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4. Elfsorrow - Le cronache del Corvo: un confronto di traduzioni

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Academic year: 2021

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4. Elfsorrow - Le cronache del Corvo: un confronto di

traduzioni

È senza dubbio un‟occasione imperdibile quella di poter fare un confronto di traduzioni tra Elfsorrow e i preesistenti testi di arrivo in italiano dedicati agli stessi personaggi. Il confronto si concentra essenzialmente su elementi che spiccano nella narrazione e che sono importanti per la ricezione del testo da parte del lettore.

È stato grazie alla casa editrice Nord e alla traduttrice Adria Tissoni se ho potuto avvicinarmi a James Barclay e alle sue opere fantasy. La possibilità di avere i volumi tradotti da Tissoni sottomano durante la stesura della mia traduzione mi ha consentito di riflettere su alcuni elementi dell‟originale che avevo dato per scontati.

4.1 Il titolo

La prima difficoltà con cui mi sono scontrata è stata senza dubbio il titolo del libro: Elfsorrow. Inizialmente ho tradotto le due parti da cui è composto il termine, tenendo presente allo stesso tempo il fatto che si tratta del nome di una malattia e che sarebbe stato utilizzato dai personaggi nel corso della storia. Ho quindi proceduto come avevo già fatto per la traduzione di “ClawBound”, solo che in questo caso mi sono dovuta focalizzare soltanto su “sorrow”, dato che avevo già deciso che “elf” sarebbe stato tradotto con “degli elfi”. Una volta trovata la definizione e una serie di sinonimi in inglese, sono passata alle varie traduzioni in italiano e ai relativi sinonimi. Dovendo cercare un termine che si riferisse soprattutto a un dolore dell‟anima, ma anche al fisico, data la piaga di cui si tratta nel libro, ho cercato una parola che potesse essere pertinente a entrambi gli aspetti. La scelta è ricaduta su “male”, termine che esprime la sofferenza dello spirito e nello stesso tempo indica una malattia.

La resa di “sorrow” non soltanto si adattava bene al titolo che avrei voluto inserire io, quindi Il male degli elfi, ma funzionava anche con la costruzione utilizzata per creare quelli dei precedenti testi in italiano. Le traduzioni pubblicate in Italia, infatti, non seguono la stessa logica dell‟originale per quanto riguarda i titoli. Invece che dare un nome a sé, magari lo stesso dell‟inglese ma tradotto, e

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raggrupparli come trilogia sotto il comune identificativo de Le cronache del Corvo, si è scelto di eliminare il nome della saga e raggruppare i tre volumi tramite titoli dotati di un costrutto ricorrente: La compagnia del Corvo (Dawnthief), Il sortilegio

del Corvo (Noonshade) e La notte del Corvo (Nightchild).Secondo questo

comportamento il titolo italiano di Elfsorrow sarebbe stato Il male del Corvo, che nel complesso sarebbe andato bene. Ho deciso che fosse giusto tenere conto delle precedenti traduzioni in italiano nel rispetto del lavoro svolto da altri e del lettore, che sarebbe magari stato confuso nel vedere un titolo tanto diverso da quelli passati collegato ai primi tre libri dedicati al Corvo. Tutto ciò comunque con la piena consapevolezza che il pubblico non è così ingenuo da non capire certe cose. Ma torniamo appunto al titolo della traduzione qui presentata.

“Male” sembrava la soluzione più adeguata, questo almeno finché in una delle ultime pagine non mi sono imbattuta in questa frase: «„Leave it,‟ he said, his face full of sorrow, his voice shorn of its usual power» (Elfsorrow, capitolo 50, pagina 473). James Barclay avrebbe potuto usare qualsiasi altro vocabolo, come “pain”, “agony” o “sadness”, invece ha scelto proprio “sorrow”. Di conseguenza, il motivo di questa decisione deve essere stato quello di richiamare alla mente il titolo. Non sarebbe la prima volta che lo scrittore inglese usa la strategia di inserire il titolo sotto un‟altra forma all‟interno della narrazione; ho riscontrato questa caratteristica anche nei successivi due volumi Shadowheart e Deamonstorm. È un elemento che risalta durante la lettura dell‟originale, che è già presente in pagine che non ho preso in considerazione qui e che a mio parere deve essere mantenuto nel testo di arrivo. Come infatti sostiene anche Bruno Osimo «[a]ll‟interno di un testo esistono relazioni tra le parole [...] anche se compaiono in parti diverse e remote»1. Perciò a questo punto ho dovuto scartare “male” e cercare un‟altra soluzione. Dopo aver considerato “angoscia”, che però non veicola nulla di fisico, e “agonia”, che ricorre già come traducente di “agony”, ho ritenuto che la scelta più adeguata fosse “tormento”. La sua definizione è quella che a mio parere più si avvicina all‟originale, senza contare che si adatta alla traduzione della frase riportata in precedenza («„Lascia stare,‟ disse, il viso sconvolto dal tormento, la voce priva del solito vigore») e del titolo, Il

tormento del Corvo.

A questo proposito rimane una sola cosa da dire. Non sono totalmente d‟accordo con l‟utilizzo di questo costrutto, perché i libri sono già ben raggruppati

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sotto il nome delle saghe e l‟unico che non lo è, Ravensoul, è anche l‟unico a contenere il chiaro riferimento ai mercenari nel titolo. Per questo motivo, se non tenessi conto delle scelte fatte in precedenza da altri e dato che non sono ancora in nessun modo “costretta” da alcuna regola imposta dalla casa editrice, opterei per mantenere il modello inglese, cioè la sequenza data dal titolo a sé stante di ogni libro con l‟aggiunta della dicitura “Primo volume de Le leggende del Corvo”.

4.2 Le imprecazioni

Il testo di Elfsorrow presenta un numero irrisorio di termini volgari, ma è interessante notare che, per ovviare al problema del turpiloquio, James Barclay ha trovato una soluzione particolare. Si è infatti divertito a inventare delle imprecazioni che si adattassero all‟universo da lui creato e soprattutto ai suoi personaggi. Nel corso dei vari libri vengono menzionati solo gli dèi degli elfi, ma da qualche piccolo indizio si capisce che anche la religione degli abitanti di Balaia è di tipo politeista. Gli eroi non dicono mai apertamente di credere in alcuna divinità; l‟unico che ammette apertamente di non credere nell‟esistenza degli dèi è Ilkar proprio in questo volume. Per questo motivo, i membri del Corvo pronunciano frasi come “Dear Gods”, “Gods burning”, “Gods drawning” o “Gods falling”.

Adria Tissoni ha trovato un‟efficace soluzione per rendere queste imprecazioni, per cui nei primi tre volumi pubblicati in italiano ci si può imbattere in “Per gli dèi”, “che gli dèi possano bruciare”, “che gli dèi possano annegare”, “che gli dèi possano precipitare”. Queste espressioni calzano a pennello all‟interno della narrazione, ma nel corso della stesura della mia traduzione non mi sono accontentata di darle per buone e ho riflettuto su un‟alternativa.

L‟aspetto sul quale mi sono concentrata è stata la loro lunghezza. La maggior parte di queste espressioni è molto breve in inglese, ma subisce un netto cambiamento nella resa del testo di arrivo. Ho quindi cercato di accorciarle per rendere più immediato il commento dei personaggi e forse anche più credibile; se ci pensiamo bene le volgarità che sentiamo pronunciare ogni giorno sono di solito molto brevi. La soluzione migliore alla quale sono giunta è stata quella di sostituire il verbo con un sostantivo, ottenendo quindi “per il rogo degli dèi”, “per l‟annegamento degli dèi”, “per la caduta degli dèi”.

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Nonostante questa versione non sia male, a mio parere, alla fine ho deciso di mantenere anche nella mia traduzione le scelte fatte per i volumi tradotti in precedenza.

4.3 Piccoli confronti

Devo ammettere di essermi trovata d‟accordo con la stragrande maggioranza delle scelte traduttive compiute dalla traduttrice ufficiale dei primi tre volumi di James Barclay. Mi è capitato, però, di prendere decisioni diverse dalle sue per quanto riguarda alcuni piccoli elementi. Si tratta di differenze minime, che quindi non influenzerebbero negativamente la lettura da parte di un pubblico abituato alle precedenti traduzioni; le ho tuttavia ritenute importanti.

La prima riguarda gli aggettivi di cittadinanza riferiti ai quattro College di Balaia. Si parla infatti di “xeteskiani”, “dordoveriani”, “julatsani” e “lysternani” nelle preesistenti traduzioni. Ciò che ho fatto è stato aggiungere una “i” all‟aggettivo per gli abitanti di Lystern e trasformarli in “lysterniani” per rendere più omogeneo il suono della parola, che nella versione ufficiale mi sembrava leggermente forzato.

Un altro cambiamento riguarda l‟uso della lettera maiuscola, ben più massiccio in inglese rispetto all‟italiano. Basta infatti pensare alle lingue, agli stessi aggettivi di nazionalità o ai gradi militare, per fare alcuni esempi. In Elfsorrow, ma in generale in tutti i volumi dedicati ai membri del Corvo, l‟originale prevede che gli incantesimi e ciò che ha a che fare con la dimensione dei demoni abbia appunto la lettera maiuscola. Per cui ci si imbatte in “ShadowWings”, “FlameOrbs” e “HotRain”. Nelle traduzioni ufficiali in italiano questo aspetto viene mantenuto salvo che per due eccezioni: “Communion”, la comunicazione mentale fra maghi a distanza, e “Familiar”, il demone che vive sotto la forma di un animale al fianco degli xeteskiani, con cui condividono parte della propria mente. Adria Tissoni ha optato per “comunione mentale” e “famiglio”. Nella mia traduzione ho però deciso di mantenere la lettera maiuscola del testo di partenza per ragioni di coerenza. Ritengo infatti evidente l‟aspetto magico di entrambi gli elementi e per questo a mio avviso dovrebbe valere lo stesso criterio utilizzato nella traduzione degli incantesimi.

Un ultima osservazione è dedicata alla coppia “Act of Giving” e “Given”, due espressioni usate da James Barclay per identificare il rapporto tra Protettore e mago

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di Xetesk. Si prenda in considerazione la prima. Nei testi pubblicati in Italia, l‟espressione “Act of Giving” è resa con “Atto di Affidamento”. Anche in questo caso, durante il mio lavoro ho deciso di cercare una soluzione alternativa e sono giunta ad “Atto di Custodia”. Mi sembrava che questa soluzione rafforzasse l‟idea di protezione e cura nel rapporto che ci viene descritto fra questi personaggi. Ma al momento di tradurre “Given” mi sono resa conto di aver interpretato questo legame nel modo sbagliato. «I‟m his Given»(Elfsorrow, capitolo 49, pagina 469) è ciò che il mago xeteskiano dice di sé facendo riferimento al Protettore che è con lui. Egli per questo motivo non può essere il “Custode”, come avrebbe imposto la mia traduzione, bensì il “Custodito”, che però non è un termine che in italiano usiamo spesso nell‟accezione di sostantivo. È infatti il Protettore a difendere il mago e non il contrario.

Non avendo trovato altra alternativa, ho convenuto anche io che la traduzione più adeguata fosse “Atto di Affidamento” e “Affidato” e per questo ho mantenuto la soluzione di Adria Tissoni.

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