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2-Diabete Mellito: le caratteristiche cliniche

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2-Diabete Mellito: le caratteristiche cliniche

Il diabete mellito è una malattia metabolica caratterizzata dall’aumento della glicemia dovuto alla carenza di insulina. In conseguenza di ciò, si rilevano delle anomalie in quasi tutto il sistema metabolico, incluso carboidrati, lipidi e metabolismo proteico. (Elekofehinti, 2015)

Le cause del diabete mellito possono essere varie: di cui di origine genetica e ambientale. L’insufficiente secrezione di insulina può essere dovuta alla distruzione o alla disfunzione delle cellule β pancreatiche. Oltre che dalla diminuzione della secrezione dell’insulina, il diabete può essere causato da una minore sensibilità da parte di cellule come gli epatociti, all’azione dell’insulina. In entrambi i casi, il meccanismo principale per lo sviluppo del diabete è proprio una diminuita attività delle cellule β che non riescono a fornire un’adeguata quantità di insulina ai vari organi. (Elekofehinti, 2015)

La condizione morbosa rappresenta un problema di salute globale. È il più comune dei disturbi endocrini, infatti è una malattia in continuo aumento, tanto da essere ormai definita un’emergenza socio-sanitaria mondiale. (Elekofehinti, 2015)

2.1-Dati epidemiologici

È stato stimato che, a tutto il 2010, 280 milioni di persone nel mondo erano affette da diabete, di queste il 90% risultano affette da diabete di tipo 2. L’incidenza di questa malattia è in continuo aumento e alla fine del 2030 il numero dei casi raddoppierà, a causa dell’aumento dell’obesità e dell’aspettativa di vita prolungata.

Il diabete è più comune nei paesi più sviluppati, benché ci sia un incremento del tasso di prevalenza in Asia e Africa. I fattori ambientali e genetici giocano un ruolo importante nello sviluppo della malattia in diverse popolazioni. (Surendran et al., 2014)

L’incidenza del diabete di Tipo 1 è passata da 1.8 a 7 /100.000/anno in Africa, da 0.14 a 10/100.000/anno in Asia, da 3.4 a 36/100.000/anno in Europa, da 2.61 a 20.18 /100.000/anno in Medio Oriente e da 7.60 a 25.6/100.000/anno in America del Nord. (vedi figura 1) (Surendran et al., 2014)

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Figura 1: Incidenza del diabete di tipo 1 a livello mondiale.

In Italia, il diabete è più diffuso nei paesi dove i fattori di rischio, quali obesità e inattiv fisica, sono più comuni.

Secondo i dati ISTAT del 2014, sono diabet persone.

La prevalenza del diabete aumenta con l’età f età uguale o superiore ai 75 anni

Figura 2

Prevalenza del diabete per sesso e fasce di età

1 www.istat.it 2 www.istat.it 0 100 200 300 400 2013 i n c i d e n z a 14

Incidenza del diabete di tipo 1 a livello mondiale. (Surendran et al., 2014

diabete è più diffuso nei paesi dove i fattori di rischio, quali obesità e inattiv

Secondo i dati ISTAT del 2014, sono diabetici il 5.5% degli italiani,

La prevalenza del diabete aumenta con l’età fino a raggiungere il 20.3% nelle persone con uale o superiore ai 75 anni1.

Prevalenza del diabete per sesso e fasce di età2.

2014 Asia Africa Europa Medio Oriente America del Nord

., 2014)

diabete è più diffuso nei paesi dove i fattori di rischio, quali obesità e inattività

pari a 3 milioni di

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Per quanto riguarda la diffusione del diabete per area geografica, la prevalenza è più alta nel Sud (6,6%) e nelle isole (6%), con un valore massimo registrato nella regione della Basilicata. Risulta invece una minor prevalenza nel centro (5,5%) e nel Nord (4.7%)3.

Figura 3

Prevalenza del diabete nelle regioni italiane4

Tra il 2003 e il 2010 sono aumentati i contatti tra i diabetici e il medico di medicina generale: il numero medio per paziente passa da 9 a 13 per gli uomini e da 12 a 15 per le donne. Anche le visite specialistiche, gli accertamenti diagnostici e gli esami di laboratorio hanno subito un forte incremento5.

3 www.istat.it 4 www.istat.it 5 www.istat.it

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2.2-L’insulina e le principali caratteristiche

Il pancreas è costituito da due organi funzionalmente differenti: il pancreas esocrino, la principale ghiandola del tratto digestivo ed il pancreas endocrino, che produce ormoni. Questi ormoni regolano molteplici aspetti della nutrizione cellulare, dalla velocità di assorbimento degli alimenti, ai depositi intracellulari, al metabolismo dei nutrienti. (Greenspan-Strewler, 2000)

Dal punto di vista cellulare, il pancreas endocrino è costituito da cellule denominate “isole di Langerhans”6.

Si individuano 4 tipi di cellule, impiegate ognuna nella secrezione di uno specifico ormone.

Le cellule che compongono il pancreas sono:

• Cellule α (15%) che producono glucagone

• Cellule β (80%) che producono insulina

• Cellule δ (3-5%) che producono somatostatina

PP (3-5%) che producono polipeptide pancreatico. (Pontieri, 2012)

Figura 4

I tipi di cellule di Langerhans7

Questi ormoni intervengono nella regolazione del metabolismo glucidico. L’unità funzionale del pancreas è l’insulina, la proteina prodotta dalle cellule β. L’insulina è un polipeptide costituito da due catene amminoacidi che, legate da ponti di solfuro. E’ sintetizzata nel reticolo endoplasmatico delle cellule β delle insule pancreatiche e poi

6

www.MedMedicine.it

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trasportata all’apparato di Golgi, dove viene immagazzinata in granuli. Dopo stimolazione i granuli secretori raggiungono la parete della cellula e la loro membrana si fonde con quella cellulare e così l’insulina, dopo aver attraversato la lamina basale delle cellule β, quella del capillare e l’endotelio fenestrato del capillare stesso, entra nella circolazione portale. L’insulina regola l’omeostasi del glucosio riducendo la produzione endogena di glucosio epatico. (Draghetti et al.,2012)

Figura 5

Struttura molecolare dell’insulina8

2.2.1-Regolazione della secrezione di insulina.

La secrezione basale di insulina è regolata dal glucosio, e la diminuzione della glicemia inibisce la secrezione dell’ormone.

La secrezione di insulina è stimolata dai pasti, principalmente in risposta alle variazione glicemiche. Il glucosio entra nella cellula β per diffusione passiva, facilitata da un sistema di trasporto mediato da proteine specifiche (GLUT2)9 ed è quindi metabolizzato. La fosforilazione del glucosio a opera dell’enzima glucochinasi è la tappa limitante che controlla la secrezione insulinica regolata dal glucosio. Il successivo metabolismo del glucosio 6-fosfato attraverso la via glicolitica genera ATP, il quale inibisce l’attività di un canale del potassio-ATP dipendente. Questo canale è un complesso costituito da due proteine separate, una delle quali è un canale proteico che genera una corrente interna di K+. L’inibizione di questo canale del K+ induce una depolarizzazione della membrana della cellula β, aprendo i canale del Ca++ voltaggio-dipendente e determinando così un influsso di Ca2+. Gli ioni Ca2+ sarebbero direttamente coinvolti nel meccanismo di secrezione

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Darimar.altervista.org

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Trasporta il glucosio nella cellula beta pancreatica e negli epatociti così che la diffusione del glucosio in

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dell’insulina, che è tuttavia modulato anche dalla concentrazione intracellulare di adenosin-monofosfato

Figura 6

Regolazione della secrezione di insulina

La risposta dell’insulina a una stimolazione con il glucosio è di tipo bifasico, con un picco precoce, che si esaurisce rapidamente e un picco più tardivo, che si mantiene per tutto il tempo della stimolazione. La prima fase inizia entro un minuto dalla somministrazione di glucosio, raggiunge un picco entro 3

evidente dopo circa 10 minuti e persiste per tutta la durata dell’iperglicemia.

Figura 7

Fase “precoce” e “tardiva” della secrezione insulinica. In risposta ad uno stimolo glicemico che si mantiene su valori costanti si osservano due fasi di secrezione di insulina: precoce (I fase) e tardiva (II fase).

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dell’insulina, che è tuttavia modulato anche dalla concentrazione intracellulare di

ciclico (cAMP). (Faglia et al.,

Regolazione della secrezione di insulina

risposta dell’insulina a una stimolazione con il glucosio è di tipo bifasico, con un picco rapidamente e un picco più tardivo, che si mantiene per tutto il tempo della stimolazione. La prima fase inizia entro un minuto dalla somministrazione di glucosio, raggiunge un picco entro 3-5 minuti e persiste per 10 minuti. La seconda diviene

po circa 10 minuti e persiste per tutta la durata dell’iperglicemia.

Fase “precoce” e “tardiva” della secrezione insulinica. In risposta ad uno stimolo glicemico che si mantiene osservano due fasi di secrezione di insulina: precoce (I fase) e tardiva (II fase).

dell’insulina, che è tuttavia modulato anche dalla concentrazione intracellulare di

Faglia et al., 2006)

risposta dell’insulina a una stimolazione con il glucosio è di tipo bifasico, con un picco rapidamente e un picco più tardivo, che si mantiene per tutto il tempo della stimolazione. La prima fase inizia entro un minuto dalla somministrazione di 5 minuti e persiste per 10 minuti. La seconda diviene po circa 10 minuti e persiste per tutta la durata dell’iperglicemia. (vedi figura 7)

Fase “precoce” e “tardiva” della secrezione insulinica. In risposta ad uno stimolo glicemico che si mantiene osservano due fasi di secrezione di insulina: precoce (I fase) e tardiva (II fase).

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2.2.2-Principali effetti esercitati dall’insulina.

Il principali effetti dell’insulina sul metabolismo dei carboidrati e delle proteine sono i seguenti.

Metabolismo glucidico:

• Stimolazione della penetrazione del glucosio ematico nelle cellule insulino-dipendenti ed in particolare in quelle epatiche, muscolari ed adipose, con conseguente riduzione della glicemia;

• Stimolazione degli epatociti e delle cellule muscolari alla glicogenogenesi ed alla conservazione del glicogeno sotto forma di deposito;

• Inibizione della glicogenolisi;

• Stimolazione degli epatociti alla trasformazione del glucosio in acidi grassi e del trasporto di questi sotto forma di trigliceridi negli adipociti, che li immagazzinano;

• Inibizione delle neoglicogenesi, cioè della formazione di glucosio da alcuni aminoacidi, detti glucogenetici, e anche dai lipidi.(Pontieri, 2012)

Metabolismo lipidico:

• Stimolazione della sintesi di acidi grassi e del deposito di lipidi nelle cellule adipose;

• Riduzione dell’utilizzazione dei grassi conseguente alla maggiore utilizzazione del glucosio;

• Stimolazione del fegato alla sintesi dei trigliceridi, che sono esteri di acidi grassi col glicerolo, il quale deriva dal glicerofosfato, che è un prodotto della demolizione del glucosio;

• Inibizione della lipolisi;

• Inibizione della chetogenesi.(Pontieri, 2012) Metabolismo proteico:

• Stimolazione della sintesi proteica;

• Arricchimento della riserva cellulare in aminoacidi per inibizione del catabolismo proteico (Pontieri, 2012)

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Al contrario, gli effetti metabolici che conseguono all’azione del glucagone sono nettamente opposti a quelli espletati dall’insulina, verso la quale esso si comporta da vero e proprio antagonista. (Pontieri, 2012)

Figura 8

Effetti biochimici dovuti dalla secrezione dell’insulina (Surendran et al. 2015)

2.3-Fisiopatologia del diabete mellito

Le alterazioni metaboliche nel Diabete Mellito sono la diretta conseguenza del deficit relativo o assoluto di insulina. L’iperglicemia è dovuta all’effetto combinato dell’aumentata produzione epatica di glucosio e della sua ridotta utilizzazione da parte dei tessuti periferici insulinodipendenti. A livello epatico sono attivate la glicogenolisi e la gluconeogenesi; questa si mantiene elevata nel tempo per l’eccesso di substrati provenienti dalla periferia dove prevalgono i processi catabolici. Quando la glicemia supera la soglia renale per il glucosio10 compare la glicosuria. (Faglia et al., 2006)

Nel Diabete Mellito di tipo 1 viene anche stimolata la lipolisi nel tessuto adiposo, non essendo più inibita dall’insulina la lipasi intracellulare. Nel fegato il glicerolo è utilizzato per la gluconeogenesi, mentre gli acidi grassi liberi sono in parte ossidati e trasformati in corpi chetonici, e in parte riesterificati a trigliceridi e immessi in circolo nel core delle lipoproteine a densità molto bassa (VLDL). Queste tuttavia, così come i chilomicroni, sono solo parzialmente metabolizzate per il deficit della lipoproteina lipasi, che è un enzima insulinodipendente, si accumulano in circolo causando ipertrigliceridemia. Il meccanismo

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è mediato da una diminuzione dei livelli di malonil-CoA, un metabolita intermedio della sintesi degli acidi grassi, che inibisce competitivamente l’attività della carnitina-acil-transferasi, l’enzima che trasporta gli acidi grassi dal citoplasma ai mitocondri, dove vengono ossidati ad acetil-CoA. Se la produzione di acetil-CoA eccede la sua possibilità di ossidazione nel ciclo di Krebs si formano per condensazione i corpi chetonici. Il glucagone aumenta anche la concentrazione epatica di carnitina, potenziando ulteriormente il trasporto intramitocondriale degli acidi grassi. Quando il sistema di trasporto è attivato, l’entità della chetogenesi è direttamente regolata dalla concentrazione plasmatica degli acidi grassi liberi, che passano liberamente la membrana citoplasmatica degli epatociti. I corpi chetonici se presenti in eccesso determinano un aumento della concentrazione degli idrogenioni nei liquidi organici.(Faglia et al., 2006)

Nel Diabete di tipo 2 sono invece esaltate la litogenesi epatica e la sintesi di VLDL con conseguente ipertrigliceridemia. (Faglia et al., 2006)

Figura 9

Metabolismo delle sostanze nutrienti nel fegati nel diabete mellito non controllato. (Nelsen et al., 2015)

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2.4-Classificazione del diabete mellito

Il diabete mellito è diviso in due grandi categorie: Diabete Tipo 1, noto anche come diabete mellito insulino-dipendente (IDDM11), in quanto il trattamento con l’insulina dura tutta la vita, dal momento che il pancreas non è più in grado di produrre questo ormone;

Diabete Tipo 2, noto come diabete mellito non insulino-dipendente (NIDDM12),

condizione patologica tipica di età senile.(Elekofehinti, 2015) Esistono altre forme di diabete mellito, tra i quali:

• asportazione del pancreas (pancreasectomia);

• malattie ereditarie (es. fibrosi cistica) o acquisite (es.pancreatiti);

• danno iatrogeno (farmaci che danneggiano le cellule β delle isole di Langerhans o farmaci ipoglicemizzanti es. cortisonici);

• disendocrinopatie (es. iperproduzione di GH o di glicocorticoidi o di catecolamine);

• alcune infezioni virali;

• Gravidanza;

• Concomitanti ad alcune malattie ereditarie;

• Assenza su base genetica di recettori per l’insulina;

• Mutazioni monogeniche, trasmesse con modalità autosomica dominante;

• Altre malattie ereditarie. (Pontieri, 2012)

2.4.1-Diabete Mellito Tipo 1

Il diabete Tipo 1 è provocato dalla progressiva riduzione delle cellule β delle isole pancreatiche di Langerhans, che sono appunto deputate alla produzione di insulina. Di conseguenza, nel sangue si riduce, fino ad azzerarsi completamente, la produzione dell’insulina (Elekofehinti, 2015)

È una forma patologica che si manifesta prevalentemente nel periodo dell’infanzia e nell’adolescenza, rari sono i casi di insorgenza nell’età adulta, generalmente al di sotto dei 35 anni.(Elekofehinti, 2015)

11

Insulin Dependent Diabetes Mellitus .(Elekofehinti, 2015)

12

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La riduzione delle cellule β è causata dalla loro progressiva distruzione ad opera del sistema immunitario, per cui il diabete di tipo 1 va considerato come una vera e propria malattia autoimmune.(Pontieri, 2012) Processo autoimmune può essere innescato da diversi fattori ad esempio la predisposizione genetica o l’esposizione ad alcune infezioni virali. Sotto l’aspetto istopatologico, il coinvolgimento autoimmune delle cellule β si manifesta con la presenza di un processo infiammatorio in corrispondenza delle isole pancreatiche (insulite) con infiltrazione di linfociti, prevalentemente citotossici a fenotipo C8+, che lisano le cellule β. Le cellule β vanno incontro a necrosi e si distruggono, di conseguenza si ha un deficit della secrezione di insulina.(Surendran et al. 2015)

Inoltre, nel sangue dei pazienti affetti da diabete mellito insulino-dipendente sono presenti anticorpi diretti verso vari costituenti delle isole pancreatiche (ICA: Islet Cell Antibodies) che, reagendo coi rispettivi antigeni, avviano le cellule β alla morte per apoptosi. (Pontieri, 2012)

2.4.1.1-Sintomi nel diabete mellito Tipo 1

In questo tipo di diabete i sintomi sono molto evidenti, con manifestazione eclatante, e bruschi fin dall’insorgenza della patologia.

I sintomi caratteristici del diabete all’esordio sono13:

• poliuria e polidipsia;

• Perdita di peso rapido e improvviso

• Polifagia;

• Glicosuria;

• Riduzione della capacità visiva;

• Alito acetonemico (odore di mele marce o vinoso)

• Stanchezza14 (Surendran et al., 2014)

13

AMD-SID

14

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2.4.1.2-Fattori di rischio

Fattori genetici: la presenza di alcuni geni aumenta il rischio di sviluppare il

diabete di tipo 1; all’interno della stessa famiglia possono presentarsi più casi di diabete15.

Fattori geografici: l’incidenza di diabete di tipo 1 all’interno della popolazione

aumenta man mano che ci si sposta dall’Equatore; l’incidenza più alta si registra infatti nei Paesi del nord Europa (es. Finlandia)16.

Esposizione ad alcuni virus: come il virus di Epstein-Barr, Coxsackie Virus,

morbillo e Citomegalovirus possono scatenare la risposta autoimmunitaria contro il pancreas, possono anche attaccare e distruggere direttamente le cellule del pancreas17.

2.4.2-Diabete mellito Tipo 2

Il diabete di Tipo 2 è tipico dell’età adulta, è dovuto a fattori ereditari ed ambientali. Indipendentemente dalle cause patogene, la fase iniziale del diabete di Tipo 2 è caratterizzata da un’insulino-resistenza: le cellule degli organi bersaglio (fegato, muscolo scheletrico e adipociti) perdono la propria sensibilità all’azione dell’insulina. Altro difetto metabolico è dovuto ad un deficit parziale di insulina. (Elekofehinti 2015,Surendran et al., 2014)

In questo tipo di diabete, le cellule del pancreas non solo non producono una quantità sufficiente di insulina, ma gli organi bersaglio non rispondono in maniera adeguata all’ormone; in questo modo l’organismo non può utilizzare il glucosio circolante come fonte di energia, così il glucosio rimane nel sangue, dove i livelli diventano sempre più alti provocando l’iperglicemia.

Il diabete di Tipo 2 è una malattia eterogenea, caratterizzata da più eziologie complesse: può essere influenzata dalle diverse etnie, da una dieta ricca di grassi, dalla mancanza di esercizio fisico, da uno stile di vita sedentario, invecchiamento e altre condizioni mediche concomitanti. Naturalmente, fattori ambientali e difetti genetici ed ereditari giocano un

15 www.bioblog.it 16 www.diabete.net 17 AMD-SID

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ruolo fondamentale nello sviluppo della malattia. (Elekofehinti 2015,Surendran et al., 2014)

Si pensa pertanto che il diabete di Tipo 2 sia preceduto da una fase prediabetica, in cui la resistenza dei tessuti periferici all’azione dell’insulina sia compensata da un aumento della secrezione pancreatica di insulina (iperinsulinemia18). Soltanto quando si hanno sia deficit di secrezione insulinica e sia l’insulino-resistenza si manifesterebbe prima l’iperglicemia post-prandiale e poi l’iperglicemia a digiuno.

Nei soggetti obesi, che tali sono diventati in conseguenza di una lunga abitudine all’iperalimentazione, l’abbondante assunzione di carboidrati induce la comparsa di un’iperglicemia post-prandiale di livello più elevato, che determina il rilascio nel sangue di una maggiore quantità di insulina da parte delle cellule pancreatiche β che vanno incontro ad una progressiva iperplasia. (Pontieri, 2012) Questa condizione si riflette in una minore espressione da parte delle cellule insulino-dipendenti dei recettori per l’insulina ed una riduzione della loro capacita di legare questo ormone per il fenomeno di “down regulation19”(Greenspan et al., 2000-Faglia et al., 2006)

2.4.2.1-Sintomi nel diabete mellito Tipo 2

Diversamente da quello che succede nel diabete di Tipo 1, la comparsa dei sintomi nel diabete di Tipo 2 è molto lenta e insidiosa. La malattia rimane silente per parecchio tempo e i sintomi si sviluppano in modo più graduale e lieve, risulta quindi più difficile da identificare.

I sintomi tipici comprendono:

• Poliuria e polidipsia;

• Aumento dell’appetito;

• Glicosuria;

• Senso di affaticamento e vista sfocata;

• Aumento delle infezioni genito-urinarie come le cistiti;

• Taglietti o piccole ferite che guariscono più lentamente;

• Disfunzione erettile negli uomini e secchezza vaginale nelle donne;

18Le cellule β delle isole pancreatiche si presentano frequentemente iperplastiche e producono insulina in

eccesso, che si riflette in una elevata insulinemia.

19

fenomeno per il quale il numero dei recettori insulinici viene ridotto (internalizzazione) in risposta ad una

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26 • Sbalzi d’umore;

• Mal di testa, vertigini, crampi alle gambe;

• Aumento di peso. (Surendran et al., 2014,Carta et al., 2015)

2.4.2.2-Fattori di rischio del diabete mellito Tipo 2

Di seguito vengono riportate, in dettaglio, i fattori che possono causare il diabete di Tipo 2:

Fattori genetici: è la caratteristica più importante nello sviluppo del diabete di

Tipo 2. Difetti genetici a livello dei segnali di trasduzione o del recettore stesso per l’insulina, possono provocare un caso di insulino-resistenza. Sembra che alcuni pazienti diabetici presentino dei polimorfismi genetici della regione HLA del cromosoma 6 che causerebbero mutazioni del gene, provocando questo tipo di diabete; molti studi al riguardo non hanno ancora riportato dei risultati riproducibili; (Elekofehinti 2015- Surendran et al., 2014)

Fattori ambientali: che agiscono contro le cellule β, innescando un processo

autoimmune, tipico anche del diabete di Tipo; (Elekofehinti 2015- Surendran et al., 2014)

Insulino-resistenza: è definita come la diminuzione della sensibilità di tessuti

all’azione dell’insulina, alterando così l’ assorbimento e il metabolismo del glucosio. (Elekofehinti 2015- Surendran et al., 2014)

Ruolo di acidi grassi liberi: gli acidi grassi circolanti in eccesso si depositano nei

tessuti muscolari ed epatici; ciò causa nei soggetti obesi un aumento del livello di trigliceridi. Come già sappiamo, i trigliceridi ed altri prodotti del metabolismo, sono fattori che inibiscono il rilascio di insulina e la via di segnalazione dell’insulina provocando così uno stato di insulino-resistenza acquisita; (Elekofehinti 2015- Surendran et al., 2014)

Ruolo delle adipocitochine: è stata identificata una serie di proteine prodotte dal

tessuto adiposo. Uno squilibrio della secrezione delle adipocitochine, potrebbe essere uno dei meccanismi che lega l’insulino-resistenza all’obesità; (Elekofehinti 2015- Surendran et al., 2014)

Alimentazione: naturalmente, anche un alimentazione ad elevato contenuto di

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nell’insulino-resistenza e di conseguenza nello sviluppo dell’obesità; (Carta et al., 2015)

Attività fisica: rappresenta una delle terapie principali per l’abbassamento della

glicemia. L’ipertensione, in un soggetto diabetico, è un fattore di rischio molto comune, infatti, molti studi mostrano che una regolare attività fisica abbassa anche la pressione sanguigna. E’ quindi consigliabile un’attività sportiva continua soprattutto all’inizio della progressione della malattia diabetica; (Carta et al., 2015)

Fumo di sigaretta e eccessivo consumo di alcol: possono aumentare i rischi di un

diabete di tipo 2.

Figura 10:

Secrezione dell’insulina in tre soggetti diversi: soggetti sani, soggetti affetti da diabete di tipo I e soggetti affetti da diabete di tipo I20

20

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28

2.5-Diagnosi

Per la diagnosi del diabete di Tipo 2, che non presenta alcun sintomo evidente, viene effettuata un’analisi del sangue. Recentemente, l’Associazione Americana del diabete suggerisce uno screening di routine per questo tipo di diagnosi ogni 3 anni in adulti con età a partire da 45 anni.

Un valore molto importante per la diagnosi del diabete è la glicemia alta. Il test non solo permette di verificare la presenza della patologia, ma favorisce la prevenzione di tutte quelle complicanze causate dal diabete stesso, come per esempio, malattie cardiovascolari, retinopatia, ecc.

Si effettuano dei programmi di screening di massa, per la misurazione del glucosio a digiuno e dopo i pasti:

• Test alc, chiamato anche A1c/Hba1c/ glicata, è il test per la misurazione dei livelli dell’emoglobina glicosilata.

• Il test del glucosio plasmatico a digiuno.

• Test di intolleranza al glucosio orale (OGTT)

Il test dell’emoglobina glicata (HbA1c) descrive la qualità media del controllo glicemico raggiunta nelle 8/9 settimane precedenti all’esame. Il glucosio è presente nel sangue, dove si ritrovano diverse proteine, una di queste è l’emoglobina che si trova nei globuli rossi. Il glucosio presente nel sangue penetra facilmente nei globuli rossi e così facendo può rimanere “impigliato” dentro le catene di amminoacidi dell’emoglobina di tipo A (HbA), la proteina viene glicata e si lega alla molecola di glucosio. Quindi più alto è il tasso di glucosio nel sangue, più probabile è la glicazione della proteina poichè la percentuale di emoglobina che viene glicata è proporzionale alla concentrazione di glucosio registrato nel sangue in un certo arco di tempo. A differenza del test della glicemia, l’emoglobina glicata dà una idea di quelli che possono essere stati i livelli medi di glicemia nelle ultime 8/9 settimane.

Nei pazienti diabetici di Tipo 2, l’esame viene effettuato ogni 3 mesi, invece, sulle persone insulino-dipendenti l’esame viene effettuato ogni sei settimane in modo da avere una copertura continua della glicemia. È un test molto attendibile perché riesce a determinare i rischi di malattia cardiovascolare e i rischi di morte. (Surendran et al., 2014, Eknoyan et al.,2005)

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29

Invece, il test del glucosio plasmatico (FPG), viene utilizzato talvolta durante un regolare checkup sanitario, se si presume l’insorgenza della patologia. Se il test indica un valore di glucosio plasmatico superiore ai 200 mg/dl, allora possiamo dire che l’individuo presenta i primi sintomi del diabete. Saranno evidenti altri sintomi come poliuria, polidipsia, stanchezza, perdita di peso, vista offuscata, aumento di fame.

In casi in cui i sintomi non sono molto evidenti, si richiede una seconda conferma del test. (Surendran et al., 2014)

Il test di intolleranza al glucosio orale (OGTT), si esegue sia per lo screening del diabete mellito sia per un eventuale intolleranza glucidica. 21

L’esame si esegue a digiuno assoluto e nei giorni che precedono il test bisogna seguire un’alimentazione equilibrata senza accessi calorici. Viene effettuato un prelievo per la glicemia basale, se il valore è inferiore ai 126mg/dl si fanno assumere al paziente 75 g di glucosio disciolti in acqua. Quindi la glicemia viene misurata ad intervalli di tempi regolari, solitamente dopo 30, 60, 90 e 120 minuti dall’ingestione del primo sorso di glucosio. In conclusione, se dopo i 120 minuti la glicemia è tra 140 e 199 mg/dl si pone diagnosi di intolleranza glucidica, se invece, la glicemia è uguale o superiore ai 200 mg/dl, la diagnosi è di diabete mellito. (Carta et al., 2015)

Figura 6

Differenza dei valori dell’emoglobina glicosilata, del glucosio plasmatico e dell’intolleranza al glucosio orale in adulti ,non in gravidanza, diabetici, prediabetici e sani; (Surendran et al., 2014)

Oltre alle analisi del sangue, per verificare la presenza del diabete, si possono effettuare vari test direttamente sulle urine. Ma un piccolo inconveniente è dovuto al fatto che questo tipo di analisi può dare come risultato un falso negativo, per questo motivo, il test delle

21

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urine è molto utile solo per osservare la presenza di glucosio e chetoni, che nei soggetti sani non sono presenti. L’analisi del glucosio urinario si chiama glicosuria, test molto preciso e sensibile. Invece la chetonuria calcola la presenza di corpi chetonici nelle urine. (Surendran et al., 2014)

2.6-Complicanze

In genere,i pazienti diabetici possono andare incontro ad una serie di complicanze più o meno gravi. Esse si possono classificare in complicanze metaboliche acute e in complicanze croniche.

Le principali complicanze acute sono:

Cheto acidosi diabetica (DKA): è caratterizzata da una iperglicemia incontrollata,

acidosi e aumento del livello di corpi chetonici. Le cellule dell’organismo non possono utilizzare come fonte di energia il glucosio, quindi cominciano a bruciare grassi provocando la formazione di chetoni, sostanze tossiche per l’organismo. I sintomi caratteristici della cheto acidosi diabetica sono: nausea, vomito, dolori addominali. Viene valutata la presenza di chetoni nelle urine mediante le strisce reattive. (Surendran et al., 2014)

Sindrome iperglicemica iperosmolare (HHS): condizione caratterizzata da

iperglicemia, disidratazione estrema e iperosmolarità plasmatica. Generalmente essa insorge dopo un periodo di iperglicemia sintomatica, durante il quale l’apporto di liquidi non è sufficiente a prevenire la disidratazione estrema causata dalla diuresi osmotica indotta dall’iperglicemia. (Surendran et al., 2014)

Ipoglicemia: improvviso calo degli zuccheri nel sangue con glicemia inferiore a 70

mg/dl. Questo tipo di episodio si manifesta maggiormente nei soggetti diabetici di Tipo 1 ed è spesso accompagnato da alterazione di coscienza, in casi gravi danni permanenti a livello cerebrale, rimbalzo iperglicemico e addirittura morte. La varietà di queste manifestazioni rende difficile l’identificazione della patologia. (Surendran et al., 2014)

Infezione respiratoria: di tipo virale o batterica, i soggetti diabetici sono

maggiormente suscettibili alle infezioni, poiché il meccanismo di difesa risulta inalterato, per le cellule che partecipano alla difesa immunitaria, con perdita della funzione dell’epitelio respiratorio.( Surendran et al., 2014)

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Malattia parodontale: il diabete può generare malattie gengivali, difficili da

trattare. (Surendran et al., 2014)

Il diabete può dare complicanze a livello di diversi organi e distretti dell’organismo nel corso degli anni. Il rischio di sviluppare queste complicanze, che possono essere gravemente invalidanti o addirittura mortali, può essere minimizzato mantenendo costantemente un buon controllo della glicemia. Tra le complicanze croniche troviamo:

Aterosclerosi: la cui comparsa ed evoluzione risultano favorite non solo dalle

alterazioni del metabolismo lipidico (iperlipidemia ed in particolare ipertrigliceridemia con aumento della concentrazione ematica di VLDL-colesterolo e riduzione delle HDL- colesterolo), ma anche dal fenomeno della glicazione delle proteine presenti nella membrana basale della tonaca intima della parete arteriosa. (Pontieri, 2012)

Microangiopatia diabetica: si intende il coinvolgimento aterosclerotico delle

arteriole a livello del microcircolo, caratterizzato da un notevole ispessimento della membrana basale dell’endotelio. (Pontieri, 2012)

Macroangiopatia diabetica: è l’aterosclerosi che interessa le arterie coronarie,

quelle cerebrali e quelle delle estremità; rappresenta il 60 % delle cause di morte nei diabetici. (Pontieri, 2012)

Nefropatia diabetica: il diabete può danneggiare i vasi sanguigni presenti nei reni

che hanno la funzione di filtrare l’urina per depurare l’organismo dalle sostanze di scarto. Inizialmente si presenta con l’aumento del flusso plasmatico renale causando iperfiltrazione glomerulare, albuminuria e ipertrofia renale. Infatti il diabete rappresenta una tra le principali cause di insufficienza renale. (Surendran et al., 2014)

Retinopatia diabetica: anche in questo caso, il diabete può danneggiare i piccoli

vasi della retina, provocando la perdita progressiva della vista, fino alla cecità. (Surendran et al., 2014)

Maculopatia diabetica: subentra in conseguenza dell’imbibizione edematosa della

macula. (Pontieri, 2012)

Neuropatia diabetica: alterazione del sistema nervoso periferico. Il diabete,

danneggiando i piccoli vasi che portano nutrimento ai nervi, in particolare a quelli degli arti inferiori, provoca un danno a carico dei nervi stessi che si manifesta con

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formicolii, dolore e riduzione della sensibilità alle dita dei piedi22. (Surendran et al., 2014)

Piede diabetico: alterazione dei nervi che controllano la sensibilità e la motricità

degli arti inferiori. (Surendran et al., 2014)

Figura 11

Le varie complicanze del diabete mellito23

2.7-Obiettivi glicemici

Il trattamento del diabete deve essere tempestivamente adattato in ogni paziente fino ad ottenere valori di HbA1c inferiori a 53 mmol/mol (7.0%), valori che consentono di prevenire l’incidenza e la progressione delle complicanze micro vascolari. (Carta., et al 2015)

Nella seguente tabella possiamo raggruppare i livelli glicemici che dovrebbero raggiungere i pazienti diabetici di Tipo 1 e Tipo 2.

HbA1c <53mmol/mol (<7,0%)

Glicemia a digiuno e pre-prandiale 70-130 mg/dl

Glicemia post-prandiale <160 mg/dl24

22 La più frequente è la neuropatia periferica simmetrica, a sua volta distinguibile in locale o diffusa. 23

Blog.wellfitenergyshop.it

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Un’ importante terapia per il diabete è seguire una dieta adeguata, che aiuta a prevenire e a trattare tutte le fasi del diabete di Tipo 2. In alcuni casi, diventa il primo passo da eseguire , soprattutto in quei soggetti diabetici obesi, dove la perdita di peso rappresenta l’obbiettivo principale.

Un’altra terapia diabetica di grande efficacia è senza dubbio il praticare un’attività fisica. In condizioni di insulino-resistenza, l’esercizio fisico migliora la sensibilità da parte dei tessuti muscolari all’insulina. (Surendran et al., 2014)

2.8-Terapia Farmacologica.

I farmaci antidiabetici attualmente in commercio riescono a mantenere un livello di glicemia equilibrato, migliorano la sensibilità dell’insulina e ne aumentano la secrezione stessa stimolando le cellule β del pancreas, inoltre diminuiscono l’assorbimento del glucosio a livello intestinale.

Di seguito vedremo i vari tipi di ipoglicemizzanti orali, che agiscono con meccanismi molto diversi tra loro: secretagoghi di insulina, sensibilizzatori dell’insulina, inibitori dell’enzima α- glucosidasi, inibitori de dipeptidil peptidasi e molti altri ancora. (Pranav et al. 2011)

2.8.1-Sulfoniluree e le principali glinidi.

Le sulfoniluree sono farmaci utilizzati per il trattamento del diabete di Tipo 2, introdotte nel 1942, producono un effetto ipoglicemizzante agendo sulle cellule β pancreatiche. Le glinidi, chiamate anche meglitinidi, sono invece farmaci relativamente nuovi che conservano alcune proprietà delle sulfoniluree come l’attività secretagoga.

Le glitidi producono un effetto più rapido rispetto alle sulfoniluree; vengono inoltre somministrate prima di ogni pasto in modo tale che venga stimolata il rilascio di insulina. Entrambi i farmaci portano una diminuzione media dell’emoglobina glicosilata, in media 1-2 mg /dL. Come tutti i farmaci, anche questi presentano alcuni effetti collaterali come l’aumento di peso e ipoglicemia. (Surendran et al., 2014)

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2.8.2-Biguanidi-metformina.

L’effetto di questi farmaci è quello di ridurre la gluconeogenesi epatica e nel contempo di aumentare l’utilizzo del glucosio periferico. Aumentano la sensibilità del tessuto muscolare all’azione dell’insulina, riducono sia l’assorbimento intestinale del glucosio, sia l’emoglobina glicosilata. Diversamente dagli altri farmaci, le biguanidi non agiscono direttamente sulle cellule β del pancreas, quindi non interferiscono con la secrezione dell’insulina. Per questo motivo non provocano aumento di peso e sono considerati farmaci di prima scelta per i pazienti obesi con diabete di tipo 2.

Questi farmaci sono controindicati per quei pazienti con insufficienza renale o epatica, patologie polmonari e di insufficienza cardiaca; in questi casi si ha una ridotta eliminazione del farmaco provoca acidosi lattica e, di conseguenza, una ridotta ossigenazione dei tessuti. (Surendran et al., 2014)

2.8.3-Acarbosio e miglitol.

Questa classe di farmaci ha un meccanismo d’azione diverso rispetto agli altri farmaci ipoglicemizzanti: interferisce con l’assorbimento dei carboidrati inibendo l’α-glicosidasi. Purtroppo il loro uso è limitato, a causa degli effetti gastrointestinali, di conseguenza sono controindicati in pazienti con infiammazione renale e intestinale. (Surendran et al., 2014)

2.8.4-Tiazolidinedioni

I tiazolidindioni (TDZ), chiamati anche glitazoni, sono una classe di farmaci ipoglicemizzanti che agisce aumentando la sensibilità dei tessuti all’azione dell’insulina. Appartengono a quest’ultima il rosiglitazone e il pioglitazone.

I TDZ si legano e attivano dei recettori nucleari PPAR-γ (peroxisome proliferator-activated receptor) che regolano l’espressione di geni insulino-responsivi importanti nel metabolismo di glicidi e lipidi.

La classe dei recettori PPARs comprende vari sottotipi recettoriali, α, δ e γ; PPAR-γ è principalmente espresso nelle cellule del tessuto adiposo, nell’endotelio vascolare, nelle cellule β del pancreas e nei macrofagi.

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Nel tessuto muscolare i TDZ migliorano la risposta all’insulina facilitando la captazione di glucosio e incrementando l’attività di glicogenosintesi. Inoltre, nel tessuto adiposo aumentano l’espressione di geni coinvolti nel processo di deposito dei lipidi. I glitazoni esercitano altresì un’azione protettiva sulle cellule β pancreatiche, attraverso un aumento della secrezione di insulina. Questi farmaci riescono anche a ridurre l’HbA1c e aumentano il colesterolo HDL da 3 a 9 mg/dl.

I glitazoni sono controindicati nei bambini, alle madri durante l’allattamento e ai pazienti con insufficienza cardiaca25.

2.8.5.Exenatide

Si tratta di una molecola estratta dalla saliva della lucertola Gila Monster. L’exenatide è un incretino-mimetico, agonista del recettore del GLP-1 (Glucagon-like peptide-1), favorisce la secrezione dell’insulina. (Surendran et al., 2014,)

2.8.6.Pramlintide

Pramlintide è un farmaco, analogo sintetico dell’amilina, che sopprime la secrezione del glucagone postprandiale, rallentando così lo svuotamento gastrico. Inoltre, la molecola riesce a diminuire i livelli di HgA1c in media di 0.1-0.6 mg/dl. Per evitare di cadere in una condizione di ipoglicemia, è necessario ridurre la dose del farmaco di almeno del 50 %. (Surendran et al., 2014)

2.8.7.Insulina

In commercio troviamo il prodotto in varie formulazioni; è indicata per i diabetici insulino-dipendenti in cui è indispensabile la somministrazione continua di insulina.

Le varie formulazione cambiano nel tempo impiegato per il raggiungimento del picco plasmatico.

La dose che viene inizialmente somministrata varia tra 10-20 unità/d; anche se ogni terapia deve essere personalizzata per ogni individuo: non esistono programmi antidiabetici fissi.

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Gli effetti collaterali che presenta l’insulina sono l’aumento di peso, le allergie, la resistenza e ipoglicemia. (Surendran et al., 2014)

L’impiego di questi farmaci sintetici sviluppati per il trattamento del diabete, è molto limitato per il costo elevato, ma soprattutto per gli effetti collaterali che causano, quali: ipoglicemia, acidosi lattica, fenomeni di idiosincrasia, lesione a livello epatico, deficit neurologico permanenti, disturbi digestivi, mal di testa, vertigini. (Pranav et al. 2011) Per questo motivo molte case farmaceutiche preferiscono sviluppare medicinali di origine vegetale, data la minor presenza di effetti collaterali e tossicità che presentano. (Surendran et al., 2014)

Anche la somministrazione quotidiana di insulina presenta delle controindicazioni: dolore locale, presenza di edema, lipoipertrofia, eventuali allergie e soprattutto aumento di peso. Questo tipo di terapia è suggerita non solo in casi di post-pancreotomia ma anche quando la dieta o il trattamento con ipoglicemizzanti orali non riescono a tenere sotto controllo il livello del glucosio nel sangue. (Mangesh et al., 2014)

La WHO26 riconosce l’importanza della medicina vegetale anche in sostituzione dell’insulina. In India si trova il più grande giardino botanico produttore di piante medicinali del mondo. Vi sono coltivate circa 21.000 piante, di cui molte sono state studiate per i loro effetti fitochimici e farmacologiche nel trattamento del diabete mellito. (Mangesh et al., 2014)

In particolare sono stati raccolti una serie di dati relativi a composti ,contenuti in piante, con attività antidiabetica e antiossidante, applicabili comunque nel trattamento del diabete mellito.

Tra le più importanti, per la loro efficacia, sono stati presi in esame due composti vegetali: le saponine e i flavonoidi. (Patel et al., 2012)

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