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Capitolo VII

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Academic year: 2021

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Pisa

Il XV secolo per Pisa era stato un difficile periodo di instabilità e incertezza politica, durante il quale, ormai terminato il fulgido periodo della repubblica Marinara, venne conquistata dai fiorentini nel 1406, sebbene senza lo sbocco sul mare che la rendeva tanto preziosa agli occhi di Firenze; infatti, Porto Pisano e Livorno rimasero fino al 1421 in mano genovese, prima d’essere profumatamente vendute ai fiorentini. Già nel XV secolo era evidente la necessità di migliorare i collegamenti fluviali tra Livorno, Pisa e Firenze, ma di fatto si diede la precedenza ai lavori di bonifica del territorio, senza riuscire a sfruttare appieno l’esperienza marinara della città. Inoltre, la repentina rinuncia di Piero de’Medici, detto il Vile, al dominio di Pisa, Sarzana e Pietrasanta a favore di Carlo VIII re di Francia, affinché questi risparmiasse Firenze dall’assedio, inaugurò un nuovo periodo di libertà repubblicana, che dal 1494 si concluse con la faticosa riconquista di Pisa da parte dei fiorentini nel 1509.

Le sorti di Pisa cambiarono quando Cosimo de’ Medici stabilì che divenisse la seconda città del suo potentato, dopo Firenze: in questo modo la città visse un nuovo periodo di prosperità. Innanzi tutto, Cosimo riconsiderò il problema navale e ne fece uno dei suoi obiettivi politici: intuì che costruire delle galee militari da rendere disponibili come parte della flotta dell’imperatore Carlo V d’Asburgo sarebbe stato molto proficuo1, così come lo sarebbe stato possedere il controllo di importanti porti lungo il litorale tirrenico che costituiva il passaggio obbligato delle navi spagnole nella tratta Spagna- Regno di Napoli in un periodo storico in cui ancora era possibile solo una navigazione di cabotaggio e in cui la guerra marittima ambiva unicamente al

1 L’imperatore asburgico, infatti, non disponeva di una propria flotta navale, bensì di varie squadre

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controllo dei porti con lo scopo di disarticolare le reti di comunicazione del nemico e proteggere le proprie2.

Cosimo de’Medici voleva dunque che si costruisse un sistema di porti e desiderava avere delle imbarcazioni di proprietà del nuovo potentato fiorentino; a tale scopo nel 1548 iniziarono i lavori per costruire un nuovo arsenale nella città di Pisa3. Una decina d’anni dopo vennero avviati i lavori anche a Livorno. Vennero create nuove figure di fiducia con il compito di sovrintendere e affiancare gli organi amministrativi già esistenti, che facevano riferimento direttamente a Cosimo I; tra questi si ricorda il “Provveditore delle galere” Luca Martini, che si stabilì a Pisa, e il “Commissario delle galere” Piero Machiavelli4

. Inoltre, nel 1561 il papa Pio IV con un “breve” autorizzò la costituzione dell’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano, una organizzazione anch’essa legata alla città di Pisa ed alla quale, di conseguenza, recava prestigio. Quest’ordine militare religioso nasceva per soddisfare precise necessità politiche: dava la possibilità di creare una milizia marittima che, in quanto sottoposta ad una regola religiosa approvata dal Papa, risultava formalmente come se fosse totalmente autonoma dalla diretta volontà di Cosimo I; di fatto, il duca mediceo divenne a sua volta parte integrante dell’Ordine.

Cosimo I trascorse lunghi soggiorni a Pisa con tutta la corte e questo diede inizio alla costruzione di numerose ville nel circondario. La presenza stessa della corte principesca impose un riassestamento della città.

Il nuovo assetto urbano che trasformò Pisa voleva essere l’affermazione visiva del potere principesco sulla città: il nuovo arsenale mediceo non cambiò radicalmente l’assetto urbano poiché venne costruito quasi nella stessa zona dove sorgeva l’arsenale repubblicano, ma l’antica “Piazza delle sette vie”, che non a caso era il

2Osservasi quindi che l’obiettivo principale delle guerre marittime del XVI secolo non era quello di

conseguire il controllo del mare riuscendo a mantenere un blocco navale continuato contro le forze nemiche; tale scopo verrà raggiunto soltanto dai vascelli del XVIII secolo, vale a dire quando sarà disponibile una maggior potenza di fuoco.

3 Angiolini 1986, pp. 47-51, oppure Angiolini 1996, pp. 21-30.

4 Piero Machiavelli era figlio del celebre scrittore Niccolò Machiavelli e, con tale titolo datogli da

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233 cuore governativo della Pisa medievale, venne totalmente rinnovata su progetto del Vasari. Quello che prima era il Palazzo degli Anziani fu trasformato nel Palazzo dei Cavalieri, così come la residenza del Capitano del Popolo, accorpato alla torre carceraria divenne il Palazzo dell’Infermeria, ed infine, venne abbattuta la Chiesa di S. Sebastiano per erigere la Chiesa di S. Stefano protettore del nuovo ordine religioso.

Uno dei vantaggi politici dell’istituzione dell’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano fu quello d’avvicinare i signori-oligarchi toscani alle ‘cose del mare’5

, evitando di escluderli nell’organizzazione dello Stato mediceo e provvedendo a dar loro un nuovo interesse grazie al quale competere per distinguersi agli occhi del Granduca. Quindi i più abbienti signori di Pisa vollero presto ammodernare le loro abitazioni per sottolineare il loro status sociale, secondo lo stile fiorentino. Molti di loro vivevano ancora in case-torri e non era facile trasformare tali abitazioni tipicamente medievali in residenze rinascimentali; perciò si riscontra sovente un “ammodernamento parziale”, volto al riutilizzo degli edifici che, data la loro tipica struttura verticale, vennero abbassati e spesso accorpati ad altri per svilupparli in larghezza.

I criteri da seguire per la realizzazione di una residenza rinascimentale appropriata alla posizione sociale rivestita dal proprietario erano indicati da importati, quanto celebri, trattati come quelli di Leon Battista Alberti e di Sebastiano Serlio che, per l’appunto, suddividevano le tipologie architettoniche in rapporto allo status del committente. Si tentò, quindi, di seguire uno schema che prevedeva la realizzazione di tre piani fuori terra: dei quali, piano terra e nobile erano adibiti a zona residenziale, mentre il terzo piano spesso consisteva in un sottotetto poliuso6. Una delle peculiarità più evidenti delle abitazioni rinascimentali, quella della regolarità geometrica e della simmetria delle parti costituenti, spesso venne meno nelle residenze pisane proprio a causa della sopraccitata presenza importante di preesistenti strutture medievali che,

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Lettera di Pietro Machiavelli a Cosimo de’ Medici del

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con le loro piante irregolari strette nell’intricato ordito urbano, ponevano grosse restrizioni alla costruzione di edifici regolari.

A queste caratteristiche non sfugge il palazzo che tutt’oggi conserva le uniche decorazioni a grottesca presenti nella città di Pisa. Quello che ora è la sede del Consorzio Fiumi e Fossi, nel XVI secolo era uno tra i più importanti palazzi del Lungarno pisano, residenza della famiglia Lanfranchi. Proprio a Curtio Lanfranchi, infatti, si deve l’iniziativa di accorpare due case-torri per ricavarne un palazzo rinascimentale con lo scopo d’affittarlo ad inquilini abbienti. Lo stesso committente chiese al pittore locale, Agostino Ghirlanda, di affrescare la sala del pianterreno con la storia di Diana e Atteone sul soffitto e le allegorie degli dei nelle lunette, il salone al piano nobile con la storia di Amore e Psiche e la volta delle scale con grottesche e storie mitologiche entro pinakes. L’attribuzione dei dipinti di Palazzo dei Consoli del Mare7 ad Agostino Ghirlanda è stata fatta in base al confronto con gli affreschi, aventi il medesimo soggetto, di Perin del Vaga a Genova. Avendo riscontrato un’ascendenza genovese nelle opere del palazzo pisano, si è ipotizzato che sia il frutto dell’esperienza di Agostino Ghirlanda in quanto nativo di Massa, città fortemente influenzata dalla pittura genovese, ed anche in quanto figlio del pittore Giovanni Battista Ghirlanda che, al servizio del cardinal Innocenzo Cybo, era stato mandato a studiare gli affreschi di Perin del Vaga a Palazzo Doria8. Nonostante la mano dell’artista massese non fosse di altissimo livello artistico, avendo egli precedentemente lavorato a Pisa anche ad opere pubbliche come gli affreschi della loggetta dell’Opera del Duomo attorno al 15859

, sembra una scelta plausibile da parte di un ricco committente, desideroso di emergere, come Curtio Lanfranchi. In particolare, però sono degne d’attenzione le grottesche dipinte dal Ghirlanda

7 Questo nome l’assunse quando, successivamente al XVI secolo, il palazzo venne venduto dai

Lanfranchi e, dopo diversi passaggi di proprietà, nel XVIII divenne appunto sede dei Consoli del Mare.

8 Tosi 1995, p. 367, oppure Ciardi 1992, p.17.

9 La decorazione del Camposanto di Pisa aveva subito una battuta di arresto di quasi un secolo; infatti,

dopo gli ultimi lavori di Benozzo Gozzoli fu Agostino Ghirlanda a riprendere con gli affreschi di ponente.

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235 all’Opera Primaziale, nella volta della loggia del pian terreno: più simili a quelle elaborate dalla bottega dell’Allori rispetto a quelle del Poccetti data l’esclusione di “eccessi carnascialeschi”.

La scala summenzionata del Palazzo Lanfranchi10 collega il pian terreno a quello nobile ed è composto da due rampe e due pianerottoli; questo accesso, di dimensioni notevolmente ridotte rispetto alla Scala Grande Piana di Palazzo Vecchio a Firenze, sembra comunque riprenderla come uno dei modelli principali. Indubbiamente, il gigantismo che caratterizza le figure centrali del palazzo fiorentino è assente in quello pisano, ma ciò potrebbe spiegarsi nel primo caso come una scelta vasariana per dare maggior rilievo all’encomio del suo prestigioso mecenate e committente, una scelta che nel caso dei Lanfranchi sarebbe parsa oltremodo pretenziosa.

Nella volta a botte della prima rampa, a partire dal basso, sono affrescate delle grottesche policrome su fondo bianco impreziosite da tre immagini centrali che scandiscono ritmicamente lo spazio: le tre Grazie, Venere e Adone, una Diana

d’Efeso (figg. 1-2).

Nella parte mediana del soffitto della prima rampa è dipinta, entro un pinax, la copia della celebre opera di Tiziano Vecellio nota con lo stesso nome, Venere e Adone (figg.3-4), ed oggi esposta al Museo del Prado a Madrid. Alcune brevi considerazioni inerenti la famosa tela del pittore veneziano potrebbero risultare utili per un confronto con la più umile riproduzione pisana. Innanzitutto, Tiziano realizzò quest’opera nel 155411

in occasione del matrimonio dell’allora principe Filippo, il futuro Filippo II re di Spagna, con la regina d’Inghilterra Maria Tudor, tristemente passata alla storia con il nome di Maria la Sanguinaria: questo fatto storico risulta prezioso per stabilire una data ante quem per gli affreschi di Pisa. Il dipinto di Tiziano riscosse subito un grande successo testimoniato dalle numerose copie che

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Per comodità il palazzo qui viene chiamato “Lanfranchi” in riferimento alla famiglia che ne era proprietaria nel XVI secolo, vale a dire il periodo preso in esame in questa tesi, ma la dicitura potrebbe trarre in inganno in quanto a Pisa, oggigiorno, è denominata allo stesso modo un’altra residenza nella quale ha sede il Museo della Grafica.

11 La datazione è stata resa possibile agli studiosi grazie ai numerosi riferimenti a quest’opera presenti

nella corrispondenza tra il principe Filippo e Francisco de Vargas che proprio in quegli anni era l’ambasciatore spagnolo che si occupava dei rapporti con Venezia (1552-’59).

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sono giunte fino ai giorni nostri; copie realizzate anche dalla bottega stessa del maestro veneziano e quindi, a loro volta, di alto valore artistico e che oggi arricchiscono i più importanti musei europei e americani12. Gran parte di tali rifacimenti sono databili attorno agli anni ’50 e ’60 del XVI secolo e gli storici dell’arte sono soliti suddividerli in due tipologie principali: una più fedele alla versione originale del Museo del Prado ed una che si discosta da questa per l’impaginazione ridotta e da vari particolari iconografici che risultano cambiati, come ad esempio, la presenza della colomba bianca che era assente nella prima versione, la diminuzione del numero dei cani, la sparizione dell’anfora, il Cupido desto anziché dormiente, l’apparizione dell’arcobaleno, ecc. La riproduzione presente nelle scale del palazzo di Pisa ha come modello la versione originale del Prado; infatti, è riconoscibile sulla sinistra Eros che dorme nella medesima posizione dell’opera di Tiziano, l’anfora rovesciata a terra vicino ai piedi della dea e che è stata interpretata come simbolo dell’amore esaurito13

, i tre cani trepidanti ed impazienti di iniziare la caccia, la sagoma femminile che si staglia controluce in un cielo privo d’arcobaleno. Ovviamente, il formato ridotto, la tecnica pittorica differente e la mano dell’artista di diverso livello, hanno dato origine ad un risultato diverso e ben più modesto; ciononostante, stupisce la volontà di riproporre un dipinto di tale difficoltà e ricchezza iconografica in uno spazio così ridotto e va dato il merito al pittore d’esser riuscito quantomeno a ritrasmetterci l’effetto d’insieme. Alcune domande sorgono spontanee: l’artista che ha affrescato le scale della residenza pisana ebbe modo di vedere personalmente una delle versioni dipinte di Venere e Adone di Tiziano? O conobbe l’opera solo attraverso le stampe? Ed infine, perché venne scelto di rappresentare proprio quel dipinto?

La prima considerazione da fare è che risulta improbabile che il pittore possa aver visto l’opera di Tiziano, mentre è noto che dal celebre dipinto erano state tratte delle incisioni che diffusero la conoscenza grafica della tela del maestro veneziano in tutta

12 Per quel che concerne le notizie inerenti Venere e Adone di Tiziano vedi da ultimo Gentili 2012, pp.

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237 Italia. L’affresco, però, è stato rappresentato nello stesso verso del dipinto del Prado, questo esclude che il disegno sia stato tratto da una xilografia, poiché altrimenti sarebbe apparso invertito rispetto l’originale.

Un’ incisione a bulino conservata al Museo Nazionale della Grafica a Roma14 e derivata dall’opera di Tiziano conservata al Prado, potrebbe essere un possibile modello usato per la scala pisana. Tale stampa si trova tra gli anonimi del Cinquecento ed il catalogo della mostra tenutasi nel 1976, curato da Castelli Isola, ne suggerisce l’attribuzione a Giacomo Caraglio (fig. 5). L’incisione presenta molte similitudini con l’affresco sebbene se ne discosti per alcuni particolari come, ad esempio, la posizione dell’anfora e degli alberi sulla destra.

Altrimenti, un altro modello probabile mi è sembrato di vederlo nel bulino ed acquaforte di Martino Rota conservata al Fitzwilliam Museum di Cambridge15 (fig. 6); è un’incisione molto fedele all’originale di Tiziano, di grande qualità e realizzata tra gli anni ’60 e ’80 del XVI secolo. Nonostante questo, ci sono delle differenze tra l’affresco pisano e il bulino del Rota: gli alberi sulla sinistra, che erano due nella tela del Prado e tali rimanevano nell’incisione veneziana, sono ridotti ad uno solo nell’affresco che sostiene sia il dorso del Cupido dormiente sia il suo arco e la sua faretra16; inoltre, sebbene la stampa presenti una maggiore verticalità che l’accomuna al dipinto pisano, non lascia molto spazio al bosco tradizionalmente rappresentato sulla destra, il quale invece appare a Pisa. Infine, un altro particolare differenzia la stampa dal nostro affresco: l’anfora nell’incisione ha la bocca rivolta verso gli alberi e mostra al fruitore il piedino, persino le anse sono dipinte al contrario.

In definitiva, credo si possa escludere l’utilizzo da parte del pittore della stampa eseguita dal Rota, poiché ha un maggior numero di elementi dissimili rispetto a quelli concordi. Ciononostante, l’osservazione di alcuni dettagli mi induce a pensare che l’artefice dell’affresco abbia usufruito di un’altra incisione che gli ha suggerito,

14 Si tratta di una stampa è inv. F.C. 71096- vol. 46 H 2, vedi M. Castelli Isola (a cura di) Immagini da

Tiziano. Stampe dal sec. XVI al sec. XIX, De Luca Ed., 1976.

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Incisione a bulino e acquaforte Inv. 22.1.9-33.

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forse, il formato verticalizzante a discapito dell’originale orizzontale di Tiziano e, magari, ebbe modo di vedere anche il dipinto di Venere e Adone oggi custodito al Getty Museum di Los Angeles (fig. 7). Quest’opera originariamente apparteneva alla collezione privata di Giovanni Vincenzo Imperiale a Genova17; non si può quindi escludere a priori che il pittore, date le caratteristiche pittoriche d’influenza genovese18, avesse visto il dipinto della bottega di Tiziano. Azzardo questa possibilità perché è una delle due versioni in cui l’anfora è posizionata nello stesso modo in cui appare nella scalinata pisana e l’unica in cui la cromia ocra della luce che irradia il sole tra le nubi prevale nel cielo azzurro. Sebbene infatti la scelta cromatica possa dipendere semplicemente dalla preferenza personale del pittore “pisano”, credo valga la pena di notare che nessuna delle tele del Maestro veneziano ha colori simili a quelli eletti nell’affresco ad esclusione di quella del Getty Museum che, inoltre, presenta una montagna cerulea piuttosto acuminata a destra del dipinto che fa capolino anche nella scalinata.

Per quel che concerne la domanda “perché venne scelto di rappresentare proprio quel dipinto?” credo sia interessante sottolineare che il dipinto di Tiziano era stato eseguito per un’occasione speciale: un matrimonio. Sarebbe bello se grazie ad una ricerca d’archivio venisse confermato che gli affreschi della scala siano stati eseguiti in occasione di uno sposalizio in casa Lanfranchi; di certo, il tema dell’amore sembra permeare tutte le rappresentazioni dipinte sul soffitto della scalinata.

Mentre nella prima rampa di scale del palazzo pisano è rappresentato un episodio mitologico nel quale l’amore non corrisposto sembra quello della dea, dove il giovane Adone preferisce le gioie della caccia alle carezze di Venere19, nella seconda

17 Successivamente, come è facilmente intuibile per un’opera così celebre, ebbe una lunga lista di

proprietari tra cui si annovera anche la regina Cristina di Svezia (1665-1689) e Filippo II duca d’Orléans e reggente di Francia (1721-1723). Vedi scheda del Getty Museum di Los Angeles.

18 Tosi 1995, p. 10.

19 La particolare scelta di Tiziano di rappresentare Venere che tenta di prevenire il tragico destino

dell’amante mentre Adone cerca di liberarsi dal suo abbraccio si crede sia stata indotta dai testi a cui il pittore veneziano fece riferimento. Si è ipotizzato che egli si sia ispirato alla Favola di Adone di Lodovico Dolce del 1545 o forse alla Fábula de Adonis, Hipomenes y Atlanta dell’ambasciatore spagnolo a Venezia Diego Hurtado de Mendoza; di fatto, Tiziano con quest’opera ha trasformato la

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239 rampa la situazione è invertita, le attenzioni di Atteone non sono gradite alla dea Diana (fig. 8). Anche alcuni elementi interni alla decorazione a grottesche sembrano suggerire una lettura delle pinakes come avvertimento contro gli errori a cui può indurre l’ eros. In particolare, nella seconda rampa sono dipinti due satiri posti di spalle l’uno l’altro (secondo un modello che echeggia quello dei “satiri incatenati” della Domus Aurea), con un drappo che compre loro il viso, impedendo la vista, ma non l’ attrazione verso i seni delle sfingi che sono loro di fronte (fig. 9). Sebbene talvolta le sfingi siano state usate come iconografia della saggezza, in questo caso mi sembra più plausibile che siano solo un pretesto per rappresentare le cieche tentazioni dell’uomo.

La schema secondo il quale sono organizzate le grottesche del primo pianerottolo (fig.10) pare molto simile a quello delle campate del corridoio di Levante degli Uffizi. Ovviamente la suddivisione in quattro parti seguendo la fisionomia della volta era una soluzione pittorica molto comune, ma un buon numero di elementi porta ad accomunare gli affreschi pisani a quelli fiorentini; ci si augura che in futuro le pitture della scala del Palazzo dei Consoli del Mare possa essere oggetto di uno studio più mirato.

rappresentazione del mito citando anche il celebre rilievo classico noto come Letto di Policleto. L’argomento è trattato dettagliatamente in Bull 2005, pp. 214-216.

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