Capitolo 5
Conclusioni.
La povertà è un problema che interessa quasi tutte le Nazioni del Pianeta, per questo all’interno dei vari organi di governo la situazione è sempre più dibattuta.
La Banca Mondiale, l’ente preposto alla misurazione della povertà a livello internazionale, che utilizza linee della povertà di riferimento di uno e due dollari, in termini di potere d’acquisto del 1993, ha stimato che nel 1998, 1,2 miliardi di persone avevano livelli di consumo inferiori ad un dollaro (il 23% della popolazione in via di sviluppo) e che 2,8 miliardi vivevano con meno di due dollari al giorno. Questi dati sono inferiori alle stime precedenti, e mostrano che vi è stato un certo miglioramento rispetto al passato, tuttavia la sofferenza nel mondo rimane altissima e deve essere fatto ancora molto.
Per misurare la povertà a livello globale, la Banca Mondiale utilizza un’unica linea di povertà che sia in grado di compare ogni Nazione della Terra; quando invece si stimano i livelli di povertà a livello nazionale si tende a creare varie linee e ad utilizzare diversi parametri. Il metodo più comune per misurare la povertà è quello che si basa sui livelli di consumo o di reddito: una persona viene considerata povera se i suoi livelli di consumo o di reddito sono inferiori ad un valore giudicato minimo per soddisfare le necessità di base; questa soglia minima viene chiamata “linea della povertà” (l.p.).
Siccome ciò di cui si ha bisogno varia a seconda dei tempi e dei luoghi , ogni paese utilizza l.p. adatte ai propri livelli di sviluppo e alle norme e ai valori della società. Se infatti in un paese in via di sviluppo le necessità di base sono rappresentate essenzialmente dai generi alimentari, lo stesso non si può dire in quei paesi industrializzati dove soddisfare i bisogni primari, come il cibo e il vestiario, non rappresenta più un problema di massa.
Solo fino a pochi anni fa, quando si faceva riferimento al concetto di povertà, questo raccoglieva quella fascia della popolazione al di sotto di un livello
economico calcolato sulla base di due distinte soglie convenzionali: una soglia “relativa”, determinata annualmente rispetto alla spesa media mensili pro-capite per consumi delle famiglie, una soglia “assoluta”, basata sul valore monetario di un paniere di beni e servizi essenziali aggiornato ogni anno per tener conto delle variazioni dei livelli dei prezzo al consumo.
Da questo si evince che tra i due parametri che si potevano utilizzare per la costruzione delle stime della povertà, il consumo e il reddito, è stato adottato quasi universalmente il primo: questo perché un’analisi basata sulla sola variabile reddito non poteva essere ritenuta sufficiente per molte ragioni tra cui il fatto che spesso i dati sul reddito sono inattendibili per la scarsa volontà delle persone di dichiarare le proprie entrate reali, perché i dati sul reddito sono soggetti a fluttuazioni per talune categorie di lavoratori, ecc.
Lo studio riguardante il benessere e gli indici per la determinazione della povertà, sia a livello nazionale, sia a livello familiare e individuale è abbastanza recente anche se ha fatto registrare notevoli e importanti miglioramenti nel corso di pochi anni.
In Italia, e in molti altri paesi dove uno studio della povertà è stato intrapreso, due sono le possibilità per quanto riguarda la rappresentazione della povertà e dell’esclusione sociale:
• Attraverso un indice assoluto
• Attraverso un indice relativo
Nel primo caso è necessario definire un paniere di beni/servizi essenziali in grado di assicurare alle famiglie un tenore di vita che eviti forme di esclusione sociale; il valore monetario di tale paniere rappresenta la soglia di povertà assoluta per l’anno in cui è stato definito.
Nel secondo caso l’incidenza di povertà viene calcolata sulla base del numero di famiglie che prospettano spese per consumi inferiori ad una soglia convenzionale; tale soglia, detta linea di povertà, viene fissata annualmente in base alla spesa media mensile pro-capite per consumi delle famiglie.
Nel nostro paese l’Istat, l’istituto ufficiale preposto alla determinazione della povertà, a partire dal 1995 ha deciso di affiancare agli indicatori relativi fino allora creati, ulteriori indicatori basati su una misura assoluta della povertà; tuttavia i dati diffusi circa l’incidenza e l’intensità della povertà fanno riferimento nella maggior parte dei casi alla misura relativa.
E’ necessario tuttavia sottolineare il fatto che non tutte le spese sostenute dalle famiglie rientrano nel concetto economico di consumo; per questo l’Istat, nel determinare la spesa familiare e la linea di povertà relativa, esclude le voci inerenti il mutuo per l’acquisto di abitazioni, la restituzione prestiti, le voci legate alla manutenzione straordinaria dell’abitazione e quelle relative ai premi pagati per assicurazioni vita e rendite vitalizie, in quanto rappresentano forme di investimento. Oltre alle voci citate è possibile individuarne altre che possono essere fonte di correzione: quelle legate alle spese mediche, all’istruzione, al pendolarismo, ai beni durevoli di consumo, ecc.
E’ il così detto problema delle spese difensive, cioè di quelle spese che non riflettono un reale sviluppo del benessere, in quanto servono a prevenire o riparare i danni causati dalla produzione, o a far fronte a spiacevoli necessità, che anzi, a volte diminuiscono il benessere stesso. Se si potessero avere dati certi circa la spesa sostenuta per queste esigenze, sarebbe possibili modificare il calcolo della spesa media pro-capite e conseguentemente aggiustare la linea di povertà.
Un importante contributo per individuare alcune di queste spese difensive ci viene offerto dagli studi effettuati in Canada e negli Stati Uniti rispettivamente dalla Statistics Canada e dal Census Bureau.
Entrambi i paesi per lo studio ufficiale della povertà si avvalgono della costruzione di un appropriato paniere di riferimento che dovrà essere comparato al reddito delle famiglie opportunamente ridefinito; nonostante in Italia l’Istat utilizzi come base dei propri studi una misura relativa, le linee di povertà, e non assoluta, è possibile prendere spunto dalle ricerche effettuate in Canada e negli Stati Uniti per migliorare la costruzione degli indicatori dell’incidenza e della intensità della povertà.
La Statistics Canada una volta determinato il valore del paniere di beni e servizi considerato minimo per una dignitosa esistenza, chiamato Market Basket Measure (MBM), definisce il concetto di reddito familiare necessario per poter effettuare la comparazione. Gli studiosi facente parte del Gruppo di Lavoro sulla Ricerca dello Sviluppo Sociale ritengono di dover sottrarre dai guadagni di una famiglia tutte quelle spese che non permettono l’acquisto dei beni/servizi che fanno parte del MBM; tra tutte in particolare è essenziale non tener conto delle seguenti voci:
Pagamenti per il mantenimento dei figli,
Spesa per la cura dei figli quando i genitori si recano a lavoro, Premi per l’assicurazione sanitaria,
Spese mediche pagate di tasca propria dalle famiglie.
Anche negli Stati Uniti è stato affrontato un discorso simile tuttavia la maggiore esperienza nel campo degli studi sulla povertà, e l’esigenza di trovare migliori soluzioni per poterla diminuire, ha portato alla realizzazioni di molti studi, spesso discordi, che però hanno il merito di portare alla conoscenza del problema e quindi alla ricerca di soluzione sempre più approfondite.
Sostanzialmente le correzioni apportate in USA al paniere e al reddito disponibile sono molto simili a quelle effettuate in Canada anche se molte discussioni sono nate in merito al computo delle spese mediche pagate dai cittadini, alle spese legate all’abitazione e quelle riguardanti i trasporti.
In Italia l’indagine sulla povertà si avvale dei dati relativi ai consumi delle famiglie rilevate dall’Istat, in quanto la soglia di povertà è rappresentata dalla spesa media mensile pro-capite; per la realizzazione della l.p. è stato creato un apposito tracciato record contenente centinaia di variabili riguardanti le caratteristiche della famiglia e le spese sostenute da queste per acquistare beni e servizi.
Tra le voci di spesa presenti, e utilizzate per il calcolo dei tassi di povertà, alcune possono essere riclassificate proprio come spese “difensive” o come investimenti e non come consumo.
Sulla base di quanto mostrato anche dagli studi canadesi e americani si è ritenuto di dover ricostruire l’incidenza e l’intensità di povertà sulla base di nuove ipotesi;
l’idea iniziale era quella di detrarre dalle voci facenti parte il tracciato record quelle riguardanti le spese mediche e la salute, quelle attinenti la cura, il mantenimento e l’istruzione dei figli, quelle relative alla manutenzione straordinaria, quelle associate al pagamento di premi per assicurazioni sanitarie o dell’abitazione e parte di quelle concernenti il trasporto. Oltre alle suddette correzioni l’intenzione era anche quella di non tener conto delle spese per l’acquisto dei beni durevoli di consumo, ma di imputare solamente il servizio offerto da questi con una opportuna quota di ammortamento.
Del progetto iniziale è stato possibile portarne a termine solo una parte a causa della mancanze di informazioni necessarie che permettessero di disaggregare alcuni capitoli di spesa, come ad esempio quelli relativi ai trasporti per cui non è dato sapere quali di queste spese siano legate al pendolarismo e quali di tipo personale. Per quanto riguarda il computo dei beni durevoli di consumo c’è da dire che la creazione di quote di ammortamento è stata effettuata sulla base di considerazione personali e prive di rigore scientifico in quanto le informazioni a nostra disposizione sono limitate e non hanno permesso di conoscere i reali costi sostenuti dalle famiglie per tali beni, né le modalità di pagamento; è comunque importante sottolineare che in base alla correzione apportata, seppur mancante di attendibilità, i risultati appaiono molto interessanti come dimostra l’abbassamento dell’incidenza della povertà di oltre 3,5 punti percentuali rispetto al dato ufficiale. Nonostante l’importanza del valore dei beni durevoli di consumo, in questo studio non si è proseguiti nel percorso intrapreso a causa della soggettività delle ipotesi che stanno alla base delle quote di ammortamento, tuttavia sarebbe interessante, raccogliendo migliori informazioni, capire quale influenza hanno questi beni sui tassi di povertà. Una volta individuate le variabili su cui poter lavorare, il passo successivo è stato quello di costruire diverse linee di povertà a seconda di varie ipotesi per osservare come di conseguenza variano gli indicatori di povertà.
In particolare sono state costruite tre differenti linee di povertà (più quella Istat) che riflettono tre distinte ipotesi: la più importante, e quella considerata in questo
capitolo, è sicuramente la terza in quanto racchiude sia la seconda che la prima, e comprende tutte le modifiche possibili.
In base alle correzioni apportate si assiste ad un generale miglioramento: sia l’intensità sia l’incidenza di povertà fanno registrare valori inferiori rispetto ai corrispettivi dati ufficiali; in particolare nell’Ipotesi 3 si hanno variazioni negative rispettivamente dello 0,43% e dello 0,44%. I benefici di questa modifica sono preponderanti soprattutto al Sud e nel Centro mentre al Nord gli effetti sono contenuti, anzi a volte tendono ad essere contrastanti in quanto si annota per esempio una lieve diminuzione dell’incidenza, a fronte di un aumento dell’intensità. Al Nord questa è una tendenza che risulta essere costante per ciascuna delle tavole costruite infatti i dati risultanti sono sempre di modesta entità se confrontati con quelli delle altre suddivisioni territoriali, e più bassi rispetto al dato relativo all’Italia.
Sicuramente più interessanti sono i risultati relativi alle regioni del centro e del mezzogiorno: molti sono i casi in cui il trend seguito dai dati nelle varie tavole è concorde, ma molti sono anche le situazioni in cui gli effetti delle correzioni sono discordi; è soprattutto dalla concordanza o meno di tali dati, e, dal valore assoluto delle variazioni rispetto al dato ufficiale, che dipende il dato medio italiano.
Per capire meglio quali siano state le cause che hanno condotto a determinati risultati è stato riportato un altro dato: per ciascuna categoria territoriale, demografica e sociale è stato calcolato il rapporto tra la spesa media sottratta per la correzione e la spesa media totale. A parte singoli casi in cui il rapporto può essere utilizzato per spiegare almeno in parte la causa di certi risultati, in generale possiamo osservare che tale dato, all’interno delle varie categorie, non si discosta molto dal comportamento di spesa medio delle famiglie italiane, il che suggerisce di ricercare altrove i motivi che hanno portato alle variazioni rispetto ai dati Istat. Analizzando in particolare i risultati, possiamo notare un costante miglioramento quando la caratteristica di riferimento è l’ampiezza familiare: le variazioni rispetto al dato ufficiale passano dal -0,13% per le famiglie di un componente, al -1,44% per quelle con 5 o + componenti. Il trend positivo si riscontra anche nella tavola
successiva, quella della tipologia familiare, con una osservazione ulteriore: che l’incidenza di povertà non diminuisce per le famiglie con persone anziane. Questo trova spiegazione con l’influenza che ha avuto su queste categorie l’eliminazione delle spese legate alla salute: infatti in base all’Ipotesi 2 si nota che la povertà tra i più anziani aumento dello 0,5% e dello 0,8% a seconda che siano soli o in coppia. In questo caso il risultato molto deve alle cattive condizioni presenti al Sud dove si toccano peggioramenti del 1,7% se comparati ai dati ufficiali.
La situazione in Italia migliora quando si prende come punto di riferimento il titolo di studio e la condizione-posizione professionale: in particolare a beneficiare di queste nuove ipotesi sono coloro che hanno un licenza media inferiore (-0,93% rispetto al dato Istat), i lavoratori autonomi (-1,05%) e le famiglie in cui la persona di riferimento è in cerca di occupazione (-2,03%); purtroppo rimane sostanzialmente invariata (+0,03%) la situazione delle famiglie in cui la p.r. si è ritirata dal lavoro: questo è dovuto al fatto che tale categoria è composta principalmente da anziani e, come detto prima, è penalizzata dalle spese inerenti la salute (Ipotesi 2).
Le informazioni di cui si dispone non hanno consentito la piena realizzazione del progetto iniziale, tuttavia la strada percorsa sembra comunque la migliore e la più coerente per la costruzione dei tassi di povertà in Italia; in futuro, grazie a ulteriori studi, sarà possibile attuare tutte le correzioni previste e ciò porterà alla creazione di dati maggiormente completi e veritieri circa la situazione delle famiglie nel nostro paese.