a diverse posizioni della cerniera cilindrica, in corrispondenza dei diversi piani dell’edificio e, valutare quindi la condizione alla quale corrisponde un moltiplicatore di collasso minore. Si determinano quindi le condizioni di equilibrio in corrispondenza della formazione di una cerniera cilindrica posta generalmente in B.

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- n è il numero di piani interessati dal cinematismo; - Wi è il peso proprio della parete al piano i-esimo;

- FVi è la componente verticale della spinta di archi o volte sulla parete al piano

i-esimo;

- FHi è la componente verticale della spinta di archi o volte sulla parete al piano

i-esimo;

- Psi è il peso del solaio agente sulla parete al piano i-esimo calcolato in base

all’area di influenza;

- PH rappresenta la spinta statica trasmessa dalla copertura;

- Ti rappresenta il valore massimo dell’azione di un eventuale tirante in testa alla

parete del piano i-esimo; - si è lo spessore della parete;

- hi è l’altezza della parete rispetto alla cerniera in B;

- hvi è l quota del punto di applicazione della spinta di archi o volte al piano i-esimo

rispetto alla cerniera B;

- di è la distanza orizzontale del punto di applicazione del carico del solaio sulla

parete al piano i-esimo rispetto alla cerniera B;

(41)

- yG è l’altezza del baricentro della parete rispetto alla cerniera in B;

- 𝜆𝜆 è il moltiplicatore delle forze orizzontali. Il momento stabilizzante è dato da:

𝑀𝑀𝑠𝑠 = � 𝑊𝑊𝑖𝑖𝑠𝑠2 +𝑖𝑖 𝑖𝑖 𝑖𝑖=1 � 𝐹𝐹𝑣𝑣𝑖𝑖𝑑𝑑𝑣𝑣𝑖𝑖 + 𝑖𝑖 𝑖𝑖=1 � 𝑃𝑃𝑠𝑠𝑖𝑖𝑑𝑑𝑖𝑖 + � 𝑇𝑇𝑖𝑖ℎ𝑖𝑖 𝑖𝑖 𝑖𝑖=1 𝑖𝑖 𝑖𝑖=1 Quello ribaltante è: 𝑀𝑀𝑟𝑟 = 𝜆𝜆 �� 𝑊𝑊𝑖𝑖𝑦𝑦𝐺𝐺𝑖𝑖 + � 𝐹𝐹𝑣𝑣𝑖𝑖ℎ𝑣𝑣𝑖𝑖 + � 𝑃𝑃𝑠𝑠𝑖𝑖ℎ𝑖𝑖 𝑖𝑖 𝑖𝑖=1 𝑖𝑖 𝑖𝑖=1 𝑖𝑖 𝑖𝑖=1 � + � 𝐹𝐹𝐻𝐻𝑖𝑖ℎ𝑣𝑣𝑖𝑖 + � 𝑃𝑃𝐻𝐻ℎ𝑖𝑖 𝑖𝑖 𝑖𝑖=1 𝑖𝑖 𝑖𝑖=1

Il moltiplicatore di collasso che si ottiene è:

𝜆𝜆 =∑ 𝑊𝑊𝑖𝑖 𝑠𝑠𝑖𝑖 2 + 𝑖𝑖 𝑖𝑖=1 ∑𝑖𝑖𝑖𝑖=1𝐹𝐹𝑣𝑣𝑖𝑖𝑑𝑑𝑣𝑣𝑖𝑖 +∑𝑖𝑖𝑖𝑖=1𝑃𝑃𝑠𝑠𝑖𝑖𝑑𝑑𝑖𝑖 + ∑𝑖𝑖𝑖𝑖=1𝑇𝑇𝑖𝑖ℎ𝑖𝑖 − ∑𝑖𝑖𝑖𝑖=1𝐹𝐹𝐻𝐻𝑖𝑖ℎ𝑣𝑣𝑖𝑖 − ∑𝑖𝑖𝑖𝑖=1𝑃𝑃𝐻𝐻ℎ𝑖𝑖 ∑𝑖𝑖𝑖𝑖=1𝑊𝑊𝑖𝑖𝑦𝑦𝐺𝐺𝑖𝑖 + ∑𝑖𝑖𝑖𝑖=1𝐹𝐹𝑣𝑣𝑖𝑖ℎ𝑣𝑣𝑖𝑖 + ∑𝑖𝑖𝑖𝑖=1𝑃𝑃𝑠𝑠𝑖𝑖ℎ𝑖𝑖

(42)

Meccanismi di flessione verticale

Una situazione piuttosto comune negli edifici in muratura è rappresentata da una tesa muraria vincolata agli estremi e libera nella zona centrale. E’ questo il caso, ad esempio, di un edificio con un cordolo in sommità ed i solai intermedi privi di

qualsiasi connessione; una situazione di questo tipo si presenta anche quando si considera la porzione di parete verso l’esterno. Tuttavia questa, sotto l’effetto dello scuotimento orizzontale, può collassare per instabilità verticale. Infatti la struttura muraria, costruita per sovrapposizione di elementi lapidei e laterizi vincolati da semplice contatto o da una malta con scarsa resistenza a trazione, sopporta gli sforzi di flessione indotti dalle azioni ortogonali al suo piano, solo se lo sforzo normale mantiene la risultante interna alla sezione trasversale.

Figura 12: meccanismo di flessione verticale

In caso contrario si forma in quel punto una cerniera cilindrica orizzontale che consente l’innesco del cinematismo per flessione verticale. Tale meccanismo è favorito da una qualità scadente della muratura, ad esempio muratura a sacco, che la rende instabile da spinte orizzontali localizzate, determinate ad esempio dalla presenza di archi, di volte o solai intermedi non trattenuti; può quindi verificarsi in presenza di un trattenimento in testa alla tesa muraria, dovuti ad esempio a tiranti metallici, ad ancoraggi alle testate di travi lignee o a cordoli e solette in c.a. ben

(43)

ammorsate alla muratura. Il meccanismo, in questo caso, è caratterizzato da valori del coefficiente di collasso 𝜆𝜆 più elevati rispetto al caso di ribaltamento semplice. Il meccanismo di flessione verticale di una parete può quindi interessare uno o più piani dell’edificio, in relazione alla presenza di vincoli agli orizzontamenti, diverse geometrie dei macroelementi, determinate dalla presenza di aperture o spinte localizzate, ed uno o entrambi i paramenti nel caso di strutture murarie a doppia cortina. In particolare nel caso dei muri a sacco il materiale di riempimento interno per effetto della sovrapressione può causare l’instabilità del paramento esterno, soprattutto quando il solo paramento interno è collegato ai solai.

Flessione verticale di parete monolitica

Il meccanismo di flessione verticale di una parete trattenuta in sommità si

manifesta, per effetto delle azioni ortogonali al piano della stessa, con formazione di una cerniera cilindrica orizzontale che divide la struttura muraria in due blocchi rigidi ed attorno alla quale essi ruotano reciprocamente fino al collasso. La combinazione delle azioni verticali ed orizzontali sulla parete determina l’instaurarsi di una sorta di effetto arco verticale nella stessa per cui le forze orizzontali si scaricano sui vincoli agli estremi della tesa muraria. Se però queste ultime superano un certo valore le azioni verticali non sono più sufficienti a contrastare l’effetto in stabilizzante del momento flettente e ciò determina l’instaurarsi del cinematismo descritto. All’interno della tesa muraria si manifesta quindi la formazione di una cerniera cilindrica che la percorre orizzontalmente e la cui posizione verticale è a priori indeterminata. Se l’edificio esaminato ha già subito danneggiamenti prodotti da un sisma che segnalano l’attivazione di un meccanismo di flessione verticale, l’analisi del

moltiplicatore di collasso può partire dalla definizione di uno schema di calcolo con geometria definita dal quadro dei dissesti.

Quando invece l’edificio non presenta alcun tipo di danneggiamento, una volta accertata la possibilità dell’instaurarsi di un meccanismo di flessione verticale a partire dalle condizioni di vincolo della parete, è l’analisi stessa del cinematismo che permette di definire la geometria dei macroelementi coinvolti nel meccanismo in relazione alle condizioni di equilibrio dei corpi. E’ comunque sempre opportuno, in caso di incertezza, prendere in considerazione le diverse possibilità e valutare i relativi valori del coefficiente di collasso per determinare quello minimo da associare all’attivazione del meccanismo.

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Cinematismo di flessione verticale di parete monolitica ad un piano

E’ questo il caso in cui l’edificio in esame presenta ai vari livelli efficaci vincoli di connessione tra i solai e le pareti, per cui tra un solaio e l’altro la tesa muraria risulta trattenuta alle estremità. L’analisi del coefficiente di collasso deve essere ripetuta in questo caso indipendentemente per tutti i piani dell’edificio ai quali il seguente schema di calcolo può essere applicato. Si fa osservare che, nell’ipotesi in cui non è possibile definire a priori la posizione verticale della cerniera cilindrica, questa può essere valutata secondo il modello che prende in considerazione una fascia di muratura piena da cielo a terra della parete in esame. Infatti, in questo caso, la presenza delle aperture nella facciata esercita una ridotta influenza nel calcolo, ed in particolare nella determinazione della posizione della sezione di frattura della parete. Si aggiunga anche il fatto che l’effetto arco verticale che si attiva per l’applicazione delle azioni fuori piano, interessa prevalentemente le fasce piene di muratura. Tuttavia il modello proposto permette di valutare il coefficiente 𝜆𝜆 anche quando è nota la geometria dei macroelementi coinvolti nel cinematismo e di considerare in tal caso anche la presenza di aperture o superfici irregolari e la conseguente variazione nella distribuzione dei carichi. L’analisi consiste nell’individuare la posizione della cerniera che corrisponde al minimo valore del moltiplicatore di collasso 𝜆𝜆 delle forze orizzontali che determina l’attivazione del cinematismo.

λ può essere ottenuto applicando l’equazione dei Lavori Virtuali in termini di

spostamenti. Si procede quindi all’analisi del problema cinematico (teoria del primo ordine) del sistema di corpi rigidi (Giuffrè, 1993), assegnando una rotazione virtuale unitaria Ψ=1 al corpo 1, dove:

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- W è il peso proprio della parete;

- Fv è la componente verticale della spinta di archi o volte sulla parete;

- Fh è la componente orizzontale della spinta di archi o volte sulla parete;

- Ps è il peso del solaio agente sulla parete calcolato in base all’area di influenza;

- N è il peso trasmesso alla parete dalle murature e dai solai ai livelli superiori; - s è lo spessore della parete;

- h è l’altezza della parete;

- hv è la distanza verticale del punto di applicazione della spinta di archi o volte

rispetto al carrello in B;

- d è la distanza orizzontale da B del punto di applicazione del carico trasmesso dai piani superiori;

- dv è la distanza orizzontale dalla cerniera B del punto di applicazione di Fv;

- a è la distanza orizzontale della cerniera B del punto di applicazione del carico trasmesso dal solaio sulla parete.

I parametri di spostamento generalizzati, che permettono di descrivere il

cinematismo, sono ricavati dalle condizioni di congruenza degli spostamenti virtuali dei due corpi.

In generale, se P è un generico punto, di coordinate x e y, appartenente ad un corpo rigido piano, le due componenti di spostamento up e vp, positivi se diretti come

gli assi coordinati, sono espresse in funzione delle componenti di spostamento u0 e

v0 del polo di riferimento O e della rotazione θ intorno ad esso.

Supponendo quest’ultima positiva se antioraria, si ha: up=u0- θy

vp=v0+ θx

Fissati come poli di riferimento dei due corpi 1 e 2 rispettivamente A e B, tenendo conto delle condizioni di vincolo:

uA=0

vA=0

θ1= Ψ=1

uB=0

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𝜑𝜑 = −𝛹𝛹ℎ1ℎ2 = −ℎ1ℎ2 vB=s

Ponendo poi h2=h/μ con μ>1, si ricavano: h1(μ-1)/μ; W2=W/μ; W1=W(μ-1)/μ. Gli spostamenti virtuali dei punti di applicazione delle forze agenti sul sistema nella rispettiva direzione di azione sono:

δ1x=-h(μ-1)/2μ δ1y=s/2 δ2x=-h(μ-1)/2μ δ2y=s(μ+1)/2 δvx=-hv(μ-1) δvy=s+dv(μ-1) δpy=s+a(μ-1) δNy=s+d(μ-1)

Adesso è possible applicare l’equazione dei Lavori Virtuali ottenendo: -λ[W1δ1x+W2δ2x+Fvδvx]-FHδvx-W1δ1y-W1δ1y-NδNy-Psδpy-Fvδvy=0 Sostituendo si ottiene:

𝜆𝜆 = 2(μ − 1)(𝑁𝑁𝑑𝑑 + 𝑃𝑃𝑠𝑠+ 𝐹𝐹𝑣𝑣𝑑𝑑𝑣𝑣− 𝐹𝐹𝐻𝐻ℎ𝑣𝑣) + 𝑠𝑠(𝑊𝑊 + 𝑁𝑁 + 𝑃𝑃𝑠𝑠 + 𝐹𝐹𝑣𝑣) (μ − 1) + (𝑊𝑊ℎ

μ 2𝐹𝐹𝑣𝑣𝑑𝑑𝑣𝑣)

Il valore del parametro μ che rende minimo il moltiplicatore 𝜆𝜆 è calcolabile, in generale, imponendo che sia nulla la derivata di 𝜆𝜆 rispetto a μ.

Così facendo però si perviene ad espressioni complesse, è perciò più conveniente individuare μ per tentativi.

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