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3. Area di studio

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3. Area di studio

3.1 Il bacino del lago di Massaciuccoli

Il Bacino del lago di Massaciuccoli, compreso tra le coordinate UTM: 4860275-4850360 e 1603400-1613000, è situato nella sezione nord-occidentale della regione Toscana, confinato tra i monti del Quiesa ad est, il Mar Ligure ad ovest, tra il fiume Camaiore a Nord ed il fiume Serchio a Sud.

Tale area, a cavallo delle province di Lucca e Pisa, comprende il sistema

palustro-lacustre di Massaciuccoli. Lo specchio palustro-lacustre è di 6,9 Km2, circondato da 13 Km2

di superficie palustre ed è alimentato da un bacino idrografico di 114 Km2 e da un

bacino idrogeologico di 170 Km2. Questa differenza è dovuta alla presenza,

all’esterno del margine orientale del bacino idrografico, di formazioni geologiche caratterizzate da alternanze di calcari e marne, con presenza di arenarie e argille e di strutture tettoniche che favoriscono il drenaggio delle acque infiltrate verso il lago (Autorità di bacino del fiume Serchio; 2007).

Le dimensioni del lago sono di circa 3,45 Km lungo la linea est-ovest e 2,4 Km lungo la linea nord-sud, con una profondità media di 2,5 m con oscillazioni stagionali di circa 80 cm tra estate e inverno (Baneschi et al., 2006).

Il 47% del territorio ricade nel comune di Massarosa, il 37% nel comune di Vecchiano, il 13% nel comune di Viareggio e il 4% in quello di Lucca. La popolazione totale della zona è di 46.697 abitanti (Allegretti et al.,, 2002; Pagni et al.,, 2004).

Il sistema lacustre ha origine circa 20.000 anni fa. In quell’epoca nella zona era presente una naturale insenatura marittima, l’apporto di detriti del complesso fluviale Arno-Serchio e il moto ondoso del mare crearono una serie di cordoni dunosi che isolò l’attuale bacino lacustre dal mare.

Le oscillazioni del livello del mare, inoltre, hanno portato alternativamente all’ampliamento e alla riduzione della pianura costiera, modificando il paesaggio naturale: più volte al mare si è sostituita la laguna, al lago la palude e poi la foresta. L’area è infatti caratterizzata da terreni sabbiosi e depositi di colmamento

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ghiaioso-13

limoso-torbosi, in cui si formano attualmente sedimenti limosi, ricchi di sostanza organica, ottimi per l’impianto di colture agricole (Federici, 1987).

3.2 Inquadramento geologico del bacino del Massaciuccoli

Figura 3.1 La palude Nord di Massaciuccoli

Dal punto di vista geologico, la zona in cui si trova il lago è il risultato di una tettonica a tratti compressiva e a tratti distensiva che ha interessato i bacini sedimentari liguri e toscani.

La collisione della placca Apula con la microplacca Sardo-Corsa durante l’Oligocene può essere vista come la causa principale della formazione, in regime tettonico compressivo, dell’edificio a falde di ricoprimento sovrapposte che caratterizza i rilievi dell’Appennino Settentrionale e delle Alpi Apuane (Carmignani & Kugfield, 1990).

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Nel Cretaceo, all’inizio del processo di avvicinamento, la fascia intermedia era occupata dalla Tetide. La litosfera oceanica e i sedimenti sovrastanti di cui era composta furono i primi a subire gli effetti di tale compressione.

Si andò quindi avviando un processo di subduzione oceanica degli strati ofiolitici al quale si andava accompagnando, parallelamente, un accatastamento in embrici delle coperture sedimentarie, le “unità liguri”.

Nell’Eocene, con la chiusura dello spazio oceanico della Tetide, si ha la collisione tra le 2 placche continentali.

La pila di embrici che si era formata, essendo ancora abbondantemente al di sotto del livello del mare, fu ancora interessata da processi di sedimentazione (successione “epiligure”).

Il perdurare di azioni compressive tra le 2 placche trasferì gli effetti del raccorciamento ai 2 margini continentali e alle rispettive coperture sedimentarie, soprattutto a spese del margine “paleo-africano”. Su questo andarono quindi deponendosi ulteriori falde costituenti le cosiddette “unità toscane” (Carmignani e Kugfield, 1990).

Le falde più basse hanno quindi subito un forte metamorfismo per le elevate condizioni termobariche in cui si trovavano ed è allora cominciato un processo di sollevamento “isostatico”. In questa fase, il sollevamento è stato tale che molte zone sono risultate emerse ed è iniziato il processo orogenetico vero e proprio.

A partire dal Miocene superiore e sino a tutto il Messiniano le strutture compressive sono state interessate da una tettonica distensiva a larga scala, collegata al processo di retroarco che ha portato all’apertura del Mar Tirreno e che ha dato origine a strutture tipo horst e graben in tutta la Toscana (Carmignani e Kugfield, 1990). Il lago di Massaciuccoli è situato in una depressione tettonica formatasi in seguito alla suddetta fase deformativa distensiva. Tale struttura negativa, tipo graben, si realizza tramite faglie dirette sottrattive, a geometria listrica con direzione appenninica (NO-SE), in associazione a sistemi secondari di faglie a direzione antiappenninica e a faglie pleistoceniche con direzione E-O e N-S. Il sistema di faglie dirette che ha ribassato il substrato roccioso del margine occidentale dei

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rilievi apuani, ha determinato il rapido colamento della pianura costiera con sedimenti terrigeni recenti tipo ghiaie, sabbie, argille e torbe.

Figura 3.2 Carta Geologica del bacino del lago di Massaciuccoli (Autorità di bacino del Fiume Serchio, 2007).

L’alternanza di periodi glaciali ed interglaciali del Quaternario oltre ad aver condizionato, attraverso le oscillazioni climatiche, le caratteristiche floro-faunistiche dell’area, ha ciclicamente provocato ingressioni e regressioni della linea di costa, modificando in questo modo il paesaggio naturale che è passato più volte

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da ambiente marino a quello di laguna fino a lago e foresta (Broeker et al.,, 1956; Ferrara et al.,, 1959, 1961; Alessio et al.,, 1964; Federici, 1987).

I componenti litologici dei sedimenti del bacino del lago di Massaciuccoli, derivanti dalla catena Apuana, appartengono a rocce di età compresa fra il Paleozoico ed il Terziario, la cui litologia varia dai Calcari mesozoici caratterizzati da notevole compagine d’insieme, alla Scaglia Toscana fossile e semicoerente. A questa diversa litologia, si accompagnano comportamenti diversi nei confronti dei processi di deformazione tettonica e di alterazione subaerea, tale da creare una varietà di forme rotondeggianti bruscamente interrotte da forme aspre e dirupate.

Il sistema di faglie dirette distensive a direzione appenninica è responsabile dello sprofondamento della pianura costiera su cui si sono depositati sedimenti marini e continentali che hanno formato il lago di Massaciuccoli (Federici, 1987).

Il monte Bastione, tra i Monti d’Oltre Serchio, è caratterizzato da formazioni geologiche appartenenti alla “Serie Toscana non metamorfica”: la falda Toscana. Tali formazioni sono costituite da calcari bianchi massicci, calcari rossi con Arietites, calcari grigi con selce, marne e calcari con Posidomya, calcari grigio scuro con selci nere, diaspri, calcari bianchi (maiolica) ed arenarie con intercalazioni di marne siltose (macigno). Verso nord, nel tratto Vecchiano- Massarosa, questi affioramenti sono interrotti da alcune faglie (Federici, 1987). La successione stratigrafica profonda, individua una serie di alternanze di depositi sabbiosi e sabbio-limosi con argille, limi argillosi e torbe, a testimonianza delle variazioni del livello del mare precedentemente descritte. Dal piano campagna fino ad una profondità di circa 120 metri, si possono rilevare tre serie marine (acquiferi) e quattro serie continentali (acquicludi), che in pratica rappresentano gli ultimi 80.000÷100.000 anni e quindi quasi tutto il Pleistocene superiore. Sul lato collinare, sono presenti i sistemi di faglie dirette che hanno abbassato il lato esterno e gli importanti depositi di conoide (ghiaie e sabbie) in pratica sormontati dai rilevanti spessori dei depositi di pianura (Federici, 1987).

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17 Figura 3.3 Territorio del lago di Massaciuccoli. A= Alpi Apuane e monte pisano; g1= Depositi pleistocenici;

g2= Depositi recenti; T= Torba; D= Barre sabbiose eoliche; S= Sabbie marina; SM= Sabbie versiliane (Federici, 1987 modificato da Baneschi, 2007).

3.3 Inquadramento idrologico

Figura 3.4 Carta Idrologica del bacino del lago di Massaciuccoli (Autorità di bacino del Fiume Serchio, 2007).

Il bacino del lago di

Massaciuccoli si estende su

un’area di 114 Km2 ma è

alimentato da un bacino

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margine orientale del bacino idrografico, di formazioni geologiche caratterizzate da alternanze di calcari e marne, con presenza di arenarie e argille e di strutture tettoniche che favoriscono il drenaggio delle acque infiltrate verso il lago (Autorità di bacino del fiume Serchio; 2007).

Il lago di Massaciuccoli è caratterizzato da una profondità media di circa 2,5 metri (Baneschi et al., 2006), ed è in parte delimitato da argini che si sviluppano per una lunghezza di circa 16 Km e che raggiungono in altezza la quota di 0,50/0,60 metri s.l.m. L’altezza di questi dal piano di campagna esterno è variabile, in funzione della morfologia e della quota del terreno, e può arrivare fino a circa 3 – 4 metri (Autorità di bacino del fiume Serchio; 2007).

Lo specchio lacustre è circondato da un’area umida palustre marginale, denominata

Padule di Massaciuccoli, della superficie di 13 Km2, inclusa all’interno degli argini

del lago e delimitata verso ovest dalla duna costiera, residuo di quella che anticamente caratterizzava buona parte della pianura versiliese e di cui si ha notizia già a partire dal XV secolo quando si estendeva dal fiume Camaiore fino al fiume Serchio.

L’area appena descritta rappresenta un’ampia conca naturale al centro della quale si trova appunto il lago di Massaciuccoli, collegato al mare mediante i canali Centralino, Punta Grande, Malfante, Venti e Quindici, confluenti in un emissario, il canale Burlamacca, che sfocia nel porto di Viareggio.

Interratosi nel tempo, l’altro emissario naturale rappresentato dal canale della Bufalina è stato recentemente riattivato, con funzionamento intermittente, mediante l’installazione di una pompa idrovora che allontana le acque in eccesso dal lago evitando, in occasione di forti piogge, il livello del lago si innalzi oltre la soglia di sicurezza.

Il territorio pianeggiante contiguo allo specchio lacustre e alle aree palustri circostanti è stato parzialmente modificato da un’opera di bonifica meccanica, iniziata già a partire dal secolo XVIII e proseguita in maniera più consistente nei primi decenni del XX secolo, tanto allo scopo di combattere la malaria quanto con l’intento di acquisire terreni fertili per l’agricoltura.

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19 Figura 3.5 Bacino idrografico

Le aree bonificate, riguardanti il settore settentrionale e meridionale del territorio contiguo al lago, sono oggi gestite dal Consorzio di Bonifica Versilia-Massaciuccoli e sono interessate da attività agricole, agroflorovivaistiche e zootecniche. Questi terreni si trovano ad una quota più bassa del livello medio marino e sono interessati da fenomeni di subsidenza favoriti dal drenaggio delle acque operato dalla bonifica che, abbassando il livello della falda, innesca l’inevitabile compattazione delle torbe superficiali (Autorità di bacino del fiume Serchio; 2007).

I pochi corsi d’acqua naturali che alimentano il lago provengono in prevalenza dalle colline orientali ai cui piedi è sito lo specchio d’acqua, gli apporti superficiali delle

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fasce di dune poste fra il lago ed il mare sono trascurabili, mentre maggiore impatto rivestono gli afflussi provenienti dai vari canali di bonifica sia a nord che a sud (Autorità di bacino del fiume Serchio; 2007).

L’alimentazione dell’acquifero sabbioso superiore, si sviluppa prevalentemente in sotterraneo. La forte ricarica avviene dai contrafforti collinari che riversano grosse quantità d’acqua attraverso i depositi di conoide sepolti, che in seguito le cedono al contatto con le sabbie marine. Risulta rilevante anche l’alimentazione proveniente dal sistema di faglie profonde; notevoli masse d’acqua risalgono lungo tali discontinuità e si riversano nei livelli più permeabili. L’evidenza più importante di tale circolazione è rappresentata dalla presenza di alcune sorgenti al contatto tra la pianura e le colline, che possiedono considerevoli quantitativi d’acqua. La sorgente di Villa Spinola – Massarosa LU (200 l/s ca.) è stata ridotta a circa 1/5 del suo originale apporto, la sorgente del Paduletto – Vecchiano PI (350 l/s ca.) è stata completamente inserita nell’acquedotto di Pisa, la sorgente di Montramito – Massarosa - LU (100 l/s ca.), pure captata in parte, conferisce un residuo dell’apporto originario alla rete superficiale della bonifica settentrionale e giunge nel lago dopo aver subito pesanti modifiche delle sue caratteristiche chimiche. Una minore alimentazione si riceve inoltre dalle precipitazioni piovose, che cadono nella zona prossima alla linea di costa (Autorità di bacino del fiume Serchio; 2007). È da rimarcare, per quanto sopra esposto, che gli apporti idrici di origine collinare al bacino lacuo-palustre afferente al lago di Massaciuccoli sono stati completamente captati ad uso urbano.

Il maggiore apporto idrico al lago è oggi costituito dallo scarico delle idrovore necessarie a mantenere coltivabili circa 4000 ha di terreni agricoli che, nelle parti più prossime all’argine del lago, raggiungono quote di –3 m rispetto alla sua superficie media. Tali apporti, localizzati in 4-5 punti perimetrali al bacino lacuo-palustre vero e proprio, introducono nel lago annualmente un volume d’acqua mediamente pari a 2,5 volte il volume idrico dell’invaso (media anni ‘91-’95) dipendendo le variazioni dalla piovosità dell’annata. Agli apporti anzidetti è da aggiungere quello derivante dagli scarichi dei depuratori presenti nel territorio (Quadro conoscitivo del SIC lago di Massaciuccoli).

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3.4 Flora e vegetazione della palude di Massaciuccoli

Il territorio della palude presenta un’eterogeneità ed una biodiversità potenziale molto elevata per la sua caratteristica di essere un ambiente di transizione tra la collina retrostante ed il lago. Infatti, nello spazio di 400 metri da est a ovest, si passa dalla collina con macchia mediterranea ad una stretta pianura coltivata e interrotta da interessanti lembi di bosco igrofilo, cui fa seguito una stretta fascia palustre che arriva fino alla sponda del lago, divenendo palude galleggiante. Dall’altra parte vi è una striscia di cordoni dunosi con la tipica vegetazione dunale a separare il lago dal mare.

Nella palude si possono distinguere sette tipologie habitat: il canneto, il falascheto, i chiari, i prati umidi su zone di palude galleggiante, le sfagnete, le acque libere del lago e per ultime le ontanete che si sviluppano sulle rive galleggianti della palude. Nella tabella seguente elenchiamo gli habitat presenti classificati secondo l’allegato 1 della Direttiva Habitat indicandone la copertura percentuale all’interno dell’Oasi “Riserva del Chiarone” e all’interno del SIC palude di Massaciuccoli.

Nome

habitat Categoria dir. Habitat

Cod. NAT. 2000 Prioritario * % cop. nell’Oasi % cop. Nel SIC Canneto Praterie mediterranee con piante erbacee alte

e giunchi

6420 (1) 6,5 8

Prato umido

Praterie mediterranee con piante erbacee alte

e giunchi

6420 (2) 2 0

Falascheto Paludi calcaree con

Cladium mariscus 7210 * 59 37

Sfagneta Torbiere di transizione

e instabili 7140 5 4

Ontaneta Torbiere boscose 91D0 * 3 1

Chiaro Acque oligo-mesotrofe calcaree con vegetazione bentica di Chara spp 3140 3,5 10 Acque libere del lago

Laghi eutrofici naturali con vegetazione del

Magnopotamion o Hydrocharition

3150 21 42

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Il canneto: Il canneto a Phragmites australis e Typha angustifolia si sviluppa in

maniera lineare lungo le sponde dei canali e del lago e sulle isole galleggianti, la composizione floristica appare abbastanza eterogenea come possiamo vedere dalla tabella seguente (Tomei et al., 1997).

SPECIE N°. di stazioni in cui è presente densità piante/m2 Phragmites australis 8/8 32.25 Tipha angustifolia 6/8 9.625 Cladium mariscus 7/8 26 Telipteris palustris 5/8 68 Osmunda regalis 1/8 14.5 Eupatorium cannabinum 1/8 0.38 Solanum dulcamara 2/8 2.9 Calystegia sepium 5/8 6.63 Lythrum salicaria 4/8 1

Tabella 3.2 Composizione floristica del canneto

Il falascheto. Il falasco (Cladium mariscus) copre tutte le aree interne della palude

e il falascheto (Cladietum marisci)

rappresenta l’habitat più rappresentativo della riserva con il 59% di copertura complessiva e il secondo dell’intero SIC dopo le acque libere del lago. Il falascheto è un habitat prioritario per la direttiva 92/43. Per la sua caratteristica di avere una copertura meno compatta del canneto, il falascheto consente la presenza di un maggior numero di specie. Tra le specie presenti nell’ambito del falascheto sono da menzionare Solanum dulcamara,

Calistegia sepium, Iris pseudacorus, Lythrum salicaria, Galium palustre, Hibiscus Figura 3.6 Falascheto

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23 palustris e Orchis palustris. In alcune zone è presente anche la rarissima Periploca graeca, specie relitta con portamento lianoso (Tomei et al., 1997).

Le acque libere del lago. Le acque del lago rappresentano l’habitat principale del

SIC con il 42% di copertura. Nella parte orientale del lago, fino alla fine degli anni ‘80 si estendeva il Chiarone, una porzione di lago isolata dal resto da una serie di aggallati e che presentava un’interessante associazione fitosociologica a macrofite di fondale (soprattutto Ceratophillum demersum) e alghe verdi del genere Chara. Il Chiarone (da cui l’Oasi LIPU ancora oggi prende il nome) era un importante sito per lo svernamento di anatre e folaghe e per la sosta durante il transito migratorio di numerose specie di uccelli. Questa particolare concentrazione di uccelli era dovuta in parte ad una struttura del paesaggio favorevole fatta di acque basse (80-90 cm), di isole, anfratti e piccoli canali ma a questa qualità intrinseca va aggiunto il fatto che ad un certo punto, con il peggioramento della qualità delle acque era diventata una delle ultime zone con vegetazione sommersa e quindi in grado di sostenere un ecosistema in qualche modo in equilibrio. Oggi la situazione è profondamente cambiata. A causa dell’eutrofizzazione delle acque le idrofite sono scomparse con la conseguente scomparsa dei pesci e degli uccelli che da queste dipendevano.

I chiari. I chiari sono specchi d’acqua bassa (massimo 50 cm), soggetti a periodi di

asciutta estiva, ottenuti dallo sfalcio delle elofite. Quando lo sfalcio viene fatto nei tempi opportuni, a fine estate, subito prima che la zona si allaghi di nuovo, le elofite non ricrescono ed il chiaro si mantiene necessitando solo di piccoli interventi di manutenzione ai margini. Si tratta quindi di ambienti artificiali ma molto importanti nella diversificazione dell’ambiente in quanto permettono la sosta e l’alimentazione di molti uccelli in migrazione, sono importanti zone per la riproduzione di molte specie ittiche e di anfibi ed essendo specchi d’acqua interni alla palude l’acqua vi arriva filtrata e depurata dal canneto per cui mantiene una trasparenza tale da permettere la crescita della vegetazione sommersa (Chara spp.). Nel lago sono presenti numerosissimi chiari. Tutti, ad eccezione di due chiari presenti nella riserva del Chiarone, vengono utilizzati per la caccia.

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Gli aggallati. Tutto il margine sud, e quello nord della palude verso le acque libere

del lago è costituito da lembi di palude galleggiante che per questa loro caratteristica di non essere mai completamente sommersi dall’acqua costituiscono ambienti sui-generis con associazioni vegetazionali ed anche faunistiche particolari. Era proprio sugli aggallati ed in particolare sulle isole galleggianti staccate dalla terraferma che si rifugiavano le ultime lontre del lago di Massaciuccoli all’inizio degli anni settanta ed è qui che ancora oggi trovano rifugio vegetazioni relitte come le sfagnete e la felce florida. In questi biotopi si ricreano le condizioni morfologiche e pedologiche degli ambienti di transizione tra la palude e la terraferma come il prato umido, la torbiera a sfagno ed il bosco igrofilo di frangole e ontani. Gli aggallati rappresentano quindi potenzialmente una importantissima riserva di biodiversità. Una nota particolare meritano le isole galleggianti, localmente denominate “cestoni”; questi sono porzioni di canneto che si sono staccati dalla sponda, in seguito a forti venti, muovendosi liberamente per il lago. Alcuni di questi sono anche molto grandi (1 ettaro o più) e nel passato venivano ancorati al fondale con l’utilizzo di lunghi pali di castagno. La presenza di queste isole galleggianti contribuisce a diversificare molto il margine del lago con canaletti o piccoli laghetti riparati all’interno della palude.

La sfagneta. Le sfagnete

hanno un particolare interesse fitogeografico in quanto lo sfagno (Sphagnum spp.) è una specie microterma di stazioni montane e nordeuropee: le sfagnete si sono sviluppate alle nostre latitudini durante il glacialismo quaternario e in alcune stazioni hanno trovato

particolari condizioni

ambientali che hanno

permesso la loro

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sopravvivenza anche con un clima come quello attuale, per questo sono considerate relitti glaciali. Nella sfagneta il suolo è sempre intriso di acqua, e ciò causa un fenomeno di inversione termica, con la formazione di strati laminari di aria fredda al livello del suolo e di strati soprastanti di aria più calda. In questo particolare microclima è possibile la convivenza di specie vegetali con esigenze ecologiche molto diverse, infatti troviamo lo sfagno insieme a piante che necessitano di temperature più elevate, come la felce florida (Osmunda regalis) che è considerata un relitto terziario. La sfagneta è un ambiente molto particolare anche per le caratteristiche chimiche del suolo, infatti le piante presenti conferiscono al suolo caratteristiche di acidità e di scarsa disponibilità di azoto, per cui in questo ambiente possono vivere specie vegetali che sopportano tali condizioni, come la drosera a foglie tonde o rosolida (Drosera rotundifolia, vedi immagine), una piccola pianta carnivora che riesce a catturare insetti per integrare la mancanza di azoto.

La sfagneta è sicuramente l’habitat che riveste la maggiore importanza dal punto di vista conservazionistico. Le torbiere di Massaciuccoli inoltre hanno la particolarità di essere delle torbiere intermedie, caratterizzate da un’associazione vegetale particolare che Tomei definisce Sphagno-droseretum rotundifoliae (Tomei et al., 1997). Le sfagnete rientrano tra le “torbiere di transizione instabili” nella classificazione dell’allegato 1 della direttiva 92/43/CEE e non sono considerate habitat prioritario ma all’interno del sito rappresentano ambienti di grande interesse conservazionistico in quanto si tratta di ecosistemi di significato relittuale legati a particolari condizioni microclimatiche (Tomei et al., 1985; Rapetti et al., 1986) presenti, nell’Europa Mediterranea, solo in poche ristrette aree planiziali e collinari della Toscana settentrionale.

Nella tabella seguente indichiamo la copertura floristica della sfagneta aggallata presente nella zona est della palude all’interno della riserva del Chiarone (Picchi, comunicazione personale).

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26 SPECIE N. di stazioni in cui è presente Cop. % / densità piante/mq Sphagnum spp. 17 33% Altre briophite 2 0.7% Osmunda regalis 18 28 Telipteris palustris 4 12 Phragmites australis 21 64 Cladium mariscus 12 5 Tipha angustifolia 17 11 Frangula alnus 21 22 Eupatorium cannabinum 14 16 Hidrocotyle vulgaris 17 27 Calystegia sepium 5 2 Potentilla erecta 6 10 Lotus sp 2 4 Anagallis tenella 1 1 Juncus sp 2 5 Litrum salicaria 17 7

Tabella 3.3 Composizione floristica della sfagneta

L’ontaneta. Le zone di aggallato tra la palude sommersa ed il lago ricreano le

condizioni degli ambienti di transizione tra paludi e terre emerse favorendo, laddove lo spessore del substrato lo consente, la crescita del bosco igrofilo. In alcune di queste zone si sono formati dei piccoli boschi di ontano (Alnus glutinosa) e di frangola (Frangola alnus) (Tomei et al., 1997) che rappresentano degli interessanti elementi di rottura del paesaggio palustre e contribuiscono ad aumentarne la diversità offrendo rifugio ad uccelli quali la capinera, il lucherino, la cinciarella, il torcicollo o a mammiferi come il moscardino. L’ontaneta più grande si trova in zona Padule del Nelli, nella parte est della palude, ed ha una estensione di 2.5 ha ca.

Il prato umido. Come già detto a proposito dell’ontaneta, le zone di palude

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emerse e quindi dopo la torbiera a sfagno ed il bosco igrofilo l’ultimo aspetto che possono assumere è quello del prato umido. Il prato umido, nella classificazione della Direttiva 56/2000, rientra nella stessa categoria del canneto dal quale si differenzia per il tipo di gestione. Interventi di sfalcio frequenti evitano l’eccessiva crescita delle elofite, e portano ad un ambiente che presenta una notevole diversità floristica in quanto le piante palustri si possono esprimere finalmente senza la concorrenza della cannuccia di palude e del falasco ed è inoltre un ambiente tra i più rari all’interno del SIC (Tomei et al., 1997).

I canali. I piccoli canali che attraversano in lungo e in largo tutta la palude non

rappresentano degli habitat a se stanti ma costituiscono degli elementi di rottura nella monotonia dell’ambiente, sono segnalati da filari di alberi che ne seguono il corso rappresentati soprattutto da salice bianco (Salix alba) e Salice cenerino (Salix

cinerea) e presentano specie molto interessanti quali ninfea d’acqua (Nymphaea alba) ormai quasi scomparsa dall’intera palude e la soldinella reniforme

(Hydrocotyle ranunculoides).

3.5 Fauna del lago e della palude di Massaciuccoli

La fauna del lago e della palude è rappresentata da diverse classi di animali. Per quanto riguarda lo zooplancton nell’area si registrano 93 generi di protozoi ciliati, 5 specie di crostacei cladoceri, 4 specie di crostacei copepodi, una specie di crostacei misidiacei e 15 generi di rotiferi (Mattioli, 1995).

Lo zoobenthos invece registra 4 generi di ditteri, due specie di tricotteri, un genere di effemerotteri, 4 generi di odonati, 8 specie di emitteri e due specie di coleotteri (Baldaccini et al., 1999). Si registrano inoltre due generi di oligocheti, due specie di crostacei anfipodi, due specie di crostacei isopodi, una specie di crostacei astacidi e tre specie di gasteropodi (Baldaccini et al., 1999).

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Per quanto riguarda i pesci riportiamo un elenco estratto dagli studi di Alessio e collaboratori (1995) con l’elenco delle specie ittiche rilevate nel lago. La tabella comprende anche specie marine catturate nell’ultimo tratto del canale Burlamacca quali l’orata, la sogliola, l’acciuga ecc. che sicuramente non sono presenti all’interno del lago (Alessio et al., 1995).

Abramis brama (L.) (Abramide) Anguilla anguilla (L.) (Anguilla) Atherina boyeri (Risso) (Latterino) Carassius carassius (L.) (Carassio)

Chelon labrosus (Risso) (Muggine bosega) Cyprinus carpio (L.) Carpa)

Dicentrarchus labrax (L.) (Spigola) Engraulis encrasicholus (Acciuga) Esox lucius (L.) (Luccio)

Gambusia holbrooki (Girard) (Gambusia) Ictalurus melas (Rafinesque) (Pesce gatto)

Ictalurus punctatus (Rafinesque) (Pesce gatto punteggiato) Lepomis gibbosus (L.) (Persico sole)

Liza aurata (Risso) (Muggine dorato) Liza ramata (Risso) (Muggine calamita) Liza saliens (Risso) (Muggine verzelata)

Micropterus salmoides (Lacépede) (Persico trota) Mugil cephalus (L.) (Cefalo)

Petromyzon marinus (Lampreda)

Pomatoschistus marmoratus (Risso) (Ghiozzetto) Rutilius erythrophtalmus (Triotto)

Salaria fluviatilis (Asso) (Cagnetta) Salaria parvo (Risso) (Bavosa) Sardina pilchardus (Walb.) (Sardina)

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29 • Scardinius erythrophthalmus (L.) (Scardola)

Solea vulgaris (Quens.) (Sogliola) Sparus aurata (L.) (Orata)

Syngnathus abaster (Risso) (Pesce ago) Tinca tinca (L.) (Tinca)

La presenza degli anfibi nel lago è fortemente influenzata dalla qualità delle acque. Sono quindi presenti solo 8 specie tra anuri e urodeli che riportiamo nell’elenco sottostante (Taddei, 2001).

Bufo bufo spinosus (Rospo comune) Bufo viridis complex (Rospo smeraldino) Hyla intermedia (Raganella italiana)

Rana esculenta complex (Rana verde comune) Rana dalmatina (Rana agile italiana)

Rana lessonae (Rana verde)

Triturus carnifex (Tritone crestato)

Triturus vulgaris meridionalis (Tritone punteggiato)

Per quanto riguarda i rettili riportiamo un elenco limitato alle specie legate all’ambiente palustre, abbiamo quindi omesso specie più terricole. Nella tabella è riportata anche la testuggine palustre, riportata in bibliografia come specie comune ma in base a studi recenti (Odetti, comunicazione personale) la specie non è più presente nel comprensorio del lago mentre si sta diffondendo una specie competitrice americana, la testuggine dalle guance rosse (Quadro conoscitivo del lago di Massaciuccoli; 2005).

Coluber viridiflavus (Biacco)

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30 • Lacerta viridis (Ramarro)

Natrix natrix (Natrice o biscia dal collare) Natrix tassellata (Natrice o biscia d’acqua)

Trachemys scripta elegans (Testuggine dalle guance rosse)

Sempre secondo il quadro conoscitivo del SIC i mammiferi sono rappresentati da dodici specie, con la netta prevalenza di piccoli roditori. Ne riportiamo l’elenco.

Crocidura leucodon (Crocidura ventrebianco) Crocidura minor (Crocidura minore)

Rattus norvegicus (Ratto)

Moscardinus avellanarius (Moscardino)

Arvicola terrestris amphibius (Arvicola d’acqua) Pitimis savi (Arvicola del Savi)

Mus musculus (Topolino delle case) Apodemus sylvaticus (Topo selvatico) Myocastor coypus (Nutria)

Vulpes vulpes (Volpe) Mustela putorius (Puzzola) Mustela nivalis (Donnola)

Le paludi sono importantissime aree per lo svernamento, la nidificazione e il passaggio dell’avifauna. Non stupisce quindi che la classe di animali più rappresentata all’interno della palude di Massaciuccoli siano proprio gli uccelli.

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31 Figura 3.8 Falco di Palude

Inoltre gli uccelli costituiscono la componente faunistica più studiata e quindi meglio conosciuta, è l’unico gruppo sistematico di cui si hanno anche dati quantitativi oltre che qualitativi abbastanza precisi. Il trend generale per gli uccelli sul lago è piuttosto negativo tranne che per alcune specie che hanno saputo adattarsi meglio ai cambiamenti ambientali. Gli uccelli nelle zone umide occupano i gradini alti della piramide alimentare e la drastica diminuzione nella produttività del lago e della palude con la forte riduzione o scomparsa di molti anelli intermedi della catena trofica (anfibi, macroinvertebrati, rettili, ecc.) ha avuto ripercussioni importanti su molte popolazioni di uccelli: sono diminuite fortemente le presenze e la durata delle stesse durante la stagione invernale e durante i periodi di migrazione e per diverse specie c’è stata anche una diminuzione delle popolazioni nidificanti. Viceversa ci sono anche esempi di popolazioni che fanno segnare un trend positivo, tra queste segnaliamo il falco di palude e l’airone rosso (Fontanelli, 2005).

Di seguito riportiamo una tabella con tutte le specie presenti sul lago indicando anche il periodo, tratta dal Quadro Conoscitivo del lago di Massaciuccoli (2005).

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SPECIE SPEC Lista Rossa

Italia Lista Rossa Toscana dir. uccelli all. conv. Bonn app. conv. Berna all.

Tuffetto Tachybaptus ruficollis N N III

Svasso piccolo Podiceps nigricollis NE E II

Svasso maggiore Podiceps cristatus N C II

Cormorano Phalacrocorax carbo EN III

Tarabuso Botaurus stellaris 3 EN B I 2 II

Tarabusino Ixobrychus minutus 3 N N I II

Nitticora Nyctucorax nictycorax 3 N C I II

Sgarza ciuffetto Ardeola ralloides 3 VU C I II

Airone guardabuoi Bubulcus ibis VU II

Garzetta Egretta garzetta N C I II

Airone bianco maggiore Egretta alba NE I II

Airone cenerino Ardea cinerea N C II

Airone rosso Ardea purpurea 3 N C I II

Mignattaio Plegadis falcinellus 3 CR I 2 II

Fenicottero Phoenicopterus ruber 3 NE E I 2 II

Oca selvatica Anser anser II 2 III

Volpoca Tadorna Tadorna EN E

Fischione Anas penelope NE II 2 III

Canapiglia Anas strepera 3 CR E II 2 III

Alzavola Anas crecca EN E II 2 III

Germano reale Anas platyrhinchos N F II

Codone Anas acuta NE II 2 III

Marzaiola Anas querquedula 3 VU C II 2 III

Mestolone Anas clipeata EN E II 2 III

Moriglione Aythya ferina VU E II 2 III

Moretta tabaccata Aythya nyroca 1 CR A I 2

Moretta Aythya fuligola CR E II 2 III

Biancone Circaetus gallicus 3 EN C I II

Falco di palude Circus aeruginosus EN C I II II

Albanella reale Circus cyaneus 3 - - I II

Albanella minore Circus pygargus 4 VU B I II

Poiana Buteo buteo N N 2 III

Falco pescatore Pandion haliaetus 3 1 2

Gheppio Falco tinnunculus N B* 2 III

Porciglione Rallus aquaticus N N II/2 III

periodo in cui la specie è presente gen-feb mar-apr mag-giu lug-ago sett-ott nov-dic

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33 SPECIE SPEC Lista Rossa Italia Lista Rossa Toscana dir. uccelli all. conv. Bonn all conv. Berna all.

Voltolino Porzana porzana EN E I 2 II

Schiribilla Porzana parva CR E I 2 II

Gallinella d’acqua Gallinula chloropus N N II/2 III

Folaga Fulica atra N N II III

Cavaliere d’italia Himantopus himantopus LV C I II

Avocetta Recurvirostra avosetta 3W LV E I II

Pernice di mare Glareola pratincola 3 EN E I 2 Corriere piccolo Charadrius dubius LV N 2 II

Corriere grosso Charadrius hiaticula NE 2 II

Fratino Charadrius alexandrinus 3 LV B I 2 II

Pivieressa Pluvialis squatarola II/2 2 II

Pavoncella Vanellus vanellus N E II/2 2 II

Gambecchio Calidris minuta 2 II

Piovanello Calidris ferruginea 2 II

Piovanello pancianera Calidris alpina 3w I 2 II

Combattente Philomachus pugnax I 2 II

Beccaccino Gallinago gallinago NE II III

Pittima reale Limosa limosa 2 CR II/2 III

Chiurlo piccolo Numenius phaeopus II/2 2 II

Chiurlo maggiore Numenius arquata 3w II/2 2 II

Totano moro Tringa erythropus II/2 III

Pettegola Tringa totanus 2 EN E II/2 III

Pantana Tringa nebularia II/2 III

Piro piro culbianco Tringa ochropus II

Piro piro boschereccio Tringa glareola I II

Piro piro piccolo Actitis hypoleucos VU E II

Gabbianello Larus minutus I II

Gabbiano comune Larus ridibundus VU II/2 III

Gabbiano reale Larus cachinnans N II/2

Sterna zampenere Gelochelidon nilotica 3 EN I II

Sterna maggiore Sterna caspia I II

Sterna comune Sterna hirundo LV I 2 II

Fraticello Sterna albifrons 3 VU I 2 II

Mignattino piombato Chlidonias hybridus 3 EN I II

Mignattino Chlidonias niger 3 CR I 2 II

Mignattino alibianche Chlidonias leucopterus CR II

periodo in cui la specie è presente gen-feb mar-apr mag-giu lug-ago sett-ott nov-dic

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34 SPECIE SPEC Lista Rossa Italia Lista Rossa Toscana dir. uccelli all. conv. Bonn all conv. Berna all.

Mignattino alibianche Chlidonias leucopterus CR II

Tortora Streptopelia turtur 3 N N II/2 II

Cuculo Cuculus canorus N N II

Barbagianni Tyto alba 3 LV N I II

Civetta Athena noctua 3 N N II

Rondone Apus apus N N II

Martin pescatore Alcedo atthis 3 LV N I II

Gruccione Merops apiaster 3 N N

Upupa Upupa epops N N

Torcicollo Jynx torquilla 3 N N II

Topino Riparia riparia 3 N N II

Rondine Hirundo rustica 3 N N II

Rondine rossiccia Hirundo daurica CR E II

Balestruccio Delichon urbica N N II

Prispolone Anthus trivialis N N II

Pispola Anthus pratensis II

Spioncello Anthus spinoletta N N II

Cutrettola Motacilla flava N N II

Ballerina bianca Motacilla alba N N II

Scricciolo Troglodytes troglodytes N N II

Pettirosso Erithacus rubecola N N II

Usignolo Luscinia megarhynchos N N II

Pettazzurro Luscinia svecica NE I II

Codirosso Phoenicurus phoenicurus 2 N N II

Stiaccino Saxicola rubetra N D II

Saltimpalo Saxicola torquata 3 N N II

Merlo Turdus merula N N II

Usignolo di fiume Cettia cetti N N II

Beccamoschino Cisticola juncidis N N II

Forapaglie macchiettato Locustella naevia N II

Salciaiola Locustella luscinioides 4 VU C II

Forapaglie castagnolo Acrocephalus melanopogon VU C I II

Forapaglie A. schoenobaenus CR II

Cannaiola A. scirpaceus N N II

Cannareccione A. arundinaceus N N II

periodo in cui la specie è presente gen-feb mar-apr mag-giu lug-ago sett-ott nov-dic

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SPECIE SPEC Lista Rossa

Italia Lista Rossa Toscana dir. uccelli all. conv. Bonn all conv. Berna all.

Occhiocotto Sylvia melanocephala N N II

Beccafico Sylvia borin N N II

Capinera Sylvia atricapilla N N II

Luì piccolo Phyllocopus collybita N N II

Luì grosso P. trochilus II

Fiorrancino Regulus ignicapillus N N II

Pigliamosche Muscicapa striata 3 N N 2 II

Basettino Panurus biarmicus LV C II

Codibugnolo Aegithalos caudatus N N II

Cinciarella Parus caeruleus N N II

Cinciallegra Parus major N N II

Pendolino Remiz pendolinus N N II

Rigogolo Oriolus oriolus N N II

Averla piccola Lanius collurio 3 N N I II

Gazza Pica pica N N II/2

Taccola Corvus monedula N N II/2

Cornacchia grigia Corvus corone cornix N N II/2

Storno Sturnus vulgaris N N II/2

Passera d’italia Passer italiae N N

Passera mattugia Passer montanus N N II

Bengalino Amandava amandava NE E

Fringuello Fringilla coelebs N N II

Verzellino Serinus serinus N N II

Verdone Carduelis chloris N N II

Cardellino Carduelis carduelis N N II

Lucherino Carduelis spinus VU E II

Migliarino di palude Emberiza schoeniclus N C II

Nidificante regolare Nidificante irregolare Un tempo nidificava

periodo in cui la specie è presente gen-feb mar-apr mag-giu lug-ago sett-ott nov-dic

Lista Rossa it. CR= in pericolo critico EN=in pericolo VU=vulnerabile LR=basso rischio N=No problem Lista rossa Tosc. A=minacciate di estinzione B=altamente vulnerabili B*=mediamente vulnerabili C=rare D=Indet. E=insuff. Conosciute F=pop. Autoct. Minacciate da inquinamento genetico N=non minacciate

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3.6 Problemi ambientali del lago di Massaciuccoli

Una prima visione d’insieme del bacino, estratta da Google

Earth, mostra gli

effetti dell’attività dell’uomo sul territorio: la quasi totalità dell’area risulta infatti antropizzata, ad eccezione delle

ristrette aree boschive sul Monte Quiesa, delle zone collinari circostanti e delle

pinete costiere.

L’area meridionale

del bacino è

caratterizzata da

estese zone destinate a uso agricolo e da un sistema di canalizzazione delle acque di scolo. Nella metà più settentrionale del bacino si individuano ancora zone agricole, a cui si aggiungono una serie di laghetti artificiali profondi e di canali, testimonianza della passata attività estrattiva delle sabbie, attualmente abbandonata.

Il bacino è attraversato o lambito da alcune linee stradali e ferroviarie di interesse nazionale (l’autostrada Genova-Rosignano, l’autostrada Firenze-mare, l’autostrada Lucca-Viareggio, la strada statale Aurelia, la linea ferroviaria Genova-Pisa e quella Lucca-Viareggio).

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Nel comprensorio di Bonifica del comune di Massarosa sono inoltre situati tre impianti di depurazione: il depuratore comunale di Massarosa Rietto, che confluisce le sue acque nel canale di Stiava, l’impianto di depurazione in località Pian di Mommio, anch’esso di notevoli dimensioni, che ha come collettore finale il canale Burlamacca, (dato che tale canale non è solo emissario del lago, ma è anche interessato da un flusso dal mare verso il lago, si verifica un ingresso di materiale inquinante nel sistema palustre) e il depuratore di Viareggio, a Nord, fortemente sottodimensionato, che scarica nel fosso Farabola.

Nei canali Barra-Barretta sono convogliati gli scarichi del depuratore di Vecchiano. La Società ACQUE Spa di Pisa prevede che tali acque siano convogliate, attraverso un allacciamento alla relativa rete fognaria, all’impianto di depurazione S. Jacopo di Pisa, opportunamente ampliato ed adeguato per ricevere una quantità di scarichi civili corrispondenti a circa 120.000-150.000 abitanti equivalenti. Infine vi è il depuratore di Migliarino che raccoglie i reflui dell’abitato e dell’area circostante (Baneschi, 2002).

3.6.1 La zona umida

Seppur da sempre vengano considerate aree malsane e poco ospitali per l’uomo le zone umide sono dei grandissimi bacini di biodiversità. Nonostante ciò si è arrivati a un accordo per la loro tutela solo nel 1971 con la Convenzione di Ramsar.

Nonostante la particolare protezione di cui dovrebbero godere a livello mondiale le aree umide stanno subendo un forte declino, e Massaciuccoli non fa eccezione. Secondo Hollis (1992) la principale fonte di degrado delle zone umide in Europa è data dalla pressione umana ed in particolare dalla caccia che rappresenta il 35% delle cause di degrado, seguita dalla contaminazione col 33% e dall’agricoltura con il 20%. L’urbanizzazione influisce con il 15% e la cattiva gestione dell’acqua influisce per l’11% così come l’abbandono delle attività tradizionali (Hollis, 1992). Negli ultimi anni le aree palustri nel mondo hanno subito un declino drastico. In Europa tale declino è ancora più accentuato per via della forte industrializzazione

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che ha subito il nostro continente negli ultimi due secoli. In Italia le aree umide perse dal 1938 al 1984 rappresentano il 66% del totale (ISTAT & ISMEA, 1992). E questo 66% non tiene conto delle grandi opere antecedenti il 1938 (le “Grandi Bonifiche” del ventennio). Ma anche negli altri paesi europei la situazione non è meno grave: in Gran Bretagna le perdite di aree umide dal 1949 al 1983 rappresentano il 50% (Baldock, 1984), in Francia dal 1900 al 1992 le perdite ammontano al 67% (Min. de l’Environment, 1993), in Germania e in Olanda, solo nei 35 anni che vanno dal 1950 al 1985 le perdite di superfici umide ammontano rispettivamente al 57% e al 55% (OECD, 1989). Le cose non vanno meglio neanche negli altri Paesi del Mediterraneo. In Spagna dal 1948 al 1990 le aree umide hanno perso il 60% (Casado et al., 1992) e in Grecia tale perdita dal 1920 al 1991 ammonta al 63% (Psilovikos, 1992).

Anche la zona umida di Massaciuccoli ha subito una forte regressione negli anni. I primi tentativi di bonifica della zona risalgono addirittura all’epoca romana. Nella Tavola Peuntingeriana, la mappa che riproduce “il mondo conosciuto” dai Romani, il disegno della strada tra Pisa e Massa dimostra l’esistenza delle Fosse Papiriane proprio nella zona del Massaciuccoli. Si trattava di canali di scarico costruiti per il deflusso delle acque piovane e per creare percorsi di sbocco alle acque stagnanti verso il mare e ridurre così la zona umida che si estendeva dal fiume Serchio a sud fino al fiume Camaiore a nord. L’opera permise ai romani di costruire la Via Emilia Scauri che collegava Roma con la parte settentrionale dell’Impero, ma poi nel medioevo l’opera venne abbandonata e intorno all’anno 1000 la zona era nuovamente dominata dalle acque stagnanti e dalla malaria.

Nel XVI secolo la Repubblica di Lucca progettò di deviare il fiume Serchio verso la palude in modo da bonificare per colmata e collegare Lucca con il mare attraverso il suo fiume. Questo progetto si ripresentò regolarmente fino al XIX secolo ma non venne di fatto mai attuato per i costi economici dell’operazione e venne infine abbandonato. In ogni caso il progetto non era attuabile a causa del carattere prevalentemente torrentizio del fiume con conseguente trasporto di pochi sedimenti e piuttosto grossolani (prevalentemente ghiaie) e quindi senza possibilità di colmare l’area (Pedreschi, 1956).

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Vari tentativi di bonifiche, comunque parziali, si susseguirono negli anni, alcuni coronati da successo ed altri meno. Nel XVI secolo provarono anche alcuni ingegneri olandesi. Il primo fu Raet di Bolduc in Bramante che tentò di prosciugare i terreni tra il Burlamacca e i monti (la zona di Quiesa e Bozzano) tramite il sollevamento delle acque ad opera di ruote azionate dalle acque provenienti dai torrenti collinari, arginando il Canale Burlamacca ed immettendo in esso le acque dei terreni sottostanti. Questo metodo somiglia come idea alla soluzione attuale ma con le tecnologie dell’epoca non funzionò che per alcuni anni e finì poi per essere abbandonato. Un sistema simile fu quello ideato per l’area di Vecchiano da un altro ingegnere olandese, tale Van Der Stracten, il quale acquisita dai Medici la proprietà della pianura volle tentarne la bonifica attraverso la realizzazione di un certo numero di canali collettori che dovevano raccogliere l’acqua dei territori circostanti, sollevata mediante mulini a vento. Anche questo tentativo fallì, infatti dopo aver costruito un certo numero di questi mulini si rese conto che, a differenza dei Paesi Bassi, qua i venti erano piuttosto deboli ed incostanti e quindi non in grado di garantire il sollevamento delle acque. Tutt’oggi c’è un’area nella bonifica di Vecchiano denominata “Padule di Valdistratte”, che deriva da una evidente storpiatura del nome dell’ingegnere olandese (Pedreschi, 1956).

Durante il XVIII secolo si ebbe il primo tentativo di bonifica andato a buon fine, ad opera di Nicolò Zendrini, bresciano, chiamato dalla Repubblica di Lucca con il compito di bonificare definitivamente i territori a Nord di Viareggio. Zendrini propose il taglio delle fitte macchie che si estendevano tra Montramito e Viareggio e che erano a suo avviso, causa del ristagno dell’aria e quindi dell’insorgere della malaria così come del mescolarsi tra le acque salate e le acque dolci. Per questo motivo propose la realizzazione delle cateratte a bilico alla foce del Burlamacca, le attuali porte Vinciane, che dovevano fermare il riflusso dell’acqua salata. Quest’opera permise di mettere le basi per ulteriori bonifiche sempre più complete attraverso l’apertura o l’allargamento di fossi e l’innalzamento di argini, di fatto si realizzò la prima grossa bonifica a nord del lago che interessò un’estensione di quasi 1000 ha (Pedreschi, 1956).

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40 Figura 3.10 Pompe idrovore

Fu però soltanto verso la fine del 1800, con le nuove scoperte tecnologiche, che fu individuato il modo per vincere definitivamente questa guerra durata secoli: l’Ingegner Bella propose un nuovo metodo, il prosciugamento meccanico con le idrovore, sia per le terre palustri intorno al lago e sia per il lago stesso. Il progetto era ambizioso e destò molte discussioni e controversie in particolare da parte di coloro che avevano interesse nell’estrazione della torba. Solo dopo la prima guerra mondiale iniziarono i primi veri interventi di bonifica, inizialmente a carico dei privati, e poi, con la legge sulla “Bonifica Integrale” di Mussolini del 1928, con un importante intervento pubblico.

Con la legge della “Bonifica Integrale” iniziarono a formarsi i consorzi idraulici per la bonifica dei terreni e si iniziarono a realizzare le arginature, la separazione tra acque alte ed acque basse, le canalizzazioni e l’impianto delle pompe idrovore. Nel bacino del lago si formarono 5 Consorzi: due sulla parte meridionale, quello di Vecchiano e quello di Massaciuccoli che gestivano altrettanti sottobacini, poi il consorzio del Massaciuccoli lucchese, quello di levante e quello di Torre del lago (Consorzio di Bonifica Versilia Massaciuccoli, 2006).

Nell’arco di circa 20 anni furono bonificati e portati a coltura circa 3500 ha di paludi di cui 2650 sul lato meridionale del lago e circa 850 su quello settentrionale.

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Oggi a Massaciuccoli restano solamente 1200 ettari di palude dei 5700 ettari originari, con una perdita di area umida pari al 79% (Consorzio di Bonifica Versilia Massaciuccoli, 2006).

3.6.2 L’eutrofizzazione delle acque del lago

Nel corso degli ultimi 50 anni, la maggior parte dei sistemi lacustri delle aree più antropizzate del pianeta è stata interessata dal processo degenerativo noto con il termine di eutrofizzazione culturale. L’eutrofizzazione, a vari livelli e per diversa intensità, provoca nell’ecosistema acquatico alterazioni che si ripercuotono sulle varie attività e sugli usi a cui esso è destinato. Il processo di eutrofizzazione ha inizio con un aumento della disponibilità di sostanze nutrienti (carbonio, azoto, fosforo, ecc.), provenienti in genere dai prodotti di rifiuto delle attività umane, che accelera le fasi naturali attraversate dalla vita di una zona umida (eutrofizzazione naturale). Gli effetti provocati dal processo di eutrofizzazione tendono a mutare le condizioni ambientali, alterando in maniera particolare gli aspetti estetici e funzionali dell’ecosistema acquatico. La qualità della vita acquatica dipende in larga misura dal bacino di drenaggio dal quale il corpo idrico viene alimentato. Nelle acque provenienti dalle aree agricole sono disciolte migliaia di sostanze organiche e inorganiche, oltre a una grande quantità di solidi sospesi. Quasi tutte queste sostanze contribuiscono ad arricchire le acque di sali minerali, alcuni dei quali indispensabili per i processi metabolici di molti organismi acquatici (sali di calcio, ferro, magnesio, ecc.) altri invece, se in quantità eccessive, in grado di alterarne definitivamente la composizione (cloruri, nitrati, ecc.). Una particolare importanza rivestono gli input di azoto e fosforo per lo stato trofico dell’ecosistema. La vegetazione naturale del bacino di drenaggio ha evoluto meccanismi per trattenere questi sali che potrebbero altrimenti tendere a essere dilavati dal suolo, in modo da mantenere alta la produzione senza necessità di fertilizzazione.

Di conseguenza le acque provenienti dal dilavamento dei terreni agricoli, trattati periodicamente con fertilizzanti chimici apportano una grande quantità di sostanza nutriente (soprattutto azoto e fosforo) che viene trattenuta dall’ambiente lacustre.

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Solo con processi di affinamento dei reflui, rappresentati da trattamenti terziari, è possibile abbattere la componente dei nutrienti. Questi processi sono in genere assenti in quanto molto costosi.

Figura 3.11 Schema semplificativo del processo di eutrofizzazione

Negli ambienti che ricevono acque ricche di nutrienti la produttività può aumentare, ma in genere con una tendenza alla diminuzione della varietà delle specie. Le piante acquatiche iniziano a formare densi letti, assorbendo nutrienti sia dall’acqua che dai sedimenti, ma anche il fitoplancton ha la potenzialità di un elevato accrescimento e può formare dense fioriture che possono oscurare le piante acquatiche. Le conseguenze della competizione tra le alghe, che traggono vantaggio dai nutrienti e da un assorbimento più immediato dell’energia luminosa, e le piante acquatiche, che sono meno soggette ad essere esportate e hanno minore vulnerabilità al grazing, possono variare da un posto all’altro. L’arricchimento di nutrienti e l’eutrofizzazione, possono avere effetti desiderabili e non desiderabili. Una moderata produttività può incrementare la produzione di fauna ittica, ma generalmente conduce ad un decremento della diversità a causa della deossigenazione delle acque profonde e della produzione di sedimento organico in

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grado di soffocare la vita macrobentonica. Alcune alghe inoltre, se prodotte in abbondanza, possono emettere tossine letali per la fauna ittica.

Conseguenza diretta di queste trasformazioni sono la riduzione della diversità biologica dovuta alla perdita di microhabitat (le macrofite) adatti a fornire riparo alla moltitudine di forme acquatiche e protezione per le uova dei pesci, che si riflette quindi anche sulla comunità ittica. La media di crescita per i giovani pesci è elevata ma scarseggia il cibo per i pesci di maggiore età e taglia. L’aumento della torbidità inibisce l’attività predatoria di specie come il luccio, rivolta al contenimento di specie più piccole, planctofaghe, che tendono quindi ad espandersi. Conseguenza di tutto ciò è spesso la diminuzione di avifauna acquatica particolarmente legata a regimi alimentari con elevate componenti di flora acquatica e la scomparsa di mammiferi ad elevata valenza naturalistica come la lontra, può essere in parte legata alla perdita di diversità e di trasparenza dell’habitat.

L’aumento di nutrienti gradualmente favorisce la componente fitoplanctonica fino a farle assumere dimensioni tali da sostituire nello specchio lacustre tutte le altre forme di vegetazione acquatica. Sebbene l’assorbimento della luce da parte di questa componente causi l’oscuramento degli strati profondi, sembra che tale fenomeno non possa essere da solo sufficiente ad impedire la crescita delle macrofite. Un ruolo importante viene attribuito alla diminuita capacità di produrre sostanze alghicide, propria delle macrofite acquatiche, in presenza di alte concentrazioni di nutrienti. Ciò provocherebbe nel tempo una sorta di soffocamento delle piante acquatiche ad opera delle alghe epifite che potrebbero in tali condizioni crescere in maniera abnorme sul loro fusto (Baldaccini & Cenni, 1999).

A tale problematica non fa eccezione il lago di Massaciuccoli che presenta oggi problemi di eutrofizzazione causati dalla presenza di una grande quantità di nutrienti, in primo luogo fosforo ed azoto, che innescano abnormi fioriture algali responsabili della opacità delle acque.

Secondo il Bilancio idrico del bacino del lago di Massaciuccoli il principale responsabile della dispersione dei nutrienti nelle acque sembra essere il funzionamento del sistema di bonifica che confluisce le acque dai territori bonificati nel lago, ma il sistema verrebbe poi ad essere “invertito” durante il periodo

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primaverile – estivo con l’utilizzazione del lago come serbatoio per irrigazione. Infatti oggi il lago si trova ad assolvere una duplice funzione: se da una parte costituisce il naturale recapito delle acque di bonifica allontanate, mediante canali artificiali ed idrovore, dalle aree circostanti (prevalentemente nel periodo invernale), dall’altra sono le acque contenute nello specchio d’acqua del lago ad essere utilizzate per l’irrigazione, a fini agricoli, delle stesse aree circostanti (nel periodo primaverile – estivo), innescando pertanto uno sorta di “ricircolo” delle acque che così si arricchiscono dei nutrienti contenuti in fertilizzanti e concimi.

A Massaciuccoli la disponibilità di nutrienti è associata a condizioni ambientali ottimali e innesca così nelle biomasse vegetali dei processi di fotosintesi in cui la sostanza inorganica viene trasformata in sostanza organica, con la formazioni di estese fioriture algali. Tali masse algali riducono il livello di trasparenza delle acque, con un conseguente decremento della biodiversità animale e vegetale.

Un ruolo fondamentale nella distribuzione dei nutrienti, oltre che per i livelli di ossigenazione è svolto dalla circolazione delle acque.

Indagini sedimentologiche condotte negli anni ‘90 (Frascari et al., 1994) evidenziavano livelli di concentrazione di fosforo totale negli strati superficiali compresi tra 401 e 1248 ppm, con valori crescenti dal centro lago al canale La Barra. Nelle carote i livelli di fosforo totale sono contenuti nel tratto profondo ed intermedio; negli ultimi 30-40 cm si osserva un sensibile incremento fino a raggiungere livelli di fosforo triplicati rispetto a quelli profondi. Tale andamento conferma che il forte incremento osservato negli anni giustifica, in condizioni chimico-fisiche favorevoli, la presenza di fenomeni di rilascio di fosforo verso le acque.

Studi più recenti (Baneschi, 2006) evidenziano i punti in cui si ha una maggiore concentrazione di nutrienti. Questi punti sono identificabili in corrispondenza delle idrovore, principalmente quelle sul canale della Barra, che convogliano nel lago le acque alte provenienti dai drenaggi della zona di Migliarino e di Vecchiano, dove si raggiungono concentrazioni di orto fosfato (P-PO4) di 300 µg/l e di fosforo totale di 1000 µg/l. Valori molto elevati di fosforo totale si registrano anche presso

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l’idrovora di Piaggetta e nel canale Fossa Nuova (circa 650 µg/l) e sul canale Burlamacca presso le Porte Vinciane (500 µg/l).

Da sottolineare la totale assenza di ossigeno disciolto registrata nelle acque del canale di Piaggetta durante il periodo primavera-estate e valori di 2 mg/l durante quello invernale. Le acque convogliate dalle idrovore, in particolare quelle presenti sulla Barra, sono ricche anche di solidi sospesi che veicolano il fosforo nelle acque del lago e causano un’ulteriore diminuzione della trasparenza delle stesse. Infatti, la trasparenza delle acque al centro lago, misurata tramite Disco Secchi, è molto bassa: circa 45 cm durante periodo estivo e 65 cm durante quello invernale.

Nella stazione di Centro lago durante il periodo estivo si raggiungono 14.500.000

cellule/l di fitoplancton, 30mg/m3 di clorofilla α e 50 mg/l di carbonio organico

totale (Baneschi, 2006).

Figura 3.12 Indice di diversità biologica nel 1992 e nel 1998 (da Baldaccini et al., 1999)

A fare le spese dell’eutrofizzazione del lago sono state anche le popolazioni animali della palude. La pessima qualità delle acque incide negativamente sulla ricchezza di specie e sul numero di individui che vi possono vivere facendo venir meno le condizioni di sopravvivenza per altri organismi e così via. Il grafico qui riportato mostra il decremento dell’indice di diversità biologica sulla comunità

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zooplanctonica pesantemente ridotta dal 1992 al 1998 nel lago di Massaciuccoli (Baldaccini et al., 1999).

Anche per quanto riguarda la fauna maggiore la riduzione è consistente. Soprattutto l’avifauna negli ultimi anni ha subito un forte declino dovuto principalmente al fenomeno di eutrofizzazione che limita la quantità di cibo utile per gli uccelli (Fontanelli, 2005).

3.8 La discarica delle Carbonaie

La discarica delle

Carbonaie (a lato in un’immagine aerea) è ubicata nella pianura costiera tra Viareggio

e Torre del lago

Puccini. È posta a circa 3500 metri dalla costa e a circa 1500 metri dallo specchio

lacustre di

Massaciuccoli, dista meno di dieci metri dal canale delle Quindici, nella zona della palude Nord di Massaciuccoli inserita all’interno del SIC “Palude di Massaciuccoli”.

La quota dell’area è superiore al livello del mare di alcune decine di centimetri. Il substrato dell’ammasso di discarica, fino a circa 30 m sotto il livello del suolo è costituito da sedimenti limosi e torbosi per i primi metri, più in profondità è caratterizzato da sabbie granulometricamente omogenee e poi da sabbie medio-fini che passano gradualmente a limi ed argille limose con tracce di sabbia fine e torba. A profondità superiori sono presenti argille grigio-azzurre con lenti di torba e livelli di ghiaie e sabbie fino a circa 70 m di profondità dove vi sono conglomerati e sabbie di un diverso ciclo trasgressivo (Geo Consul, 2002).

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L’idrogeologia dell’area è caratterizzata da una falda pressoché affiorante con massima escursione annua di alcune decine di cm; un gradiente minimo (0.2 m/km), muove lentamente la falda verso la fascia interna della pianura dove vecchi sistemi di idrovore tengono la falda depressa per consentire l’uso prevalentemente agricolo della zona. La stessa falda viene ricaricata dalle acque di pioggia che cadono direttamente sull’area e sul cordone di dune interposto fra la discarica e la costa. La falda, caratterizzata nei primi metri superficiali da acqua dolce di infiltrazione meteorica “galleggiante” sulle acque salmastre più dense sottostanti, è, presumibilmente, in connessione idraulica sia con i fossi che dal lago di Massaciuccoli recapitano le acque verso Nord al canale Burlamacca, sia con gli specchi d’acqua, prodotti dalla attività di escavazione di sabbie silicee, ubicati a Est del Fosso delle Quindici (Geo Consul, 2002).

Alla fine degli anni ‘60 è iniziata l’attività della discarica delle Carbonaie, che prende il nome dall’appellativo con cui viene comunemente chiamata la zona dove è posta. L’attività iniziale non prevedeva l’impermeabilizzazione del sito (Geo Consul, 2002).

L’attività di discarica è continuata con le stesse modalità fino all’anno 1988,

accumulando circa 280.000 m3 di rifiuti. Successivamente è stato predisposto un

progetto di risanamento che prevedeva il trasferimento dei rifiuti in “vasche” impermeabilizzate appositamente realizzate in area limitrofa, con successivo recupero dell’area sede della vecchia discarica attrezzandola con strutture pubbliche.

Il progetto è stato parzialmente attuato realizzando le vasche e trasferendovi 30.000

m3 di rifiuti in sette mesi di attività. Dopo questo periodo i lavori vennero bloccati.

La stima del volume totale dei rifiuti presenti nelle vasche è di circa 200.000 m3.

Attualmente la ex discarica presenta una pianta pressoché rettangolare, con lati di

200 e 300 metri per una superficie di 60.000 m2; la forma è riconducibile a un

tronco di piramide di altezza massima pari a circa 12 metri, con la base di appoggio a quote pari mediamente a 1 - 1.5 m sotto il piano del suolo. Il volume attuale di

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L’inizio dell’attività di discarica non è nota; è presumibile che sia iniziata con scarichi abusivi gettati da ignoti nelle cavità lasciate dalla precedente attività di estrazione della torba che durava già dagli anni ‘20. È presumibile che l’inizio risalga agli anni ‘60. Il Comune di Viareggio utilizzava fin dagli anni ‘70 una discarica in un luogo attiguo all’attuale chiamato località Frassetti.

Lo stesso Comune nel 1983, avendo esaurito lo scarico in località Frassetti, prese in affitto un appezzamento di 2 ettari alle Carbonaie per adibirlo a discarica.

La discarica fu accresciuta senza uno studio o un progetto specifico, come era consuetudine in quel periodo storico. Nel 1985 l’Amministrazione Provinciale di Lucca autorizzò il Comune di Viareggio per alcuni mesi in via provvisoria a gestire la discarica delle Carbonaie, prescrivendo la presentazione di un progetto, completo di studio geologico, per la bonifica ambientale dell’area.

Il primo progetto di risanamento fu presentato dal Comune di Viareggio ed approvato dalla Provincia di Lucca nel luglio del 1985, ma i primi tentativi di metterlo in atto furono solo nel 1988. In tale anno si iniziò la predisposizione di vasche impermeabilizzate e controllate in un’area limitrofa. Nelle tre vasche del progetto furono realizzate operazioni di stoccaggio per alcune decine di migliaia di metri cubi. Le operazioni di stoccaggio furono interrotte anche a seguito del Procedimento Penale n. 719/93 attivato in seguito alla presunta presenza di rifiuti tossici e nocivi nella ex discarica, presenza che poi fu esclusa in sede giudiziaria. Nel 1992 si arriva ad un altro progetto di risanamento che prevedeva nel confinare in situ l’attuale accumulo di discarica attrezzandolo anche con un sistema di recupero dei fluidi (biogas e percolato). Il confinamento superiore sarebbe dovuto avvenire tramite il rimodellamento della superficie e sua impermeabilizzazione, il confinamento laterale tramite un setto impermeabile profondo 20 metri, mentre il confinamento inferiore per mezzo di una barriera virtuale consistente nell’allontanamento a 20 metri di profondità dell’interfaccia falda-percolato e nel suo controllo tramite sistema di monitoraggio. Ma tale progetto non fu mai realizzato.

Nel 1997 il Comune di Viareggio, in coerenza con la definitiva decisione di non utilizzare ulteriormente l’area per lo smaltimento di nuovi rifiuti e volendo

Figura

Figura 3.1 La palude Nord di Massaciuccoli
Figura  3.2  Carta  Geologica  del  bacino  del  lago  di  Massaciuccoli  (Autorità  di  bacino  del  Fiume  Serchio,  2007).
Figura 3.4 Carta Idrologica del bacino del  lago  di  Massaciuccoli  (Autorità  di  bacino  del Fiume Serchio, 2007).
Tabella 3.1 Habitat del lago
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