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CAPITOLO II PRESA DIRETTA, IMPRONTA DIRETTA / TESTO-SUONO, TESTO-IMMAGINE

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Academic year: 2021

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CAPITOLO II

PRESA DIRETTA, IMPRONTA DIRETTA /

TESTO-SUONO, TESTO-IMMAGINE

2.1.

INTRODUZIONE: FORMA E PENSIERO

“Un film è fatto di sentimenti: se non è «materializzazione di sensazioni trovate» (Cézanne) allora non esiste. La vera differenza che qualifica il lavoro artistico rispetto agli altri sta nel trovare l’equilibrio tra la forma e il pensiero, arrivando gradualmente al punto, con molta pazienza, in cui nessuno dei due termini preceda l’altro”1: così spiega Danièle Huillet, ricollegandosi al procedimento pittorico di Cézanne, ma potrebbe riferirsi anche alle riflessioni di Arnold Schönberg2 riguardo alla composizione musicale, che qualche volta, durante le prove in teatro per la preparazione del film, i due autori di cinema ricordano agli attori proprio nei momenti in cui “scappa la pazienza”3. Quello del rapporto fra la forma ed il pensiero come punto di equilibrio da trovare, e di “sussistenza” di questo rinnovamento in una loro unione nel lavoro artistico è il fondamento anche di tutto il loro metodo di creazione filmica: infatti quando si pensa ad un adattamento cinematografico generalmente per la trama di un libro e la sua “resa” in un intreccio filmico, alle varie situazioni di costume, alle ricostruzioni del set, implicitamente a tutte quelle variazioni possibili che quasi certamente il film apporta per “facilitare”, per non “annoiare”, non si pensa quasi più alle altre possibilità che la creazione cinematografica può dare, e che la scrittura letteraria possa trovare nel film un suo spazio-tempo per essere rappresentata direttamente.

Un film a soggetto non originale sembra forse una cosa più semplice e meno impegnativa da fare, ma non è appunto mai una facilitazione per la trama del film questo tipo di “adattamento”, che va a fare di un’intera opera, o di alcune sue parti selezionate e magari giustapposte, materiale diretto per la costruzione filmica; infatti se tutti i film sono solo parzialmente un adattamento dell’opera in questione della quale spesso si “naturalizzano” le tracce, nei loro film possono diventare lampanti

1

Danièle Huillet, in “Straub-Huillet cineasti italiani”, intervista a cura di Adriano Aprà e Piero Spila, 18 aprile 2001, ora in “Il cinema di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet”, a cura di Piero Spila, Bulzoni, Roma, 2001, pag. 25;

2

L’opera di questo musicista ha “provocato” due film degli Straub che sono la messa in scena di due sue opere musicali ed un cortometraggio basato sopra un suo brano musicale e alcune sue missive;

3

“Non aspettatevi che la forma nasca prima del pensiero. essa infatti arriverà contemporaneamente”, Straub cita questa frase di Schönberg anche nel corso dell’intervista “Straub-Huillet cineasti italiani”, a cura di Adriano Aprà e Piero Spila, 18 aprile 2001, ora in: “Il cinema di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet”, a cura di Piero Spila, Bulzoni, Roma, 2001, pag.213.

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proprio i punti di scontro e quelli di fusione tra la materia delle opere e la materia necessaria allo strumento del cinema: se non si cerca l’uniformità, l’omogeneità, la trasparenza cha hanno fatto sempre il “bel” film e il “bravo” regista, l’incontro con l’opera altrui, diviene un’occasione per cui il progetto filmico in questione può non soggiacere né al cinema né alla propria idea di esso, ma essere un nuovo contributo per ricreare su un supporto aperto, nel senso di immediato, quale lo strumento cinematografico è, sia attraverso quella materia sia per le idee e visioni che da essa provengono e che entrano nella costruzione della messa in scena, con la consapevolezza diversa che è tutto quest’insieme di scelte che porterà al complessivo testo filmico. In questo contributo che il cinema può essere, c’è il riconoscimento che la settima arte deve mettersi in relazione con chi ha portato le arti precedenti al loro stesso sviluppo, con le loro opere stesse, che la potenza del cinema non può essere l’occultamento di chi ha speso la propria vita lavorando a fondo con altri mezzi di creazione, e che un regista di cinema ha sempre in mano uno strumento che vede ed ascolta, che fa vedere ed ascoltare, proprio ciò che dunque si connatura con la possibilità di raddoppiare la realtà, di lavorare con la sua ambiguità intrinseca stessa e poterla portare nell’esplorazione delle opere di creazione insieme ad altri impianti di rappresentazione; alla base di un film può anche non esserci niente di più, e ciò può essere molto: tutto questo sembra attinente al procedimento realizzativo nel metodo Straub-Huillet.

Nella pratica necessaria ad ogni film questo diviene anche una sorta di sfida: scelta un’opera, è possibile selezionare degli elementi da questa, o riconoscergli un’integrità intoccabile; si tratta sempre di vedere come dargli un’esistenza cinematografica, dove porta più o meno in modo stringente e costrittivo, anche per la stessa immaginazione, a che cosa rimanda direttamente, e più o meno esplicitamente; di cos’altro ci può essere bisogno, e che cos’altro può dunque succedere nel film se altri elementi verranno aggiunti. Gli Straub riconoscono il frapporsi alla realtà nel procedimento di creazione filmica, attraverso dei piccoli apporti personali della propria immaginazione, a vantaggio di uno sviluppo del reale compresente ad ogni scelta e dentro ad ogni “blocco” di materia cinematografica.4 Il cinema può così riportare “in vita” gli “effetti” di questi lavori preesistenti, la loro lungimiranza, la classicità che rappresentano nel loro essere imperituri e nel poter contribuire, partecipare a questo incontro con l’istante cinematografico, con lo strumento che ha fatto della replica analogica della realtà il suo oggetto-soggetto; tutte queste opere, grazie al loro lavoro, entrano vive nel cinema, ne fanno la sua materia, fisicamente, sono le reali forze su cui

4

Nel film di Pedro Costa “Où gît votre sourire enfoui?”, che documenta il terzo montaggio diSicilia!, fatto nell’ istituto d’arte del Fresnoy vicino a Lille, queste “due scuole” di attitudini realizzative molto diverse con il cinema, cioè dell’uso di una piccola o di una grande immaginazione soggettiva e personale rispetto al lavoro con la realtà, e che si frappone comunque ad essa attraverso gli strumenti filmici, viene spiegata accuratamente, e, durante il film stesso non mancano esempi di realizzatori, che, anche se con risultati diversi, gli Straub riconoscono vicini al loro stesso metodo “di scelta piccola”, per esempio Chaplin, Mizoguchi, e altri; Pedro Costa, “Où git votre sourire enfoui?”, Portogallo-Francia, 2001.

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lavorare per farle ridivenire in un film : ma appunto per questo ci vuole molto tempo da quando si prova a riaprire un’opera e la si ricerca per poi poterla ricomporre con lo strumento cinematografico, attraverso una materia diretta che abbia “pazientato” al punto da poter essere arrivata simultaneamente nel pensiero e nella forma.

Così nel costituirsi stesso di un preciso metodo per la rappresentazione filmica, gli Straub continuano, un film dopo l’altro, a portare all’interno dell’opera cinematografica l’ evoluzione massima della stessa tecnica del cinema e l’uso delle sue radici molto profonde che vengono di solito rimosse dalle produzioni cinematografiche, nelle quali quelle radici non arrivano a poter portar linfa per costituirsi parte negli stessi procedimenti e quindi nella materia stessa del cinema e degli audiovisivi diffusi e distribuiti abitualmente. Il loro lavoro è anzi la dimostrazione che si può ancora cercare di usare questo mezzo, appunto letteralmente come medium, mettendolo quindi al centro di uno scambio vicendevole di attenzioni, considerando questa azione con un grande senso di responsabilità: rispetto a ciò gli ha dato l’impulso alla lavorazione per la messa in scena, con chi lavora alla realizzazione di questa, e, soprattutto, per le scelte compiute durante tutta la lunga preparazione del film che gli permettono una raccolta di materiale filmico pressoché senza manipolazione all’interno del processo post-produttivo, escluso naturalmente il taglio dato al materiale raccolto nel montaggio, e un minimo aggiustamento nel mixaggio sonoro e nella scala cromatica e di contrasto nella stampa del negativo della pellicola (un processo post-produttivo che resta quindi riconducibile essenzialmente al solo lavoro di osservazione e di scelta nell’editing in moviola). Questo è un risultato che si ottiene quando si è già tentato di “lavorare insieme” a chi presterà attenzione a sua volta a tutta questa materia, a film concluso, durante la sua proiezione.

Con il cinema di Danièle e Jean-Marie Straub siamo così, in un certo senso, agli antipodi dall’ “ispirato da” ma anche dal “liberamente tratto”, da tutte queste facili prede5 che il cinema ingloba per un’apparente imprescindibile necessità di avere una storia da raccontare, una trama da offrire ad ogni “costo di svendita” della sua stessa materia: evitare il naturalismo, e ogni procedimento identificativo-illusorio, poter lavorare ancora con un procedimento che fa uso e rende evidente allo spettatore la stessa capacità mimetica del cinematografo, sia attraverso la sua possibilità di essere forma di un racconto orale sia con la sua possibilità “simulativa” di rappresentazione, e dove questi due estremi sono messi in scena insieme e creano da un film all’altro i diversi punti di fusione e differenziazione, combinazioni uniche che volta per volta sono evidenti e percepibili per lo spettatore nella possibile soluzione che vanno ad essere nella materia filmica stessa. Se nei film “che piacciono molto” ci sono perlopiù delle narrative romanzesche

5

“Bisogna far sentire che per l’illusione di catturare una preda non abbiamo più che l’ombra della nostra vita, e di come si potrebbe viverla”, dice Jean-Marie Straub nel corso di una video intervista di Armando Ceste. A. Ceste, “La resistenza nel cinema”, Italia, 1993.

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portate avanti su una psicologia di identificazione (anche quando raccontano la Storia) con una suggestione spettacolare ampiamente estetizzata, tecnicamente parlando, ciò rappresenta dei veri divieti all’uso delle tecniche dirette e di libertà nella composizione di un film, sia per quello che riguarda lo strumento cinematografico in sé, sia per i suoi tempi di produzione, di ritmo e di durata del film stesso, fino ad arrivare alla possibilità di controllo nella scelta nella troupe di lavorazione, degli attori, dei luoghi di lavorazione: cioè tutti gli obblighi (di corrispettivi divieti) che hanno oramai raggiunto un’applicazione pressoché assoluta. Il loro metodo di lavoro denuda “a crudo” tutto ciò che si pensa indispensabile dall’apparato produttivo del cinema, anche come una costruzione ideologica da smascherare, che è illusoria ed inutile di fronte all’uso che si può fare degli strumenti cinematografici: infatti nelle produzioni cinematografiche abituali dell’integrità originaria di un’opera letteraria, un romanzo o un racconto, ne viene “calcolata” la possibile idea narrativa per la “storia del film”, la sua trama appunto, si viene così di solito a disintegrare la sua reale possibilità di riuscire a farla partecipare alla struttura del film come materia testuale e a renderla quindi visibile e udibile quale elemento di produzione all’interno del materiale diretto costitutivo del film stesso. Se non si rendono percepibili e nette la scelte compiuta sulla materia testuale originale stessa, non percepibili saranno poi le tracce della stessa attraverso la forma che questa acquisisce durante la sua lavorazione e la preparazione di mesi e che dura fino all’imminenza del lavoro con il cinematografo. Cercherò di occuparmi della resa visibile di tutto questo, essendone stato coinvolto direttamente in questi film, attraversando di nuovo questo loro metodo che segna un grande distacco sia dal procedimento naturalistico illusorio-identificativo del cinema narrativo che cerca nel verosimile filmico il proprio “effetto di realtà”, ma al contempo anche dall’estrema formalizzazione sintattica dei procedimenti “stranianti” di molto cinema sperimentale. Qui si ha piuttosto la possibilità di vedere e sentire nel film ciò che viene costruito attraverso una graduale precisione dentro ad un percorso che è fatto in modo da poter essere ritrovato: è quindi una configurazione di elementi non occultanti le tracce di lavorazione dietro alle scelte compiute, dove stanno tutta la serie di ipotesi che sono state verificate ripetutamente “dal vero” nei diversi ambiti operativi della costruzione filmica stessa, che infine, con loro diviene sempre una combinazione molto precisa di questo insieme di scelte dirette e che si ripercuotono nell’effettualità della realtà filmica per lo spettatore. L’istante cinematografico cerca di stare nell’istante della vita con il cinema degli Straub, questa mediazione vicendevole con fatti filmici può così tentare di essere un’esperienza del reale vissuta attraverso la precisione dello strumento cinematografico che va a così a riguardare una parte importante, almeno storicamente, della vita stessa e della società, cioè quella dello sviluppo delle forme di rappresentazione del linguaggio e delle arti, a cui il loro cinema dona, un film dopo l’altro, fra un film e l’altro, un’occasione in più e nuova, proprio dove il loro

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metodo sembra essere piuttosto una modalità per stabilire delle regole di gioco entro le quali il film può avviare la sua partita con lo spettatore che è finalmente libero di accettare questa apertura ad una “sfida” cinematografica e di giocarsela a sua volta, forse in uno dei modi più leali che il cinema abbia mai avuto di intrattenersi con il suo “giocatore”.

Se quindi spesso il cinema degli Straub viene definito come una materia resistente, questo si origina sulla consapevolezza di una scelta compiuta attraverso, come abbiamo detto, un materiale che è già storicamente completo, e la capacità di saper far discendere nuova materia cinematografica da queste forme “vecchie” che come materiale classico e tradizionale chiedono “implicitamente” la loro continuità e il loro rinnovamento in un nuovo presente. È quindi una sicura presa di posizione attraverso un’“esplicitazione” di questo il modo di usare il cinema degli Straub attraverso opere letterarie, musicali, teatrali, pittoriche, e con tutti i tipi di documenti che possono costituire anche molto del materiale che entra nel film, che può stare anche insieme alla materia cinematografica che ritrova invece la sua forma sur nature con la loro produzione; ma tutto questo appunto avviene in un modo che non è mai stato favorito: quello della trasposizione di opere attraverso il cinematografo che sia al contempo un atto di manifestazione dell’opera che si va a mettere in scena da una parte, e radicato nell’uso diretto e non edulcorato del suo apparato tecnico dall’altro. Il lavoro filmico di Danièle e Jean-Marie Straub offre ancora la possibilità di non continuare nella censura dell’antico legame tra la natura, la vita stessa e le varie forme di rappresentazione create dall’uomo, ma di farle riemergere attraverso il cinema nella natura stessa attraverso la ricerca del suo originario e più ampio rapporto con la cultura e che riconosca in questa accezione l’intesa necessaria nell’uso del mezzo cinematografico con la stessa scoperta progressiva di un metodo di lavoro, per poter esperire appunto delle forme di vita reali, dei fatti filmici sviluppati in modo da non occultare più che “la questione del progresso tecnico del cinema è strettamente connessa a quella dell'opportunità di girare la vita reale. Tutti quelli che sono favorevoli a questa tendenza, alla «fissazione» dei fatti reali e che sono contrari all'infatuazione per il film di tipo comune, si battono per questo progresso tecnico. In ogni film, sia esso di tipo comune oppure scientifico, si riscontra sempre un materiale di duplice natura. Da un lato, alla base del film troviamo certi oggetti o avvenimenti reali, dall'altro un'aggiunta di elementi « messi in scena».”6

2.2.

3, 4 FILM

6

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In francese découper significa tagliare, ritagliare, ma figurativamente anche stagliarsi: questo è un secondo significato che sembra particolarmente appropriato per il lavoro cinematografico di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet fatto attraverso una attenta costruzione figurativa di inquadrature molto precise, la cui durata all’interno del ritmo temporale del film permette effettivamente allo spettatore di rilanciarsi su esso con la stessa intensità di attenzione usata nella sua costruzione, e di percepire sempre quindi questo stagliarsi di forme e suoni delle loro messe in scena cinematografiche (non c’è mai una sovrapposizione di materia filmica, la materia diretta porta ad una continua unificazione nella colonna visiva e sonora, dove, anche se ognuna viene scelta e lavorata anche a sé, ogni “blocco di materia” costituisce linearmente ogni inquadratura). Il dècoupage è nella sua completezza una scaletta tecnica, la prefigurazione della successione delle inquadrature, introduce e prepara il film finché la pellicola non entra direttamente nell’ambito produttivo, è un film “scritto” sulla carta; infatti molti, non gli Straub, tentano anche di disegnarlo, di creare uno story-board, ulteriore elemento che ne comprova la differenza di materia originaria del cinema, la grande innovazione della sua matrice fotografica rispetto e nei confronti del disegno e dalla grafica, materie, queste ultime, su cui la produzione audiovisiva digitale sembra oggigiorno tornare a fondarsi creando una matrice ibrida che ha quasi perduto completamente sia il fondamento chimico-fisico del procedimento fotografico che la visione “ottica” del cinema principalmente utilizzata verso l‘esterno. Il dècoupage tecnico degli Straub è la guida al film stesso prima che si inizi a “metterlo” sui suoi supporti veri e propri, visivi e sonori; è quindi essenzialmente un piano di lavoro che, a seconda dei suoi dettagli più o meno particolareggiati (variabili da découpage a découpage), rappresenta già dove e come e con chi la struttura necessaria alla realizzazione del film stesso collocherà le sue fondamenta, essendo il dècoupage il lavoro già svolto al gettito di queste e comunque rendendole visibili in un progetto filmico scritto completo che è già di analisi, che va a servire sia per essere eseguito direttamente, sia per ogni possibile successiva verifica che può intercorrere dalla sua stesura al campo di ripresa filmico.7

I découpages degli Straub quindi, non solo sono naturalmente precedenti al lavoro sul campo, sul set del film, ma essi sono già molto precisi, tranne rare eccezioni, già completi ed esatti come degli shooting scripts, e questo ancora prima dell’inizio del lungo periodo di preparazione degli attori e della loro produzione “re-citativa”. Ed è proprio questo tempo di lavorazione che precede il film vero e proprio a divenire già una graduale e prolungata verifica “visiva e sonora” anche del découpage stesso, nello sviluppo di un assestamento figurativo di posture, gesti e sguardi degli attori che si traduce mano a mano, da quella struttura solo delineata sulla carta, all’interno di

7

La sceneggiatura è importante nella costruzione del film, ed anche come elemento di produzione, con una sua possibile autonomia: ad esempio con una sua edizione a stampa diviene uno strumento di scrittura e di cultura tecnica del cinema (come succedeva molto più frequentemente prima della massiccia diffusione degli audiovisivi).

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distanze spaziali e ritmi temporali reali che fanno gradualmente fronte a quei punti di vista già pronti e alle parole di un testo prima di allora esistenti in una rappresentazione progettuale cartacea: la situazione diviene operativa costituendo così il materiale reale che sarà allora “sulla strada del film” al momento della ripresa vera e propria. Inoltre il momento dell’azione nella ripresa cinematografica si caratterizza nel metodo degli Straub come un’ulteriore apertura del lavoro svolto direttamente nel reale che è contingente al momento realizzativo vero e proprio: è quindi da un lato la ripresa del lavoro che nasce in alcuni mesi di preparazione, ma che dall’altro va ad incontrare sul set un ambiente reale che vi partecipa completamente e la suddivisione del lavoro per singole inquadrature, divenendo la raccolta cinematografica di un’azione che eccede sempre la sua stessa preparazione e che viene in quel momento stesso in un certo senso messa alla “prova”, nelle abitudini acquisite dagli attori fino a quel momento i quali sono immersi in una situazione nuova e senza la continuità che ha caratterizzato il loro stesso lavoro fin lì8.

Esiste quindi già lì sulla carta del découpage l’uscita delle idee della scrittura dalla sua natura letteraria (se di opere letterarie si tratta come nel caso di Elio Vittorini) e la “sfida “ di una sua raccolta e di un loro successivo rilancio nella messa in scena cinematografica del film a venire: completare un découpage è quindi anche un suggello che si riesce a mettere nei loro vicendevoli confronti, prima dell’inizio della lavorazione vera e propria; e questo modo di creare un découpage con opere preesistenti trovandovi un possibile percorso che arrivi, mano a mano, attraverso lo studio stesso del lavoro che si vuole mettere in scena, è certo diverso da ciò che di solito viene pensato come “libero” percorso nella scrittura di un film “a soggetto originale” (quel percorso, ormai sempre più da manuale, anche per la “leggerezza” delle attrezzature necessarie all’ottenimento del materiale audiovisivo, che vede una progressione di scrittura del film dal soggetto alla scaletta e infine alla sceneggiatura). Il loro découpage può essere identificato meglio con una scaletta tecnica, che seppur diversa da un film all’altro, comunque riproduce già il limite oggettivo preciso di un’analisi della composizione del film, nell’individuazione della suddivisione delle varie sequenze (e delle loro parti, dei possibili sotto-segmenti delle stesse) o “movimenti”, come spesso vengono denominate nei loro découpages, le quali costituiscono nell’insieme la prima grande struttura compositiva dell’intero film, con la specificazione progressiva dei suoi “diversi momenti” e dei luoghi per la loro ripresa (come vedremo, per questi tre fìlm, si ha una forte dipendenza della divisione in sequenze dallo spazio del film rispetto ai personaggi e al loro testo9). All’interno di

8

Questo è particolaremente vero per questi film girati a Buti che hanno avuto anche una rappresentazione teatrale, ma anche gli altri film sono sempre stati caratterizzati da una preparazione molto accurata che è durata, come perLa morte

di Empedocle, anche un paio d’anni.

9

Questo è molto interessante per un metodo cinematografico che si relaziona direttamente agli altri impianti di creazione, ad opere musicali, di teatro, di poesia, e di pittura che creano di volta in volta “precedenze” spaziali o temporali o anche semplicemente testuali nelle esigenz pratiche della loro messa in scena.

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queste stesse divisioni, sequenza per sequenza, abbiamo poi la loro precisa composizione per inquadrature che si delineano, una per una, con chi, cosa, e come verrà ripreso: nella colonna sinistra del foglio, quando il découpage è già stato dattiloscritto da Danièle Huillet10, attraverso il tipo di campo o di piano che costituirà l’inquadratura stessa: spesso con una sua descrizione figurativa (anche nella posizione degli attori), e con punti di riferimento nella sua costruzione molto precisi, qualche volta specificando solo una sua qualità particolare, altre volte con delle note descrittive per la posizione della mdp; e questo naturalmente assieme alla porzione del testo (se presente) riprodotto nella colonna destra del foglio, con l’individuazione dei possibili personaggi e delle loro voci da dentro e da fuori il campo di ripresa.

A questo découpage già formato, seppur sotto verifica continua, il lavoro di preparazione, come già detto, aggiungerà la grande e prolungata lavorazione del testo con gli attori, le loro posture nello spazio ed i rapporti che in quello stesso si creano tra i vari attori (e qualche rara volta le prove si fanno già nello spazio scelto per la ripresa filmica, ma queste resta sostanzialmente estraneo alla preparazione degli attori): la loro postura, i loro sguardi, i possibili gesti ed azioni, ed infine, sul campo all’inizio delle riprese per ogni postazione, si aggiungerà l’altezza, l’angolazione e la distanza fisica e focale precisa della macchina da presa; sono queste infatti le vere indicazioni di passaggio ad una fase successiva e pratica della lavorazione filmica. Il luogo stesso delle riprese è quindi per quest’ultima esigenza imprescindibile nella sua stessa costruzione, e resta il fondamento dell’intera struttura figurativa del film che, alla fine, è una precisa combinazione che nasce sempre progressivamente dal rapporto fra il testo, gli elementi della messa in scena e come l’impianto tecnico degli stessi strumenti del cinema li mettono in relazione con lo spazio e il tempo (anche meteorologico nel loro caso) reali. Si sa, già dal découpage stesso, che gli autori conoscono i luoghi del film, e che non solo li siano già andati a cercare e li abbiano quindi già scelti, proprio per continuare ancora a conoscerli e a lavorare con essi nella specifica situazione della messa in scena, fino ad ottenere in quello stesso spazio le corrispondenze necessarie alle esigenze filmiche in un assestamento quasi definitivo, e anche per tutto ciò che è ancora imprevedibile e che lì può ancora succedere, come nuovo possibile apporto del caso nel suddetto raggiungimento dell’unione di forma e pensiero, dove anche l’unicità del reale rilancia la possibile sorpresa sulla stessa preparazione alla ripresa mentre diviene veramente materia filmica, e dove il limite della misura e dell’ordine imposto alla lavorazione può essere ad un passo dall’irrazionale, e forse provocare la manifestazione di ciò che è ancora imprevedibile. È tutto questo che nell’azione della ripresa del film può succedere, che si vede e si sente quindi, volta per volta, in “combinazione precisa”, quando

10

In appendice sono riprodotti i tre découpages dei film: i due dattiloscritti diSicilia! e Umiliati, e quello manoscritto di

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ogni montaggio è fatto, e un film è pronto, e la sua realizzazione può così dar luogo, oltre che alla sua proiezione, anche ad una verifica conclusiva con il découpage stesso.

Questo è ciò che tenterò di spiegare ripercorrendo la realizzazione di questi tre film tratti da Elio Vittorini, avendo avuto la possibilità di osservare direttamente la lavorazione dei primi due e di parteciparvi anche come attore nella realizzazione del terzo: i materiali che ho raccolto durante la produzione dei tre film sono riprodotti in Appendice seguiti, film per film, da delle Note che sono quindi di natura prevalentemente tecnica ed integrativa al materiale stesso, e rappresentano nel loro insieme sia un approfondimento tecnico in rapporto alla realizzazione stessa, che un riferimento necessario per la presenza integrale del testo dei singoli film, che non sempre troverà invece una linea narrativa esplicativa, continua e fedele al film, nelle riflessioni che seguiranno.

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