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Academic year: 2021

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CAPITOLO UNO

1.1:

CLASSIFICAZIONE DELLE TECNICHE DI INDAGINE SUI

TESSUTI BIOLOGICI

Le tecniche correntemente in uso per la formazione dell’immagine e la diagnostica dei tessuti biologici possono essere classificate, in generale, secondo le seguenti due categorie:

1. Tecniche di tipo strutturale

2. Tecniche di tipo funzionale

Lo scopo dell’approccio di tipo strutturale è quello di ottenere informazioni di carattere puramente anatomico, a questa categoria appartengono le seguenti modalità di indagine:

• Tecnica di formazione dell’immagine con ultrasuoni • Tomografia con raggi x (CT)

• Risonanza magnetica (MRI)

L’obiettivo degli studi di carattere funzionale è quello di fornire informazioni sullo stato fisiologico del tessuto, ad esempio parametri di interesse sono :

• Attività metabolica • Flusso del sangue • Consumo di ossigeno

• Attività neuronale (nel caso del cervello)

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• Tomografia ad emissione di positroni (PET)

• Tomografia ad emissione di singolo fotone (SPECT) • Risonanza magnetica funzionale (fMRI)

• Elettroencefalogramma (EEG) • Magnetoencefalogramma (MEG)

Recentemente si è sviluppato un approccio di tipo funzionale basato sull’utilizzo della luce nel vicino infrarosso, questa tecnica viene comunemente detta spettroscopia nel vicino infrarosso (NIRS).

I primi studi eseguiti in vivo su animali hanno dimostrato come questa tecnica di tipo ottico sia sensibile sia agli effetti diretti dell’attivazione neuronale, sia ad esempio alle variazioni di flusso sanguigno e di ossigenazione indotte dall’attivazione neuronale nella corteccia cerebrale.

Successivamente si è sfruttata la tecnica NIRS per studi di carattere non invasivo sul cervello umano, infatti la luce nel vicino infrarosso ha la proprietà di penetrare attraverso il cuoio capelluto e il cranio e può quindi essere impiegata per un’ indagine sulla corteccia.

Nella figura 1 è illustrato in maniera schematica l’approccio per uno studio del cervello con l’utilizzo della tecnica NIRS: la luce è portata sulla testa tramite una fibra ottica,attraversa il cuoio capelluto ed il cranio e, prima di raggiungere la fibra ottica di raccolta che la porterà al rivelatore, sonda la corteccia cerebrale.

La distanza tipica tra la sonda che trasporta la luce dalla sorgente alla testa e quella che la raccoglie e di 3-4 centimetri e normalmente è richiesto l’utilizzo di più coppie emettitore-rivelatore.

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Figura 1: rappresentazione schematica dell’utilizzo della tecnica NIRS per studi sul cervello

1.2:

PROPRIETA’ OTTICHE DEI TESSUTI: PRINCIPI FISICI

I principali fenomeni fisici che interessano la propagazione della luce nei tessuti biologici sono l’assorbimento e lo scattering; sono entrambi importanti anche se il meccanismo dominante è quello dello scattering.

Anche per sezioni sottili del tessuto, sotto il millimetro, i fotoni iniettati subiscono più volte lo scattering prima di raggiungere il bordo; come conseguenza anche un fascio di luce coerente, come ad esempio quello fornito da un laser, si presenta incoerente e isotropo dopo aver attraversato pochi millimetri di tessuto.

Sia l’assorbimento che lo scattering sono dipendenti dalla lunghezza d’onda.

Inoltre, la concentrazione di alcuni cromofori varia nel tempo riflettendo i cambiamenti fisiologici del tessuto; per cromoforo si intende un pigmento che assorbe luce nella regione spettrale di interesse, ogni cromoforo presenta un particolare spettro che ne descrive il livello di assorbimento per ogni lunghezza d’onda.

Il principale cromoforo, nel tessuto cerebrale, per la luce nel vicino infrarosso è l’emoglobina, la proteina che trasporta l’ossigeno nel sangue e le sue proprietà di assorbimento dipendono dal livello di ossigenazione.

1.2.1:

ASSORBIMENTO

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dI = - µa I dx (1)

dove dI è la variazione differenziale dell’intensità luminosa I del fascio di luce che attraversa una porzione dx di un mezzo omogeneo con coefficiente di assorbimento µa , integrando la (1) su di uno spessore x si ottiene:

I = I0 e-µa x (2)

Il coefficiente di assorbimento può anche essere espresso in termini di densità della particella ρ e di superficie di assorbimento σa:

µa = ρσa (3)

In definitiva si ottiene,sostituendo l’ultima espressione di µa nella (2), la seguente relazione tra luce incidente e luce rivelata che esprime la legge di Lambert-Beer:

I = I0 e-ρ σa x (4)

Il reciproco del coefficiente di assorbimento, 1/µa è chiamato anche lunghezza del percorso di assorbimento e rappresenta il cammino libero medio percorso da un fotone tra due fenomeni consecutivi di assorbimento.

Un’altra quantità che viene comunemente usata è il coefficiente specifico di estinzione α, che rappresenta il livello di assorbimento per µmoli di composto per litro di soluzione per centimetro; il legame con il coefficiente di assorbimento è dato dalla seguente relazione:

α = log10(e)ּµaּc-1 (5)

dove c è la concentrazione del composto.

Possiamo a questo punto introdurre T, il coefficiente di trasmissione, come il rapporto tra la luce trasmessa e quella incidente:

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Tramite il coefficiente T possiamo introdurre la densità ottica del mezzo OD:

OD = log10(1/T) = -log10(I/I0) (7)

e quindi sostituendo nella (4) l’espressione del coefficiente di assorbimento si ottiene in definitiva:

OD = log10(e)ּµax = αּcּx (8)

1.2.2:

SCATTERING

La dispersione della luce nel tessuto è dovuta alla variazione dell’indice di rifrazione sia a livello macroscopico che microscopico.

Il disadattamento di indice potrà presentarsi ad esempio tra liquido intra ed extracellulare, oppure tra il liquido intracellulare e quello contenuto all’interno del nucleo della cellula. Per quanto riguarda il cervello le fonti principali di scattering sono rappresentate dalle membrane cellulari poiché il contenuto solido del tessuto cerebrale è in gran parte costituito appunto da membrane.

Bisogna precisare che non viene considerato lo scattering a livello macroscopico, (ad esempio la variazione di indice di rifrazione tra pelle e cranio è in condizioni normali così piccola che viene ignorata nella maggior parte dei modelli utilizzati per descrivere il trasporto dei fotoni), si considera invece lo scattering a livello microscopico all’interno del tessuto.

L’effetto dello scattering è sostanzialmente quello di aumentare la lunghezza del percorso che i fotoni compiono all’interno del tessuto; un effetto se vogliamo indiretto dovuto alla dispersione dei fotoni è quello che riguarda l’aumento della probabilità di un evento di assorbimento, quindi in un mezzo ad elevato scattering è maggiore anche l’assorbimento che è ad esso collegato.

Come abbiamo già potuto accennare lo scattering è il fenomeno dominante alle lunghezze d’onda del vicino infrarosso (NIR), da 650nm a 1000nm, che sono quelle di nostro interesse.

Quando la radiazione NIR entra nel tessuto e subisce lo scattering teoricamente tutte le collisioni che si verificano sono elastiche e la direzione che il fotone scatterato

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assume dipende dalla lunghezza d’onda della luce, dalla sezione di scattering della particella e dagli indici di rifrazione dei mezzi che il fotone sta attraversando.

L’attenuazione dovuta al singolo effetto di scattering sarà proporzionale ai seguenti fattori:

• la densità delle particelle che possono subire lo scattering (N) • la lunghezza del percorso ottico delle particelle (d)

• la sezione trasversale di scattering delle particelle (s)

possiamo quindi scrivere che:

A = N.s.d (9)

Il prodotto Ns è conosciuto come coefficiente di scattering del mezzo µs, per quanto riguarda i tessuti umani generalmente µs è compreso nell’intervallo che va dai 10 ai 100 mm-1.

Quando lo scattering non è singolo, come avviene nei tessuti, allora la formula per l’attenuazione scritta sopra non può più essere applicata: in questo caso per descrivere completamente il fenomeno di dispersione subito dalla luce nel tessuto è necessario considerare la probabilità che un fotone venga scatterato in una data direzione ad ogni interazione.

La probabilità che un fotone, incidente lungo una direzione individuata dal versore p, sia scatterato lungo una direzione q è descritta da una funzione detta funzione di fase f(p,q); solitamente si può assumere che questa probabilità sia indipendente da p e che dipenda soltanto dall’angolo formato dalla direzione della luce incidente con quella della luce dopo lo scattering (e).

Quindi la funzione di fase può essere espressa in maniera più conveniente come una funzione del prodotto scalare dei versori p e q, che rappresentano la direzione iniziale e finale della radiazione, il quale è come noto uguale al coseno dell’angolo di scattering cos(e).

L’anisotropia nella distribuzione di probabilità si può caratterizzare considerando un coseno medio dell’angolo di scattering g.

Nei tessuti biologici si ha principalmente scattering in avanti il che corrisponde a considerare g, che ci fornisce una informazione sull’anisotropia del fenomeno, compreso tra 0.69 e 0.99.

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A causa dello scattering dopo che la luce è penetrata per pochi millimetri nel tessuto viene a mancare l’originaria collimazione del fascio luminoso che può essere trattato come se fosse distribuito in maniera isotropa.

Per tenere in considerazione questo effetto possiamo definire il coefficiente di trasporto, parametro fondamentale nella teoria della diffusione:

µs’ = µs(1-g) (10)

il quale rappresenta il numero di eventi di scattering isotropo per unità di lunghezza. Anche per quanto riguarda lo scattering, come già sopra per l’assorbimento possiamo scrivere che:

I = I0ּe-µsx (11)

dove I rappresenta la componente non scatterata della luce dopo che quest’ultima ha attraversato un campione di tessuto, che non la assorbe, di spessore x.

Il coefficiente di scattering rappresenta la probabilità per unità di lunghezza che un fotone subisca un evento di dispersione, il reciproco o lunghezza di percorso di scattering 1/µs è il cammino libero medio percorso dal fotone tra due eventi di scattering successivi. I tessuti che maggiormente risentono di questo effetto sono le ossa, la materia bianca cerebrale e il derma della pelle.

Combinando il coefficiente di scattering e quello di assorbimento si può definire il coefficiente di attenuazione totale:

µt = µs + µa (12)

dove 1/µt rappresenta il cammino libero medio tra due eventi di assorbimento o di scattering.

1.2.3:

EFFETTO DELLO SCATTERING SULLO SPETTRO DI

ASSORBIMENTO

Se consideriamo un mezzo che assorbe la luce ma non presenta lo scattering allora sappiamo per quanto detto sopra che possiamo applicare la legge di Lambert-Beer ed in questo caso l’attenuazione è data da:

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A = µal (13)

con µa coefficiente di assorbimento e l distanza di propagazione della luce nel mezzo; misurando A e conoscendo l si può determinare facilmente il coefficiente di assorbimento il quale a sua volta è proporzionale alla concentrazione C del cromoforo che assorbe la luce.

Quando il mezzo presenta anche lo scattering oltre all’assorbimento allora l’attenuazione A si modifica secondo i seguenti punti:

• A deve includere anche un fattore G che tiene conto delle perdite dovute allo scattering.

• Lo scattering fa si che la lunghezza del percorso affrontato dai fotoni,che chiameremo appunto DP,sia considerevolmente più grande rispetto alla distanza geometrica l tra sorgente e ricevitore; questa quantità è fortemente dipendente dal coefficiente di scattering modificato µs’ ( µs’ = µs(1-g) con g fattore che tiene conto dell’anisotropia del tessuto).

• Il DP è funzione anche del coefficiente di assorbimento µa, questo è osservato sia sperimentalmente che predetto teoricamente dalla teoria della diffusione. Quanto illustrato nei punti precedenti implica che l’attenuazione A sia in questo caso una funzione non lineare del coefficiente di assorbimento µa secondo la relazione:

A = µa·B(µa)·l + G (14)

Quindi la relazione lineare che metteva in relazione il coefficiente di assorbimento e l’attenuazione subita dalla luce che attraversa il tessuto, si è trasformata in una funzione non lineare; si può osservare come nel caso di assenza di scattering la pendenza della curva (una retta) rappresenti proprio la distanza l geometrica a cui sono posti emettitore e ricevitore, mentre se si considera anche l’effetto dello scattering allora la pendenza della curva è uguale al DP.

L’aver considerato lo scattering introduce delle complicazioni nel momento in cui si cerca di determinare la concentrazione di un cromoforo utilizzando solo misure di attenuazione:

• L’attenuazione totale A che si misura non può restituire direttamente il valore di µa visto che contiene anche un contributo G dovuto alle perdite per scattering che non è conosciuto; tuttavia rimane la possibilità di determinare le variazioni di concentrazione dei cromofori in esame assumendo che G

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rimanga costante durante la misura, in questo modo è infatti possibile determinare il vero valore del coefficiente di assorbimento e da questo determinare la variazione di concentrazione.

• Generalmente per determinare le variazioni di concentrazione è necessario conoscere il DP che dai dati presenti in letteratura si dimostra essere superiore ad l di un fattore compreso tra tre e sei.

• La non linearità presentata dall’attenuazione A, (ricordiamo che A è funzione anche del coefficiente di assorbimento), farà si che alcune componenti dello spettro di attenuazione siano maggiormente esaltate rispetto ad altre; questo effetto è spesso non considerato per non complicare troppo le cose.

Generalmente si assume che il DP sia approssimativamente costante in modo da poterlo utilizzare come distanza di separazione tra emettitore e ricevitore nella legge di Lambert-Beer modificata.

1.3:

SPETTRO DI ASSORBIMENTO DEI PRINCIPALI

COSTITUENTI DEI TESSUTI BIOLOGICI

I principali costituenti dei tessuti biologici che contribuiscono all’assorbimento nella regione del vicino infrarosso sono: acqua, grasso ed emoglobina.

Mentre i primi due rimangono ragionevolmente costanti su piccole scale temporali, le concentrazioni dell’emoglobina ossigenata e non ossigenata variano in funzione del metabolismo e della funzione del tessuto; i corrispondenti cambiamenti di assorbimento forniscono informazioni fisiologiche che possono essere molto utili dal punto di vista clinico.

Di seguito sono messe in evidenza le proprietà di assorbimento di questi costituenti del tessuto:

• ACQUA

Lo spettro di assorbimento dell’acqua nell’intervallo di lunghezze d’onda dai 600 ai 1050nm è mostrato nella figura 2:

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Figura 2: spettro di assorbimento dell'acqua

Come si può osservare si ha una significativa trasmissione della luce dagli ultravioletti ( circa 200nm non mostrato in figura) fino al vicino infrarosso (circa 935nm), si ha una diminuzione dell’assorbimento nuovamente oltre i 1000nm ma attualmente non sono disponibili rivelatori efficienti a lunghezze d’onda cosi elevate. Da notare che anche se il coefficiente di assorbimento dell’acqua è piuttosto basso nell’intervallo di lunghezze d’onda considerato, quest’ultima fornisce un contributo significativo all’attenuazione generale poiché la concentrazione relativa nei tessuti biologici è molto elevata, infatti il contenuto medio di acqua nel cervello dei neonati è all’incirca pari al 90% per scendere all’80% negli adulti.

• LIPIDI

I lipidi, o grassi, compongono per circa il 5% in peso del cervello dei neonati, nella figura 3 è raffigurato lo spettro di assorbimento del grasso di maiale, che presenta, in larga parte, un comportamento abbastanza simile ai lipidi presenti nell’uomo:

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Il coefficiente di assorbimento,che è dello stesso ordine di grandezza di quello dell’acqua, presenta valori bassi a lunghezze d’onda basse all’incirca sotto i 600nm (non mostrato in figura) e presenta invece un picco all’incirca intorno a 930nm.

Tuttavia poiché il contenuto di lipidi nel cervello è molto basso, l’effetto sull’assorbimento globale è piuttosto piccolo.

• EMOGLOBINA

E’ il più importante costituente dei globuli rossi, ed e il trasporto principale per l’ossigeno.

Si tratta di una proteina coniugata di intenso colore rosso costituita da una parte proteica, la globulina, e da un gruppo protesico (l’eme ferroso); l’emoglobina contiene, legata al gruppo protesico, un’elevata quantità di ferro: circa lo 0,34%. La sua funzione è quella del trasporto di O2 e CO, composti che facilmente si legano all’eme ferroso.

L’emoglobina nel sangue si può trovare sotto forma di ossiemoglobina HbO2, emoglobina ridotta Hb e carbossiemoglobina HbCO che è dei tre il composto più stabile.

Le molecole di emoglobina, all’interno dei globuli rossi trasportano circa il 97% dell’ossigeno nel sangue, mentre il rimanente 3% è dissolto nel plasma.

Nello stato ossigenato l’emoglobina è riferita come ossiemoglobina (HbO2), mentre nello stato ridotto è chiamata deossiemoglobina (Hb).

Nella figura 4 è riportata la curva di dissociazione dell’emoglobina ossigenata, che mette in relazione la saturazione di emoglobina (SO2) espressa in percentuale con la pressione parziale dell’ossigeno dissolto nel sangue (PO2).

Figura 4:dissociazione dell'emoglobina ossigenata

Si può osservare come il sangue che lascia il polmone è saturo di ossigeno intorno al 97%, mentre il sangue venoso presenta una saturazione intorno al 67%; quindi

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approssimativamente il 30% dell’emoglobina ossigenata cede l’ossigeno che trasporta ai tessuti durante un ciclo attraverso il corpo.

Nella figura 5 e 6 sono riportati gli spettri di assorbimento dell’emoglobina nelle sue due forme ossigenata e non ossigenata espressi in termini di coefficiente specifico di estinzione.

Figura 5 e 6: spettro di assorbimento dell'emoglobina ossigenata e di quella ridotta

Mentre sia l’HbO2 che l’emoglobina non ossigenata assorbono fortemente nelle regioni del blu e del verde dello spettro visibile, l’assorbimento di Hb è maggiore intorno ai 690nm rispetto a quello dell’HbO2.

Dal calcolo dei coefficienti di assorbimento del tessuto è possibile determinare sia il volume del sangue che l’ossigenazione; l’incremento dell’assorbimento all’incirca intorno ai 600nm pone un limite inferiore per misure di spettroscopia e di formazione dell’immagine.

Nella tabella 1 sono riportati, per completezza, alcuni dati riguardanti altri tipi di tessuti; si pùò notare quanto lo scattering sia più basso nel cervello del neonato rispetto all’adulto e quanto siano piccole le differenze tra materia grigia e materia bianca.

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Tabella 1: Caratteristiche di assorbimento e scattering di diversi tipi di tessuto

1.4:

PROPAGAZIONE DELLA LUCE ATTRAVERSO I TESSUTI

BIOLOGICI

Per inquadrare il contesto teorico relativo alla nostra analisi dobbiamo introdurre la legge di Lambert-Beer modificata, che viene utilizzata per quantificare le variazioni di concentrazione dell’emoglobina ossigenata e non ossigenata.

Questa legge, fornisce una descrizione empirica dell’attenuazione ottica in un mezzo che presenta un alto scattering ed è espressa dalla seguente relazione:

OD rappresenta la densità ottica, che si è già introdotta precedentemente, I0 ed Isono rispettivamente l’intensità della luce incidente e della luce rivelata, C è la concentrazione del cromoforo in esame, L è la distanza tra il punto in cui la luce penetra nel tessuto e quello in cui la luce lascia il tessuto per poi essere rivelata, G è un fattore che tiene conto di quelle che sono le caratteristiche geometriche del tessuto in esame, infine B è detto “fattore di lunghezza del cammino” o brevemente DPF e racchiude in se gli effetti dello scattering sul percorso del fotone all’interno del tessuto, infatti a causa di questo fenomeno il fotone percorre all’interno del tessuto un percorso più lungo e di questo si tiene conto inserendo appunto B.

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1.4.1: PROCEDIMENTO PER IL CALCOLO ANALITICO DELLA VARIAZIONE DI CONCENTRAZIONE

Quando si verifica una variazione della concentrazione del cromoforo si ha una variazione dell’intensità della luce rivelata; supponendo che il coefficiente di estinzione ε e la distanza L rimangano costanti e assumendo B e G anch’essi costanti possiamo scrivere:

∆OD rappresenta la variazione di densità ottica, IFinal e Iinitial sono le intensità misurate prima e dopo la variazione di concentrazione ∆C.

Per quanto riguarda ε esso rappresenta una caratteristica intrinseca del cromoforo sotto esame: per l’emoglobina nelle sue due forme l’andamento di questo parametro è mostrato nella figura 5 ; B che come abbiamo già detto sopra è spesso riferito come DPF può essere determinato indipendentemente utilizzando impulsi luminosi di durata molto breve, (i valori sono tabulati per vari tipi di tessuto).

Se si considera il contributo dell’emoglobina nelle sue due forme allora possiamo scrivere:

dove λ indica una particolare lunghezza d’onda.

Dalla misura della variazione di densità ottica a due lunghezze d’onda (λ1 e λ2), considerando il fatto che si conosce il valore dei coefficienti di estinzione dell’emoglobina ossigenata (εHbO) e di quella non ossigenata (εHb) alle lunghezze d’onda considerate, allora risolvendo il sistema di due equazioni in due incognite che ne risulta, si può determinare analiticamente la variazione di concentrazione dell’emoglobina ossigenata e non ossigenata ottenendo:

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1.4.2:

FATTORE DIFFERENZIALE DI LUNGHEZZA DEL

PERCORSO (DPF)

Fin da quando è stata introdotta nel 1977 da Franz Jobsis, la spettroscopia nel vicino infrarosso ha trovato molte applicazioni in campo clinico e in particolare oggi viene utilizzata nello studio dell’emodinamica cerebrale e del trasporto di ossigeno ai muscoli.

Con la tecnica NIRS si cerca di determinare le concentrazioni di vari cromofori presenti all’interno del tessuto sotto analisi, rilevando i cambiamenti nello spettro di assorbimento di queste sostanze nella regione del vicino infrarosso in funzione dell’ossigenazione.

Nella spettroscopia convenzionale una misura di attenuazione della luce che attraversa un mezzo può essere convertita direttamente in una misura del coefficiente di assorbimento utilizzando la legge di Lambert-Beer , che abbiamo introdotto parlando dell’assorbimento.

Per la spettroscopia nel vicino infrarosso si utilizza la legge di Lambert-Beer modificata,che abbiamo introdotto sopra, con la quale si può mettere in relazione una misura di attenuazione con le variazioni di concentrazione dei cromofori sotto indagine.

Nella versione modificata della legge, la distanza geometrica tra sorgente e rivelatore è moltiplicata per un fattore differenziale di lunghezza del percorso, il DPF appunto; il prodotto di questi due fattori viene detto “ percorso differenziale” ed è generalmente indicato come DP.

Bisogna anche sottolineare come, per l’utilizzo della spettroscopia nel vicino infrarosso, la determinazione del DP, che è generalmente dipendente dal coefficiente

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di assorbimento, da quello di scattering e dalla geometria del tessuto, sia un requisito fondamentale per poter quantificare le variazioni di concentrazione dei cromofori analizzati.

Il metodo che illustreremo per la determinazione del DP si basa su un semplice sistema di misurazione dell’attenuazione; la prima generazione di strumenti che utilizzavano la tecnica NIRS erano basati su semplici misure di attenuazione.

1.4.2.1: METODI PER CALCOLARE IL DPF

Esistono svariati metodi per determinare il valore del DP, (ricordiamo che il DP è dato dal prodotto del DPF per la distanza l tra emettitore e ricevitore).

• Metodi basati sul calcolo del tempo di volo

Lo sviluppo, negli ultimi venti anni, di laser a impulso, che possono fornire impulsi luminosi con durata dell’ordine dei picosecondi e di rivelatori ultra veloci ha reso possibile la misura diretta del tempo di volo della luce attraverso il tessuto.

Utilizzando appunto un laser ad impulsi si divide il fascio luminoso in due e se ne invia una parte attraverso il campione di tessuto, mentre l’altra verrà utilizzata come riferimento temporale.

Il segnale che ha attraversato il tessuto e il riferimento temporale sono raccolti simultaneamente sulla stessa immagine grazie ad una apparecchiatura fotografica a striatura.

La differenza temporale <t>, tra il tempo medio impiegato dalla luce per attraversare il tessuto e l’istante in cui la luce entra nel tessuto rappresenta proprio il tempo di volo e può essere calcolato confrontando le immagini raccolte dall’apparecchiatura fotografica.

La distanza geometrica d tra il centro della fibra trasmittente e quello della fibra ricevente deve essere accuratamente misurato, generalmente con uno spettroscopio. A questo punto possiamo avere una stima approssimata di quello che sarà il DPF infatti si ha:

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Dove cυ rappresenta la velocità della luce nel vuoto mentre n è l’indice di rifrazione del tessuto sotto esame, (tipicamente si lavora con n=1.40).

I sistemi per il calcolo del tempo di volo del tipo che abbiamo descritto sopra sono ingombranti e molto costosi per questo sono utilizzati in laboratori dedicati di ottica mentre non possono essere utilizzati per l’uso clinico di routine sui neonati; fin ad ora questo metodo si è potuto utilizzare limitatamente alle misure post mortem sui neonati e su adulti volontari.

• Metodo di calcolo nel dominio della frequenza

Effettuando le misure di spettroscopia nel dominio della frequenza anziché nel dominio del tempo è possibile controllare in maniera continua il percorso totale della radiazione luminosa all’interno del tessuto, e quindi fornire una stima del DPF.

Si considera una radiazione nel vicino infrarosso fornita da un laser in maniera continua, questa sorgente può essere facilmente modulata con frequenze che vanno dalla continua fino ad alcune centinaia di MHz: misurando lo sfasamento tra la luce incidente e quella che esce dal tessuto abbiamo una stima del DPF.

Se indichiamo con P lo sfasamento suddetto allora possiamo scrivere che:

DP = P.cυ / 2π.f.n (17)

dove f rappresenta la frequenza di modulazione della sorgente, generalmente inferiore ai 200MHz.

Nella figura sono illustrati schematicamente i metodi di misura nel tempo e in frequenza che abbiamo descritto sopra.

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Figura 7: Metodi di misura del DPF nel tempo e in frequenza

I sistemi descritti permettono quindi oltre le normali misure di spettroscopia anche una misura del DP, bisogna precisare anzi che la prima applicazione clinica di questo genere di sistemi è stata proprio quella di calcolare su diversi tipi di soggetti il valore del DP.

Se contemporaneamente a questa misura del DP viene misurata anche la distanza geometrica tra emettitore e ricevitore, d, allora si può facilmente avere una stima del fattore differenziale di percorso (DPF).

Recentemente sono stati condotti studi sulla dipendenza del DPF dall’età del soggetto sotto esame: i risultati mostrano una lenta variazione del DPF con l’età che può essere riassunta dalla seguente relazione:

DPF780 = 5.13 + 0.07·Y0.81 (18)

dove DPF780 rappresenta il fattore differenziale di percorso alla lunghezza d’onda di 780nm e Y è l’età del soggetto misurata in anni.

1.4.2.2: FATTORI CHE INFLUENZANO IL DPF

I fattori che influenzano il valore del DPF sono:

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Si sono effettuate misure del DPF sulla testa, sul polpaccio e sull’avambraccio di adulti e sulla testa di neonati, i risultati hanno messo in evidenza una marcata differenza per questi quattro tipi di tessuto.

Queste differenze sono da aspettarsi in quanto il DPF dipende in maniera diretta dalla percentuale di tessuto molle, di muscolo e di ossa presenti nel tessuto illuminato dalla luce infrarossa.

• Coefficiente di assorbimento e lunghezza d’onda

I sistemi basati sul calcolo del tempo di volo sono utili per mettere in evidenza la relazione esistente tra il DPF e la lunghezza d’onda (e quindi il coefficiente di assorbimento) nei quattro tipi di tessuti già menzionati al punto precedente.

Il DPF è stato stimato nell’intervallo di frequenze compreso tra i 740 e gli 840nm; in tutti i tessuti considerati si è potuta osservare una diminuzione del valore del DPF all’aumentare della lunghezza d’onda considerata con una variazione del 12% all’interno dell’intervallo considerato.

Per questo motivo è sempre importante, qualora si voglia misurare il DPF, avere informazioni precise sulla lunghezza d’onda alla quale effettuare la misura.

La dipendenza del DPF dalla lunghezza d’onda deve essere tenuta in considerazione negli algoritmi utilizzati per convertire i dati ottenuti in termini di densità ottica (OD) in variazioni di concentrazione dei cromofori.

• Disposizione geometrica di emettitore e ricevitore

Si può dimostrare con l’aiuto di una simulazione su personal computer che il DPF dipende dalla posizione reciproca di emettitore e ricevitore, quindi dall’angolo individuato da questi ultimi.

Il risultato indica come il DPF può variare significativamente con l’angolo formato da emettitore e rivelatore quando questo e compreso tra i 60 e i 180 gradi, mentre per angoli minori la variazione è ancora maggiore.

Sperimentalmente si osserva, in contrasto a quanto osservato con la simulazione con l’elaboratore, che in tutti i tessuti il DPF inizialmente decresce con l’aumento della distanza geometrica d tra sorgente e ricevitore, per mantenere poi un valore pressoché costante quando d supera i 2.5 centimetri.

L’incongruenza tra i risultati teorici forniti dalla simulazione e quelli sperimentali può essere in parte spiegata dal fatto che nel modello teorico utilizzato al computer non vengono considerate le disomogeneità presenti nel tessuto sotto indagine.

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Quando si considera un modello del tessuto multistrato, cioè quando il tessuto viene considerato come formato da più strati adiacenti ciascuno con caratteristiche proprie, allora anche i risultati teorici e sperimentali coincidono.

Nella figura sottostante è illustrato schematicamente un sistema per misure spettroscopiche sulla testa nel vicino infrarosso:

Figura 8: Sistema per misure spettroscopiche sulla testa

Si può osservare che le fibre ottiche che trasportano la luce sia in trasmissione che in ricezione terminano con piccoli prismi i quali dirigono la luce sulla superficie del tessuto in direzione normale.

La distanza geometrica d che abbiamo menzionato sopra rappresenta la distanza tra questi due prismi e rappresenta la lunghezza della corda piuttosto che quella dell’arco tra sorgente e ricevitore: la ragione di questa assunzione dipende dal fatto che la luce all’interno del cervello viene diffusa e la sorgente può essere considerata isotropa dopo che la radiazione a percorso pochi millimetri all’interno della testa.

1.5:

DANNO TERMICO: TEMPO DI RILASCIAMENTO

TERMICO

La profondità di penetrazione della luce aumenta con l’incremento della lunghezza d’onda.

La penetrazione dei tessuti biologici di lunghezze d’onda corte, (300-400nm) è fortemente limitata da un elevata diffusione, mentre lunghezze d’onda maggiori (1000-1200nm) consentono alla luce di raggiungere profondità maggiori proprio per la minore influenza dello scattering.

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E’ importante tenere presente che la profondità di penetrazione è influenzata dalle dimensioni dello spot del fascio luminoso, infatti spot di piccole dimensioni hanno una profondità di penetrazione limitata rispetto a spot più grandi.

Bisogna ricordare altresì che la dimensione del diametro dello spot è inversamente collegata alla intensità luminosa che raggiunge il tessuto, quindi spot più piccoli presentano una intensità maggiore.

A livello microscopico l’interazione termica è spiegabile in termini di stati vibrazionali delle molecole.

Poiché la struttura dei tessuti biologici è un insieme complesso ed eterogeneo di mezzi di propagazione le rotazioni sono ostacolate e le ampiezze delle vibrazioni sono più o meno smorzate.

Quando un quanto di energia hυ viene assorbito da una molecola gli elettroni

colpiti dai fotoni passano dallo stato stabile E allo stato eccitato E*, dallo stato

eccitato l’elettrone può a sua volta cedere una quantità di energia, sotto forma di fotone, pari a quella del fotone inizialmente assorbito (emissione spontanea).

Se un elettrone che si trova nello stato eccitato E* si trova in prossimità di un

fotone di pari energia, può ritornare allo stato fondamentale emettendo un fotone con le stesse caratteristiche di quello stimolante.

La ripetizione di questa interazione in un tempo breve per tutte le molecole investite dalla radiazione, porta ad una produzione di energia ed ad un conseguente aumento della temperatura.

L’intervallo energetico per ottenere la prima ionizzazione delle molecole biologiche va da 1 a 10eV, mentre la banda complessiva di assorbimento dei tessuti va da 190 a 1000nm.

Quando si studia l’effetto termico della luce sui tessuti umani, bisogna considerare le temperature che si raggiungono e gli eventuali danni che possono essere provocati .

Nella tabella 1 seguente vengono schematicamente riportati i danni ai tessuti in relazione alla temperatura:

(22)

TEMPERATURA DANNO SUBITO DAL TESSUTO BIOLOGICO

43°C – 45°C Ipotermia, cambiamenti

conformazionali delle cellule

50°C Riduzione dell’attività degli enzimi

60°C Coagulazione, scioglimento delle proteine

80°C Scioglimento del collagene

100°C Vaporizzazione e ablazione

Tabella 2:Danni dei tessuti a varie temperature

Il danno termico reversibile si verifica a temperature inferiori a 50°C.

A temperature comprese tra 50°C e i 100°C la maggior parte dei tessuti va incontro a denaturazione o coagulazione irreversibile delle proteine, ad esempio in laser terapia il raggiungimento di temperature tra i 50°C e i 100°C per un tempo pari ad 1msec provoca la necrosi coagulativa del tessuto epiteliale e connettivale. La localizzazione e l’estensione del danno termico dipendono dall’intensità, dalla durata e dalla lunghezza d’onda del fascio luminoso, bisogna anche sottolineare che la risposta del tessuto connettivo all’aumento della temperatura è sempre lo stesso anche utilizzando diversi tipi di laser.

La vaporizzazione del tessuto si ottiene con temperature superiori ai 100°C, la carbonizzazione si verifica intorno ai 300°C.

La teoria della fototermolisi selettiva, introdotta nel 1983 da Anderson e Parish, ha enormemente aumentato le conoscenze sull’interazione luce-tessuto.

Questa teoria stabilisce che un cromoforo può essere selettivamente danneggiato da un impulso di luce di una specifica lunghezza d’onda, la cui durata risulta inferiore al tempo di rilasciamento termico (TRT) del suddetto cromoforo. Il TRT è definito come il tempo necessario al tessuto irradiato per rilasciare il 50% del calore accumulato.

L’erogazione di impulsi di durata inferiore rispetto al TRT del bersaglio consente di limitare il danno termico al target prestabilito e di ridurre al minimo la diffusione del calore ai tessuti adiacenti.

Il TRT di target di grandi dimensioni risulta maggiore rispetto a quello di cromofori più piccoli; di conseguenza la possibilità di programmare la durata di

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un impulso di energia luminosa, in relazione al calibro del cromoforo, è essenziale per ridurre al minimo il rischio di danno termico al tessuto.

Nella figura seguente è riportato il danno termico al tessuto in funzione della temperatura, mentre nella tabella 3 sono riportati i tempi di rilasciamento dei principali target cutanei :

Figura 9:Rappresentazione schematica del danno termico tissutale

BERSAGLIO DIMENSIONI (in nm) TRT

APPROSS IMATIVO MELANOSOMA 0.5 – 1 1nsec CELLULA 10 300nsec VASO SANGUIGNO 50 100 200 1msec 5msec 20msec FOLLICOLO PILIFERO 200 20msec EPIDERMIDE 50

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1msec ERITROCITA 7 20nsec PARTICELLA DI TATUAGGIO 0.1 10nsec

Tabella 3 :TRT dei principali target cutanei

Come abbiamo messo in evidenza impulsi di lunga durata possono provocare danno termico ai tessuti sani dovuto alla diffusione della radiazione; a questo scopo è stata elaborata una relazione che permette di determinare la distanza L alla quale si ha il danno del tessuto sano in funzione del tempo di esposizione: L2 = 4Kτ

Dove τ rappresenta la durata dell’impulso, mentre K è un coefficiente che tiene conto delle caratteristiche del tessuto.

1.6:

INTERAZIONE DELLA LUCE CON IL TESSUTO VIVENTE

In questo paragrafo descriviamo brevemente alcuni tipi di interazione tra la luce e i tessuti biologici.

• Interazione elettromeccanica

Questa interazione si verifica soprattutto nell’uso dei laser; si tratta di una interazione tra tessuto biologico e laser ad impulsi che vanno dai 10nsec ai 20psec.

Il processo non è sostenuto da un assorbimento lineare, quindi non è di tipo

termico; infatti abbiamo intensità luminose che vanno da 1010 W/ cm2, per gli

impulsi con durata di qualche nano-secondo, a 1011 W7 cm2 per gli impulsi più

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Queste intensità luminose generano campi elettrici paragonabili ai campi colombiani intermolecolari e alle energie di ionizzazione delle molecole; l’azione di questi campi provoca un breakdown del tessuto con una conseguente formazione di microplasma.

Nella zona colpita dal fascio si ha un’alta densità di elettroni liberi .

L’onda d’urto associata alla rapida espansione del plasma provoca una rottura meccanica localizzata nei punti in cui l’aumento della pressione supera le forze di coesione del tessuto;durante l’espansione del plasma si raggiungono le temperature più alte e pressioni di qualche Kbar.

Il meccanismo di ionizzazione iniziale varia a seconda della durata dell’impulso laser.

Con impulsi dell’ordine dei 10nsec la ionizzazione è causata da una emissione termoionica derivante dalla focalizzazione del calore sul bersaglio dove la temperatura supera i 10000°C.

Per impulsi dell’ordine dei 20psec si ha ionizzazione a causa di un processo non lineare chiamato assorbimento multiplo dei fotoni: in pratica l’alta radiazione concentrata nello spot focale viene assorbita e arriva ad ionizzare le molecole producendo elettroni liberi.

Le soglie di intensità per la produzione dei due fenomeni descritti sono diverse; per ottenere ionizzazione per emissione termoionica sono necessarie in aria

intensità dell’ordine dei 1011 W/cm2

mentre per avere assorbimento multiplo dei fotoni bisogna salire a 1014 W/cm2,

nei tessuti biologici questi valori sono ridotti di un fattore cento.

• Interazione fotochimica

La differenza sostanziale rispetto all’effetto termico sta nel fatto che l’interazione avviene grazie ai tessuti fotosensibili presenti nell’organismo umano.

L’energia trasmessa dalla radiazione induce un mutamento delle macromolecole biologiche, detto anche trasformazione fotochimica, che produce un isomero oppure una nuova molecola.

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Un esempio interessante di interazione fotochimica è la fotosensibilizzazione; questo processo sfrutta la foto-attivazione di alcune molecole provocata dalla radiazione luminosa.

Tale tecnica viene largamente utilizzata nella cura dei tumori e viene anche chiamata terapia fotodinamica (PDT).

Possiamo fare un esempio di tale terapia descrivendo l’utilizzo delle porfine, sostanze fotosensibili che assorbono in varie zone spettrali; largamente usata e l’ematoporfina, tale sostanza viene iniettata nel paziente e si accumula

maggiormente nei tessuti tumurali. Tali tessuti vengono irradiati da luci laser, l’ematoporfina assorbe la radiazione

passando ad uno stato eccitato e la riemette quasi istantaneamente; l’energia ritrasmessa viene assorbita dalle molecole di ossigeno che passano ad uno stato molto reattivo: si ha la formazione dei radicali liberi che legandosi alle pareti lipidiche e agli acidi nucleici, aggrediscono e uccidono le cellule tumorali.

Il vantaggio di questa terapia sta nel bassissimo danno termico ai tessuti sani e nel basso rischio di perforazione di organi cavi, inoltre rispetto alla terapia termica si ottengono risultati più duraturi.

Per contro l’inconveniente principale sta nel fatto che il paziente sottoposto a sostanze fotosensibili deve passare lunghi periodi in assenza di luce, anche 4-6 settimane, per evitare la formazione di radicali liberi nell’organismo.

Per risolvere questo problema sono in fase di studio nuove sostanze fotosensibili che vengano eliminate più rapidamente dall’organismo.

Figura

Figura 1: rappresentazione schematica dell’utilizzo della tecnica NIRS per studi sul cervello
Figura 2: spettro di assorbimento dell'acqua
Figura 4:dissociazione dell'emoglobina ossigenata
Figura 5 e 6: spettro di assorbimento dell'emoglobina ossigenata e di quella ridotta
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