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CAPITOLO 2 OSSIP FELYNE E LA SUA PROSA

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CAPITOLO 2

OSSIP FELYNE E LA SUA PROSA

Lo scopo di questo capitolo è l’analisi della prosa dello scrittore, che include racconti e romanzi. L’indagine non riguarda l’intera produzione di Ossip Felyne. Dopo l’individuazione delle caratteristiche più interessanti di alcuni suoi racconti, nonché delle raccolte in cui vengono pubblicati, mi soffermo sul suo primo romanzo, Il bivio, visto il successo di pubblico e di critica, e sul volume uscito otto anni dopo, In due con l’ombra. Rispetto all’altro, quest’ultimo rappresenta una novità soprattutto per quanto riguarda i meccanismi narrativi. Procedo all’analisi dopo la discussione della biografia di Ossip Felyne.

1. Una personalità poliedrica: l’ingegnere, il traduttore, lo scrittore

Ossip Felyne, pseudonimo di Osip Abramovič Blinderman (anche Blindermann), nasce a Odessa nel 1882, e dopo aver passato gran parte della vita in Italia, muore a Bordighera, nel 1950. Figlio di un noto avvocato, cresce a Odessa, città ricca e cosmopolita, aperta all’influenza occidentale, dove nel 1904 sposa Fanny Felia Rozemberg (1883-1964)1, conosciuta con lo pseudonimo Lia Neanova2. Completati gli studi all’Istituto Politecnico di Kiev, lascia la Russia alla volta dell’Europa. Pochi mesi dopo, infatti, nasce la figlia Erna a Zurigo3.

1 GIULIANO - MAZZUCCHELLI 2012.

2 Lia Neanova è anch’essa autrice di romanzi e testi teatrali, che riscuotono un certo successo in

Italia. Il suo primo romanzo è Immortalità (1925), tradotto da Verdinois e pubblicato dall’editore romano Alberto Stock. Al pari del marito, verso la fine degli anni ’20 è in grado di tradurre le sue stesse opere: nel 1930 esce la sua traduzione del secondo romanzo, Forze oscure, edito da Bietti nella collana «Biblioteca russa». Tra le opere teatrali è importante ricordare La signorina

lievito, scritta in collaborazione con la figlia Iris, e messa in scena al Teatro Manzoni di Milano

dalla compagnia di Tatʹjana Pavlova, nei primi anni ’30. MAZZUCCHELLI 2013.

3 Erna Blinderman è conosciuta con lo pseudonimo Iris Felyne. GIULIANO - MAZZUCCHELLI

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La famiglia si sposta in Francia. Qui Felyne studia prima all’Istituto Elettrotecnico di Nancy, poi alla Scuola Superiore di Aeronautica di Parigi, che termina nel 1910. Appassionato di aviazione, si interessa alla costruzione di aerei, e ne realizza alcuni in prima persona4. I suoi aerei sono pilotati dal celebre aviatore Eugène Gilbert (1889-1918). Inoltre, a ulteriore testimonianza della sua competenza, nel 1912 partecipa alla mostra internazionale di Mosca, e ottiene la medaglia d’oro per le sue invenzioni5. Nel 1915 viaggia in Italia come ingegnere

inviato dalla società Westinghouse, prima in Liguria, a Spotorno e a Pegli6, poi a Roma, a disposizione del Ministero delle Armi e Munizioni. Qui lavora alla produzione delle bombarde utilizzate sul fronte italiano durante la prima guerra mondiale, e inventa il caricatore automatico per bombarda Stokes7. A seguito della rivoluzione, Felyne sceglie l’Italia come luogo di permanenza definitiva, stabilendosi, oltre che in Liguria e nella capitale, anche a Napoli8, Milano, ed

infine a Bordighera, dove frequenta la famiglia dei fratelli Raffaello (1893-1975) e Michelangelo (1875-1946) Monti, musicisti e scultori9. Secondo Marina

Moretti, l’Italia per lo scrittore rappresenta un mondo di nuove opportunità10. La

già abbastanza folta comunità russa gli avrebbe garantito sostegno, e un veloce inserimento nei circoli intellettuali dell’emigrazione. L’interesse nei confronti della Russia, poi, stava creando un mercato favorevole alle opere di scrittori di origine slava. Inoltre, a differenza degli altri centri europei dell’emigrazione russa, in Italia gli esuli si erano riversati in misura minore, anche per via della politica ambigua adottata dal Regno, di cui si è già ampiamente parlato nel capitolo precedente. Sono dunque relativamente in pochi a spartirsi lavoretti di traduzione e collaborazioni di vario tipo. Ciò fa sì che per Felyne, che oltre alle ambizioni letterarie ha da offrire competenze in altri campi professionali, l’Italia

4 GARZONIO -SULPASSO 2011a. 5 MORETTI 2009. 6 FELYNE 1945. 7 MORETTI 2009. 8 GIULIANO -MAZZUCCHELLI 2012. 9 MORETTI 2009. 10 Ibid.

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rappresenti un porto più sicuro di altri. Oltre a fare il traduttore e lo scrittore, infatti, continua a svolgere altri lavori, tra cui, tra il ’27 e il ’29, quello di impiegato corrispondente presso la Delegazione Commerciale russa, con sede a Milano, in via Corso Italia, 311.

La partecipazione dello scrittore alla vita culturale della capitale è testimoniata dalla sua firma nella lista dei membri della Biblioteca Gogolʹ12, ed è proprio a Roma che escono i suoi primi romanzi, di cui il primo in assoluto, Il

bivio (1921) attira subito l’attenzione della critica13. A Roma, come a Milano, è un prezioso collaboratore in molte iniziative editoriali, volte alla divulgazione tanto dei classici della letteratura russa, quanto dei testi sovietici14. Nei primi anni venti, dunque, Felyne si afferma in Italia come traduttore e scrittore, ed è in questo periodo che incrementa il volume dei contatti con le maggiori personalità della cultura italiana. Le sue opere sono recensite da personalità influenti. Oltre ai già citati Lo Gatto e Verdinois, anche Andriano Tilgher, Giuseppe Prezzolini e Luigi Tonelli si interessano alle sue opere15. Inoltre, Felyne conosce ed ammira

Piero Gobetti, tanto da inviargli una cartolina nel 1921, in cui gli chiede la sua opinione sul romanzo Il bivio, appena uscito, e su alcuni racconti che intende pubblicare su «Il popolo romano», al quale entrambi collaborano16.

La sua carriera di scrittore, tuttavia, era cominciata assai prima. Il suo primo racconto compare nel 1900 nella rivista odessita «Teatr». In seguito pubblica sulle riviste di Kiev con lo pseudonimo O. Slepcov, e gli viene affidato il compito di gestire le sezioni letterarie del settimanale «Jugo-zapadnaja nedelja» e del giornale «Kievskie novosti». È grazie al suo racconto del 1910, Prokljatie (Maledizione), che comincia a far parlare di sé17. L’opera fu al centro di uno scandalo: il volume omonimo, uscito quattro anni dopo, viene sequestrato per

11 GIULIANO -MAZZUCCHELLI 2012. 12 D’AMELIA - GARZONIO -SULPASSO 2011. 13 GARZONIO -SULPASSO 2011a.

14 MAZZUCCHELLI 2009. 15 GARZONIO -SULPASSO 2011a. 16 ALESSANDRONE PERONA 2003. 17 GARZONIO -SULPASSO 2011a.

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blasfemia, e l’autore e l’editore messi sotto processo18. Da quel momento diviene

uno scrittore conosciuto, tanto da collaborare a varie riviste della capitale e di Mosca. Pubblica, ad esempio, su «Ežemesjačnyj žurnal», «Novyj žurnal dlja vsech», «Sovremennyj mir» e «Russkoe bogastvo»19. La sua attività sul fronte letterario russo continua fino al 1916. Dopo una pausa di circa tre anni debutta anche in Italia, inizialmente proponendo i propri testi in originale russo ai maggiori slavisti e traduttori del tempo. In seguito, raggiunge una conoscenza dell’italiano tale da permettergli di reinventarsi come traduttore delle proprie opere, e scrivere parallelamente nelle due lingue testi ex novo. Un esempio di questo procedimento è dato dal romanzo del 1929 In due con l’ombra (Dvoe i

tenʹ)20.

Felyne non si cimenta solamente nella prosa. Tra le grandi passioni dello scrittore c’è il teatro, e pare che si tratti di una caratteristica di famiglia: la sorellastra Rachel Blinderman (1893-1930) (anche Rachili Blindermann o Effi Rahel Blindermann), conosciuta con lo pseudonimo Marija Orskaja, fu una vera e propria stella del teatro in Germania21. Nel 1930, sulla rivista teatrale

«Comoedia», Felyne la ricorda in un commuovente articolo, in occasione della sua morte22. Otre a collaborare con importanti riviste teatrali come quella appena menzionata, lo scrittore ne fonda una di sua iniziativa, e ne è il direttore. Si tratta del mensile «Teatro per tutti» (1930-1938), stampata dalla casa editrice Bietti23, e nella quale compaiono le opere e le notizie teatrali dell’Italia del tempo. È anche autore di pièces, che vengono messe in scena da alcuni dei migliori attori

18 MORETTI 2009.

19 GARZONIO -SULPASSO 2011a. 20 Ibid.

21 PICCOLO 2015,pp. 241-258. 22 Ibid.

23 D’AMELIA - GARZONIO -SULPASSO 2011.Bietti è una casa editrice attiva a Milano dal 1864,

Tra le sue collane si ricorda «Biblioteca russa», che include anche gli autori russi emigrati. Tra i suoi collaboratori e i traduttori russi ci sono Rinaldo Küfferle (1903-1955) e Lia Neanova. Nel primo dopoguerra Bietti fu il quarto editore di versioni dal russo. CACCIA 2013,pp. 73-74.

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e attrici italiani dell’epoca, tra cui le sorelle Irma ed Emma Gramatica e Alfredo De Sanctis24. Le sue opere sono anche allestite al Teatro degli Indipendenti, accanto ai testi dei maggiori drammaturghi europei. È il caso di Tre sere

d’amore, rappresentato nel 192325. Sia «Comoedia» che «Teatro per tutti»

riportano diversi suoi testi teatrali, di cui per ora si ricorda Stelle spente, scritto insieme alla moglie Lia e messo in scena per la prima volta nel 192926.

La sua volontà di mettersi alla prova lo porta anche alla scrittura per il cinema, adattando testi suoi e di altri autori, tra cui il capolavoro Umiliati e offesi, che diventa uno sceneggiato RAI in quattro puntate (1958)27. All’adattamento lavorano anche la moglie Neanova, morta quattordici anni dopo il marito, e il direttore della casa editrice di Milano Alpes, Cesare Giardini (1893-1970), traduttore e intellettuale antifascista28. Nel 1928, Felyne aveva dichiarato alla Società italiana autori ed editori (SIAE) la pubblicazione della sua traduzione dell’opera di Dostoevskij29. Lo scrittore realizza anche sceneggiature del tutto

originali. Si ricorda, in particolare, il film Smarrita (1921) (Zabludšaja), diretto da Giulio Antamoro e con Diana Karenne nel ruolo principale. Inoltre, nello stesso anno partecipa alla realizzazione della sceneggiatura del film di Giovanni Zannini (1884-1951), Pia de’ Tolomei30.

24 D’AMELIA - GARZONIO -SULPASSO 2011. 25 Ibid.

26 PICCOLO 2015,pp. 241-258. 27 MAZZUCCHELLI 2009.

28 Ibid.; Alpes viene fondata nel 1920 e conclude la propria attività nel 1939. La casa editrice

propone opere ideologiche (i discorsi di Mussolini), ma diffonde anche capolavori delle letterature straniere. Pubblica Joseph Conrad (1857-1924), Rainer Maria Rilke (1875-1926), ed è la prima a far uscire nel 1926 Cime tempestose di Emily Brönte (1818-1848) (tradotto come

La tempesta). Nel ’29 dà alle stampe Gli indifferenti di Moravia (1907-1990). Pubblica anche

testi di tipo scientifico, e le biografie dei grandi esploratori italiani. CACCIA 2013,p. 37. Nel 1925 sono già uscite ben sei opere di autori russi nella collana «Collezione del teatro» (tra cui Čechov, Blok, Sologub e Arcybašev). Nel ’26 nella stessa collana pubblica anche tre opere di Felyne. CONTI 2009-2010,pp. 22-23.

29 MORETTI 2009.

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Per quanto riguarda la sua attività di traduttore, Ossip Felyne ottiene riconoscimenti soprattutto per la sua versione di Anna Karenina, uscita nella collana Mondadori «Biblioteca romantica» nel 193731. Dello stesso autore, dieci anni dopo traduce Padre Sergio (1947)32. Già dalla fine degli anni ’20 molte case editrici si avvalgono delle sue competenze linguistiche. Proprio in quegli anni, Felyne diventa curatore della collana di Corbaccio «VOLGA: versioni originali libri grandi autori», che tra il ’29 e il ’30 pubblica ben sette volumi di letteratura russa contemporanea, tra cui testi di Zajcev e I. G. Erenburg33. Oltre a ciò, gli viene affidata la traduzione di più di un volume della collana «Il Teatro di Andreev», presso Sonzogno34. Sue sono le traduzioni del Valzer dei cani, del

Pensiero, delle Belle Sabine, del Sansone incatenato, quest’ultima pubblicata,

però, con Bietti, nel 193035. È anche da ricordare che nell’archivio della SIAE, alla quale Felyne presenta comunicazioni di opere originali o tradotte, si trova una dichiarazione della vedova di Leonid Andreev in cui gli concede l’autorizzazione esclusiva per la traduzione, rappresentazione e pubblicazione in lingua italiana delle opere postume del marito36. Ciò senz’altro perché teneva in

gran conto l’attività di Felyne, e ne riconosceva la qualità delle traduzioni. Eppure, sia come scrittore sia come traduttore, Felyne viene presto messo da parte: nonostante le sue opere siano pubblicate fino agli anni ’40 ed il grande successo di pubblico delle messe in scena dei suoi testi, è oggi del tutto dimenticato in Italia, e sconosciuto in Russia. Probabilmente ciò è dovuto alla

31 MAZZUCCHELLI 2009. Fondata nel 1912, è dagli anni ’20 che Mondadori assume un ruolo

importante nell’editoria italiana, acquisendo autori come D’Annunzio, sottratto a Treves, e Pirandello. FERRETTI 2004,pp. 10-16.

32 MORETTI 2009.

33 MAZZUCCHELLI 2009.Corbaccio viene fondata nel 1918 e nel 1923 viene rilevata da Enrico

Dall’Oglio (1900-1966). Con «Volga» contribuisce a divulgare le opere di autori poco noti, come Bunin e Erenburg. CACCIA 2013,pp. 111-113.

34 Casa editrice attiva a Milano fin dal XVIII secolo. Fino alla fine del 1800 deteneva una parte

consistente del mercato librario. Nel corso del XX secolo il giro d’affari si riduce drasticamente. CACCIA 2013,p. 294.

35 GIULIANI 1982. 36 MORETTI 2009.

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oggettiva mancanza di caratteristiche di originalità tali da assicurare alle sue opere un successo duraturo, e da permettere loro di sopravvivere, anche quando si tenta di eliminare ogni traccia del ventennio mussoliniano. C’è poi da dire che a partire dal dopoguerra, con il neorealismo prima e le neoavanguardie in seguito, si risente di un forte pregiudizio nei confronti del passato della letteratura di massa37. Infine, non va dimenticato che i testi di Felyne appaiono più raramente nel corso della seconda guerra mondiale a causa delle origini ebraiche dell’autore, che lo mettono nel mirino della censura. Nel 1937 il Minculpop ordina il sequestro di alcune opere o della produzione intera degli autori legati al bolscevismo o di origine ebraica. Tra di essi ci sono Erenburg, Babelʹ, ma si fa anche il nome di Felyne, come specifica il documento, «pseudonimo di Iosif Blindermann»38.

2. La produzione in prosa

Se il debutto dell’autore avviene già nel 1900, in Italia fa la sua comparsa sul fronte letterario appena quattro anni dopo il primo soggiorno nel paese. Nel 1919, infatti, pubblica su «Nuova Antologia» la traduzione del racconto già uscito nel 1915 in Russia, Pticy beskrylʹja, Uccelli senz’ali, e già nel 1921 esce la traduzione di Federigo Verdinois del suo primo romanzo, Odna iz dorog, Il

bivio39, presso la casa editrice M. Carra e C. di Luigi Bellini40. Come ricorda lo stesso Felyne nell’introduzione del romanzo, «il passaporto letterario» che presentò a Verdinois, in occasione di un viaggio a Napoli, inviato per un collaudo militare, constava, oltre che del testo in russo già citato, dell’unica copia

37 GARZONIO -SULPASSO 2011a. 38 BÉGHIN 2006,p. 113.

39 GARZONIO -SULPASSO 2011a.

40 Si tratta di una piccola casa editrice romana, attiva nei primi decenni del 1900. Oltre a

pubblicare il testo di Felyne, fa uscire per la prima volta in Italia Le notti bianche di Dostoevskij (1920), in traduzione riveduta proprio dallo scrittore odessita. SORGENTONE 2013, p. 36. Pubblica, inoltre, autori locali, come il poeta, autore di opere in romanesco, Giggi Pizzirani (1870-1946). BARBIERI -MARTINI 26/12/2017.

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superstite della raccolta Maledizione41. Nel 1923 il volume esce in italiano, e un anno dopo il celebre Lo Gatto traduce un’altra delle sue opere in prosa, Vniz

golovoj, La testa in giù, pubblicato dall’editore romano Alberto Stock42, impegnato nella diffusione delle letterature straniere. Numerosi altri testi si susseguono sul mercato librario: nel 1925 viene pubblicata la raccolta di racconti

Il silenzio dei colori (Molčanie krasok), nel ’26 il romanzo Il tempo di vivere

(Vremja žizni), e nel ’29 In due con l’ombra (Dvoe i tenʹ). Due nuovi volumi di racconti, dal titolo Cuori inutili (Nikomu ne nužnoe serdce) e La morte della

rondine (Smertʹ lastočki) escono, rispettivamente, nel 1931 e nel 1935. L’ultimo

romanzo, Bagliori sull’abisso (Vspyški nad propastʹju), risale al 193743. Ricordiamo, infine, alcuni progetti di romanzi mai portati a termine o realizzati. A introduzione della raccolta del ’31, infatti, l’editore informa il pubblico a proposito della produzione fino a quel momento conosciuta dell’autore, alla quale si aggiungono, sotto la voce «in preparazione», tre testi: Il muro del pianto,

Tappe d’amore nella fuga da se stesso, Un imbecille qualsiasi. Di essi non si ha

alcuna notizia circa la pubblicazione44.

41 FELYNE 1945,p. 7.

42 Gabriele Mazzitelli fornisce informazioni sull’editore romano. Citando Lo Gatto, scrive che

Alberto Stock era nipote del fondatore dell’azienda produttrice di liquori, Lionello Stock. Comincia la sua attività nel 1922. Negli anni ’20 collabora con Lo Gatto e Giovanni Maver per la stampa di traduzioni di testi di Čechov, Muratov, Leskov (1831-1895), Gorʹkij, Rozanov (1856-1919), Radlov (1837-1918), e degli stessi slavisti (1923-1926). Anche Il bivio è edito da Stock nel 1923. Nel 1929 inizia la pubblicazione della collana «Il Genio anglosassone», confermando il suo interesse per le letterature straniere. Tuttavia, non manca di considerare anche la letteratura italiana. Lo Gatto dice: «un po’ si è fatto distrarre da scrittori i cui nomi sono diventati famosi quando lui non pubblicava più. Per esempio Bontempelli è un autore di Stock». MAZZITELLI 2016,pp. 71-73.

43 GARZONIO -SULPASSO 2011a. 44 FELYNE 1931.

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57 2.1 «Maledizione» e altri racconti

La carriera di Ossip Felyne inizia dal racconto, un genere che ben presto padroneggia. In questa sezione ci occupiamo di tracciare brevemente le caratteristiche fondamentali del primo racconto dell’autore, oltre ad illustrare alcune proprietà rilevanti delle raccolte pubblicate in seguito. Di queste ultime si analizzano velocemente i testi più significativi.

2.1.1 «Maledizione»: la nobilitazione degli ebrei

Maledizione esce nel settembre del 1910 sul periodico letterario «Novyj žurnal

dlja vsech»45 ed è dedicato al tema del pogrom46.

Il racconto si apre in medias res: in città è in corso una manifestazione. Tra gli ebrei che vi partecipano c’è anche il giovane figlio dei Varšavskij, Lëva. La protesta si trasforma presto in violenza antisemita. I Varšavskij si barricano in casa. Insieme alla famiglia si trova il fidanzato della figlia Ženja, Kogan, il quale sminuisce la faccenda. Egli conosce l’ufficiale di polizia Ermolov, che lo rassicura circa la pericolosità della situazione, per cui è certo che non li avrebbero toccati. Nel tranquillizzare i Varšavskij, egli dice: «Он, вероятно, спасся. Говорят, что убиты всего два человека»47. Lëva, tuttavia, non fa mai

ritorno a casa, e la sorella Ženja subisce uno stupro ad opera di tre uomini, introdottisi in casa durante il pogrom, mentre Kogan fugge atterrito. Incapaci di affrontare la perdita del figlio e l’umiliazione della figlia, i Varšavskij lasciano la Russia per trasferirsi in Svizzera. Abitano in una pensione nei pressi di un lago, dove incontrano Arnold, un giovane ebreo russo estraneo alle sofferenze

45 Periodico mensile che esce a Pietrogrado tra il 1908 e il 1916. Vi pubblicano personalità come

Anna Achmatova (1889-1966), Gorʹkij, Balʹmont (1867-1942), Blok e Gumilëv (1886-1921). FRIČE -LUNAČARSKIJ 1929-1939.

46 GARZONIO -SULPASSO 2011a;FELYNE 1910,pp. 19-44.

47 Ivi,p. 22. Traduzione mia: «Probabilmente si è salvato. Dicono che solo due persone sono

state uccise». Preciso che nel riportare la citazione ho utilizzato la grafia russa odierna, mentre sul testo originale sono ancora presenti le caratteristiche ortografiche eliminate con la riforma del 1918.

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del proprio popolo, in quanto cresciuto all’estero. Arnold si innamora di Ženja, e quando lei gli rivela la violenza subita, cui fa seguito una gravidanza, decide di sposarla. La ragazza muore tragicamente di parto.

Ženja è la vera eroina del testo. La sua rappresentazione simpatetica incoraggia un’identificazione con la ragazza e la famiglia di lei, e induce il lettore a riflettere sulla condizione degli ebrei nella Russia del primo Novecento. Nella Russia imperiale la legislazione antiebraica era diffusa e repressiva, per cui si trovavano restrizioni nell’accesso agli studi superiori e alla formazione professionale, l’arruolamento forzato nell’esercito ad età giovanissime, umiliazioni e maltrattamenti quotidiani48. Dal punto di vista letterario, fino ai classici dell’Ottocento, Turgenev, Dostoevskij e Tolstoj, gli ebrei rimangono sullo sfondo, e se compaiono come personaggi, sono oggetto di scherno o di critica. Lo stesso alle volte vale anche per autori di origine ebraica: Eduard Bagrickij (1895-1934), Erenburg, Mandelʹštam (1891-1938) e Pasternak (1890-1960) non sempre presentano posizioni solidali con il popolo ebraico, e in generale si è restii a farsi portavoce della propria cultura49. Un caso a sé è invece

costituito da Isaak Babelʹ, il quale, cresciuto a Odessa, una città fortemente ebraica, mostra una minore reticenza nel descrivere questo mondo. Infatti, alla fine dell’Ottocento c’è stato un mutamento di prospettiva: Korolenko (1853-1921), Kuprin e Gorʹkij si interessano alla causa degli ebrei, e nelle loro opere mostrano maltrattamenti e soprusi dal punto di vista delle vittime50. Lo stesso fa Felyne, rappresentando il dolore e la paura dei Varšavskij, e l’assurdità della violenza che si trovano a subire. Così, durante il pogrom, la famiglia si ritira nella stanza più isolata della loro abitazione. Qui, Ženja intravvede una scatola bianca che contiene oggetti di vetro. Sulla scatola la ragazza legge la scritta «fragile», e ciò la porta a riflettere sull’ironia per cui quei semplici oggetti hanno un valore maggiore della sua vita e di quella dei suoi familiari. Infatti, se, com’era possibile, gli aggressori in strada li avessero trovati, li avrebbero uccisi

48 SEGEL 2007. 49 Ibid. 50 Ibid.

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senza pensarci due volte, ma nel vedere la scritta sulla scatola, l’avrebbero trattata con estrema cura. Non c’è spiegazione per questo paradosso, se non che chi ha creato il mondo abbia fallito, e abbia condannato gli uomini a far parte di una catena di sofferenza senza fine, di cui la vita di Ženja è solo un anello. Ciò è illustrato nel seguente passaggio:

[...] скрытое в ней самой так же шло вековое проклятие и не покидало её. Потому что жизнь ея была только одним звеном той длинной неразрывной цепи, скованной в горниле страданья и раскаленного человеческого будущего кем-то таинственным и проклинающим, кому не удался мир...51

Anche i cadaveri per strada, gettati sui carri al tramonto, ne fanno parte:

Оттого, что их было много и все гроба были одинаковыми, казалось, что это звенья одной длинной неразрывной цепи, скованной когда-то давно [...]. И кто-то, кому захотелось создать мир, выковал в горниле страданья и раскаленного человеческого будущего эту чёрную цепь, [...] и, в бессильном бешенстве на неудавшийся мир, проклял его...52

L’immagine della catena, a suggerire un destino di maledizione senza fine, ritorna in tutto il racconto. L’idea del mondo non riuscito, maledetto dal suo

51 FELYNE 1910,p. 40. Traduzione mia: «in Ženja stessa scorreva nascosta un’eterna maledizione

e non l’abbandonava. Perché la sua vita era solo un anello di quella lunga ininterrotta catena unita in un crogiolo di sofferenza e [in cui] il futuro dell’umanità [si fa] incandescente, da colui [la cui identità è] segreta, da chi maledice, da colui che ha fallito nella creazione del mondo».

52 Ivi,p. 30. Traduzione mia: «Poiché [i cadaveri] erano molti ed erano tutti uguali, sembrava

che fossero anelli di un’unica lunga e ininterrotta catena, che qualcuno molto tempo prima aveva unito […]. E [pareva che] chi aveva deciso di creare il mondo avesse forgiato questa nera catena in un crogiolo di sofferenza, [in cui] il futuro dell’umanità [si fa] incandescente […] e, [nello sfogo di] una rabbia impotente contro il mondo malriuscito, l’avesse maledetto».

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creatore, un uomo sconosciuto e misterioso (kto-to, komu-to, kem-to) costa a Felyne un duro attacco della censura e l’accusa di blasfemia, come si è già accennato.

L’autore nobilita la figura dell’ebreo, il cui ritratto fisico era tipicamente associato a Giuda: capelli fulvi, aspetto malaticcio e deforme, orecchie prominenti, naso lungo e adunco53. Ženja viene chiamata con disprezzo

ryženʹkaja, cioè «rossa», ed i suoi capelli illuminati dal sole che tramonta sono

paragonati ad un incendio, e assimilati al sangue che ricopre le strade e i cadaveri. Essi sono anche definiti dorati: Arnold nel guardarli tra sé e sé ripete «золото, золото...»54, e i passanti che la vedono sdraiata presso la riva del lago si chiedono «спит ли или нет эта странная девушка в чёрном платье с золотыми волосами»55. Inoltre, la ragazza viene descritta come magrolina e

minuta, quasi come una bambina: «так стояла она […], маленькая и детски невинная, перед тремя большими качающими силуэтами»56. Anche le sue

mani sono piccole, mentre l’uomo che le si getta addosso poco prima dello stupro è enorme e pesante (gromandyj i tjažëlyj). Un elemento che conserva della rappresentazione tradizionale degli ebrei, sono i tratti del volto affilati. Arnold, nell’immaginare l’aspetto del figlio della ragazza, pensa che sarà sicuramente un bambino dai capelli rossi, «с крупными резкими чертами»57.

Ženja sa affrontare le proprie sventure con dignità, ma non riesce a nascondere la propria malinconia, che attira l’attenzione di Arnold e la rende misteriosa. Veste di nero, in segno di lutto per il fratello, e si interroga sul mistero dell’amore che ha legato i suoi genitori, dal quale si sente esclusa, in quanto il bambino che ha in grembo è frutto di «животная злоба и чёрная похоть»58. In

53 SEGEL 2007.

54 FELYNE 1910,p. 34. Traduzione mia: «Oro, oro…»

55 Ivi,p. 30. Traduzione mia: «Dorme oppure no quella strana ragazza vestita di nero coi

capelli dorati».

56 Ivi,p. 28. Traduzione mia: «Così se ne stava lei, […] piccola e innocente come una bambina,

e davanti a lei oscillavano tre grandi figure».

57 Ivi,p. 40. Traduzione mia: «dai forti tratti affilati». 58 Ibid. Traduzione mia: «violenza animale e nera lussuria».

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Arnold, però, trova un sincero affetto. Egli, infatti, si prende cura del bimbo, come se fosse loro figlio. Proprio come gli ebrei dell’Armata a cavallo59, le vittime di violenza sono umiliate e vilipese, ma nondimeno portatrici di valori reali60. Infatti Ženja è capace di dare la vita: la sventura si trasforma in un atto di amore, quello della cura parentale e dell’affetto tra la madre e Arnold.

Un’altra caratteristica del racconto ricorda alcune descrizioni di Babelʹ, e cioè il forte colorismo, con il motivo ricorrente del sole sanguigno. Nella prima parte del testo, al tramonto, gli ultimi raggi del sole si riflettono sulle finestre con il colore del sangue, creando bagliori scarlatti. Nella sala da pranzo il sole passa grande e rosso, e sembra quasi rigonfio e malato: «заходило солнце. Большое, красное. Словно опухшее, словное больное»61. La descrizione degli esterni

nello stile di Felyne riveste un’importanza particolare, in quanto il paesaggio partecipa alle vicende e ai sentimenti umani. Terminata la sommossa, per le strade Ženja vede sangue ovunque, il sole che tramonta illumina il mondo dello stesso colore, e le persone hanno sangue «sulle mani, sui vestiti, nei loro cuori»62.

Allo stesso modo, Ženja pare assorbire il colore grigiastro del cielo, seduta nei pressi del lago, ed assumere un’espressione cupa e malinconica.

Il tema del pogrom non viene mai più ripreso da Felyne in modo esplicito. Se in questo testo la rappresentazione degli ebrei è simpatetica, abbiamo motivo di credere che qualche anno dopo, in Italia, l’autore rinnegasse le proprie origini, forse per evitare le conseguenze delle leggi razziali. Il suo fascicolo del Fondo

59 L’opera è di Isaak Babelʹ, ed esce nel 1926. Mi riferisco, in particolare, al racconto che apre il

volume, Perechod čerez Zbruč (Attraversando il fiume Zbruč), in cui il narratore pernotta nella casa di una famiglia che è stata vittima di un pogrom, e la donna incinta fa del suo meglio per impedire agli ospiti indesiderati di tormentare il cadavere del padre, ucciso durante la violenza. CARPI 2016.

60 Ibid.

61 FELYNE 1910,p. 28. Traduzione mia: «calava il sole. Grande, rosso. Quasi gonfio, quasi

malato».

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Ebrei, nell’Archivio di Stato di Milano, è vuoto. Sulla copertina si trova la scritta: «domanda di non essere considerato ebreo»63.

2.1.2 «Il silenzio dei colori»

Nel racconto appena analizzato Ossip Felyne narra la tragica storia di una ragazza ebrea, ad indicare il destino infelice di un intero popolo, che porta su di sé il peso di una maledizione. Un’altra maledizione rende il protagonista del

Silenzio dei colori un emarginato: la follia.

Il testo esce nel 1925 nella raccolta omonima. Anche qui si nota un sapiente uso delle descrizioni dello spazio: alle estremità di un campo isolato si trovano due edifici, una casa grigia a sinistra ed una casa gialla a destra. La prima è una prigione, la seconda un manicomio, definizione che in russo è inclusa nel sintagma stesso «casa gialla» (žëltyj dom). Ad abitare i due edifici sono due fratelli, Boris e Aleksandr, di cui il secondo è impazzito a seguito del brutale omicidio della moglie Vera, avvenuto durante la rapina e la distruzione della loro casa. Nonostante non si diano dettagli sull’evento, le modalità con cui viene descritto l’omicidio ricordano la violenza del pogrom. Boris è condannato per un crimine non specificato, e la moglie Lena visita entrambi, attraversando il campo come una figura nera vista dall’alto. Il racconto non presenta una vera e propria trama, ma si costituisce di descrizioni e dei dialoghi tra Lena e Aleksandr durante la visita da parte di lei in un sabato pomeriggio. Il testo si fonda su relazioni di antitesi: la casa grigia è costruita con massicci blocchi di pietra, le finestre sono sprangate di ferro e si sottolinea l’assenza di vita di tutto ciò che le appartiene, come il fumo che esce dal camino, e infatti da lì vengono «lamenti soffocati» e «fastidio della vita»64. La casa gialla, invece, è circondata dalla vegetazione. Su di lei splende un caldo sole primaverile. I pazienti della casa di cura vedono le sue pareti giallo acceso come una creatura viva e misteriosa, ne sono attratti e cercano addirittura di leccarle. Se nella prigione i condannati non vedono più il senso della vita, gli ammalati del manicomio fanno sogni luminosi

63 GIULIANO -MAZZUCCHELLI 2012. 64 FELYNE 1925,pp. 14-15.

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e audaci. Eppure, vicino ai due edifici sta il cimitero, a significare l’illusione della vivacità e dell’allegria dei pazienti. Così, la triste realtà della morte di Vera si scontra con la speranza di Aleksandr di vederla quel giorno, quando alla casa gialla gli ammalati ballano e cantano canzoni gioiose. Le scene briose del ballo sono alternate alla descrizione dell’angoscia di Lena, che riflette sul giudizio imminente del marito, e la condanna a morte che potrebbe seguirne.

Anche nel Silenzio dei colori la sofferenza umana è definita come una maledizione: si dice che il passato dei due fratelli rende «affini le due dimore dolorose» e ha «fabbricato la catena della maledizione, l’iniquità e la follia»65. La raccolta Maledizione viene pubblicata in Italia nel 1923, di conseguenza è molto probabile che i suoi motivi fondamentali continuino ad influenzare l’autore, anche dieci anni dopo la prima comparsa.

Per il tema della pazzia e l’ambientazione in una casa di cura, il racconto, probabilmente, guarda alla Corsia numero 6 (Palata n. 6), testo di Čechov uscito nel 1892. Non a caso, le due opere condividono l’incipit descrittivo, in cui l’ospedale psichiatrico è rappresentato come immerso nella vegetazione. Anche qui i campi fanno parte del paesaggio circostante, e il grigio è parimenti utilizzato dal celebre scrittore, in questo caso nella descrizione dello steccato e dello stesso padiglione ospedaliero. Esso, però, a differenza dell’allegra casa gialla di Felyne, ha un aspetto triste, come «sogliono avere da noi solo le costruzioni ospedaliere o carcerarie»66. Come si nota facilmente, seppur sia solo citato, il carcere compare anche nel racconto di Anton Čechov.

2.1.3 «Cuori inutili»: «La tragedia di una sardina»

Nella poetica di Ossip Felyne l’angoscia esistenziale si estende anche al mondo animale, che viene umanizzato. Protagonisti della raccolta del 1931, Cuori

inutili, sono anche cani e sardine comuni. Essi sono equiparati agli altri

65 Ivi,p. 17.

66 MANCUSO 2010,p. 18; ČECHOV 2016,p. 120: «какой у нас бывает только у больничных и

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personaggi, e anzi alle volte appaiono più accorti e lungimiranti degli umani. Troviamo cani in ben due racconti della raccolta, Polvere sulla museruola e

L’artista. Nel secondo un cane randagio diviene la vittima sacrificale di una

troupe intenta a girare una sparatoria, nel quale la bestiola deve morire. Il cane muore deluso dalla mancata protezione dell’attrice bambina, che l’aveva tranquillizzato dicendogli che avrebbero solo finto di sparargli.

Nella Tragedia di una sardina il pathos della sofferenza esistenziale si coniuga ad un tono ironico che raramente troviamo nelle opere di Felyne. Per questa novità e per l’originalità strutturale, il racconto merita un’analisi più dettagliata.

Il testo presenta più di un eroe e di un’eroina, ognuno dei quali è colto nel bel mezzo degli eventi e delle preoccupazioni delle loro vite quotidiane, apparentemente sconnesse. A legare le loro storie è la figura ricorrente di una sardina, che nuota indisturbata nel mar Mediterraneo. Incontriamo per primo lo scrittore Grigorʹev. Egli è autore di drammi teatrali, ed ha appena concluso una commedia, nella quale ha riversato tutto il dolore sofferto in seguito alla separazione dalla donna amata. È proprio la profondità del sentimento che gli ispira la commedia, in quanto se prima «le parole scambiate tra i personaggi che egli descriveva gli sembravano contorte, artificiali, dissimili da quelle pronunciate abitualmente nella vita» in seguito la tristezza si trasforma «nell’impulso che sciolse le ali al suo ingegno creativo»67. Nella sua opera, l’autore aspira a descrivere attraverso la propria esperienza le afflizioni dell’intero universo. Dai nobili intenti di Grigorʹev si passa ai pensieri molto più materialistici di Manoela. Anche lei soffre per amore: è convinta che l’amante Pepito abbia perso interesse, e si trovi adesso con Rosita, poiché egli non si presenta all’appuntamento stabilito. Il narratore segue i pensieri di Manoela, come aveva fatto con Grigorʹev, e descrive un ulteriore inganno di cui la donna si sente vittima. Una settimana prima, infatti, un commesso ingannatore le ha venduto lo scialle rosso che porta sulle spalle a prezzo maggiorato. Il terzo protagonista della breve storia è il celebre critico Ivanov. Con ironia bonaria, il

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narratore ci rivela la spietatezza con la quale recensisce opere teatrali, per poi rappresentare la sua frustrazione per il mancato successo letterario. Nonostante sia ferratissimo a proposito di come non si scrivono le commedie, a quanto pare non sa come si debbano scrivere. Ivanov condivide con Grigorʹev la passione per la scrittura, e l’ardente desiderio del successo della creazione, sia esso materiale nel caso del primo, o personale (efficacia dell’espressione di sé) per quanto riguarda il secondo. Finalmente il testo si concentra sulla storia della sardina. Ci viene detto il luogo della nascita, la Corsica: la madre aveva probabilmente deciso di deporvi le proprie uova, nella speranza che la sua prole avesse un destino tanto importante quanto quello di Napoleone, chiamato nel testo la Grande Ombra68. Si tratta ovviamente di un’affermazione ironica. Infatti la sardina si trova a nuotare, suo malgrado, sulle coste spagnole, dove viene pescata. Finisce così in una fabbrica dove si produce pesce in scatola. Questo perché, come spiega il narratore, «oltre al sentimento materno, sulla faccenda poteva avere una certa influenza la corrente marittima»69. La sardina è

rappresentata come animale pensante: nuota in profondità durante le tempeste marine, perché capisce «con il suo cervello di pesce, che la natura, di cui l’uomo non rappresenta che una pallida imitazione, si sfoga e fa la terribile soltanto in superficie, cioè là dove può essere osservata e ammirata»70.

È proprio l’uso di concetti legati ai grandi momenti dell’umanità, cioè la nascita, la morte, l’instaurazione del rapporto parentale, in riferimento ad un animale tanto insignificante quanto una sardina, a rendere il testo originale, ed a creare un senso di paradosso che colpisce il lettore con la sua ironia seria. Non si tratta di un caso privo di precedenti. Tre anni dopo la pubblicazione della raccolta esce la poesia di Olejnikov (1898-1937) Tarakan, che a sua volta riprende i versi di Ivan Mjatlev (1796-1844), del 1833, Fantastičeskaja

Vyskaska. Entrambe le opere si soffermano su uno scarafaggio umanizzato, e

68 Appellativo che richiama l’opera di Arthur Conan Doyle, The great shadow, titolo che indica

la forte influenza napoleonica nell’Europa del 1800.KELLER 1917.

69 FELYNE 1931,p. 86. 70 Ibid.

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dopo Mjatlev anche Dostoevskij, nei Demoni (1872) ricorre all’immagine dello scarafaggio, il tarakan appunto, caduto in un bicchiere, per raffigurare l’uomo senza via d’uscita71. Allo stesso modo, la sardina, una volta catturata, si ritrova

ad aspettare con angoscia il proseguimento delle sue disavventure, ovvero «il momento in cui la viva fiumana di pesce morto sarebbe riversata sopra le lunghe tavole di una fabbrica di conserve»72. Nella fabbrica lavorano Manoela e Rosita. La sezione successiva descrive l’inevitabile scontro tra le due in modo straniato. Il narratore, infatti, si limita a dire che la mano di Manoela si ritrovò per caso vicino ai capelli della rivale. La successiva bruciatura di Rosita con il saldatore è una conseguenza naturale di questa premessa, infatti «non si cambiano le leggi della natura così come non si può influenzare il corso degli avvenimenti storici»73. L’evento viene riportato in modo indiretto, senza soffermarsi sulle motivazioni né sui sentimenti di chi vi partecipa. Anzi, il narratore sembra quasi identificarsi con le sardine, che, in una scatola ancora non ben saldata, rotolano via durante lo scontro, quasi come se avessero scosso le loro teste mancanti in segno di disapprovazione, e avessero deciso di farsi da parte rispetto alla manifestazione delle passioni umane. La sardina, nel processo che la vede inscatolata e inghiottita, muore e resuscita più volte, e una per tutte nello stomaco del critico Ivanov, che durante la rappresentazione della commedia di Grigorʹev sente dentro di sé «tutto l’ardore delle coste della Corsica, dove era nata la Grande Ombra, tutta l’amarezza del mare Mediterraneo, […] tutto il passionale amore di Manoela per Pepito e il grido acuto di Rosita scottata dal saldatore»74. Nonostante la nota spiritosa che caratterizza il racconto, esso si conclude con la definitiva disillusione di Grigorʹev, il quale, dopo aver letto la recensione di Ivanov, si convince che il sentimento da lui provato era «una cosetta artificiale e falsa»75, e che poiché in esso, come nella sua vita, non riesce a trovare alcun

71 CARPI 2016. 72 FELYNE 1931,p. 87. 73 Ibid. 74 Ivi,p. 90. 75 Ibid.

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senso, non può che scrivere farse. Il racconto si chiude negando ogni significato anche al testo che il lettore ha di fronte, poiché dichiara l’assenza di ogni legame tra le avventure della sardina e la storia dello scrittore fallito.

La struttura dell’opera può ricordare per certi versi quella del racconto di Virginia Woolf, Kew Gardens, pubblicato nel 1921: la focalizzazione del narratore è sui piccoli animali che abitano i giardini, in particolare su una lumaca, i cui insignificanti movimenti sono descritti alla stregua di incredibili avventure. Scene di conversazioni o di introspezione dei personaggi umani che si trovano nei giardini botanici si alternano a immagini della lumaca, esattamente come avviene nel racconto di Felyne. Ciò che unisce le sezioni di Kew Gardens, tuttavia, è la condivisione del moment of being76, mentre la trama della Tragedia

di una sardina presenta ancora una concatenazione tradizionale a legare eventi

e personaggi, seppur in modo originale. Nello stile della narrazione, inoltre, Felyne rimane legato ai classici della madrepatria. Per il tono ironico e straniante, La tragedia di una sardina rimanda, in ultima analisi, ai Racconti di

Pietroburgo di Nikolaj Gogolʹ77. D’altra parte, come dichiara Dostoevskij, gli

scrittori russi a partire dalla seconda metà del XIX secolo sono «tutti usciti dal cappotto di Gogolʹ»78.

2.1.4 «La morte della rondine»

Secondo Garzonio e Sulpasso, La morte della rondine è l’ultima raccolta pubblicata da Ossip Felyne. Giuliano e Mazzucchelli, però, affermano che l’opera era già uscita nel ’2179. Inoltre, stando a quanto scritto nella rivista «Il

romanzo film»in quel periodo, la raccolta sarebbe uscita in Russia con pesanti tagli della censura, mentre in Italia in versione integrale (1935). Della pubblicazione russa, tuttavia, non si hanno altre notizie80.

76 WOOLF 25/06/2009;BLACKSTONE 1949. 77 CARPI 2010. 78 CARPI 2005. 79 GIULIANO -MAZZUCCHELLI 2012. 80 SULPASSO 2015,pp. 153-172.

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Sebbene non abbia potuto leggerne i racconti, è possibile fare qualche ipotesi sui temi principali della raccolta. Infatti, il titolo del volume è significativo, in quanto corrobora l’idea secondo cui nell’immaginario di Felyne la sofferenza è sempre più condizione universale. Oltre a ciò, è d’obbligo prendere in considerazione l’uso che si fa in russo della parola «rondine» (lastočka)81. Si

tratta di un uccello grazioso, e il termine viene spesso utilizzato come appellativo affettuoso nei confronti di una ragazza. Dunque, la rondine è femminile in russo, e ha connotazioni legate ai rapporti interpersonali. Come si è visto dai racconti descritti, essi hanno un ruolo centrale nella poetica di Felyne, che spesso analizza l’interiorità di un innamorato, o più spesso di un eroe sofferente per delusioni amorose, o tragiche perdite della persona cara. Ciò rimane un punto fermo anche nei romanzi.

2.2 «Il bivio»

Ossip Felyne scrive il suo primo romanzo durante la permanenza in Italia, in particolare in Liguria e a Roma82. Lo scrive in russo, e purtroppo la versione originale non viene mai pubblicata, nonostante gli sforzi dell’autore. Il crollo del marco agli inizi degli anni ’20, infatti, impedisce la pubblicazione dell’opera presso la casa editrice berlinese S. Efron83. Nel 1930, inoltre, nella rivista dell’emigrazione russa «Segodnja»si prospetta la stampa del romanzo presso una casa editrice di Roma, ma neppure questo progetto si realizza84. È in una lettera al noto scrittore A. V. Amfiteatrov (1862-1938), anch’egli residente in

81 KUZNECOV 1998,vc. 2. 82 FELYNE 1945.

83 Scandura scrive a proposito dell’editore: «Semën Abramovič Efron era un noto editore

pietroburghese, che aveva già al suo attivo le case editrici Grjadušij den' e Ogni. Nel novembre 1920 fonda a Berlino la S. Efron Verlàg che pubblica testi in lingua originale e in traduzione: poeti del primo novecento (Blok, Bal'mont, Anna Achmatova, Vladimir Solov'ëv), scrittori contemporanei (Erenburg, Nepravdopodobnye istorii), saggistica (O. Spengler, Prusskaja ideja

i socializm; R. Tagore, Nacionalizm), narrativa tedesca contemporanea (L. Frank, Mat') e libri

sull'arte russa (Raseja del pittore Boris Grigor'ev).» SCANDURA 1987,p. 188.

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Italia, che Felyne esprime tutta la frustrazione per la mancata pubblicazione delle sue opere nella sua lingua:

Рукописей у меня накопилось много. Если бы вы знали, как больно не видеть своих вещей изданными в оригинале, даже если перевод ползуется успехом!85

Il bivio riscuote molto successo, e attira l’attenzione di importanti critici ed

intellettuali, primo fra tutti lo stesso Verdinois. Egli confessa all’autore di aver letto il romanzo in una giornata, perché non riusciva a staccarsene, e aggiunge: «se ricorda bene, il suo manoscritto è di 396 pagine, per non dire di 400: con un vecchio di 76 anni non si fanno simili scherzi»86.

2.2.1 L’intreccio

Il romanzo porta in epigrafe una citazione di Balʹmont (1867-1942), poeta russo simbolista e decadentista, a riassumere l’intero insieme dei conflitti interiori del protagonista che stiamo per incontrare:

Due vie, doppio cammino: antica scritta Di pietra miliare…

Quale sceglier dovrò?87

Sergej Lavrentev ha appena terminato gli studi in giurisprudenza ed è stato assunto dal noto avvocato Marusin, la cui moglie Vera, donna piacente, entra in confidenza con il giovane neolaureato. Lavrentev si infatua di Vera Vladimirovna, ma il caso lo spinge verso un’altra donna: un giorno, nel tragitto

85 Traduzione mia: «Ho accumulato molti manoscritti. Se sapeste com’è doloroso non vedere le

proprie opere pubblicate in originale, anche se le traduzioni hanno successo!». GARZONIO -SULPASSO 2011a,p. 87.

86 FELYNE 1945,p. 8. 87 Ivi, p. 15.

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verso casa Marusin, il protagonista vede per strada un mendicante, Kumačëv,e gli dà un rublo. Assalito, poi, dal dubbio, torna sui suoi passi, perché teme di avergli donato per sbaglio una moneta falsa, che da tempo teneva nel portafoglio. Tuttavia, il mendicante non capisce le sue buone intenzioni, e prima che Sergej possa spiegarsi, scappa via. Nell’inseguimento finisce investito, e Lavrentev lo accompagna all’ospedale. Da quel giorno lo va a trovare spesso, per accertarsi che si stia rimettendo.

All’ospedale una ragazza attira la sua attenzione. Si chiama Lidia ed è la fidanzata di un certo Martinov, sopravvissuto al suicidio. Egli cerca in Sergej un confidente, e gli rivela il motivo della sua disperazione: Lidia non lo ama più, né è mai stata completamente sua, dato che, temendo un legame troppo stretto, non gli si era mai concessa, né l’avrebbe fatto dopo il matrimonio, ormai andato a monte. Le visite della ragazza si fanno sempre meno frequenti, fino a cessare del tutto. Martinov, allora, spera di ottenere notizie di lei da Lavrentev. Egli, però, già la ama, e commosso dalla fragilità emotiva che lei gli mostra, decide di evitare le domande del suicida, e anzi, di aiutarla a trasferirsi altrove. Martinov si uccide, e poco dopo tra Sergej e Lì, come viene chiamata affettuosamente, inizia una relazione. I due si sposano.

Lavrentev ha di fronte a sé una brillante carriera da avvocato. Gli capita una caso controverso: la difesa di Verëvkin, assassino della moglie, di cui aveva scoperto l’adulterio. Nel frattempo anche l’infedeltà di Vera Vladimirovna viene alla luce. Cessate le attenzioni da parte di Sergej, la donna si era trovata un vero amante. Marusin ne è distrutto, ma da uomo razionale sceglie il silenzio e l’indifferenza.

È anche un momento nel quale Lavrentev ha riscoperto la sua vena artistica di scrittore. Incoraggiato da Lì, invia un suo racconto ad una rivista, che loda il suo scritto. Lì è felice per i suoi successi letterari, mentre disprezza la professione di avvocato. Trova l’avvocatura un mestiere falso, in cui si è costretti a difendere anche il peggior criminale, pur di incassare la parcella. Inoltre, non presenta alcun vantaggio per lo sviluppo della natura creativa del marito. Dopo una discussione, Lidia decide di passare l’estate all’estero. Le sue lettere, prima frequenti, diventano sempre più brevi e banali, e sempre più sporadiche. Le

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promesse di ritorno vengono continuamente disattese, e dopo mesi dalla sua partenza, Lidia si limita ad inviargli una cartolina. Dopo due anni insieme, la loro relazione sembra essere agli sgoccioli. Nel tentativo di salvare il matrimonio, Sergej lascia il lavoro e la raggiunge in Svizzera. Qui ritrova un compagno universitario, Javorskij, col quale aveva perso ogni contatto. Javorskij è un ambizioso architetto, trasferitosi in Svizzera, in un paesino sul lago, per costruire l’irrealizzabile Castello della solitudine per il suo ricchissimo padrone, come lo chiama ironicamente la moglie Valentina. Anche tra Tina e il marito è in corso una crisi coniugale, dovuta alla ripetuta infedeltà di lui. Il rancore di Valentina è anche frutto della frustrazione per la propria dipendenza dal marito: per accontentare la follia del padrone, Tina è stata costretta a lasciare Parigi, dove avrebbe potuto ottenere la patente di aviatore, e dedicarsi così alla sua più grande passione. Durante la permanenza alla pensione in cui si trovano, Tina e Sergej si affezionano l’uno all’altra, in quanto condividono le stesse angosce: entrambi vedono chiaramente la complicità tra Javorskij e Lidia. Questi ultimi fuggono insieme, mentre Lavrentev si lascia andare in uno stato di apatia ed indifferenza nei confronti della vita. Il suo unico conforto è l’amicizia di Tina, alla quale è legato da un vero affetto. La segue a Parigi e si lascia coinvolgere nella passione per il volo di lei, interessandosi seppur superficialmente alla costruzione di aerei. Proprio quando sembrano riprendersi dal trauma dell’abbandono, Tina muore tragicamente, precipitando durante il loro primo volo insieme.

La depressione del protagonista peggiora. Si trasferisce in una stanza nel centro di Parigi, dove rimane rinchiuso, bevendo e tentando di finire un racconto iniziato molto tempo prima. Déforges, amico di Tina, investigatore della polizia parigina, si offre di aiutarlo e di dargli un lavoro. Egli rifiuta, ma va da lui per confessargli un crimine: Sergej Lavrentev ha ucciso Sergej Lavrentev. Dichiara così la morte del proprio io. Il suo delirio è tale che nella sua mente le tragedie recenti si sovrappongono a quelle passate. Nelle notti insonni analizza il ricordo dell’abbandono del padre da parte della madre, nello stesso giorno in cui il piccolo Sergej trova un cucciolo ferito e decide di tenerlo, nonostante le proteste della governante. Un altro dei sogni ricorrenti dell’io narrato è la vendetta per

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l’umiliazione del padre, in cui lui, bambino ma eroe, stringe la sponda del letto, divenuta una spada nelle sue fantasie, e la brandisce contro Vorotin, l’amante della madre, stranamente somigliante a Javorskij.

L’ultima parte del romanzo è ambientata in Italia, sulla riviera. Lavrentev è fuggito alla ricerca di un po’ di pace interiore. La trova in un sentimento di assoluto distacco rispetto agli eventi che si susseguono di fronte a lui, che prosegue fino all’incontro con una bambina. Si chiama Rosa Bianca e viene da Milano. Si trova sulla costa con la madre, la signora Manfredi, ed il compagno di lei, il ricco produttore Francesco Cablanco, per trascorrere l’estate. Sergej nota i maltrattamenti che la bimba subisce dal signor Francesco, e la debolezza della madre nel difendere la piccola. Rosa Bianca si affeziona a Sergej, ed egli cerca di aiutarla come può. Scrive una lettera al presunto padre di lei, il signor Manfredi, chiedendogli di riprenderla con sé, ma questi risponde con tono ostile, negando di esserne il padre, ed accusando l’autore della lettera di volersi liberare dell’impiccio della bambina, e vivere comodamente con la madre. Una volta venuti a conoscenza del piano di Rosa Bianca per fuggire dal signor Francesco, la famiglia parte in tutta fretta per Firenze. Il romanzo si chiude con la ricerca disperata di Rosa Bianca da parte del protagonista.

2.2.2 I personaggi

In questa sezione procedo ad analizzare i personaggi del romanzo, a partire dal protagonista. Va sottolineato che il profilo di ciascuno degli essi si delinea anche attraverso il loro confronto.

(i) Sergej Lavrentev è avvocato e scrittore, e concepisce quest’ultima attività come un mezzo di espressione della propria sensibilità. Tuttavia, egli non si lascia andare a romanticherie, ma mantiene un modo di vedere razionale nei confronti della realtà: analizza instancabilmente le proprie esperienze, nel tentativo di trovare una spiegazione per gli avvenimenti che lo coinvolgono improvvisamente. Nonostante le sue analisi meticolose, si lascia manovrare dall’esterno, ed è frustrato dai propri insuccessi, ai quali non sa reagire. Non si libera mai dei propri traumi infantili, né si vendica dell’amante della madre o di

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quello di Lidia, sebbene abbia fantasie di giustizia. Anzi, fugge all’estero e si dà all’alcol, incapace di esprimersi sulla carta, o di scrivere un’opera coerente e completa. Fallisce anche quando cerca di partecipare attivamente alla vita, aiutando Rosa Bianca.

(ii) Il suo destino fa eco a quello di Martinov, che nella parte iniziale del romanzo si rivolge al protagonista e dichiara:

[…] voi direte alla bella prima che tutta la mia colpa sta nell’essere stato inetto a liberarmi in tempo di una stupida frenesia. Ma forse che a voi stesso riuscì sempre di essere superiore alle circostanze, forse che poteste sempre resistere alla lenta e ostinata pressione dei minimi incidenti imprevisti?88

Entrambi non hanno saputo essere superiori alle circostanze. Essi hanno in comune anche la visione scientifica del mondo. Martinov è un naturalista, impegnato nella definizione di tutto ciò che avviene intorno a lui, anche quando le risposte che cerca lo portano alla disperazione e al suicidio. Il tentato suicidio di Martinov testimonia la sua debolezza di essere umano, ma anche la grande lucidità con cui la contempla e la accoglie. Egli parla così della sua decisione di togliersi la vita:

La parola stessa suicidio è un non senso. L’annullamento del proprio individuo non è l’uccisione della personalità, come l’autocritica non è il desiderio di farsi del male. Se un dito vi duole, se, poniamo, si dichiara la cancrena, bisogna naturalmente procedere all’amputazione parziale per salvarvi il braccio, o anche, spesso, per salvar voi stesso. […] Ma se, per ipotesi, l’anima stessa è affetta da un male disperato? […] da una cancrena morale avanzata a tal segno che il polso, se pur l’anima ha un polso, non dia più che i battiti estremi, mentre il corpo seguita a vivere?89

88 Ivi,p. 46. 89 Ivi,p. 44.

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Secondo il protagonista, Martinov è vittima di un profondo malessere nervoso. Eppure, la sua risoluzione ad uccidersi è motivata da un’analisi razionale, e non da una disperazione delirante. Nella sua argomentazione logica si percepisce l’eco del nichilismo esistenziale, che nel corso dell’Ottocento era stato oggetto di molti testi letterari russi90.

(iii) Déforges è un noto investigatore e abile criminalista, e sa leggere più di ogni altro nell’anima delle persone che incontra. Come Sergej, dunque, è analitico, e d’altra parte lo stesso protagonista a poche pagine dall’inizio del libro dichiara:

Mi passavano davanti tante persone sconosciute […]; ed io intanto, nella mia qualità di futuro criminalista, andavo formulando mentalmente la fedina penale di ognuno.91

(iv) La stessa abilità di giudizio nei confronti del mondo e delle persone che gli passano di fronte ce l’ha Marusin. Egli è un maestro dell’autocontrollo, capacità che gli permette di superare il tradimento della moglie. Per questo, Sergej guarda anche a lui nella ricerca della pace interiore, ma nonostante i suoi sforzi, non riesce ad emularlo.

Passiamo ora all’analisi dei personaggi femminili, a partire da Lidia. (v) Innanzitutto, è opportuno spendere qualche parola sul nomignolo che Sergej le affibbia. In russo, infatti, si tratta di una particella interrogativa (ли) utilizzata nelle domande indirette. Il nome stesso della donna, dunque, esprime dubbio e incertezza. Lidia è imprevedibile, caratteristica che emerge soprattutto nella seconda parte del romanzo, e che si esprime anche attraverso i ripetuti accostamenti tra il colore dei suoi occhi e quello del mare, elemento mutevole. Lidia ci appare come la tipica femme fatale, dalla natura misteriosa e impenetrabile, come il narratore più volte dichiara:

90 COLUCCI -PICCHIO 1997;ROMANI 8/10/2017. 91 FELYNE 1945,p. 24.

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[…] mi pungeva il desiderio di comprenderla una buona volta, sfuggevole ed enigmatica qual era. Mi pareva che Martinoff mi avesse sottoposto un intricato ed interessante problema, accennando appena ad una delle sue innumerevoli soluzioni e lasciando a me di cavarmela.92

E ancora, qualche pagina prima:

[…] la fisionomia morale di quella fanciulla, che insorgeva contro la legge del contatto fisico, mi divenne sempre più indecifrabile.93

Inoltre, Sergej dice di aver veduto in Lidia una «strana sensualità»94,e nella seconda parte veniamo a sapere che è una brava ballerina di danze orientali. Qui, i suoi occhi a volte diventano verdi, come quelli di un gatto. Quando va da lei in Svizzera, infine, la trova con indosso un sottile kimono giapponese, a ribadire il suo esotismo.

È interessante che Lidia, oggetto di desiderio di ben tre uomini nel romanzo, e descritta come sensuale e indecifrabile, appaia, in realtà, anche molto innocente. Nel momento della crisi con Martinov mostra al protagonista il suo lato più fragile, e gli racconta la sua versione della storia con il fidanzato, in particolare del perché è finita. Il suo rifiuto di concedersi si scontra con l’impazienza del suicida, che il 23 febbraio tenta di mettere fine alla sua resistenza. Anche se non si parla apertamente di una violenza sessuale, la descrizione di Lidia, «pallida, vestita di bianco, fissi gli occhi nel vuoto»95, la fa supporre. Dalla citazione si desume anche che i colori che la rappresentano sono il bianco e il blu marino tempestoso, ad indicare gli aspetti contrastanti della sua personalità. Tra di essi, ricordiamo la sua volontà di indipendenza, espressa in modo più o meno forte nei passaggi che riportiamo di seguito. Nel narrare i litigi amorosi con la fidanzata che gli si rifiuta, Martinov parla così:

92 Ivi,p. 50. 93 Ivi, p. 46. 94 Ivi,p. 47. 95 Ivi,p. 54.

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[…] sentivo che solo il pieno possesso ci avrebbe definitivamente legati; ma appunto per questo ella lo respingeva: aveva paura di legarsi, non voleva catene.96

Nella seconda parte, durante uno scontro col protagonista, ormai suo marito, lei esclama:

[…] Credi tu forse che io debba vedere le cose attraverso le tue idee? Ricrediti, caro mio: per comprendere e spiegarmi il mondo, non ho bisogno di aiuto. Io sono una creatura umana che sta da sé, e non soltanto la moglie dell’avvocato Lavrentieff. Non è così?97

E anche alla pagina successiva continua ad asserire la propria libertà da ogni vincolo.

[…] Amare vuol dire martoriarsi. Qui hai ragione. Ma esige forse l’amore che si mettano i ceppi all’essere amato e lo si consideri proprietà personale e inalienabile?98

Gli scontri con Sergej sono anche dovuti alla differenza di prospettiva dei due. Lidia è dominata da una visione romantica del mondo, e non comprende il bisogno del marito di ricorrere alla pianificazione e all’analisi. A questo proposito, a pagina 96 troviamo due passaggi significativi.

Io non voglio che la voluttà dell’oblio datami dal ballo sia l’effetto di un continuo calcolo, del bordeggiare e lottare fra la gente.99

Danzerei i balli delle misteriose vergini dei boschi, al raggio della luna, in una pineta. […] vorrei esser fuori dallo spazio, là dove mi spingerebbe l’ansia

96 Ivi,p. 47. 97 Ivi,p. 135. 98 Ivi,p. 136. 99 Ivi,p. 96.

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fuggevole… Ora dimmi tu, Sergio, come accordar tutto questo con la condizione di moglie di un avvocato, legato al posto dove va acquisendo fama, dove ha da far carriera, dove la sola idea di un menomo allontanamento è soggetta alla sorte di un mercante senza coscienza?100

Sergej, sebbene sia anch’egli sensibile al fascino dell’ideale e dell’arte, non può fare a meno di ricorrere alla logica. Egli sa di aver bisogno di lavorare, e la sua risposta al discorso di Lì contrasta pienamente con l’immagine di esistenza libera vagheggiata da lei: «in altri termini, Lì, devo piantar la baracca? È questo che vuoi? Dillo francamente»101. Ma Lidia non vuole scendere sul piano del materiale:

[…] che cosa terribile che in ogni moto della mente o del cuore [si] debba soggiacere ad una forma, ad una legge determinata. […] Danari, sempre danari.102

Qualche pagina dopo, poi, la calligrafia di Lidia è definita grande e irregolare103, aggettivi che richiamano l’esuberanza e l’irrazionalità del sentimento passionale al quale anela. A ulteriore conferma citiamo anche la seguente affermazione di Lavrentev: «Lì aveva ragione: meglio ardere che struggersi a fuoco lento»104.

(vi) Anche la signora Manfredi è un personaggio contraddittorio, sebbene l’autore non ne approfondisca i tratti: è amorevole con la figlia, ed ha il tocco di «una mano morbida, delicata, una mano di donna che conosceva la tenerezza e l’amore»105. Inoltre, la sua è la camera «di una donna che voglia piacere ed

amare»106, e infatti spesso mette in mostra il suo corpo: «indossava un leggero abito bianco, che metteva in gran mostra il seno e le gambe e la faceva parere

100 Ibid. 101 Ibid. 102 Ibid. 103 Ivi,pp. 107-109. 104 Ivi,p. 103. 105 Ivi,p. 271. 106 Ibid.

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una ragazza»107. Tuttavia, nella descrizione della signora Manfredi troviamo rimandi all’idea di artificialità, perché i suoi occhi sono «bistrati, le labbra dipinte, le guance troppo colorite»108. Il desiderio di piacere e la vanità della donna è tale che Sergej la convince facilmente del suo amore per lei, in modo da poter proteggere da vicino la piccola Rosa Bianca, e giustificare la sua presenza costante. È al momento della finta dichiarazione d’amore che emerge la natura reale della signora Manfredi. Lavrentev non è ricco, e purtroppo il suo amore «poteva valere solo in corrispondenza di una data somma»109:

Me lo disse schietto. Le andavo a genio; […] ma, tutto pensato, non le conveniva barattar Cablanco per me.110

(vii) Analogamente, Vera Vladimirovna viene descritta come sensuale, consapevole della propria bellezza. All’inizio del romanzo, il protagonista racconta:

Non nascondo che in certi momenti quella sua persona slanciata e ben fatta, quel viso piccante e un tantino appassito avevano acceso in me un fuoco di desiderio abbastanza vivo. E probabilmente nei miei rapporti con lei c’era un mal represso turbamento, un non so che di sottinteso, che mio malgrado si rivelava quando ci accadeva di rimanere da solo a sola. La donna sa di piacere ad un uomo prima che questi se n’avveda. E molto spesso dipende da lei infondergli questo pensiero.111

Eppure, anche Vera nasconde un lato fragile. Quella che sopra è descritta come una donna sicura di sé, nella seconda parte del romanzo diventa una piccola donna, e viene addirittura paragonata ad una vergine:

107 Ivi,p. 259. 108 Ibid. 109 Ivi,p. 295. 110 Ibid. 111 Ivi,p. 36.

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