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1.1 CELLULE STAMINALI ADULTE: 1.INTRODUZIONE

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1.INTRODUZIONE

1.1 CELLULE STAMINALI ADULTE:

Esistono dei tessuti nell’organismo, come l’epitelio intestinale, la ghiandola mammaria o il sistema ematopoietico, caratterizzati da un’alta frequenza di rinnovamento e di turnover cellulare legati ad una continua e fisiologica deplezione. Tali tessuti, definiti “self-renewing tissues”, presentano un’organizzazione gerarchica alla cui base si trova un compartimento proliferativo e responsabile della produzione continua di cellule che, una volta terminato il differenziamento, andranno a popolare il compartimento maturo. La piccola popolazione che garantisce il continuo ripopolamento di tali tessuti e’ composta dal cellule staminali adulte o somatiche. Tali cellule vengono definite in base al loro stato indifferenziato e alle loro peculiari capacità di sostenere l’autorinnovamento o self-renewal, ossia di dividersi in modo tale da produrre una cellula che ritenga destino staminale, e di rimanere multipotenti, ossia di poter produrre una progenie capace di differenziare verso tutti i lineage specifici del tessuto (committment). Queste proprieta’, alla base della definizione di staminalita’ somatica, garantiscono la capacità di mantenere l’integrità e la funzionalità dell’intero tessuto per tutta la durata della vita dell’organismo tramite la sostituzione delle cellule differenziate perse per attrito fisiologico o danneggiamento.

In condizioni omeostatiche, la cellula staminale adulta effettua principalmente delle divisioni asimmetriche producendo due cellule diverse tra loro, una con caratteristiche staminali che va a sostituire la cellula madre nel compartimento indifferenziato e una che intraprende un

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il committment e la progressiva comparsa di markers di differenziamento sono accompagnati da una massiccia attività proliferativa. In questo modo, la popolazione staminale è capace di auto-mantenersi e di rimanere numericamente costante pur garantendo il ripopolamento globale del compartimento.

Durante l’organogenesi o in seguito a danno tissutale, la popolazione staminale è invece in grado di espandersi e di generare o ricostituire l’intero sistema mediante una serie di divisioni simmetriche.

La scelta tra effettuare una divisione simmetrica e quindi espandere l’intera popolazione o una divisione asimmetrica di self-renewal e mantenere un equilibrio dipende dall’integrazione di una complessa rete di segnali sia di natura intrinseca alla cellula stessa sia legati al microambiente che la circonda, la cosiddetta nicchia.

Studi su Drosophila, poi confermati anche in modelli mammiferi, hanno suggerito due differenti meccanismi molecolari per una divisione asimmetrica (Fig.1.1):

-regolazione intrinseca dovuta alla segregazione asimmetrica di determinanti cellulari: durante le prime fasi della mitosi, la cellula riesce a polarizzare la distribuzione di particolari proteine regolatrici del destino cellulare e a orientare il fuso mitotico in modo che siano ereditati solo da una delle due cellule figlie. Tali fattori sono poi responsabili della modulazione di pathway di self-renewal di differenziamento e quindi del destino della cellula. Esempio di questo meccanismo è la divisione asimmetrica dei neuroblasti in Drosophila: prima della mitosi, le proteine Par-3, Par-6 e atypical PKC (aPKC) si accumulano asimmetricamente nel polo apicale del neuroblasto formando un complesso responsabile dell’orientamento asimmetrico del fuso che a sua volta è causa della segregazione di Numb, un inibitore del segnale di Notch, nel polo apposto. La cellula basale, quindi, eredita un repressore specifico del pathway di Notch e differenzia in senso neurale, diventando una Ganglion mother cell (GMC). La cellula apicale, invece, ritiene destino

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staminale perché evidentemente il mantenimento di tale segnale è necessario per tale condizione.

-regolazione estrinseca legata a segnali provenienti dall’ambiente extracellulare: risulta sempre più accreditata la teoria, inizialmente proposta da Schofield (Schofield,1978), secondo cui le cellule staminali risiedono in particolari microambienti, definiti “nicchie”, che promuovono il mantenimento della staminalità (Li and Xie, 2005).

Inizialmente in invertebrati e recentemente anche nei mammiferi, è stato dimostrato che interazioni dirette con le cellule presenti in tale nicchia, con particolari componenti della matrice extra-cellulare o con fattori da essa prodotte sono responsabili del mantenimento della capacità di self-renewal e del blocco di fenomeni differenziativi. Più precisamente, l’asimmetria delle due cellule originate dalla staminale non è intrinseca a differenze presenti durante la mitosi, bensì acquisita in un secondo momento grazie alla localizzazione delle due cellule in ambienti diversi, di cui uno esterno alla nicchia e ricco di segnali differenziativi. La prima nicchia caratterizzata è stata quella delle cellule staminali germinali (GSC) presente nel germario di Drosophila e responsabile del mantenimento della linea germinale. Questa nicchia è formata da tre tipi di cellule somatiche: le cellule del filamento terminale, le cap cells e le cellule del foglietto interno (IGS). Le cellule germinali staminali sono in diretto contatto con le cap cells che sono responsabili dei due principali meccanismi essenziali per il loro mantenimento: l’ancoraggio mediante adesione intercellulare dovuta all’ E-caderina e la sintesi di particolari fattori necessari per la regolazione del self-renewal staminale. Tra questi, Decapenthaplegic (Dpp) e Glass Bottom Boat (Gbb) sono 2 proteine BMP-like che attivano un segnale analogo di repressione del differenziamento, mentre segnali mediati da Piwi e Yb sono coinvolti nel controllo di altri pathway di self-renewal (Song et al. 2004; Xie and Spradling 2000).

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grandezza in confronto al numero esiguo di cellule staminali ha reso molto difficile la loro identificazione e caratterizzazione nonchè la possibilità di descrivere e monitorare un’eventuale nicchia con una risoluzione di singola cellula, come fatto nel caso di Drosophila. Per quanto riguarda una regolazione estrinseca della staminalità, infatti, solo recentemente, a partire dalla fine degli anni ‘90, sono comparsi lavori incentrati sull’identificazione e caratterizzazione di cellule staminali adulte e delle loro nicchie in vari tessuti, tra cui il sistema ematopoietico (Arai at al.,2004; Calvi et al.,2003; Kiel et al. 2005; Zhang et al. 2003), il sistema epiteliale (Niemann et Watt, 2002; Blanpain et al., 2004), il sistema nervoso (Doetsch et al. 1999, NiemannPalmer et al. 1997, Shen et al. 2004) e quello intestinale (Potten et al., 1997; He et al.,2004). Al contrario, non sono ancora stati ancora trovati esempi chiari e significativi di segregazione di determinanti in sistemi di mammifero, anche se sono stati descritti vari meccanismi di regolazione intrinseci responsabili, almeno in parte, del bilancio self-renewal/ differenziamento. E’ ipotizzabile che la complessità di tali sistemi li renda meno svincolati dall’ambiente circostante e renda la loro regolazione meno lineare: il mantenimento del self-renewal sembra essere infatti frutto di un complesso equilibrio dovuto all’integrazione continua di segnali ambientali regolatori su programmi intrinseci presenti nella popolazione.

Malfunzionamenti o alterazioni di tale controllo sembrano essere alla base di malattie neurodegenerative, di fenomeni di invecchiamento, di disgregazione dell’architettura tissutale e incremento della tumorigenesi.

Figura 1.1: Regolazione intrinseca ed estrinseca del

selfrenewal ( tratto da Mechanisms of asymmetric stem cell division, Knoblich, Cell, 2008 )

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1.2 LE CELLULE STAMINALI EMATOPOIETICHE (HSC)

L’ematopoiesi e’ un processo altamente dinamico che deve sostenere in modo costante la continua ed equilibrata produzione di ben 10 diversi tipi cellulari ematici, nonché la ricostituzione del tessuto in seguito a danni o stress di vario genere. Data la breve emivita delle cellule ematiche terminalmente differenziate, e’ stato calcolato che ogni giorno il sistema ematopoietico di un topo adulto debba sostituire approssimatamene 2,4 x 1011 eritrociti e 1010 globuli bianchi a livello del sangue periferico e compensare in modo variabile le frequenti perdite dovute a stress ematologici come perdite di sangue, infezioni ed effetti citotossici vari. Per riuscire a rispondere a queste esigenze fisiologiche, il sistema ematopoietico è organizzato in una struttura gerarchica alla cui base si trova una piccola popolazione di cellule, le cellule staminali ematopoietiche (hematopoietic stem cells o HSC), definite in relazione alla loro abilità di differenziare in tutti i lineage ematici e di automantenersi mediante il processo di self-renewal.

Le cellule staminali ematopoietiche rappresentano la prima popolazione staminale adulta scoperta (Till and McCulloch, 1961) e per questo anche la meglio caratterizzata e la piu’ usata come paradigma per studiare la biologia delle cellule staminali adulte e il loro ruolo in fenomeni complessi come oncogenesi e invecchiamento.

Lo sviluppo, nei mammiferi, è caratterizzato da diverse onde di ematopoiesi che partono da diversi siti (Fig 1.2). Il primo sistema di ematopoiesi, definito primitivo, si forma infatti intorno al giorno E8 a livello del sacco vitellino ed è caratterizzato dalla presenza di cellule endoteliali e cellule primitive, dette emangioblasti, di origine mesodermica capaci di produrre cellule eritroidi primordiali, identificate grazie all’espressione di subunità globiniche embrionali. Tale sistema serve a facilitare l’ossigenazione tissutale durante lo sviluppo embrionale ma è assolutamente limitato e transiente, infatti viene sostituito quasi

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produzione di tutti i diversi tipi di progenitori e di HSC con attività di ripopolazione a lungo termine. Tale sistema adotta diversi siti differenti di ematopoiesi in diversi stadi di sviluppo: la regione definita aorta-gonade-mesonefro (AGM) e la placenta (E10.5), il fegato fetale (E13.5) e , poco prima e subito dopo la nascita, la milza e il midollo osseo (Dzierzak, 2002).

Per loro stessa definizione, la popolazione di cellule staminali ematopoietiche è capace di auto-mantenersi durante tutta la vita dell’organismo e di produrre progenitori multipotenti in grado di differenziare verso tutti i lineage ematici e popolare l’intero sistema sia in condizioni fisiologiche (steady-state hematopoiesis) che in condizioni di stress ematologico, come perdita di sangue, infezioni o esposizioni ad agenti citotossici.

Più precisamente, il processo con cui la cellula staminale ematopoietica dà vita a cellule terminalmente differenziate coinvolge la produzione di una gerarchia di progenitori che

Figura 1.2: Sviluppo del sistema ematopoietico in topo (tratto da Hematopoiesis: an evolving paradigm for stem cell biology; Orkin, Cell, 2008)

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progressivamente mostrano un decremento del potenziale differenziativo e della capacità di self-renewal e un’incremento dell’indice di proliferazione (Fig. 1.3).

L’immediata progenie delle HSC mostra subito un restringimento di lineage differenziativo accompagnato dalla perdita della capacità di self-renewal per cui sono stati isolati due tipi di progenitori clonogenici e multipotenti ristretti esclusivamente verso un committment di lineage specifico:

-il progenitore comune mieloide (common myeloid progenitor CMP) (Akashi et al.; 2000), identificato in base alla negatività per il recettore dell’Interleuchina 7 (IL7R), capace di produrre a sua volta precursori esclusivamente mieloidi e a potenzialità differenziativa ancora più limitata quali progenitori oligopotenti della linea megacariocitica-eritrocitica (MEP) e progenitori della linea granulocitica-macrofagica (GMP). A sua volta, si verifica un’ulteriore perdita di potenziale di sviluppo con la produzione di precursori unipotenti quali Colony Forming Unit-Granulocyte (CFU-G), che differenziano terminalmente in eosinofili, neutrofili e mastociti, e Colony Forming Unit-Macrophage (CFU-M) che daranno vita a monociti/macrofagi che differenzieranno e monociti/macrofagi.

-il progenitore comune linfoide (common lymphoid progenitor CLP) (Weissman and Akashi 1997), positivo per IL7R, la cui potenzialità differenziativa è ristretta a precursori della linea linfoide che produrranno linfociti B, linfociti T e cellule Natural Killer (Fig.1.3).

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1.3 CARATTERIZZAZIONE DELLE HSCs

A livello funzionale, una cellula staminale ematopoietica puo’ essere definita grazie alla sua capacita’ di mediare il ripopolamento a lungo termine di tutto il sistema ematopoietico a seguito di trasferimento in un topo letalmente irradiato (“long term repopulating or LTR activity”). Infatti, il saggio di staminalita’ piu’ comunemente accettato per individuare una cellula staminale e’ la ricostituzione multilineage a lungo termine del sistema ematopoietico di un topo recipiente istocompatibile irradiato letalmente.

Molti gruppi hanno cercato di usare questo saggio funzionale per ottenere una caratterizzazione fenotipica delle HSCs murine, ossia individuare una set di marcatori di

Figura 1.3: Organizzazione

dell’ ematopoiesi nell’ adulto (tratto da Hematopoiesis: an evolving paradigm for stem cell biology; Orkin, Cell, 2008)

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superficie associato univocamente a tale popolazione, in modo da renderne semplice l’isolamento e lo studio.

Nel modello murino, e’ stato trovato che HSCs funzionali sono presenti in una sottopopolazione di cellule del midollo osseo negativa per markers normalmente presenti su cellule commesse al differenziamento (Lineage committed cells), ma esprimente alti livelli di marcatori quali stem-cell antigen1 (SCA1) e KIT. Questo subset arricchito di HSC e' noto come popolazione LSK, ossia negativa per antigeni di lineage e positiva per SCA1 e KIT, equivale a circa lo 0,5% del midollo osseo e comprende tutte le cellule con attivita’ funzionale di ricostituzione a lungo termine. Ulteriori analisi hanno pero’ dimostrato che solo un decimo delle LSK ha completa capacita’ ricostitutiva, ossia garantiscono protezione dall’irradiazione letale: tale notevole eterogeneita’ funzionale probabilmente riflette la presenza di diverse sottopopolazioni con uno specifico ruolo nella gerarchia staminale (Szilvassy et al.; 2003). Al fine di caratterizzare tali sottopopolazioni omogenee nella loro attivita’ di ricostituzione a lungo termine, sono stati esaminati ulteriori marcatori di superficie come FLT3 (fms-related tyrosine kinase3) e CD34, una sialomucina antiadesiva. In questo modo, come mostra la fig.1.3, la popolazione LSK puo’ essere divisa in

- Long term hematopoietic stem cells (LT-HSC), cellule negative per FLT3 e per CD34 che presentano attivita’ ricostitutiva a lungo termine e contribuiscono all’ ematopoiesi per tutta la vita dell’ organismo.

- Short term hematopoietic stem cells (ST-HSC), cellule negative per FLT3 e positive per CD34 che presentano attivita’ ricostitutiva a breve termine, ossia un’ attivita’ di self-renewal limitata nel tempo (alcune settimane)

- Multipotential precursors (MPP), cellule positive per entrambi i marcatori che non presentano alcuna capacita’ di self-renewal ma solo una capacità clonogenica

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Queste 3 sottopopolazioni sono caratterizzate dalla progressiva perdita di capacità di self-renewal e, a partire dallo stadio dei MPP, dalla perdita di multipotenza e dalla restrizione progressiva e irreversibile verso uno o piu’ committment di lineage (Weissman,1994).

Un’altra modalità per isolare e analizzare le HSC sfrutta la loro efficiente capacita’ di deflusso di alcuni coloranti leganti DNA come l’ Hoechst 33342 (Ho) o la rodamina 123 (Rho) dovuta alla presenza di un traportatore di membrana della superfamiglia ATP-binding-cassette (ABC): la maggior parte delle HSC risultano Holo/- (Spangrude et al.;1990) e a causa della loro posizione nell’ analisi FACS sono state definite come Side Population (SP) (Goodell et al. 1996).

Nel tentativo di isolare popolazioni sempre piu’ arricchite di HSC usando un minor numero di marcatori, sono state studiate mediante saggi di ricostituzione a singola cellula anche

Figura 1.3: Schema dell’organizzazione

gerarchica del compartimento staminale e dei marcatori relativi a ciascuna popolazione (adattato da Rossi et al.; 2007)

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sottopopolazioni relative ad altri marcatori, come i recettori SLAM (signal lymphocyte activating molecule) (Kiel et al.;2005 Kim et al.;2006). Piu’ precisamente è stato dimostrato che la popolazione CD150+ CD244- CD48- è estremamente arricchita in HSC (fino al 50%), mentre popolazioni CD150- CD244+ CD48- e CD150- CD244+ CD48+ sono incredibilmente arricchite rispettivamente di progenitori multipotenti e committed. In questo modo è possibile caratterizzare sistemi ematopoietici adulti o fetali con solo tre marcatori. Da ulteriori studi (Kim et al.;2006) sta emergendo che l’ espressione di tali recettori non è limitata al sistema ematopoietico.

C’è comunque da precisare che la caratterizzazione fenotipica della popolazione HSC mediante l’espressione di combinazioni di markers non è sempre sovrapponibile alla determinazione funzionale: durante lo stress, in topi geneticamente modificati o in conseguenza ad altre manipolazioni il profilo dei markers puo’ cambiare e non indicare le stesse popolazioni funzionali.

Per quanto riguarda questo lavoro, la caratterizzazione immunofenotipica delle diverse popolazioni ematopoietiche è stata effettuata sulla base dei marcatori presenti nella figura 1.3.

1.4 LA REGOLAZIONE DEL SELFRENEWAL E DEL

DIFFERENZIAMENTO DELLE HSC

L’efficienza del compartimento staminale ematopoietico risiede nella capacità di regolare la propria attività proliferativa in base ai diversi stimoli e di mantenere un equilibrio dinamico tra il self-renewal e il differenziamento in dipendenza da fattori estrinseci ed intrinseci.

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Tale equilibrio è infatti critico per l’omeostasi fisiologica del tessuto: un aumento del differenziamento a spese del self-renewal comporta una deplezione della popolazione staminale e un’incapacità rigenerativa in caso di danno; la situazione contraria causa invece una espansione del compartimento staminale ematopoietico non fisiologica con il possibile accumulo di mutazioni e il conseguente aumento del rischio di tumorigenesi.

Negli ultimi anni sono stati pubblicati una serie di lavori che confermano che la staminalità nel sistema ematopoietico è determinata e controllata da più meccanismi sia di tipo cell autonomous sia legati al microambiente in cui sono compartimentalizzate e con cui interagiscono.

Riflessioni sulla stretta associazione tra le cellule del sistema ematopoietico e quelle mesenchimali presenti all’interno del midollo osseo hanno condotto ad una serie di esperimenti di homing (Nillson et al.; 2001) che hanno rivelato un posizionamento preferenziale della popolazione staminale a livello dell’endosteo, la superficie interna dell’osso che interfaccia con il midollo. Tuttavia, una precisa caratterizzazione di tale ipotetica nicchia è stata resa possibile solo dopo due studi indipendenti condotti da Calvi et al. (2003) e Zhang et al. (2003) che hanno delineato all’interno del midollo osseo quella che poi verrà chiamata nicchia osteoblastica (Fig.1.4). Grazie ad esperimenti di cocultura in vitro e di ablazione condizionale in vivo, è emerso il ruolo critico degli osteoblasti nel mantenimento della popolazione staminale: modelli genetici in cui tale popolazione è assente mostrano una notevole deplezione del numero di cellule ematopoietiche, incluse le HSC. In dettaglio, è stata identificata una sottopopolazione di osteoblasti presenti nella zona trabecolare dell’endosteo caratterizzati dalla morfologia fusiforme (spindle-shaped), dall’assenza di CD45e dalla presenza di N-caderina.

L’inattivazione condizionale del recettore di tipo IA della proteina BMP (BMPRIA) normalmente espresso nella linea osteoblastica (Zhang et al.;2003) o l’espressione di una forma costitutivamente attiva dell’ormone partiroideo (PTH) e del suo recettore (Calvi et al.;

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2003) portano all’incremento dei tale popolazione, definita SNO (spindle-shaped N-cadherin+ osteoblasts), e proporzionalmente all’espansione della popolazione HSC e in particolar modo delle LT-HSC.

La correlazione tra il numero di questi SNO e quello delle HSC funzionalmente attive e in grado di effetturare una ripopolazione a lungo termine rende questa particolare popolazione osteoblastica essenziale e critica per la dimensione e l’attività della nicchia osteoblastica.

L’iniziale ipotesi secondo cui l’N-caderina sia la molecola critica per l’ancoraggio delle HSC all’interno della nicchia è stata confermata (Li e Suda): la presenza di giunzioni omeotipiche caderina mediate tra LT-HSC e SNO è responsabile dell’ancoraggio fisico di tali cellule nella

Figura 1.4: Schema della nicchia osteoblastica e

vascolare delle cellule staminali ematopoietiche adulte (adattata da Trumpp et al. 2007)

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ematopoietiche è legata a fenomeni di mobilizzazione o stress. Inoltre, la presenza di -catenina in associazione con il dominio intracellulare dell’N-caderina porta a ipotizzare il coinvolgimento di questa molecola nella regolazione del pathway canonico di WNT, che è noto essere critico per il self-renewal delle staminali ematopoietiche (Reya et al.; 2003). Studi per chiarire il meccanismo molecolare dell’interazione tra queste due popolazioni hanno fatto emergere un ruolo funzionale della nicchia nel mantenimento della quiescenza delle HSC e quindi nella protezione stessa del pool staminale. Arai e Suda hanno caratterizzato due importanti signaling con cui la nicchia è capace di regolare il ciclo cellulare e mantenere la quiescenza nelle cellule staminali ematopoietiche.

Il primo lavoro, nel 2004, descrive l’interazione tra il recettore tirosin-chinasico Tie2 espresso dalle LT-HSC e il suo ligando, l’angiopoietina 1, secreto dagli osteoblasti: tale interazione comporta l’aumento di espressione dell’N-caderina e il blocco della proliferazione sia in vivo che in vitro grazie all’upregolazione dell’ inibitore p21 (Arai et al; 2004).

Il secondo lavoro, nel 2007, è relativo alla trombopoietina, una citochina ematopoietica prodotta dagli osteoblasti, e al suo recettore MPL, la cui interazione comporta l’upregolazione di molecole di adesione tra cui l’ integrina 1 e di inibitori delle kinasi ciclina-dipendenti, soprattutto p57 (Yoshihara et al.; 2007).

Tutta questa serie di pathway coinvolti nella regolazione dell’adesione alla nicchia e nella regolazione della proliferazione sembrano agire in modo cooperativo con il fine comune di controllare la quiescenza , il self-renewal e l’inizio del processo differenziativo .

Esaminando la reazione del compartimento ematopoietico in risposta al danneggiamento della nicchia osteoblastica dovuto a stress mielotossico o alla mancanza di SNO, è stato osservato che le HSC sono caratterizzate da massicci fenomeni di mobilizzazione, circolazione e ematopoiesi extra-midollare (Morrison et al. 1997; Wright et al. 2001;). Ciò, insieme alla riflessione che milza e fegato contengono in condizioni fisiologiche una

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piccolissima quantità di HSC ematopoieticamente attive, ha portato all’ipotesi che esistano altri ambienti di nicchia per le HSC.

Un lavoro di Kiel del 2005 identifica mediante una combinazione di marcatori di superficie noti come SLAM o signaling lymphocyte activation molecole una popolazione altamente arricchita di HSC funzionalmente attive: il 45% di queste cellule è capace di mediare una ricostituzione a lungo termine e multilineage di un topo letalmente irradiato.

Tale popolazione (CD150+ CD48- CD41-) è presente per un terzo nella nicchia osteoblastica ma per i rimanenti due terzi a livello dell’endotelio fenestrato dei sinusoidi del midollo osseo e della milza. L’interazione tra le HSC e le cellule endoteliali non è del tutto inaspettata in relazione alla loro comune origine embrionale, l’emangioblasto, e alla capacità di tali cellule di mantenere le HSC in coltura (Li et al.; 2004). Sugiyama et al. , nel 2006, ha dimostrato che queste cellule endoteliali formano una vera e propria nicchia, definita vascolare, con caratteristiche e funzioni differenti e complementari rispetto alla nicchia osteoblastica precedentemente descritta.

Le cellule endoteliali dei sinusoidi midollari sono funzionalmente e fenotipicamente differenti rispetto alle cellule endoteliali di distretti non ematopoietici e sono caratterizzate dall’espressione costitutiva di molecole di adesione importanti per fenomeni di mobilizzazione, engraftment e homing come E-selctina e VCAM1 (vascular adhesion molecole 1) e soprattutto dalla adiacenza con una popolazione di cellule reticolari responsabili della secrezione costitutiva di CXCL12 o SDF-1 (stromal-cell derived factor 1), un fattore necessario per il mantenimento delle HSCs. Il signaling è basato sull’espressione da parte delle HSCs del principale recettore di questa chemochina, chiamato CXCR4.

Probabilmente le diverse nicchie hanno anche differenze funzionali: è stato dimostrato infatti che, in condizioni omeostatiche, la maggior parte delle HSCs identificate per Label Retaining Cell (LTC) assay risiedono nella nicchia osteoblastica, che funge da nicchia di quiescenza e

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renewal. La nicchia vascolare, invece, è un ambiente ricco di nutrienti e con concentrazioni di ossigeno e fattori di crescita maggiori e funge da nicchia di self-renewal e differenziamento: contiene HSC proliferanti ed è coinvolta nella regolazione dei processi di self-renewal e differenziamento.

In seguito a stress mieloablativo e a stimoli di mobilizzazione, si verifica un reclutamento di HSC da parte della nicchia vascolare che quindi può promuovere il self-renewal e il differenziamento a fine rigenerativo (Kopp et al.; 2005).

Per quanto riguarda programmi intrinseci di controllo del self-renewal, recentemente sono stati caratterizzati una serie di fattori critici per gli equilibri della popolazione HSC indipendenti dai segnali cellulari ambientali, come HoxB4 o Bmi1.

HoxB4, membro della famiglia di fattori di trascrizione Hox, è considerato un importante regolatore del self-renewal: topi knockout per tale gene mostrano un fenotipo lieve di ipocellularità degli organi ematopoietici, di riduzione del pool staminale e della sua capacità proliferativa senza alcuna conseguenza per quanto riguarda il processo differenziativi (Karlsson et al.; 2004); al contrario, una sua overespressione è sufficiente per innescare un drammatico processo di espansione cell-autonomous della popolazione staminale ematopoietica e per aumentare notevolmente la sua capacità ricostituiva a lungo termine (Antonchuk et al.; 2002). Bmi1 è invece un proto-oncogene membro della famiglia delle proteine Policomb (PcG), repressori trascrizionali che agiscono a livello epigenetico. Esso è espresso ad alti livelli nelle HSC sia adulte che fetali e viene progressivamente downregolato durante il differenziamento. Topi knockout per Bmi1 sono caratterizzati da midolli ipocellulari e morti precoci intorno ai 2 mesi a causa di un severo difetto ematopoietico relativo ad una totale mancanza di self-renewal. Infatti, in maniera totalmente intrinseca, Bmi1 risulta essere necessario per il processo di self-renewal delle HSC tramite il controllo dell’ espressione di inibitori del ciclo cellulare come p16 e p19 e tumor suppressor come p53 (Savageu et al.,2003; Molofsky et al., 2003; Park et al. 2003). Da sottolineare che un topo

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doppio knockout per Bmi1 e p16 mostra parziale recupero del fenotipo e della capacità di self-renewal, dimostrando che probabilmente p16 risulta l’inibitore più sensibile dei cicli di self-renewal.

1.5 IL CICLO CELLULARE:

Per ciclo cellulare si intende quella complessa e ordinata serie di eventi attraverso cui una cellula è capace di riprodursi, ossia di duplicare fedelmente l’intero patrimonio genetico per poi dividerlo equamente in due cellule figlie geneticamente identiche. E’ un meccanismo fondamentale sia negli organismi unicellulari, come lieviti o batteri sia in specie multicellulari, in cui garantisce l’ontogenesi, l’omeostasi e la riparazione di ogni singolo tessuto.

I due eventi centrali all’interno di ogni ciclo sono la duplicazione del DNA genomico, che avviene nella cosiddetta fase S (S per sintesi del DNA), e la sua segregazione nelle due cellule figlie, che si verifica durante la mitosi o fase M.

In una cellula di mammifero, la fase S richiede circa 10-12 ore mentre la fase M è molto rapida (meno di un’ora) ed è caratterizzata da un veloce susseguirsi di eventi come la condensazione dei cromosomi, la disgregazione dell’involucro nucleare e l’organizzazione dei microtubuli del fuso mitotico finalizzati alla separazione e all’equa distribuzione del materiale genetico e citoplasmatico nelle due cellule figlie.

Le fasi S ed M sono generalmente separate da due fasi definite “gap” G1 e G2 che precedono rispettivamente gli eventi di sintesi e di divisione del DNA. Infatti, il ciclo cellulare

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preceduta e seguita dalle due fasi G è definita globalmente interfase e copre un periodo di circa 23 ore.

Nello specifico, la fase G1 regola la progressione in fase S e quindi l’inizio di una nuova sintesi di DNA, presenta una durata ampiamente variabile in relazione ai segnali esterni ed è responsabile della loro integrazione intracellulare. Se le condizioni extracellulari non sono favorevoli alla proliferazione, le cellule possono uscire dalla fase precoce G1 del ciclo replicativo per entrare in uno stato di quiescenza definito G0, caratterizzato da ridotte dimensioni cellulari e basso livello di attività metabolica. Tale stato è reversibile e presenta durata indefinita e dipendente dalla presenza di stimoli mitogenici, ossia di una condizione extracellulare favorevole alla proliferazione.

L’uscita dalla fase di quiescenza a seguito di stimolo è seguita da una fase G1 mitogeno-dipendente e dal superamento del cosiddetto “punto di restrizione”, un momento in tarda fase G1 oltre il quale la progressione del ciclo in fase S diventa indipendente da qualunque segnale extra-cellulare.

Nonostante alcune caratteristiche varino notevolmente a seconda del tipo cellulare considerato, le cellule eucariotiche hanno sviluppato un complesso sistema di controllo della progressione del ciclo cellulare formato da una serie di proteine molto conservate a livello evolutivo responsabili dell’avvio degli eventi fondamentali di replicazione e segregazione del materiale genetico, del controllo della fedeltà di tali meccanismi e della loro responsività ai segnali extracellulari. Tale sistema monitora ogni fase del ciclo e non permette alcuna progressione prima di averne verificato il completamento e la correttezza.

Un ruolo cruciale nella regolazione del ciclo cellulare degli eucarioti è svolto da una famiglia di serina-treonina chinasi dette chinasi ciclina-dipendenti o Cdk (cyclin-dependent kinases) la cui attività catalitica è ciclicamente attivata grazie alla regolazione positiva dovuta all’interazione con alcune subunità dette cicline, espresse sequenzialmente in momenti precisi del ciclo cellulare.

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La famiglia delle cicline comprende un gruppo di proteine caratterizzate da un dominio di legame con le rispettive Cdks detto “cyclin box” (Ekholm et al. 2001) e da un dominio responsabile della proteolisi della ciclina con un meccanismo ubiquitina-proteasoma dipendente (nel caso della ciclina A e B è definito “destruction box”, nel caso della ciclina E PEST box) (Morgan et al.; 1991).

Le cicline sono quindi sintetizzate in un preciso momento del ciclo e degradate costitutivamente garantendo un’attivazione della relativa cdk solo in quella determinata fase. L’attività chinasica del complesso ciclina-cdk oscilla in dipendenza della presenza della relativa ciclina che dipende a sua volta dalla specifica fase del ciclo cellulare. In altre parole, la ciclina, nel momento in cui è espressa, attiva partners chinasici specifici e ciò si traduce in una fosforilazione di un differente set di substrati target cdk-specifici coinvolti nell’inizio o nella regolazione degli eventi fondamentali del ciclo.

La progressione attraverso ogni fase del ciclo cellulare è quindi associata a differenti tipi di complessi Cdk/ciclina .

Le cicline implicate nella fase G1 sono le cicline D (D1, D2 e D3), che formano complessi cataliticamente attivi con Cdk4 e Cdk6, e le cicline E (E1 e E2), che si associano invece con Cdk2. Complessivamente, le cicline-G1 e le relative CdKs sono coinvolte nella responsività ai segnali extracellulari e nel committment della cellula verso la replicazione del DNA. Le cicline D sono assenti nelle cellule in quiescenza e la loro sintesi è indotta dalla presenza di stimoli mitogenici che provocano l’ingresso in ciclo della cellula stessa. Infatti, la fase G1 è inizialmente caratterizzata dalla formazione di un complesso ciclina D-cdk4/6. In fase tardiva, inizia la trascrizione delle cicline E, i cui livelli diventano massimi durante la transizione G1-S e poi declinano rapidamente durante la stessa fase S.

La fase G1 tardiva è infatti caratterizzata dall’attivazione mitogeno-indipendente del complesso ciclina E-Cdk2.

(20)

La ciclina A inizia ad essere espressa in tarda G1, cresce durante la fase S, raggiunge un picco in profase della fase M e un calo vertiginoso durante la transizione tra metafase e anafase, alla fine della fase M. In fase S/G2, la ciclina A lega Cdk2 e risulta implicata nella

replicazione del DNA e in G2/M si associa a Cdk1, formando il complesso responsabile della

transizione G2-M.

Per completare il ciclo, le cicline B, invece, vengono sintetizzate a partire dalla fase S e formano complessi con il partner catalitico Cdk1. La formazione di tali complessi è necessaria per l’ingresso in mitosi e la loro degradazione segue il suo completamento.

Nonostante l’espressione stadio specifica delle cicline sia il principale determinante dell’attività delle Cdks, esistono ulteriori meccanismi di regolazione di queste attività catalitiche.

Sono state infatti scoperte due famiglie di inibitori delle Cdks (CKI or Cdk inhibitor proteins) con diversa specificità coinvolte soprattutto nel controllo delle fasi G1 e S: la famiglia INK4 (p16, p15, p18, p19 nel modello murino) che inibisce preferenzialmente complessi coinvolti nell’early G1 (ciclina D-Cdk4-6) e la famiglia Cip/Kip (p21, p27 e p57) che è responsabile dell’inibizione specifica del complesso ciclina E-Cdk2 e agisce da scaffold per il complesso cataliticamente attivo ciclina D-Cdk4-6.

Generalmente, tali inibitori agiscono rallentando o prevenendo la progressione della cellula attraverso il ciclo bloccando tali attività catalitiche: la struttura tridimensionale del complesso ciclina-cdk-CKI rivela che l’interazione dell’inibitore provoca un riarrangiamento del sito attivo della chinasi rendendola enzimaticamente inattiva.

Le Cdks possono essere anche regolate da eventi di fosforilazione o defosforilazione, che, a seconda del sito di modificazione, risultano avere un effetto attivatore o inibitore.

(21)

Figura 1.5: Schematizzazione del ciclo cellulare in mammiferi (tratto da Shah and Schwartz; 2001)

1.6 IL COMPLESSO CDK2-CICLINA E

Nei mammiferi, la fase G1 e la sua progressione in fase S rappresentano i punti del ciclo cellulare che principalmente influiscono sulla velocità di proliferazione di una certa popolazione.

In questo periodo, le cicline G1 legano e attivano le relative chinasi ciclina dipendenti formando complessi attivi su specifici target di fosforilazione. Più precisamente, l’inizio della fase G1 è caratterizzata dall’attività di diversi complessi ciclina D-cdk4/6 , responsabili del superamento del punto di restrizione grazie alla fosforilazione di una serie di proteine target tra cui l’oncosoppressore Rb e altri membri della sua famiglia, p107 e p130.

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diminuzione dell’affinità di legame per tali fattori, che vengono rilasciati per promuovere la trascrizione di una serie di geni fondamentali per fase S, tra cui la DNA polimerasi , la dididrofolato reduttasi, la timidina chinasi e la stessa ciclina E.

La tarda fase G1, successiva alla trascrizione di ciclina E, è quindi caratterizzata dall’attivazione mitogeno-indipendente dei complessi ciclina E-Cdk2 che, oltre ad attivare mediante fosforilazione una serie di substrati fondamentali per la fase S, completano l’inattivazione di Rb instaurando un feedback positivo in cui Rb sarà iperfosforilata, permettendo il superamento del punto di restrizione e la transizione completa in fase S (Fig.1.6). I complessi formati da ciclina A e B con le rispettive Cdks attivati successivamente, mantengono Rb nello stato iperfosforilato e inattivo fino alla fine della mitosi.

Come precedentemente accennato, oltre ad essere coinvolto nella fondamentale inattivazione di Rb, i complessi ciclina E-Cdk2 fosforilano altri substrati coinvolti nella fase di duplicazione del DNA: E2F5 e CDC6, coinvolte nel firing delle origini di replicazione del DNA (Arata et al.; 2000); p220pat responsabile della trascrizione degli istoni (Zhao et al.; 2000); nucloefosmina, che controlla la duplicazione dei centromeri (Okuda et al.; 2000); p27, inibitore della stessa Cdk2 coinvolto nella progressione del ciclo. Quest’ultima fosforilazione

Figura 1.6: Ruolo del

complesso CiclinaE-Cdk2 nella transizione G1/S

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avviene sulla treonina 187 ed è fondamentale per la degradazione di p27 e alla completa attivazione del complesso ciclina E-Cdk2.

Tutta questa serie di evidenze sul ruolo critico di tale complesso nella transizione G1/S ha portato ad ipotizzare che sia le cicline E che Cdk2 fossero indispensabili per la progressione del ciclo cellulare. Studi su modelli murini knock-out sia per Cdk2 che per ciclina E hanno invece dimostrato con notevole sorpresa che questi geni non sono strettamente necessari per lo sviluppo e che topi privi per tali cicline o per tale complesso chinasico sono assolutamente vitali e mostrano solo lievi anomalie.

Piu’ precisamente, in assenza di Cdk2 il topo è vitale e ha uno sviluppo e un’indice di sopravvivenza assolutamente normale, ma risulta sterile rivelando un difetto nel ciclo meiotico. Tali risultati dimostrano che Cdk2 è essenziale per la mieiosi, e più dettagliatamente per il completamento della profase della prima divisione meiotica della linea germinale sia maschile che femminile, mentre risulta dispensabile per le normali divisioni mitotiche di proliferazione (Ortega et al.; 2003).

La sorprendente mancanza di un fenotipo rilevante in assenza di un gene che si credeva fondamentale per la proliferazione porta ad ipotizzare la presenza in vivo di meccanismi di vicariamento funzionale probabilmente attuati da altre chinasi-ciclina dipendente, come Cdk4 o Cdk6.

Analogamente, il gruppo di B.Amati (Parisi et al; 2003) contemporaneamente a quello di Siciski (Geng et al.; 2003) hanno caratterizzato topi knock-out per ciclina E1 e per ciclina E2, dimostrando che l’ablazione singola della ciclina E1 o E2 non comporta la comparsa di fenotipi drammatici a causa della ridondanza funzionale dei due geni, che mostrano una similarità amminoacidica molto alta (47% complessivamente e 75% nella cyclin box ) e dei profili di espressione sovrapponibili. C’e’ comunque da ricordare una parziale sterilita’ ritrovata nei topi knock-out per ciclina E2. Diversamente, topi doppi knock-out per entrambe

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bensì a causa di un problema placentare legato al fallimento dell’endoreduplicazione delle cellule giganti del trofoblasto.

L’utilizzo della tecnica di complementazione tetraploide della blastocisti (Geng et al.; 2003), ha permesso di produrre un embrione knock-out associato ad una placenta wild-type: in questo modo, Geng e collaboratori sono riusciti a caratterizzare i difetti intrinseci dello sviluppo in assenza delle due cicline E.

Gli embrioni recuperati mostrano gravi malformazioni cardiache derivanti da difetti nella formazione del setto atrio-ventricolare e dell’arteria polmonare e aortica. Cio’ indica che la ciclina E e’ indispensabile per il normale sviluppo dell’endocardio ventricolare e delle strutture associate. A parte tale anomalia specifica, pero’, l’embrione non mostra alcuna anormalita’ in altri compartimenti, evidenziando che la maggior parte dello sviluppo embrionale può avvenire in modo indipendente da ciclina E, che quindi risulta non necessaria per i normali cicli mitotici embrionali probabilmente a causa di una sostanziale ridondanza genica tra le varie cicline, ma è essenziale per il processo di endoreduplicazione, caratterizzato da ripetuti cicli di sintesi di DNA senza alcuna divisione mitotica.

Il fenotipo del topo doppio knockout per le due cicline E mostra alcune caratteristiche particolari relative alla proliferazione in vitro, osservabile in colture di fibroblasti embrionali murini (MEF, Murine Embryonal Fibroblast) derivati dall’embrione allo stadio E13.5. In assenza di ciclina E, infatti, le cellule presentano una proliferazione normale in condizioni di ciclo cellulare continuo, ma non riescono a rientrare in ciclo partendo da uno stato di quiescenza (G0). A livello molecolare, è stato dimostrato che nel rientro in ciclo dalla fase di

quiescenza la ciclina E è criticamente coinvolta nell’assemblaggio dei complessi di pre-replicazione del DNA: essa riesce infatti ad interagire sia con CDT1, un fattore costitutivamente presente a livello di tali complessi, che con MCM, un’elicasi necessaria per il processo di replicazione. Grazie a questa doppia interazione, la ciclina E riesce a facilitare l’incorporazione di MCM nel complessi di pre-replicazione e quindi l’inizio stesso del

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processo replicativo. Osservazione non trascurabile è che il controllo dell’entrata in ciclo da parte di ciclina E1 e’ indipendente dal pathway Rb-E2F (Geng et al.; 2007).

Un’altra particolarità osservabile in vitro riguarda la suscettibilità alla trasformazione oncogenica: la trasfezione di varie combinazioni di coppie di oncogeni, tra cui c-Myc e Ras, rivela una sostanziale resistenza alla trasformazione suggerendo un possibile ruolo come target terapeutico per il trattamento del cancro (Geng et al.; 2003).

E’ importante sottolineare che nel topo knock-out per Cdk2, partner catalitico della ciclina E, non è stata riscontrata alcuna anormalità né nello sviluppo placentare né nel rientro in ciclo dopo la quiescenza né nella suscettibilità alla trasformazione oncogenica: ciò apre il campo ad una serie di speculazioni su funzioni di ciclina E indipendenti da Cdk2 e probabilmente indipendenti da CDKs in generale (Robert and Sherr, 2003).

Accanto al ruolo canonico di ciclina E in associazione con Cdk2 relativo al superamento del punto di restrizione e all’ingresso in fase S emergono quindi una serie di funzioni non note e indipendenti da chinasi che sembrano confermare il contributo di tale ciclina alla regolazione della proliferazione e dell’ingresso in ciclo, evento importante per l’omeostasi tissutale soprattutto in quelle popolazioni prevalentemente quiescenti (Fig.1.7).

Figura 1.7: Funzioni

specifiche ipotizzate di Ciclina E e indipendenti da cdks ( tratto da Zhang , 2007)

(26)

1.7 LA PROLIFERAZIONE NEL COMPARTIMENTO STAMINALE

EMATOPOIETICO

Il controllo della proliferazione cellulare e la sua flessibilità in risposta alle esigenze risulta essere alla base del funzionamento corretto del compartimento staminale ematopoietico.

Una caratteristica assolutamente significativa all’interno della gerarchia del sistema ematopoietico è l’indice di proliferazione: circa il 75% delle HSC sono in stato quiescente, mentre la loro progenie progressivamente mostra la perdita delle proprietà staminali di self-renewal e multipotenza contemporaneamente ad un’uscita dalla fase di dormienza seguita da un notevole incremento della proliferazione (Weissman et al.;1999).

Inizialmente, lo stato di quiescenza delle HSC è stato studiato mediante approcci in vivo in cui è stata dimostrata la resistenza a farmaci chemioterapici come il 5-fluorouracile o l’idrossiurea che hanno come target selettivi le cellule ciclanti. Inoltre, è stato osservato come le HSC mostrano una ritenzione di marcatori di DNA come BrDU o il H2B-EGFP per lunghi periodi (Weissman et al.; 2001).

E’ ormai ampiamente accettato che lo stato di quiescenza è funzionale alla staminalità stessa, al suo mantenimento nel tempo e alla protezione del pool staminale da insulti mielotossici e dall’esaurimento prematuro del compartimento rigenerativo dovuto a stress (Cheng, 2000). In primo luogo, limitando il numero di divisioni a quelle strettamente necessarie, le HSC limitano gli errori dovuti alla nuova sintesi di DNA: eventuali mutazioni infatti risulterebbero assolutamente dannose in quanto stabili e continuamente amplificate dalle cellule amplificatrici di transito.

Inoltre, dato che l’eccessiva proliferazione porta all’esaurimento della funzionalità staminale, la quiescenza è una modalità per preservare nel tempo lo stesso pool di staminali.

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Infatti, sebbene considerate immortali, le HSC presentano dei limiti che spesso emergono in condizioni di stress frequenti: per esempio, dopo una serie di trapianti seriali in cui un certo numero di HSC è sottoposto allo stress di dover ripopolare una serie di sistemi letalmente irradiati, si verifica un graduale declino fisiologico della loro efficienza di ricostituzione fino ad un completo esaurimento di tale attività.

Questa serie di osservazioni porta a credere che le LT-HSC quiescenti contribuiscono in modo limitato alla normale omeostasi del sistema ematopoietico ma si comportino come una sorta di pool di riserva che puo’ essere riattivato in risposta a stress o danno.

In altre parole, se in condizioni omeostatiche le HSC entrano in ciclo raramente per garantire l’integrità e il mantenimento del compartimento mediante la produzione costante di progenitori che provvedono al turnover giornaliero del sistema, in condizioni in cui è necessaria una rigenerazione tissutale, come in seguito ad uno stress ematologico come un trattamento mielotossico, entrano massivamente in ciclo e tramite self-renewal si espandono drammaticamente in modo da ricostituire il pool staminale eventualmente danneggiato e l’intero sistema.

Questo peculiare comportamento proliferativo del compartimento staminale in relazione alle necessità dell’intero sistema di ripristinare un equilibrio richiede un fine controllo del ciclo cellulare e della sua progressione, che quindi influisce profondamente sulla regolazione di eventi di self-renewal e differenziamento.

1.8 LA REGOLAZIONE DEL CICLO CELLULARE NEL

COMPARTIMENTO EMATOPOIETICO

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quiescenza (fase G0), per un 20% in fase G1 e per il rimanente 10% nelle fasi S/G2/M, mentre

le sottopopolazioni ST-HSC e MPP mostrano un progressivo decremento della frazione quiescente (60% e 50%, rispettivamente) in favore di un aumento di quella in ciclo.

Studi di proliferazione in vivo basati sull’analisi dell’incorporazione di BrDU hanno confermato che le LT-HSC sono caratterizzate principalmente da uno stato di quiescenza per cui, a 24 ore dalla somministrazione, solo il 25 % dell’intera popolazione risulta essere positiva per l’incorporazione di BrDU, quindi in ciclo. ST-HSC e MPP presentano cinetiche di incorporazione molto più rapide, per cui nelle stesse condizioni si osservano percentuali di positività doppie.

Occorre però precisare che, nonostante la quiescenza sia lo stato dominante delle LT-HSC, una frazione di tale popolazione è attivamente in ciclo al fine di produrre cellule con indici di proliferazione molto maggiori (ST-HSC e MPP) e che, come osservato da Weissman (1999), non sembra esistere alcun subset all’interno della popolazione LT-HSC che rimanga dormiente per lunghi periodi e in modo asincrono il 99% della popolazione entra in ciclo in un periodo di 6 mesi. E’ stato stimato che, in un midollo normale in steady state, una LT-HSC entri in ciclo una volta ogni 4-8 settimane e che la durata media del suo ciclo completo sia di circa 3 giorni.

A livello molecolare, la popolazione LT-HSC in condizioni omeotiche mostra alti livelli della maggior parte degli inibitori dei complessi Cdk-ciclina, soprattutto p57 e p21, e bassi livelli di tutte le cicline, soprattutto ciclina E1, probabilmente maggiormente coinvolti nel controllo della proliferazione. Il differenziamento in ST-HSC e MPP è accompagnato da un decremento di almeno 4 dei CKIs (p16,p18,p27 e p57) con il recupero parziale della trascrizione relativa a E2F, soprattutto per la ciclina A2. E’ inoltre stato suggerito da alcuni profili di espressione (Passeguè et al., 2005) che le cicline D controllino in qualche modo alcuni processi staminali: il differenziamento delle HSC è associato specificatamente all’ incremento dell’ espressione della ciclina D1, mentre il self-renewal sembra non mostrare

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tale associazione; il lineage mieloide correla con l’ induzione della ciclina D2, mentre quello linfoide associa con la ciclina D3 (Fig.1.8).

Come anticipato, lo stress ematologico comporta un cambiamento dell’indice di proliferazione per cui le HSC abbandonano il loro stato di quiescenza per entrare in ciclo ed espandersi fino a 10 volte rispetto alla popolazione iniziale. Trattamenti con ciclofosfammide combinata a GCSF o con 5-Fluorouracile comportano una massiccia uscita dallo stato di quiescenza seguita da incredibile aumento del self-renewal accompagnato da una notevole mobilizzazione delle HSC nel compartimento periferico.

L’analisi del ciclo cellulare rivela un profilo in cui è evidente un rapido ingresso in ciclo delle HSC, che mostrano una cinetica di incorporazione di BrDU quasi quattro volte piu’ rapida rispetto al controllo non trattato, con una percentuale di cellule ciclanti in S-G2/M del

35 % .

Quando le LT-HSC abbandonano lo stato quiescente per entrare in ciclo e precisamente in G1

accadono due eventi critici: in primis si verifica la perdita temporanea dell’efficienza di ricostituzione a lungo termine in vivo, mantenendo un identico potenziale differenziativo in vitro; in secondo luogo, si verifica una riorganizzazione dei componenti regolatori del ciclo cellulare che risulta critico per l’ esito stesso delle divisioni (self-renewal/differenziamento). La motivazione che lega la quiescenza all’efficienza ricostituiva è probilmente legata all’abilità delle HSC quiescenti di popolare (engraftment) la nicchia di topi recipient letalmente irradiati: le cellule staminali in ciclo, infatti, non mostrano difetti proliferativi o differenziativi intrisechi, né maggiore suscettibilità apoptotica, bensi’ una scarsa capacità di migrare e posizionarsi nel midollo probabilmente legata a difetti di adesione o migrazione. La modulazione del ciclo cellulare, quindi, incide drammaticamente sulle funzioni staminali, come sull’ engraftment o sul mantenimento dell’ efficienza di self-renewal, ed è effettuata in modo complesso.

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Figura 1.8: Schema riassuntivo degli indici di proliferazione, del ciclo cellulare e dello stato dei componenti

regolatori del ciclo cellulare nelle differenti popolazioni del compartimento ematopoietico ( tratto da Passegue’ et al. 2005)

Il mantenimento della quiescenza, per esempio, è il frutto dell’azione concertata di alti livelli di CKIs con l’ espressione predominante di complessi p130-E2F4, responsabili della repressione trascrizionale della maggior parte dei geni coinvolti nella progressione in fase S. Ciò preclude l’accumulo di alti livelli di cicline, limitando la proliferazione, ed è in linea con

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i fenotipi risultanti dal knock-out di CKIs: topi p21-/- o p18-/- presentano una ridotta percentuale delle HSC in quiescenza che si accompagna ad una maggiore suscettibilità all’ esaurimento del compartimento staminale in condizioni di stress, evidenziato mediante trapianto seriale o somministrazione ripetuta di 5-FU (Cheng et al.; 2000 Yuan et al.; 2004).

Figura

Figura  1.1: Regolazione intrinseca ed estrinseca del
Figura 1.2 :  Sviluppo del  sistema ematopoietico in topo  (tratto da Hematopoiesis: an  evolving paradigm for stem  cell biology; Orkin, Cell,  2008)
Figura 1.3: Organizzazione
Figura 1.3: Schema dell’organizzazione
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