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Academic year: 2021

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CAPITOLO 1  

LE SOSPENSIONI 

1.1 Introduzione 

Nella dinamica di un qualsiasi veicolo o motoveicolo rivestono particolare  importanza  le  sospensioni.  La  loro  funzione  è  quella  di  garantire  l’aderenza  tra  ruota  e  terreno  (e  quindi  la  tenuta  di  strada)  e  allo  stesso  tempo di isolare il passeggero dalle irregolarità del terreno (comfort).  Questo  capitolo  è  volto  a  introdurre  la  problematica  delle  sospensioni  dandone,  per  prima  cosa,  una  classificazione  e  illustrando  i  principi  di  funzionamento.  In  seguito  si  darà  cenno  ai  movimenti  tipici  di  un  motoveicolo in relazione anche alla taratura delle sospensioni. 

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1.2 Classificazione delle sospensioni 

Per  prima  cosa  si  può  pensare  di  andare  a  studiare  le  sospensioni  classificandole in funzione della loro struttura, come segue: 

• Sospensioni passive;  • Sospensioni semi‐attive;  • Sospensioni attive. 

Le  sospensioni  passive  sono  le  più  semplici  ed  economiche,  sono  quelle  montante  sulla  maggior  parte  dei  veicoli  di  basso  costo.  Esse  sono  composte da una molla e uno smorzatore i cui parametri sono scelti in fase  di  progetto  dalla  casa  costruttrice  e  non  possono  essere  variati.  Tale  operazione  viene  affidata  a  un  gruppo  di  collaudatori  che  in  modo  empirico  scelgono  valori  di  compromesso  che  siano  sufficientemente  adeguati  a  ogni  situazione,  tenendo  conto  dell’impostazione,  sportiva  o  meno, che si vuole dare al mezzo. 

La struttura delle sospensioni semi‐attive è ancora composta da una molla  e  da  uno  smorzatore,  il  cui  coefficiente  di  smorzamento  può  però  essere  variato mediante un sistema di controllo. 

Nelle sospensioni attive è invece presente un terzo elemento, costituito da  un  attuatore  in  grado  di  generare  una  forza  per  stabilizzare  il  veicolo.  Il  vantaggio  dell’utilizzo  delle  sospensioni  semi‐attive  o  attive  sta  nella  possibilità  di  migliorare,  rispetto  a  quelle  passive,  sia  la  tenuta  di  strada  sia il comfort di guida. Sebbene le sospensioni attive siano le migliori dal  punto di vista delle prestazioni, il consumo di energia e le dimensioni dei  componenti (l’attuatore in particolare) ne limitano molto l’utilizzo. 

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1.3 Descrizione della struttura di una sospensione 

Le  sospensioni  assorbono  dunque  le  irregolarità  del  terreno  e  oltre  a  isolare  l’abitacolo  dalle  sollecitazioni  trasmesse  dalle  ruote,  fanno  sì  che  queste ultime rimangano sempre appoggiate al terreno stesso, garantendo  l’indispensabile direzionalità. In sintesi si può definire il pilota, il telaio e il  gruppo motopropulsore con il termine di massa sospesa, mentre le ruote  (cerchio,  gomma,  impianto  dei  freni  e  parte  della  trasmissione)  sono  la  massa  non  sospesa.  L’unione  tra  queste  due  parti  è  garantita  dalla  sospensione  composta  da  un  sistema  elastico  (il  pneumatico,  l’aria  con  il  quale  è  gonfiato,  la  molla  o  la  balestra  o  la  barra  di  torsione  in  funzione  dello schema impiegato) e da un elemento smorzatore (l’ammortizzatore).  Quando  una  ruota  supera  una  irregolarità  del  terreno  si  solleva  e  l’elemento  elastico  della  sospensione  si  comprime  immagazzinando  energia. In una seconda fase l’elemento elastico si estende facendo alzare  la  massa  non  sospesa.  Segue  poi  una  ulteriore  compressione  causata  dal  peso  della  struttura  del  motoveicolo.  Il  processo  continua  con  un  andamento  ondulatorio,  fino  a  quando  gli  inevitabili  attriti  lo  fanno  lentamente  terminare.  L’ammortizzatore  deve  controllare  e  smorzare  queste oscillazioni che si ripetono con una frequenza e ampiezza stabilita  dai  parametri  fisici  della  sospensione.  In  questo  modo  è  perciò  possibile  modulare  e  modificare  il  lavoro  dell’elemento  elastico.  Esistono  diversi  tipi  di  ammortizzatori  ma  quelli  maggiormente  utilizzati  in  campo  automobilistico  sono  telescopici  e  idraulici.  Una  estremità  dello  smorzatore  (l’ammortizzatore)  è  collegato  al  braccio  della  sospensione  e  cioè  alla  massa  non  sospesa,  mentre  l’altra  estremità  è  collegata  ad  un 

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supporto specifico (il duomo) ricavato sulla massa sospesa e cioè sul telaio  del  veicolo.  L’ammortizzatore  assorbe  e  dissipa  l’energia  immagazzinata  dalla molla, sfruttando l’azione di un dispositivo idraulico posizionato nel  suo involucro circolare (tubo) che contiene olio. Più è veloce il movimento  dello  stelo  dell’ammortizzatore,  maggiore  sarà  il  lavoro  che  occorre  compiere  per  spostarlo  (il  suo  movimento  diventa  più  difficoltoso).  Sulla  estremità  dell’ammortizzatore  (lo  stelo)  che  scorre  nell’interno  dell’involucro  tubolare,  è  fissato  un  pistone  che  separa  due  camere.  Quando  lo  stelo  si  muove  l’olio  deve  spostarsi  da  un  volume  all’altro,  passando attraverso delle valvole specifiche (solitamente lamelle) montate  sul  pistone  e  opponendo  perciò  resistenza  alla  traslazione  dello  stesso  stantuffo.  Come  è  intuitivo  immaginare  se  si  cambia  la  conformazione  delle  valvole  o  la  densità  dell’olio,  varia  radicalmente  il  funzionamento  dell’ammortizzatore.  Esso  dissipa  l’energia  immagazzinata  dalla  molla  trasformandola  in  calore,  generato  dalla  compressione  del  fluido  all’interno  dell’involucro  tubolare  e  dalla  sua  laminazione  (passaggio)  attraverso le lamelle sul pistone. Poiché le caratteristiche dell’olio variano  in  funzione  della  temperatura  è  facile  intuire  che  lo  smorzatore  avrà  un  comportamento diverso a seconda dello suo stato termico. Se infatti non è  possibile raffreddarlo per smaltire il calore che genera o è montato vicino a  fonti di calore (ad esempio un tubo del sistema di scarico del motore), avrà  un  funzionamento  sensibilmente  variabile  (lo  smorzamento  sarà  elevato  nei  primi  istanti  di  movimento  a  freddo  e  poi  diminuirà  man  mano  che  aumenta la temperatura). In alcuni tipi di ammortizzatori detti a gas una  parte del tubo è riempita con gas (azoto) alla pressione di 20 – 30 bar. Un  separatore mobile lo divide dall’olio. In condizioni di riposo il gas agisce  sul  separatore  e  sull’olio,  mantenendo  il  pistone  e  perciò  lo  stelo  nella  posizione di fine corsa. L’ammortizzatore rimane dunque completamente  esteso.  Quando  invece  lo  stelo  si  muove  sollecitato  da  una  irregolarità 

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stradale, il pistone si sposta nel volume d’olio e quello in pressione che si  trova sopra di esso, muove il separatore mobile che a sua volta comprime  il gas. La pressione di questo gas viene sfruttata anche per compensare le  variazioni del volume nel tubo che contiene l’olio, che avvengono durante  il  movimento  dello  stelo.  Negli  ammortizzatori  senza  gas,  attorno  al  cilindro  nel  quale  scorre  lo  stantuffo,  esiste  una  camera  concentrica  che  contiene  l’olio  di  riserva  che  può  entrare  o  uscire  dal  volume  nel  quale  scorre  il  pistone,  attraversando  specifiche  valvole.  Tale  compensazione  è  necessaria poiché lo stelo penetrando nell’ammortizzatore o uscendo dallo  stesso,  occupa  o  libera  una  frazione  di  spazio  che  deve  essere  necessariamente riempita o liberata dall’olio. In sintesi il volume in cui si  muove  lo  stantuffo  non  è  costante.  La  struttura  di  un  ammortizzatore  viene riassunta dalle immagini seguenti.  

  Figura 1.1 Struttura di un ammortizzatore. [8]   

La  Figura  1.1  mostra  le  parti  principali  di  un  ammortizzatore  con  gas  (posto  nella  camera  a  volume_variabile).  Le  valvole  1  e  2  sono  unidirezionali e lasciano passare perciò l’olio in un solo verso (opposto per  ciascuna  delle  due  valvole).  L’occhiello  superiore  ed  inferiore,  applicati 

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allo  stelo  e  al  corpo  tubolare,  permettono  di  fissare  l’ammortizzatore  al  telaio (massa non sospesa) e alla sospensione (massa sospesa). 

  Figura 1.2 – Funzionamento dell’amortizzatore a olio.[8]   

In  Figura  1.2  è  invece  possibile  vedere  come  l’olio  dell’ammortizzatore  venga compresso nella parte superiore o inferiore del volume, in funzione  del  movimento  dello  stelo  e  passi  da  un  volume  all’altro  attraverso  le  valvole che si trovano sul pistone. Con questo particolare funzionamento,  l’ammortizzatore  è  in  grado  di  smorzare  le  oscillazioni  dell’elemento  elastico. 

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  Figura 1.3 – Funzionamento dell’ammortizzatore a gas.[8] 

Nel caso in cui, invece, l’ammortizzatore ha separatore mobile con volume  superiore riempito con gas in pressione (Figura 1.3), quando è a riposo lo  stelo  rimane  completamente  esteso  (posizione  di  sinistra).  Diversamente,  quando  l’ammortizzatore  lavora,  il  separatore  mobile  si  sposta  comprimendo il gas sopra di esso. In questo modo è possibile compensare  le  variazioni  di  volume  dovute  all’ingresso  ed  uscita  dello  stelo  nell’ammortizzatore. 

 

1.4 Tipologie di ammortizzatori semi‐attivi 

Un ammortizzatore semi‐attivo presenta una struttura formata ancora da  una  molla  e  da  uno  smorzatore,  con  la  possibilità  di  poter  variare  i  coefficienti di smorzamento in funzione di  una corrente di controllo, come  mostrato in Figura 1.4. 

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  Figura 1.4 Caratteristica di un ammortizzatore a smorzamento variabile.  E’ possibile distinguerne tre tipi:  Ammortizzatori CDC (Continuously Damping Control)  Ammortizzatori ER (Elettroreologici)  Ammortizzatori MR (Magnetoreologici)   

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1.4.1 Ammortizzatori CDC 

Il  funzionamento  è  basato  sulla  variazione  della  dimensione  degli  orifizi  che  collegano  la  camera  superiore  e  inferiore  del  pistone  dell’ammortizzatore.  Viene,  cioè,  fatta  cambiare  la  velocità  con  la  sospensione torna alla posizione di equilibrio.  

Quando  la  sospensione  viene  sollecitata  da  un’asperità  stradale  l’olio  viene  forzato  a  passare  nei  fori  presenti.  Riducendo  la  sezione  di  passaggio  si  genera  una  trasformazione  del  moto  dell’olio  da  laminare  a  turbolento. In tal caso i vettori di velocità non sono più tutti orientati nella  stessa  direzione,  assumono  un  andamento  casuale  che  genera  numerosi  urti  molecolari.  Questo  produce  un  aumento  dell’attrito  viscoso  e  una  conseguente diminuzione della velocità di estensione e compressione della  sospensione. Viene fatta cambiare quindi la velocità con cui la sospensione  torna alla posizione di equilibrio. In questo modo cambia lo smorzamento  dell’ammortizzatore  stesso.  In  Figura  1.5  è  mostrata  una  sezione  di  un  ammortizzatore di tipo CDC, ed è possibile notare un meccanismo per la  variazione  degli  orifizi.  Più  schematicamente  l’ammortizzatore  CDC  è  invece mostrato in Figura 1.6, dove S rappresenta la superficie del pistone,  σ  l’area  di  un  generico  orifizio  e  w  la  velocità  del  pistone  stesso.  La  caratteristica  in  estensione  e  compressione  è  asimmetrica.  Il  tempo  di  risposta dei CDC è di circa 30‐40 ms. Il meccanismo che agisce sugli orifizi  è  pilotato  da  valvole  solenoidi  che  richiedono  correnti  comprese  tra  0  e  1.5A.  La  potenza  richiesta  da  questo  tipo  di  ammortizzatori  è  stimata  intorno ai 10 W. 

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  Figura 1.5 ‐ Sezione di un ammortizzatore CDC. 

 

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1.4.2 Ammortizzatori MR 

Utilizzano  al  loro  interno  dei  fluidi  di  tipo  magnetoreologico.  Questi  materiali  presentano  una  viscosità  variabile  in  funzione  del  campo  magnetico  applicato.  In  particolare  le  particelle  vengono  polarizzate  formando  delle  catene  parallele  alle  linee  di  campo,  come  mostrato  in  Figura  1.8.  Questo  fenomeno  rende  lo  smorzamento  dipendente  dal  campo  magnetico.  In  Figura  1.7  viene  mostrato  una  sezione  di  un  ammortizzatore  MR  con  i  rispettivi  elementi  costitutivi,  in  particolare  la  parte responsabile dell’eccitazione del materiale magnetoreologico. 

  Figura 1.7 Sezione di un ammortizzatore MR. 

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Figura 1.8 Principio di polarizzazione di un materiale magneto reologico. 

 

1.4.3 Ammortizzatori ER 

Funzionano  in  modo  analogo  rispetto  ai  precedenti,  utilizzando  ovviamente materiali che possiedono il comportamento già descritto ma in  funzione  del  campo  elettrico.  Gli  ultimi  due  tipi  di  ammortizzatori  descritti  hanno  dei  tempi  di  risposta  molto  ridotti  (circa  1  ms),  ma  presentano  l’inconveniente  di  possedere  una  caratteristica  simmetrica  in  compressione ed estensione, come indicato in Figura 1.9. Tale caratteristica  è anche rappresentativa del funzionamento ammortizzatori di tipo MR, a  cui fa espressamente riferimento. 

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  Figura 1.9 caratteristica di un ammortizzatore MR nel caso specifico, 

ma rappresentativa anche per un ammortizzatore ER.   

Eliminare  il  problema  della  contaminazione  dei  materiali  ER  e  MR  rappresenta  oggi  uno  dei  limiti  sull’affidabilità  di  lungo  periodo  dei  due  tipi  di  ammortizzatore  ora  descritti,  e  li  rende  più  costosi  rispetto  agli  ammortizzatori CDC. 

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1.5 Movimenti tipici nella dinamica del motoveicolo 

Quando un corpo è in rotazione attorno a un asse e gliene viene impressa  un’altra attorno a un asse perpendicolare al primo, si genera un momento  chiamato effetto giroscopico nella direzione perpendicolare ai due assi come  mostrato in Figura 1.10.    Figura 1.10 Esempio di effetto giroscopico.    È quindi chiaro che un motoveicolo è sottoposto a diversi fenomeni:  •sterzata: generata dalla ruota anteriore quando si sterza;  •rollio: generato dalla moto quando si va in piega;  •imbardata: generata dalle ruote in rotazione attorno al loro asse e  all’asse della curva;  •effetto giroscopico generato dal motore. 

Tralasciando  il  primo  e  l’ultimo  fenomeno,  il  rollio  e  l’imbardata  dipendono dalla taratura delle sospensioni. 

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  Figura 1.11 rollio. 

  Figura 1.12 imbardata. 

 

Il  rollio  e  l’imbardata  sono  eventi  stabilizzanti,  nel  senso  che  i  momenti  generati  tendono  infatti  a  mantenere  dritta  la  moto.  L’influenza  che  le  sospensioni  hanno  su  questi  due  comportamenti  dipende  sia  dalle  caratteristiche statiche, sia da quelle dinamiche delle stesse, in particolare  è utile avere un accordo tra rigidità e smorzamento della sospensione. In 

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generale un eccessivo smorzamento rende la moto meno agile nei cambi di  traiettoria e tende a scomporla in frenata. 

 

1.6  Caratteristiche  statiche  e  dinamiche  di  una 

sospensione 

Le sospensioni possono essere rappresentate da una molla con in parallelo  un  elemento  smorzante.  Entrambi  gli  elementi  hanno  una  funzione  importante  nella  determinazione  dell’assetto  del  motoveicolo.  La  molla  non  viene  mai  sollecitata  a  trazione,  essa  viene  sempre  montata  in  modo  tale  da  essere  sempre  leggermente  compressa.  Questa  compressione  iniziale  è  detta  precarico.  Aumentando  il  precarico  della  molla  non  se  ne  influenza la rigidità, perché essa dipende solo dal materiale, dallo spessore  del  filo  utilizzato  e  dal  diametro  delle  spire.  Tuttavia  una  variazione  del  precarico influenza la soglia oltre la quale la molla inizia a comprimersi. In  generale una riduzione del precarico della sospensione posteriore rende la  moto  più  stabile  in  rettilineo  ma  più  lenta  nell’inserimento  in  curva.  Al  contrario  un  aumento  del  precarico  rende  la  moto  più  agile  con  una  perdita di stabilità alle alte velocità. 

L’elemento  smorzante  è  quello  che  regola  la  velocità  con  cui  la  sospensione torna alla posizione di equilibrio. Sui motoveicoli è possibile  regolare  sia  la  frenatura  in  compressione,  sia  la  frenatura  in  estensione.  È  importante accordare la molla con il relativo ammortizzatore, evitando ad  esempio  di  precaricare  troppo  poco  la  molla  e  di  impostare  un  freno  idraulico troppo elevato, con la conseguenza di ottenere una sospensione  che  affonda  troppo  e  impiega  un  tempo  eccessivo  per  riportarsi  alla  posizione di equilibrio.  

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Se,  da  una  parte,  va  notato  che  i  due  principali  obiettivi  da  raggiungere  mediante l’utilizzo delle sospensioni sono: 

• Comfort  di  guida:  legato  all’isolamento  del  veicolo,  e  quindi  del  conducente, dalle asperità del terreno; 

• Tenuta  di  strada:  legata  alla  forza  di  contatto  tra  pneumatico  e  asfalto, 

è importante osservare che i parametri di comfort e tenuta di strada sono  intrinsecamente  in  contrasto  tra  loro  e  sarà  quindi  necessario  effettuare  una scelta di compromesso tra i due. Prendiamo, ad esempio, in esame un  veicolo  con  sospensioni  particolarmente  “morbide”:  queste  saranno  in  grado  di  deformarsi  molto  velocemente  e  quindi  di  assorbire  qualsiasi  asperità della strada. Per contro però un ammortizzatore molto “morbido”  farà  perdere  facilmente  il  contatto  tra  ruota  e  asfalto  diminuendo  l’aderenza del veicolo, rendendolo praticamente inguidabile. Al contrario  irrigidendo  eccessivamente  le  sospensioni  si  avrà  un’ottima  tenuta  di  strada a scapito dell’isolamento  dal terreno, cioè a scapito del comfort di  guida.   

Per  tale  ragione  sono  state  sviluppate  le  sospensioni  attive  e  semi‐attive  che  permettono,  utilizzando  opportuni  algoritmi  di  controllo,  di  migliorare allo stesso tempo sia il comfort e sia la tenuta di strada rispetto  a quelle passive.  

   

Figura

Figura 1.6 ‐ Schematizzazione del funzionamento di un ammortizzatore CDC. 
Figura 1.8 Principio di polarizzazione di un materiale magneto reologico. 

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