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CAPITOLO 5

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 5

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5.1 Aspetti descrittivi

La realtà che si intende prendere in considerazione come momento di approfondimento esperienziale, riguarda il Distretto Socio Sanitario n.18, composto dai Comune di La Spezia, Lerici e Porto Venere, tutti collocati nel Golfo di poeti.

Tra i tre comuni, il Comune della Spezia è il capofila ed in merito all’affido, è quello maggiormente attivo infatti, il Comune di Porto Venere non ha casi, il Comune di Lerici segue un solo affido che ormai è configurato come sine die.

L’analisi, comunque, è condotta in riferimento alle competenze distrettuali perchè permette di avere una visione globale del servizio in sinergia con gli altri distretti e poiché si è cercato di ragionare in una dimensione integrata.

Significativo in tal senso è il fatto che, pur avendo un solo caso, il Comune di Lerici mette a disposizione un proprio operatore per il gruppo affidi.

Al fine di dare un quadro generale si riporta la situazione demografica spezzina, (Distretto Socio Sanitario n.18) la quale al 31-12-2013 è di 108.733 abitanti, (10.435 Lerici, 3.763 Porto Venere) di cui 13.458 minori.

Nella tabella 1 sono riportati i minori allontanati dalla famiglia d’origine, negli ultimi tre anni, anche per periodi temporanei.

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TABELLA 1

2012 2013 2014

Inserimenti madre bambino 6 9 4 Inserimenti comunità minori 25 25 15

Affido Familiare 12 13 13

Al 31.12.2013 la situazione generale relativa agli inserimenti a seguito di allontanamento, fotografata su richiesta Istat e comprensiva di tutte le situazioni, anche le meno recenti, si può dettagliare attraverso le seguenti tabelle.

Esse illustrano il numero di minori inseriti in comunità educativa (tabella 2), in comunità genitore-bambino (tabella 3), in affidamento familiare (tabella 4).

TABELLA 2

Minori in comunità educativa tot: 62 Fasce

d’età

0-3 4-6 7-11 12-15 16-18 totale

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TABELLA 3

Minori in comunità genitore-bambino tot: 19 Fasce

d’età

0-3 4-6 7-11 12-15 16-18 totale

Totale 5 5 8 1 - 19

TABELLA 4

Minori in affidamento familiare tot: 46 Fasce d’età 0-3 4-6 7-11 12-15 16-18 totale Totale 9 7 9 13 8 46 GRAFICO 1 Comunità educativa Comunità genitore-bambino Affido familiare

Come si può vedere (grafico 1) quasi il 50% dei minori totali, al 31-12-2013 risulta essere inserito in una comunità educativa.

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La comunità educativa rimane quindi, l’alternativa più utilizzata, di fatto, in molti casi è lo stesso Tribunale per i Minorenni che dispone l’inserimento immediato in comunità, soprattutto in situazioni di gravi maltrattamenti.

La comunità viene concepita come un luogo neutro dove sia possibile un’osservazione mirata, l’affido viene in genere utilizzato quando è già possibile una progettualità.

Un’altra distinzione da fare è relativa alla considerazione che solo 4 casi sono affidati a famiglie con diretto provvedimento del Tribunale per i Minorenni di Genova, nelle restanti situazioni il Tribunale dispone affidamento ai servizi sociali con prescrizione di inserimento in famiglia affidataria .

Questo è indicativo del fatto che il Tribunale competente per territorio è molto cauto nel predisporre provvedimenti di affido familiare, ma preferisce l’intermediazione dei servizi in modo da poter avere

maggior opportunità di vigilanza e da non creare aspettative di adozione alle stesse famiglie affidatarie.

Minori affido diurno 12 Minori affido residenziale 34

Minori affido residenziale affidati a servizio e collocati in famiglia affidataria

30

Minori affido familiare con provvedimento del Tribunale

4

Nel territorio spezzino, le motivazioni degli allontanamenti rientrano nella casistica generalizzata a livello nazionale, sono situazioni di

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minori appartenenti a nuclei con problemi di alcolismo, tossicodipendenza, problemi di salute mentale, madri che presentano ritardo cognitivo o altre disabilità accompagnate da difficoltà genitoriali.

Nelle situazioni dove non sono necessari allontanamenti repentini, ad esempio viene effettuata una valutazione in equipe sulle capacità genitoriali e vengono attivati servizi di supporto.

Si ricorre all’affido quando, fatte le dovute osservazioni, si ritiene che i fattori di rischio siano predominanti ed un periodo di allontanamento delle famiglie d’origine possa garantire al minore maggior tutela con l’intento di rafforzare eventuali potenzialità del nucleo di origine, in previsione del rientro del minore stesso.

I bambini abbandonati in ospedale e collocati in affido con carattere di urgenza e con tempi brevi, sono in media 1 all’anno.

Questa tipologia di affido, definita di prima accoglienza, prevede la ricerca di una famiglia che abbia la disponibilità immediata di accogliere il minore presso di se per un breve tempo, si tratta di uno o due mesi, il tempo necessario per procedere al percorso di adozione del minore stesso.

Di difficile collocazione sembra essere anche l’inserimento di fratelli all’interno di una famiglia affidataria, 10 coppie di fratelli negli ultimi 5 anni, in genere i servizi mirano a mantenere i minori in un nucleo unico, ma talvolta non ci riescono.

Il motivo più significativo che impedisce il collocamento è legato all’età, più i minori sono grandi più sembra svanire la possibilità di tenerli insieme.

I progetti attivati sono quasi sempre a medio-lungo termine, per i rientri del minore presso la famiglia d’origine ci vuole tempo, lo

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stesso Tribunale spesso non riesce a prendere decisioni nei termini definiti.

Nella maggioranza dei casi, i progetti si trasformano in affidamenti sine die, affidamenti a tempo indeterminato, nonostante il percorso d’affido, venga intrapreso con presupposti tempistici differenti.

Tra le principali difficoltà relative alla reperibilità di famiglie, si riscontra la poca disponibilità a reperire nuclei disposti ad accogliere adolescenti, oppure famiglie che diano una disponibilità esclusivamente diurna.

Aumentano invece sempre di più le famiglie con i requisiti dell’adozione che si presentano a chiedere informazione circa questo strumento.

La poca sensibilizzazione in merito e lo scarso coinvolgimento del terzo settore sono due fattori che non garantiscono l’incremento dell’affido e la buona riuscita, si auspica un aumento del numero delle persone disponibili ad impegnarsi come affidatari.

Durante gli ultimi 2 anni le richieste da parte del servizio territoriale al centro affidi per l’attivazione di minori in affido sono state 19. (vedi tabella 5). TABELLA 5 Anno Totale richieste Affidi iniziati Proposte chiuse dal territorio Proposte non accolte Minori da collocare 2013 11 4 5 1 1 2014 8 3 - - 5 Totale 19 7 5 1 6

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In merito al contesto spezzino, come del resto in tutto il territorio nazionale, emerge “l’esistenza di un gap tra normativa dell’affidamento e la realtà di applicazione della legge”117, gli affidi si caratterizzano per la durata che va sempre oltre il mandato legislativo, i minori collocati in affido rientrati in famiglia entro i ventiquattro mesi sono praticamente nulli.

117

Ivana Comelli, Raffaella Iafrate, L’affido famigliare: una rassegna ragionata delle pubblicazioni nazionali, tratto da Percorso tematico, Nuove riflessioni sull’affido, estratto da Rassegna bibliografica infanzia e adolescenza, Del Gallo Editori, Spoleto, 2012 n. 3, pag 6.

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5.2 Servizio di affido familiare

Il servizio affido nasce come tale nel 1998 a seguito della delibera Regione Liguria n. 2755 del 1997 la quale definisce compiti e funzioni degli operatori del territorio circa l’affido.

Il servizio competente, per le Zone sociali (cosi erano definiti gli attuali distretti) dello Spezzino e della Val di Vara, è gestito da un gruppo di lavoro tecnico denominato Unità di Coordinamento Affido Familiare (UCAF) composto da una psicologa a convenzione e da 3 assistenti sociali con tempo dedicato, messi a disposizione dai comuni.

In questi anni il servizio lavora specificatamente per selezionare le famiglie, predisporre abbinamenti, seguire le situazioni in carico, compresi gli interventi sui minori inseriti in affidamento familiare. Vengono sperimentati incontri formativi-informativi per gli aspiranti affidatari e istituiti gruppi di supporto tra famiglie con minori affidati. Le situazioni prese in carico ex novo, dal 1995 al 1998, sono 12 di cui: 3 minori rientrano in famiglia, 7 sono adottati (di cui 2 nella stessa famiglia), 2 in affido sine die (di cui 1 con ex art 44). 118

A queste vanno aggiunte le situazioni seguite dal 1998 al 2005, cioè 18, di cui 3 minori rientrati in famiglia , 3 adottati (2 nella stessa famiglia e 1 con ex art 44),119 3 rimangono in affido a lungo termine, 2 sono inseriti in comunità e 7 rimangono in affido in attesa di pronunciamento da parte del Tribunale per i Minorenni.

118

“adozione in casi particolari” ex Art. 44 Legge n. 184 del 1983 sostituita dalla legge n. 149 del 2001.

119

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Tale modalità permane sino al 2007 quando, a seguito di una riorganizzazione interna del Comune della Spezia, il servizio affido viene chiuso e le funzioni vengono distribuite tra le assistenti sociali e gli psicologi dei servizi territoriali in maniera piuttosto frammentata. Sono pertanto, in questo periodo, gli stessi operatori territoriali, in particolare quelli impegnati nell’area minori, a seguire sia le famiglie di origine, sia i minori e le famiglie affidatarie.

E’ questo un momento di affaticamento in quanto lo stesso operatore si trova a dover conciliare un’alternanza di funzioni in situazioni complesse.

Egli deve riuscire a porsi come elemento neutro in situazioni, dove spesso la collaborazione e la condivisione appare di difficile realizzazione, soprattutto quando l’affido è disposto dal Tribunale. L’istituto dell’affido viene utilizzato poco, sono disposti affidi solo a parenti o direttamente dal Tribunale a famiglie scelte tra le aspiranti adottive.

Mancando un servizio dedicato, anche la promozione e la sensibilizzazione vengono meno e quindi anche le famiglie affidatarie disponibili sono scarse.

Al fine di intervenire su una situazione di stallo viene deciso dai Direttori sociali (legge regionale 16 del 2000 ha istituito 3 Distretti Socio Sanitari con a capo un Direttore sociale e un Direttore Sanitario) di costruire un Servizio affido sovradistrettuale, denominato Centro Affidi.

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5.3 Il Centro Affidi

Nel 2009, si costituisce l’attuale Centro Affidi sovradistrettuale il quale ha compiti di promozione e gestione di attività di supporto per i servizi sociali, al fine di agevolare il ricorso all’affidamento familiare e di favorirne una utilizzazione efficace.120

Il Centro Affidi è composto dai seguenti professionisti:

1 psicologo;

2 assistenti sociali ad incarico;

3 assistenti sociali coordinatori (uno per distretto);

1 supervisore sovradistrettuale.

Viene realizzato un gruppo di affido, unico per tutto il territorio provinciale, al fine di creare una buona rete ed ottimizzare le risorse presenti nel territorio stesso.

In tal modo la metodologia di lavoro si uniforma ed unica diventa la banca dati relativa alle famiglie affidatarie.

Il primo obiettivo è di rendere omogeneo il percorso dell’affido relativamente agli aspetti organizzativi, di funzionamento e di utilizzo di un linguaggio comune.

Viene, a questo proposito, previsto un percorso di formazione e di supporto per gli operatori coinvolti.

120

Regolamento del Servizio di Affidamento Familiare e del Centro Affidi, Protocollo operativo tra Centro Affidi e i Servizi Sociali Territoriali dei distretti Socio-Sanitari n° 17-18-19.

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L’equipe minima di lavoro sulle situazioni di famiglie affidatarie è sempre composta da assistente sociale e psicologo.

Gli aspetti operativi sono descritti nel regolamento del Centro Affidi, che si focalizza sulle principali funzioni ed i relativi ruoli professionale che le espletano:

1- Selezione-valutazione: assistente sociale e psicologo ad incarico; 2- Abbinamento minore-famiglia: assistente sociale e psicologo ad incarico;

3- Raccordo con i servizi territoriali: tre assistenti sociali coordinatori, uno per ogni distretto sociosanitario.

4- Verifica e monitoraggio degli affidi in corso: assistenti sociali con una ripartizione in base al territorio.

5- Promozione: assistenti sociali, psicologo ad incarico e assistenti sociali coordinatori.

Di seguito si dettagliano le varie attività che il centro svolge, soffermandoci anche sugli aspetti procedurali.

1- Selezione- valutazione:

La selezione e formazione delle coppie candidate, avviene attraverso un percorso formativo costituito da 6 incontri di gruppo, su temi generali a livello giuridico, sociale e psicologico, da colloqui in coppia e-o individuali ed attraverso lo strumento di visita domiciliare.

Gli incontri vengono strutturati nel seguente modo:

presentazione del Centro Affidi, programma del percorso, conoscenza dei partecipanti;

il minore: la sua storia, l’affido;

la famiglia di origine: motivi dell’allontanamento, relazioni con il bambino e/o con la famiglia affidataria;

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la famiglia affidataria: ruolo, rapporti con i servizi, rapporti con il bambino e la famiglia di origine;

incontro con una famiglia affidataria: ascolto di una esperienza di affido;

legislazione, conoscenza dei servizi (ruolo e competenza).

Il percorso formativo è attivo dal 2008 e l’andamento è stato il seguente:

anno Partecipazione gruppi formativi

2008 7 2009 10 2010 7 2011 6 2012 6 2013 9

Alcune coppie candidate al percorso per famiglie affidatarie non hanno seguito l’iter formativo gruppale, ma sono state valutate attraverso il colloquio clinico per esigenze interne al Centro Affidi.

Dal punto di vista qualitativo sembrano emergere due caratteristiche in particolare circa le famiglie in banca dati: sono generalmente senza figli biologici con un età tra 30-50 anni, con disponibilità di affido residenziale.

Rispetto alle richieste presentate, l’effettiva adesione delle famiglie al percorso di selezione si può quantificare dell’80% (in media nei vari anni).

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2- abbinamento minore-famiglia:

La segnalazione delle situazioni bisognose di un intervento di affido familiare, giunge dall’assistente sociale territoriale che ha in carico il nucleo, al Centro Affidi, attraverso la compilazione di una “scheda minore per affido familiare”.

All’interno di essa deve emergere l’anamnesi della famiglia, qual è la rete già attiva sul territorio, gli obiettivi, il piano di lavoro, i tempi previsti e la tipologia della famiglia affidataria che si vuole coinvolgere.

Successivamente per poter discutere della situazione, dovrà svolgersi un colloquio tra il referente territoriale, l’assistente sociale e lo psicologo del Centro Affidi.

Come già anticipato, prima della segnalazione, i servizi territoriali devono svolgere la valutazione della recuperabilità e delle competenze genitoriali della famiglia d’origine salvo casi di urgenza. Il Centro Affidi, una volta definita la situazione, con il provvedimento del Tribunale per i Minorenni in caso di affido giudiziale, procede all’abbinamento attraverso la banca dati dove sono inserite tutte le famiglie candidate.

Dovrà individuare la famiglia considerata più idonea, in base anche alle richieste fatte dai servizi sociali territoriali e alla disponibilità di quella famiglia a quel tipo di progetto.

Successivamente si definirà un periodo di conoscenza tra il minore e la famiglia affidataria, dove in caso di affidamento consensuale sarà coinvolta anche la famiglia d’origine.

Verrà creato un progetto d’intervento condiviso e firmato dal Centro Affidi e dai servizi sociali territoriali.

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Nel caso di affidamento giudiziale, l’affidamento dovrà essere istituito secondo le prescrizioni del decreto emanato dal Tribunale per i Minorenni, il quale andrà aggiornato con una relazione periodica ogni sei mesi.

3- raccordo con i servizi territoriali:

I rapporti tra servizi territoriali e Centro Affidi sono un nodo prioritario per seguire l’andamento delle situazioni d’affido.

Viene individuata una divisione dei compiti tra i servizi del territorio e il gruppo affido, le assistenti sociali dedicate al Centro Affidi si suddividono le famiglie affidatarie per ascoltarle, aiutarle e sostenerle nei compiti.

I servizi sociali territoriali, invece, lavorano continuamente con il nucleo famigliare d’origine, dando supporto al minore: prima preparandolo all’affido e successivamente sostenendolo, mantenendo e monitorando la relazione tra il minore e la sua famiglia.

Considerata l’importanza di una buona collaborazione del progetto di affidamento sono stati impostati degli incontri a cadenza regolare, tra l’equipe del gruppo affido e l’equipe dei servizi territoriali che ha in carico il caso.

Inoltre per garantire un confronto costante anche su tematiche generali e per costruire e condividere buone prassi, per un periodo è stato attivato un percorso di supervisione per gli operatori, tenuto da uno psicologo del CAM121 di Milano.

Infine vengono tenuti contatti con i centri affido limitrofi in modo da poter contare su una maggiore scelta di famiglie.

121

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4- Verifica e monitoraggi degli affidi in corso:

Il monitoraggio dell’evoluzione del progetto d’affido avviene attraverso un lavoro di equipe con i professionisti coinvolti.

Vengono utilizzati colloqui con la famiglia d’origine, il minore e la famiglia affidataria, nonché mediante l’utilizzo degli incontri protetti. Inoltre viene attivato un sostegno permanente alle famiglie affidatarie. Al fine di valutare gli aspetti relazionali-formativi, si è partiti nel 2012 dall’analisi delle aspettative e di bisogni delle famiglie affidatarie, attraverso un’intervista strutturata, somministrata a tutte le famiglie affidatarie, dal coordinatore del distretto e dall’assistente sociale del gruppo affidi referente.

Il questionario è stato somministrato a 7 famiglie del Distretto Socio Sanitario 19 ed a 11 famiglie per il Distretto Socio Sanitario 18.

Dai risultati dei questionari appare che la maggior parte degli affidatari sono venuti a conoscenza dello strumento di affido familiare da amici o parenti.

Emerge che gli affidi in corso impegnano gli affidatari da più di un anno e relativamente all’esperienza affido essi risultano essere più motivati e più coinvolti rispetto a quando avevano iniziato.

Il servizio affido è vissuto positivamente dagli affidatari che ritengono i contatti con lo stesso fondamentali, caratterizzati da una giusta frequenza (una o due volte al mese), ed evidenziano la possibilità di contatti telefonici al bisogno.

I gruppi mensili vengono visti come una buona opportunità di supporto e di condivisione dell’esperienza, nonché occasione di formazione anche relativamente ad alcuni argomenti da approfondire come ad esempio il rapporto con la famiglia di origine, il vissuto dei figli naturali.

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Viene espressa all’unanimità l’importanza di mantenere i gruppi, poiché ne sentono la validità e viene proposto di variarli su due tipologie:

- gruppi formativi a tema, organizzati su cicli di argomenti;

- gruppi di mutuo aiuto su richiesta da parte delle famiglie stesse. Anche il servizio territoriale è vissuto altrettanto positivamente: gli incontri hanno una frequenza trimestrale, anche se per alcune situazioni gli affidatari lamentano la difficoltà a prendere contatto con il servizio stesso.

Risultano comunque chiare le differenti competenze e i compiti tra servizio affido e servizio territoriale.

5- Promozione:

Inoltre il Centro Affidi si occupa della promozione, intesa sia come informazione utile a far conoscere e divulgare l’istituto dell’affidamento sia come opportunità di reperire nuclei disponibili all’accoglienza di minori in difficoltà.

Nel 2011, per la promozione dell’affido, è stato predisposto uno spettacolo teatrale ed una rassegna cinematografica, nel 2012 è stata attivata una collaborazione con la fattoria di Marinella SPA, per poter attivare una campagna informativa, utilizzando i cartoni del latte come strumenti di divulgazione e di pubblicità, in concomitanza sono state effettuate da parte dell’equipe, incontri presso alcune scuole per sensibilizzare i giovani ad avvicinare le loro famiglie al valore dell’affido.

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5.4 Gli incontri protetti

In questa sezione ci si vuole soffermare, sempre da un punto di vista esperenziale, sullo strumento utilizzato per monitorare il progetto di affidamento in relazione ai legami e contatti con la famiglia naturale: gli incontri protetti, chiamato nel territorio spezzino “Spazio incontro” Anche le Linee di indirizzo per l’Affidamento Familiare, evidenziano l’importanza di garantire “il mantenimento dei contatti fra il bambino e la sua famiglia durante tutto il periodo dell’affidamento familiare.122” Il servizio di “Spazio incontro” è gestito dal Comune della Spezia e dato in appalto alla cooperativa sociale che fornisce le figure educative come osservatori per il corretto svolgimento dell’incontro, ma talvolta il Tribunale per i Minorenni può incaricare al monitoraggio gli operatori del Centro Affidi.

L’intervento di incontro protetto può attivarsi principalmente attraverso due modalità: su prescrizione del Tribunale per i Minorenni e quindi con dimensione coattiva, oppure dal servizio sociale stesso, il quale, può decidere di utilizzarlo come strumento di osservazione della relazione genitori naturali-minore affidato, o come occasione per permettere il loro riavvicinamento.

Prima di attivare gli incontri, gli operatori coinvolti s’incontrano per conoscere il caso.

In questa occasione si raccoglieranno informazioni anagrafiche, l’obiettivo del progetto, l’esistenza di una rete territoriale attiva, le

122

Linee di indirizzo per l’Affidamento Familiare, Presidenza del Consiglio dei Ministri, conferenza unificata 25 Ottobre 2012, pp. 34 e 35.

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regole dettate dal Tribunale (se si possono fare regali, foto ecc...), il numero di ore che sono state stanziate, la cadenza degli incontri, ed altre informazioni sulla situazione utili all’organizzazione.

Successivamente viene svolto un altro incontro strutturato in due parti: il primo momento serve per preparare il minore, il quale solitamente è accompagnato dalla figura genitoriale di riferimento, che sia naturale o affidataria o di comunità.

Nella seconda fase invece si spiega ai familiari, che devono incontrare il minore, il progetto delineato nei tempi, nei modi e negli obiettivi. In genere la persona che il minore deve incontrare è il genitore, sono davvero pochi i casi in cui vengono coinvolte altre figure come nonni, fratelli e zii.

L’incontro protetto, quindi, coinvolge minori affidati ad un genitore o collocati in famiglia affidatarie, oppure in struttura e talvolta, è il genitore stesso ad essere in struttura terapeutica.

In caso il minore o altri partecipanti all’incontro esprimessero il desiderio di incontrare un parente o abbiano da fare una qualsiasi richiesta, essa deve essere sottoposta all’assistente sociale la quale valuta in primis se esiste la possibilità o meno di assecondare la richiesta ed eventualmente sottoporla al vaglio del Tribunale per i Minorenni.

Per quanto riguarda il momento vero e proprio dell’incontro, esso avviene principalmente per step:

inizialmente gli incontri avvengono in uno spazio dedicato, il “Centro famiglie” poi, sempre se il Tribunale lo autorizza, c’è la possibilità di fare uscite nei pressi del centro o altrove ma rimanendo sempre nel territorio comunale, infine la possibilità di poter fare piccole gite anche al di fuori del comune.

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Capita raramente di fare incontri a casa di uno dei due genitori.

Comunque ogni situazione va sempre valutata, non esiste un caso uguale, nulla è standardizzato poiché ogni intervento, ogni progetto ed ogni prescrizione del Tribunale per i Minorenni è individualizzata. Ci sono però delle regole fondamentali: il non utilizzo durante lo svolgimento dell’incontro dei mezzi di trasporto propri, ma di quelli pubblici, il rimanere all’interno del territorio comunale e il rispettare le prescrizioni specifiche dettate dall’assistente sociale.

La funzione della figura educativa è particolare, essa deve avere una preparazione adeguata, essere in grado di osservare le dinamiche in modo oggettivo e la sua professionalità, si definisce di fatto nel “non esserci”: non deve entrare nella relazione ma osservarla cogliendo sia aspetti verbali che non verbali inoltre deve garantire un ambiente sereno, una comunicazione corretta e supervisionare il rispetto di eventuali prescrizioni previste.

Gli educatori ad ogni incontro devono trascrivere una scheda di osservazione la quale viene mandata al coordinatore che a ogni fine mese rendiconta tutto all’assistente sociale di riferimento.

Altro strumento di restituzione che viene utilizzato è l’equipe. dove partecipano il coordinatore, gli educatori e l’assistente sociale di riferimento, in questa sede si parla dell’andamento di tutte le situazioni in carico.

Il servizio va sempre garantito, infatti esiste come regola di base il principio di auto-sostituzione degli educatori in casi di emergenza, malattie e ferie.

Rispetto a questo, la cooperativa ha formulato una proposta di modulistica circa l’intervento, una “stipulazione di contratto” dove vengono inseriti dati, luogo d’incontro, tempi, modalità che devono

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essere letti e sottofirmati da tutte le figure coinvolte (educatore, assistente sociale, adulti coinvolti).

Inoltre ha strutturato uno strumento osservativo (relazione per aree: ad esempio area di cura, emotiva, del gioco…) che possa essere riassuntivo dell’andamento del progetto in un tempo dilatato che può essere ad esempio un anno, questo fornisce agli operatori la possibilità di avere anche una visione più globale dell’andamento dell’intervento.

Nella realtà spezzina gli incontri attivati negli ultimi tre anni sono cosi rappresentati: Anno 2012 2013 2014 Incontri protretti attivati 14 13 10

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STORIE

In questa parte si vuole mettere in evidenza attraverso un esperienza concreta, alcuni aspetti salienti in relazione al “percorso evolutivo dell’affido familiare”, poiché si ritiene che questi giochino un ruolo basilare nell’esito di un affido, da una parte il legame con la famiglia naturale che deve rimanere come patrimonio fondamentale del minore, dall’altra il valore che assume una valida interazione tra tutti i soggetti coinvolti nel sistema affido, famiglie, operatori, minore, educatori.

La buona riuscita di un affido passa infatti nell’interazione che si instaura tra i servizi, territorio e gruppo affido, e tra servizi stessi e le famiglie, d’origine e affidatarie, di fatto tra il macro ed il micro sistema, la società in questo caso rappresentata dai servizi ed i singoli “rappresentati dalle famiglie”.

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Il caso di S

V è una giovane ragazza che ha avuto un bimbo, S, all’età di 16 anni. La storia di V si struttura su tre generazioni di figure femminili, nonna, madre e sorella le quali ripropongono gli stessi meccanismi.

Sia la nonna che la mamma, che la sorella maggiore infatti, hanno avuto gravidanze precoci ed hanno tra loro strutturato dei rapporti altamente conflittuali.

La madre di V, all’età di 17 anni, ha avuto una prima figlia non riconosciuta dal partner; la figlia, di fatto poi è stata cresciuta dalla nonna.

Dal secondo partner, con il quale ha convissuto per 6 anni e poi si è separata, sono nati V ed il fratello.

Con la separazione, la madre di V rimane sola ed inizia a manifestare difficoltà nella gestione dei tre bambini e in tale contesto, a dimostrazione dei rapporti conflittuali, è la stessa nonna dei bambini a denunciare la situazione ai servizi sociali, chiedendo l’affido dei minori e sostenendo l’inadeguatezza della figlia.

In una situazione di questo tipo, i minori diventano un elemento di contesa tra madre e figlia, i minori trascurati e mal accuditi vengono affidati al servizio sociale e collocati, su provvedimento del Tribunale per i Minorenni, in una comunità socio-educativa.

Nel frattempo anche la sorella di V, che vive con la nonna rimane incinta, ed è la nonna a prendesi cura di lei e del nipote.

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V rimane in comunità per alcuni anni, le sue numerose fughe testimoniano la lacerazione che vive, non solo nel dover subire un distacco dalle figure di riferimento, ma anche nel sentire come nella sua famiglia siano presenti fratture affettive significative.

Durante una delle sue fughe, V a 15 anni rimane incinta, riproponendo uno schema generazionale.

Alla nascita di S i servizi sociali optano per un tentativo di inserimento di V ed il suo bimbo, presso una casa famiglia, ma V non è pronta a fare la mamma, per la giovanissima età, inoltre non è riuscita ad interiorizzare modelli di cura, e quindi non sa riproporli.

Valutata la situazione, con il Tribunale per i Minorenni, viene deciso di ricollocare V in comunità in modo che possa impegnarsi per crescere, mentre il minore viene inserito in famiglia affidataria.

Il progetto di affido familiare per S ha carattere temporaneo poiché l’obiettivo è quello di un ricongiungimento con la madre, al termine del suo percorso comunitario.

La famiglia affidataria viene individuata in base alla disponibilità in termini temporali, alla possibilità non solo di accogliere S, ma di tenere viva la sua storia, accettare la presenza di una madre non ancora cresciuta ma che un giorno potrà diventare adulta e soprattutto imparare a prendersi cura del figlio.

S ha 3 anni e presenta difficoltà nel comportamento e nel linguaggio, in famiglia affidataria migliora a dimostrazione di quanto i ritardi fossero causati dalla carenza di stimoli ma soprattutto di mancanza di figure genitoriali dedicate e presenti anche sul piano affettivo.

V continua ad incontrare il bimbo periodicamente presso il Centro Affidi, in incontri protetti.

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Gli incontri non sono cadenzati in modo regolare ma decisi di volta in volta dai servizi per monitorare la reazione spontanea tra il minore e la madre.

Dopo qualche incontro i professionisti del territorio, della struttura e del Centro Affidi propongono alla famiglia affidataria di partecipare agli incontri.

La scelta è stata motivata per dare a V la possibilità di conoscere la famiglia che accoglie il suo bambino ma in realtà, può diventare un’occasione per dare una svolta all’affido stesso, una sfida per costruire un percorso che tenga conto non solo della funzione genitoriale di V, ma del suo essere stata una figlia non protetta.

La famiglia affidataria inizialmente appare preoccupata e titubante all’idea di conoscere la madre di S, non sa prevedere le sue reazioni né tantomeno quelle di V, la madre, ma successivamente accetta di partecipare agli incontri.

Di fatto, come già evidenziato, tale famiglia è stata scelta tenendo conto di elementi utili al progetto, sono persone non più giovani, prive di aspettative di adozione, anzi si presentano come dei potenziali ”nonni”, e quindi disponibili anche verso una giovane mamma.

La famiglia affidataria tutti i mesi partecipa agli incontri di gruppo nonché ad incontri periodici di coppia.

Considerazioni:

Nella storia di S emerge chiaramente la riflessione del disagio fondato su dinamiche che si tramandano tra generazioni.

La madre naturale, attraverso gli incontri con la famiglia affidataria, ha avuto occasione di sentirsi accolta entrando in contatto con essa e relazionandosi a loro.

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Ella stessa è riuscita non solo ad avere l’opportunità di conoscere la collocazione del figlio, di relazionarsi con la famiglia affidataria, ma si è sentita dare fiducia in merito al fatto di potersi impegnare in un percorso che, un domani, potrà permetterle di riaccogliere presso di se suo figlio.

Soprattutto ha potuto confrontarsi con modelli familiari differenti e sperimentarsi in condizioni non solo conflittuali ma accoglienti, dinamiche alla quale non era abituata, considerate le relazioni tra le sue figure di riferimento.

Incisiva è stata la fiducia riposta negli operatori del centro affidi circa la possibilità di incontrare V ed altrettanto fondamentale è stato il lavoro di equipe tra Centro Affidi, assistente sociale territoriale di riferimento di V e gli operatori della casa famiglia che hanno preparato la ragazza stessa.

La comunicazione chiara e spontanea relativa all’interazione tra la famiglia affidataria e la madre di S ha scaturito da subito una buona relazione che si è mantenuta negli incontri successivi.

In un contesto di reciprocità, anche il minore ha fatto dei progressi e rispetto ai primi incontri sembra essere più sereno.

Il bimbo, che ha circa 3 anni, non sta più male ogni volta che l’incontro termina, fiducioso di ritrovare la madre, sentendosi comunque accudito e protetto.

In questo modo, identificando la figura materna e dando lei un volto si agisce in una dimensione di realtà, si superano le paure, si riesce ad affrontare un dialogo in modo naturale, senza tabù, poiché la famiglia affidataria ha possibilità di interagire con il minore, parlandogli spesso della madre, contribuendo in modo positivo al rientro di S nel proprio nucleo d’origine.

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