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Contributo alla storia dell’Assicurazionecontro gli Infortuni sul Lavoro a Vercelli

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Contributo alla storia dell’Assicurazione

contro gli Infortuni sul Lavoro a Vercelli

Contributo alla storia dell’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro a V ercelli

Dalle origini alla vigilia

della prima guerra mondiale (1898-1914)

Flavio Quaranta

Flavio Quaranta

Flavio Quaranta è nato a Novara nel 1962.

Laureato in Scienze Politiche e in Lettere Moderne, entrambe in indirizzo storico, presso l’Università degli Studi di Torino.

Ha compiuto ricerche sull’associazionismo del clero in Italia e sull’assicurazione infor- tuni sul lavoro in età giolittiana. Nel 1988 ha pubblicato Il Ragioniere commercialista a Vercelli, promosso dal Collegio dei Ragionieri professionisti della giurisdizione dei Tribunali di Vercelli e Biella.

Ha collaborato al volume Prevenzione e tutela del lavoratore. Origini, prospettive e sviluppo nella cornice dei dipinti votivi, edito dall’INAIL in occasione del Giubileo del 2000, premiato al II Festival Internaziona- le della Comunicazione Sociale.

Vive a Vercelli ed è funzionario presso la locale Sede INAIL dal 1990.

In sovraccoperta

“La mondatura”

(Archivio storico Chiais)

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C

APITOLO

P

RIMO

La Cassa Consorziale Vercellese

infortuni sul lavoro

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Pietro Verzetti

Allegoria della Cassa Consorziale Vercellese (Archivio Bona)

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Una raccapricciante disgrazia ha portato martedì [23 gennaio 1917] la più profonda costernazione nello stabilimento ausiliario ing. Geminardi, Guidetti & C.

Essendosi verificato un inconveniente in una puleggia, che doveva essere trasportata, un operaio aggiustatore, erasi recato a pranzo in anticipo per compiere, con altri, l’opera- zione durante l’ora e mezza di riposo.

A mezzogiorno si pose all’opera: a motore fermo levò la cinghia, trasportò la puleggia e, rimessa a posto la cinghia, fece azionare il motore idraulico; parendogli la cinghia trop- po tesa, la levò ancora, la strinse e poi volle rimetterla a posto senza arrestare il motore, con la fatale imprudenza che dà la sicurezza acquisita in cento prove riuscite.

Ad un tratto un grido echeggiò nell’officina, un grido angoscioso: “Ferma!”

Ma era troppo tardi: afferrato per un lembo della manica dall’albero in moto, quel misero corpo giovanile, aitante e robusto, un istante prima pieno di vita, di forza, fu in un attimo sbattuto e fatto a brandelli! Lo spettacolo fu così spaventevole che gli operai stes- si compagni della vittima, accorsi dopo aver fermato il motore, arretrarono inorriditi!

Indicibile il dolore che tutti, i capi della ditta e gli operai, che entravano in quel momento al lavoro - erano le 13,20 - provarono per la fine miseranda e fulminea del gio- vane operaio.

Perché il povero Luigi Borzone era da tutti amato per l’intelligenza, l’operosità, il mite e dolce carattere, che inspirava la più grande simpatia in quanti lo avvicinavano.

Non aveva ancora 28 anni, essendo nato a Novara il 23 luglio 1889, ma era a Vercelli fin da bambino coi suoi genitori. Aveva già fatto la campagna di Libia, come soldato di leva e, richiamato, fu per dieci mesi al fronte trentino. [...]

“È raccapricciante - disse ieri mattina il Sindaco della città davanti al feretro del Borzone - la crudele sorte di questo giovane che, sfuggito ai pericoli di due campagne di guerra, doveva cadere fulminato, lacerato sulle trincee del lavoro!1

Non a caso abbiamo voluto citare - dal giornale “La Sesia” - questa descrizione tragica di un infortunio mortale, capitato ad un giovane ope- raio di Vercelli, quale premessa al nostro studio sulle origini dell’assicu- razione contro gli infortuni sul lavoro nella nostra città.

Altri esempi, altri infortuni di esito analogo si sarebbero potuti ripor- tare, tuttavia questo ci sembra esemplare per più di un fattore.

Innanzitutto per la descrizione minuziosa, attenta ai minimi particolari, del giornalista che, a metà tra l’ispettore ed il romanziere, lasciava tra- sparire un certa tendenza ad individuare - senza mai nominarla - una colpa del lavoratore, un suo comportamento errato o imprudente, quale causa dell’infortunio. In un orario previsto per il riposo, infatti, l’operaio

1“La Sesia” del 26 gennaio 1917, p. 2.

Introduzione

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aveva dovuto svolgere la mansione - non è specificato se di sua libera scelta o se affidatagli dal datore di lavoro - di riparare un guasto con l’“imprudenza” di non avere arrestato il motore. Questa imprudenza, inoltre, veniva definita “fatale”, anche perché il povero operaio non era certo un inesperto, aveva già affrontato simili situazioni molte altre volte e, come si evince dal racconto del giornalista, con pieno successo.

Nel caso non si volesse quindi calcare troppo la mano sulla mancanza di prudenza dell’operaio, veniva comunque alla luce l’altro fattore, quasi una ideologia, della “fatalità”, cioè dell’inevitabilità dell’infortunio, tale perché legato ad una conseguente inevitabilità del processo produttivo.

Non a caso non venivano minimamente descritte le condizioni ambien- tali ove l’operaio svolgeva il suo lavoro, la collocazione e lo stato di usura dei macchinari (anche se, tra le righe, si riesce a capire che non era la prima volta che in quella fabbrica si verificava un guasto alla puleggia) né ci è dato di sapere se nella fabbrica erano state predisposte adeguate misure di prevenzione e di sicurezza.

Certo fa riflettere l’orazione funebre pronunciata dal sindaco di Vercelli il quale non esitò a fare un paragone tra le guerre militari, alle quali il giovane aveva partecipato in ben due occasioni, e le guerre del lavoro: ai pericoli delle prime era sempre sfuggito, a quelli delle seconde doveva immolare la sua giovane vita.

Abbiamo lasciato per ultimo la riflessione sulla sorte atroce alla giova- ne vittima, il cui corpo venne ridotto “a brandelli” e di fronte al quale i suoi compagni indietreggiarono “inorriditi”. Questo non tanto per il gusto di colorire con immagini ad effetto eventi di cronaca quotidiana ma - lo ha ricordato per primo Roberto Romano2- per fare chiarezza, soprat- tutto quando tratteremo (nel nostro caso sui resoconti annuali delle assemblee della Cassa Consorziale Vercellese) i termini di “morte”,

“invalidità permanente”, invalidità temporanea”. Tipologie, queste, ado- perate per l’indennizzabilità degli infortuni sul lavoro dagli istituti assi- curatori dell’epoca (anche dall’attuale INAIL) ma sotto le quali si cela- vano eventi strazianti nella storia della classe operaia.

Prima di addentrarci nella storia di quella che è stata - allo stato attuale delle ricerche - la prima Cassa Consorziale contro gli infortuni approvata in Italia, accenneremo brevemente al complesso iter legislativo che ha porta- to alla promulgazione della legge istitutiva dell’obbligo dell’assicurazione infortuni sul lavoro nel nostro Paese.3Ci volle infatti del tempo perché si avvertisse la necessità di assicurare al fenomeno infortunistico una discipli- na speciale, diversa e distinta rispetto a quella dettata da diritto comune.

La prima proposta di legge venne presentata alla Camera dall’on.

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2R. ROMANO, Sistema di fabbrica, svilup- po industriale e infortuni sul lavoro, in Storia d’Italia, Annali 7, Torino 1984, pp. 1019- 1055.

3L’opera di A. CHERUBINI, Storia della previdenza sociale in Italia (1860-1960), Roma 1977, rimane l’unica storia generale su questo argomento. Si veda anche G.

MONTELEONE, La legislazione sociale al par- lamento italiano. Gli infortuni sul lavoro e la responsabilità civile dei padroni. 1879-1886, in “Movimento operaio e socialista”, (1976), n. 3, pp. 177-214. Di particolare interesse i lavori di G.C. JOCTEAU, Le origi- ni della legislazione sociale in Italia. Problemi e prospettive di ricerca, in “Movimento ope- raio e socialista”, (1982), n. 2, pp. 289-303 e D. MARUCCO, Mutualismo e sistema politi- co. Il caso italiano (1862-1904), Milano 1981, p. 227. Sulla storia della legge per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavo- ro, in particolare sul dibattito tra responsa- bilità contrattuale ed extracontrattuale, vedi lo studio di L. GAETA, Infortuni sul lavoro e responsabilità civile. Alle origini del diritto del lavoro, Napoli 1986, pp. 148.

Sulla situazione politica, economica e sociale dell’epoca G.C. JOCTEAU, Lotta politica e conflitti sociali nell’Italia liberale, in La Storia, VIII, Torino 1984, pp. 667-700.

Importanza notevole, soprattutto per l’analisi critica sugli studi relativi alla storia della previdenza sociale in Italia, riveste il contributo di F. VANNOZZI, Per una storio- grafia previdenziale (e assistenziale).

Contributi recenti e vecchie interpretazioni, in

“Rivista degli infortuni e delle malattie professionali”, Roma 1987, pp. 561-578.

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Pietro Pericoli già nel 1879, in seguito all’emozione provocata dagli innu- merevoli infortuni nel settore edilizio, e conteneva la novità - per il nostro paese - dell’inversione dell’onere della prova: non più all’operaio infor- tunato, cioè, sarebbe spettato il compito di fornire la prova della colpa padronale, bensì al datore di lavoro stesso, ritenuto automaticamente in colpa, toccava scagionarsi dimostrando l’accidentalità dell’infortunio o la colpa stessa del lavoratore.

Il progetto Pericoli, anche per la sopraggiunta fine della legislatura, non ebbe fortuna. Qualche tempo dopo, per la precisione nel 1880, fu esaminata dalla Camera un’altra proposta di legge, simile alla preceden- te, la cui iniziativa fu di quattro autorevoli esponenti del mondo politico e culturale dell’epoca: Marco Minghetti, Luigi Luzzatti, Pasquale Villari e Sidney Sonnino.

Questa proposta non avrà seguito, così come non avranno miglior sorte due successivi disegni di legge, presentati alla Camera nel 1881 e nel 1883, dal ministro di agricoltura, industria e commercio, Domenico Berti, e dal ministro di grazia, giustizia e dei culti Giuseppe Zanardelli che, abbandonando l’inversione della prova, avevano, tra le altre cose, lo scopo di sollecitare il riconoscimento giuridico delle società di mutuo soccorso e di istituire l’inchiesta pretorile per accertare le cause e cirostanze del- l’infortunio.

Non erano mancate le critiche: Antonio Salandra, ad esempio, in nome della dottrina liberale, non voleva impegnato lo Stato nel settore dell’as- sicurazione in quanto ciò avrebbe comportato gravi rischi finanziari;

Marco Besso, da un punto di vista tecnico, sosteneva che, se si doveva stabilire la responsabilità delle industrie, e quindi tutelare tutti gli operai, si doveva considerarle tutte e non a settori limitati.

Fu l’Esposizione italiana di Milano del 1881 a far scoprire, tuttavia, che in Italia funzionava già l’assicurazione infortuni: era praticata da una fabbrica di filatura e torcitura del cotone di Intra. Luzzatti, entusiasta di quella iniziativa, non esitò a interessare il ministro Berti, il quale a sua volta prese contatto con i dirigenti delle principali banche italiane e delle casse di risparmio. Il 18 febbraio 1883 fu firmata la convenzione tra il Ministero dell’agricoltura, industria e commercio e dieci banche, all’in- terno delle quali giocò un ruolo notevole la Cassa di risparmio di Lombardia; l’8 luglio 1883 fu promulgata la legge n. 1473 che istituiva la Cassa Nazionale Infortuni, destinata - in regime di assicurazione facolta- tiva - ad invogliare gli imprenditori ad assicurare i propri dipendenti, soprattutto per le tariffe di premio convenienti che vi erano praticate.

Tuttavia il ricorso volontario all’assicurazione dei dipendenti non era

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visto di buon occhio dagli imprenditori, i quali preferivano pagare le indennità di volta in volta agli infortunati nei casi - rari - di propria colpa sentenziata in sede giudiziaria, che non versare annualmente i premi assicurativi. Questi avrebbero rappresentato un onere non indifferente sul bilancio aziendale, così come l’installazione delle misure di preven- zione e di sicurezza, quasi mai adottate con razionalità.

I disegni di legge presentati al Parlamento negli anni ’90, da quello del ministro Miceli a quello del ministro Guicciardini, abbandonarono tutta- via la logica delle precedenti iniziative, basate sull’inversione della prova e sulla responsabilità civile, incentrando gli obiettivi sul rischio profes- sionale e sull’assicurazione obbligatoria.

Pur di sottrarre il ceto imprenditoriale all’assillo della responsabilità presunta, all’obbligo del risarcimento, all’osservanza delle norme di igie- ne e prevenzione, si preferì quindi pagare il premio di assicurazione, tra- sferendo all’istituto assicuratore le conseguenze economiche del rischio infortunistico e liberando l’impresa da più onerosi vincoli. Qualsiasi trat- tenuta a carico del lavoratore era tassativamente vietata.

Si arrivò così alla legge n. 80 del 17 marzo 1898 che istituiva l’obbligo per l’assicurazione degli operai delle industrie contro gli infortuni sul lavoro, con libera scelta però dell’istituto assicuratore.

In quest’ottica la Cassa Consorziale Vercellese, fondata il 16 ottobre 1898 ed approvata con Decreto Reale 27 aprile 1899, è stata - come detto - la prima in Italia a costituirsi non appena venne promulgata la legge sopra citata, scrivendo nella storia delle istituzioni previdenziali e antin- fortunistiche del tempo alcune pagine che meritavano di essere da noi ricordate. Tranne pochissime testimonianze orali, infatti, nulla è stato narrato per quanto riguarda le origini dell’assicurazione contro gli infor- tuni sul lavoro a Vercelli e questo è un po’ sorprendente visto che, nelle testimonianze dell’epoca, Vercelli era indicata come una delle prime città in Italia che avessero istituito casse consorziali sia nel settore industriale sia, soprattutto, nel settore agricolo, per assicurare i lavoratori contro gli infortuni sul lavoro.

Si deve un po’ al caso - che nelle ricerche archivistiche spesse volte gioca un ruolo non indifferente - alla nostra curiosità di funzionario INAIL ed alla volontà di fare luce sulle radici dell’attuale Istituto nazio- nale infortuni che ci siamo imbattuti in una buona quantità di documen- ti archivistici, fonti giornalistiche, resoconti di assemblee, dati statistici.

In virtù dell’iniziativa dei fondatori Angelo Bosso,4che fu presidente per ben trent’anni (dal 1898 alla morte, avvenuta nel 1928), Giovanni Bona, Giovanni Berra, Pietro Bona, Alessandro Delpiano, Eusebio

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4Angelo Bosso nacque a Vercelli il 16 settembre 1852 e morì a Vercelli il 1 marzo 1928. Ebbe un figlio, ing. Cesare Bosso, nato a Vercelli il 19 ottobre 1888 ed emi- grato a Torino il 22 novembre 1929 (notizie tratte dall’Archivio dell’Ufficio anagrafe del Comune di Vercelli – scheda indivi- duale).

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Delpiano, Alfredo Delpiano, Giovanni Termine e Cesare Zumaglini, si era così risolto a Vercelli - allora sotto la provincia di Novara - il problema di creare una istituzione che esercitasse l’assicurazione imposta dalla legge 17 marzo 1898, alla quale potessero ricorrere con fiducia gli impren- ditori e gli industriali interessati, evitando soprattutto gli elevati tassi di premio praticati dalle società private.

Dopo aver vinto alcune diffidenze e la concorrenza di consimili istitu- zioni presenti nel territorio, la Cassa Consorziale Vercellese riuscì addi- rittura a far convergere l’attenzione degli industriali di altre zone vicine, del Novarese, della Valsesia, del Monferrato, della Lomellina (e, dopo la prima guerra mondiale, del Verbano e dell’Ossola) al fine di assicurarsi al sodalizio.

L’impresa iniziata dai nove imprenditori vercellesi era così un fatto compiuto e la Cassa Consorziale acquisì il diritto di precedenza sulle altre istituzioni congeneri. Alcune di queste ultime sorsero proprio seguendo il modello vercellese, come è testimoniato dai rapporti intercorsi tra alcu- ni industriali e professori universitari delle maggiori città italiane con i rappresentanti del nostro consorzio.

L’istituzione assunse anno dopo anno incremento sempre maggiore e tale da richiedere, nel 1908, la sua trasformazione in Sindacato Vercellese Infortuni che avrebbe continuato la gloriosa avventura della Cassa Consorziale Vercellese fino alla nascita dell’INAIL.

A conclusione di questa nota introduttiva desidero ringraziare coloro che mi sono stati d’aiuto per realizzare questa ricerca a cominciare dal- l’arch. Mario Bona, responsabile dell’archivio storico Bona, dall’amico Alessandro Chiais, dal dott. Maurizio Cassetti, già direttore dell’Archivio di Stato di Vercelli, per la documentazione cartacea e fotografica fornita- mi. La mia gratitudine è estesa parimenti al dott. Rosaldo Ordano, presi- dente della Società storica vercellese e ai professori dell’Università degli Studi di Torino, Ester De Fort e Umberto Levra (rispettivamente rela- trice e correlatore della mia seconda tesi di laurea, cui il presente studio è uno sviluppo) per i preziosi consigli che mi hanno dato. Ai dirigenti regionali INAIL Andrea Scordino e Onofrio Di Gennaro un grazie since- ro per gli incoraggiamenti e gli stimoli al fine di approfondire gli studi in questo settore.

Non posso non ricordare in quest’occasione il direttore della Sede INAIL di Vercelli, Silvestro Piccione, prematuramente scomparso, che mi ha aiutato a crescere umanamente e professionalmente. Alla sua memoria desidero dedicare questa mia ricerca.

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Il Presidente Angelo Bosso Il Vice Presidente Giovanni Bona

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1. Vercelli e la legge n. 80 del 17 marzo 1898

Gli anni trascorsi dal circondario di Vercelli in subordine alla provincia di Novara, dal 1859 al 1927, avevano avuto, dal punto di vista di insedia- menti industriali per Vercelli ed il suo circondario, un effetto negativo.

Novara aveva usufruito di quattro quinti del denaro speso in opere pub- bliche ed attirato nel suo territorio quasi tutte le industrie che intende- vano installarsi in provincia. In questo era favorita anche da un migliore e più rapido inserimento nella rete locale e nazionale delle comunicazio- ni stradali e ferroviarie5. In quest’ottica i commercianti e gli imprendito- ri vercellesi erano scontenti dell’inadeguatezza delle vie di comunicazio- ne, specie per il traffico delle merci, ed il consiglio comunale cercava di farsi promotore di qualche iniziativa, dichiarandosi disposto anche a sostenerla con adeguati contributi. Come evidenzia Rosaldo Ordano, negli anni 1879-80 i politici vercellesi, con a capo l’on. Luigi Guala, eser- citarono notevoli pressioni per la nascita della provincia di Vercelli, tutta- via senza risultato.6 Oltre all’opposizione dei novaresi fu determinante quella di Quintino Sella il quale, convinto che il progresso industriale del biellese poteva avvenire solo impedendo un analogo progresso nel Vercellese, sostenne la carriera politica di Piero Lucca “cioè di colui che, ritenendo che su uno stesso territorio lo sviluppo industriale fosse incom- patibile con lo sviluppo dell’agricoltura, operava in pratica per impedire che nel Vercellese si realizzassero condizioni favorevoli agli insediamen- ti industriali”.7 Se così a Vercelli ed al Vercellese non restava che rivol- gersi all’agricoltura, nella quale la coltivazione del riso rappresentava l’at- tività più redditizia, dobbiamo comunque ricordare che tutto questo non impedì agli imprenditori vercellesi di partecipare all’Esposizione indu- striale italiana del 1881 a Milano, di cui – come abbiamo visto - Luzzatti era stato fra i promotori, e di essere all’avanguardia nel campo dell’assi- curazione contro gli infortuni degli operai sul lavoro.8 Infatti, proprio a causa della coltivazione del riso, si era sviluppata una fiorente industria della lavorazione del prodotto, soprattutto per quanto riguarda i brillatoi del riso. Dalla relazione sullo sviluppo delle industrie nel Vercellese, redatta dall’ing. Geminardi proprio in occasione dell’Esposizione di Milano del 1881, siamo a conoscenza della presenza degli stabilimenti Iona Neemia. e C. a Vercelli, Franchini e C. a Larizzate, Bolgè a San Germano, Cattaneo a Tronzano. La ditta Iona, ad esempio, possedeva ben diciotto brillatori automatici, oltre ad altre macchine accessorie occorrenti alla lavorazione, impiegando in media quaranta operai al gior- no.9 Un’altra industria vercellese, legata direttamente all’agricoltura e

5F. MASCHERA, Mutue cooperative cattoli- che nella Bassa vercellese, in C. Bermond (a cura di), Cooperazione e mutualità in Piemonte e Valle d’Aosta, Quaderni del centro studi “C. Trabucco”, 9, Torino 1986, p. 250.

6R. ORDANO, Storia di Vercelli, Vercelli 1982, p. 279.

7Ibidem.

8Sull’ascesa della grande industria ita- liana intorno al 1880 e sull’Esposizione di Milano cfr. T.L. RIZZO, La legislazione sociale della nuova Italia (1876-1900), Napoli 1988, pp. 9-12.

9E. GEMINARDI, Esposizione industriale italiana. Milano 1881. Relazione sullo svilup- po delle industrie nel vercellese e sui rispettivi prodotti presentata all’onorevole comitato ese- cutivo, Vercelli 1881, pp. 8-9. La ditta Iona, nel 1898, non risultava essere iscritta alla Cassa Consorziale Vercellese, tuttavia non siamo in grado di precisare se fosse stata iscritta presso altri istituti, ad esempio alla Cassa Nazionale Infortuni, o se continuas- se l’attività sotto la stessa ragione sociale.

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presente all’Esposizione milanese, era quella dello zolfo raffinato. Ad opera di Antonio Gobbi infatti era sorto nel più importante centro della produzione vinicola - Gattinara - un molino per raffinare lo zolfo, impor- tato dalle cave di Cesena e Rimini. L’ottimo grado di polverizzazione ottenuto dal molino Gobbi, che raffinava trenta quintali di zolfo ogni otto ore di lavoro continuo, faceva sì che il prodotto si propagasse meglio sul- l’uva e con poca spesa.10Il circondario di Vercelli, poi, non era carente in fatto di industrie meccaniche poiché vi erano parecchie officine in cui si fabbricavano soprattutto macchine per l’agricoltura e per la lavorazione dei prodotti agricoli. L’officina meccanica Locarni, ad esempio, che aveva annessa una fonderia di ghisa e metalli, occupava circa cento operai al giorno. I suoi prodotti consistevano in ogni genere di aratri, erpici, treb- biatrici, sgranatoi per il mais, trinciaforaggi e simili, torchi per oliere, da vino, oltre che costruzioni in ferro come tettoie, serramenti, cancellate.11 Dopo aver evidenziato la presenza sul territorio vercellese di una industria legata direttamente al settore primario (che, anche se in assen- za di statistiche, comportava lavorazioni pericolose e conseguenti rischi professionali per coloro che vi erano adibiti), analizziamo sinteticamente la legge 80/1898 per l’assicurazione contro gli infortuni degli operai sul lavoro.

Promulgata dal Re il 17 marzo 1898, si suddivideva in quattro Titoli:

nel primo, Limiti ed applicazioni della legge, venivano enumerate le indu- strie alle quali la legge doveva essere applicata, stabilendo quali persone agli effetti di essa dovevano qualificarsi come “operai”. I criteri per defi- nire questa qualifica (art. 2 della legge) sono da ricercare nel luogo di lavoro (fuori della propria abitazione e, in particolare, in industrie, minie- re, costruzioni ed imprese edili), nel tipo di mansione svolta e nella misu- ra della mercede da essi percepita: venivano inclusi in questa categoria coloro che partecipavano manualmente al lavoro (che doveva essere retri- buito), ed anche chi sovraintendeva al lavoro degli altri, purché percepis- se un salario non superiore alle sette lire al giorno; erano inclusi nella tutela assicurativa anche gli apprendisti, con o senza salario. Esclusi quin- di i lavoratori agricoli e quelli a domicilio.

Nel secondo Titolo, Regolamenti preventivi, si stabilivano disposizioni relative alle misure da adottarsi per la prevenzione degli infortuni.12

Nel terzo Titolo, Assicurazione, veniva prescritta l’obbligatorietà del- l’assicurazione. Essa doveva farsi interamente a spese del capo o eser- cente dell’impresa, industria o costruzione, per gli infortuni avvenuti per

“causa violenta” e “in occasione di lavoro” e che avessero portato conse- guenze oltre i cinque giorni: l’adempimento di tale obbligo era garantito

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10E. GEMINARDI, Esposizione industria- le italiana. Milano 1881, cit., p. 5.

11 Ibidem, pp. 11-13.

12In applicazione della legge n. 80, fu successivamente emanato con R.D. 18 giu- gno 1899, n. 230, il “Regolamento genera- le per la prevenzione degli infortuni”, a cui seguirono altri Regolamenti, approvati con RR.DD., contenenti norme per singoli set- tori lavorativi: cave e miniere (n. 231 del 18 giugno 1899), imprese trattanti materie esplosive (n. 232 del 18 giugno 1899), costruzioni (n. 205 del 27 maggio 1900).

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con un sistema di controlli, di denunce e di sanzioni esplicati poi con maggiore precisione nel Regolamento. Erano inoltre stabiliti i criteri per la determinazione delle indennità e per le eventuali revisioni dei giudizi relativi. L’assicurazione doveva, di norma, farsi presso la Cassa Nazionale Infortuni, tuttavia era ammessa anche l’assicurazione mutua tra gli indu- striali per mezzo di Casse private consorziali e di Sindacati, sia per grup- pi di industrie che per competenza territoriale, con particolari cautele e garanzie.

Nel quarto Titolo, Disposizioni generali, venivano stabiliti i casi in cui sarebbe risorta la responsabilità civile, con l’ammissione dell’azione di regresso da parte degli assicuratori. Questa azione consisteva nel farsi restituire le somme pagate per l’erogazione delle prestazioni agli aventi diritto, dal datore di lavoro giudicato dal tribunale penalmente responsa- bile dell’infortunio.

Nel complesso, quindi, la prima legge italiana che istituiva l’obbliga- torietà dell’assicurazione infortuni sul lavoro, ispirata al sistema privati- stico, poteva ritenersi fondata essenzialmente sopra tre basi:

- Diritto all’indennità da parte dell’operaio colpito da infortunio pro- fessionale, subordinato al pagamento del premio da parte del datore di lavoro;

- Obbligo dell’assicurazione a tutto carico dell’imprenditore, lasciando libera, in genere e salvo eccezioni, la scelta dell’assicuratore;

- Mantenimento della responsabilità civile quando il fatto che dava titolo alla domanda di pieno risarcimento, a tenore del diritto comune, fosse stato riconosciuto sussistente e vero dal magistrato per sentenza di condanna in sede penale.13

Passando ora dal generale al particolare, soprattutto per comprendere la nascita della Cassa Consorziale Vercellese (la prima cassa consorziale approvata in Italia) bisogna soffermare la nostra attenzione sull’art. 17 della legge n. 80/1898. Se, infatti, da una parte questa legge imponeva l’obbligo dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, dall’altra lascia- va libera la scelta dell’ente assicuratore. Sussistevano, più specificata- mente, tre tipi di esonero dall’assicurazione presso la Cassa Nazionale Infortuni.

In primo luogo era esonerato dall’obbligo dell’assicurazione presso la Cassa Nazionale o presso società o compagnie private lo Stato, per gli operai dei suoi stabilimenti, ai quali da leggi speciali erano già state asse- gnate indennità in caso d’infortunio.

In secondo luogo coloro che, avendo stabilimenti o esercitando impre- se del genere di quelle indicate nell’art. 6, avessero fondato, a loro cura e

13A. SALVATORE, Legge e regolamento per gli infortuni degli operai sul lavoro con note e tabelle esplicative ad uso degli industriali e degli uomini di legge, Milano 1900, p. 34-36.

Avveniva però spesso che per l’ina- dempienza del datore di lavoro (mancato versamento del premio) in virtù del carat- tere contrattuale privatistico del rapporto assicurativo, la polizza era priva di conse- guenze giuridiche e l’infortunato era costretto a rivolgersi, per il risarcimento del danno, al proprio padrone a norma del Codice Civile ricadendo quindi nella grave situazione che si era verificata prima della legge n. 80/1898. Sarà solo la legge n.

1765/1935 che garantirà all’operaio ogni prestazione anche nel caso in cui il datore di lavoro non avesse adempiuto ai suoi obblighi assicurativi.

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spese, casse riconosciute per legge o per decreto reale, le quali provvede- vano in modo permanente ad un numero di operai superiore a 500 ed asse- gnavano agli operai stessi indennità per infortuni del lavoro non inferiori a quelle fissate in conformità dell’art. 9; queste casse private dovevano depositare, presso la Cassa depositi e prestiti in titoli emessi o garantiti dallo Stato, una cauzione nella forma e nella misura che sarebbero state determinate con norma aventi carattere generale dal Ministero di agricol- tura, industria e commercio. La cauzione non poteva mai essere inferiore a cinque volte l’importo del premio che si sarebbe dovuto annualmente pagare alla Cassa Nazionale per assicurare gli operai cui provvedeva la cassa privata. Qualora le casse non avessero avuto fondi sufficienti al paga- mento delle indennità, sarebbero stati tenuti a pagarle coloro che avesse- ro avuto l’obbligo di assicurare gli operai colpiti da infortunio.

In terzo luogo erano esonerati gli industriali consociati in sindacato di mutua assicurazione, in base a statuti debitamente approvati dal Ministero di agricoltura, industria e commercio.14

Per costituirsi, i sindacati dovevano comprendere almeno quattromila operai ed aver versato, in titoli emessi o garantiti dallo Stato, presso la Cassa depositi e prestiti, una cauzione ragguagliata alla somma di lire 10 per ogni operaio occupato fino ad un massimo di lire cinquecentomila.

All’atto della costituzione, per il primo anno, gli industriali consociati dovevano versare anticipatamente nella cassa del sindacato in conto delle contribuzioni annue che sarebbero state loro assegnate, una somma ugua- le alla metà dei premi che sarebbero stati richiesti dalla Cassa Nazionale Infortuni per assicurare agli operai le indennità previste dalla legge. Nel caso che la somma così anticipata avesse superato l’importo totale delle indennità liquidate nell’anno e definitivamente accertate, l’eccedenza sarebbe stata rimborsata agli industriali consociati. Negli anni successivi, ed all’inizio di ogni anno, gli industriali consociati avrebbero versato un premio annuale nella misura determinata in base alle indennità liquidate nell’anno precedente.

Gli industriali riuniti in sindacato rispondevano in solido per l’esecu- zione degli obblighi della presente legge e le contribuzioni dovute dagli associati venivano esatte con le norme prescritte e coi privilegi stabiliti per l’esazione delle imposte dirette.15

Prima di addentrarci nelle vicende della Cassa Consorziale Vercellese è importante soffermare la nostra attenzione su questo articolo della legge 80/1898, che rimarrà sostanzialmente inalterato dai provvedimenti legislativi successivi (diventerà art. 10 nella legge 243/1903 e art. 19 nella legge Testo Unico 51/1904). Tenuto presente, da un punto di vista for-

12

14I primi quattro Sindacati di mutua assicurazione furono, in ordine di autoriz- zazione ministeriale, quelli di Torino, di Iglesias, di Genova e di Firenze. cfr. A.

AGNELLI, Commento alla legge sugli infortuni del lavoro, Milano 1905, pp. 444-445.

15Ibidem, pp. 416-417.

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male, che le casse private costituite da un solo industriale non potevano certo dirsi istituiti di assicurazione (poiché si limitavano solo a pagare le indennità prescritte dalla legge) appare evidente come l’assicurazione mutua degli industriali, sia mediante la costituzione di casse consorziali che per mezzo di sindacati, fosse quindi più conveniente perché meno costosa. Sulla base dei primi commenti alla legge sembrò che gli indu- striali italiani, almeno in un primo momento, avessero accolto questa possibilità di assicurazione alternativa con una certa diffidenza, soprat- tutto temendo le conseguenze dell’obbligo solidale imposto, come abbiamo visto, dalla legge. Tuttavia, nel sistema di garanzie adottato dalla norma giuridica ad hoc, “le conseguenze temute della solidarietà che lega i socii di ogni Sindacato (erano) troppo lontanamente remote ed improbabili per dovere ispirare un serio timore”.16Non vi era, in defini- tiva, una grande differenza tra casse private e sindacati di mutua assicu- razione, diversi erano i requisiti necessari per la costituzione dei sinda- cati e quelli necessari per la fondazione delle casse private, anche con- sorziali. Mentre le casse private avevano bisogno di un minimo di 500 operai, ai sindacati ne occorrevano 4.000, ma un sindacato non poteva comprendere per un periodo superiore ad un anno di tempo un numero minore di operai, sotto pena di scioglimento. Una cassa privata poteva avere meno di 500 iscritti al massimo per un mese. Mentre la cauzione per i sindacati era di lire 10 per ogni operaio, fino ad massimo di lire 500.000, quella per le casse private ammontava al quintuplo del premio che si sarebbe dovuto pagare alla Cassa Nazionale Infortuni. Un’ultima osservazione rimane ancora da fare: scopo principale delle casse private e dei sindacati mutui era, ovviamente, corrispondere agli operai le indennità stabilite dalla legge sugli infortuni. Potevano però proporsi altri scopi oltre a quelli obbligatoriamente previsti dalla legge come, ad esempio, il sussidio in caso di malattia o il pagamento delle indennità anche durante il periodo di carenza? Nella discussione sul regolamento la questione s’affacciò: Vincenzo Magaldi, allora ispettore generale del credito e della previdenza, era favorevole, mentre Carlo Francesco Ferraris, esponente autorevole della Commissione consultiva sulle isti- tuzioni di previdenza e sul lavoro, era contrario, probabilmente per il timore che i sindacati, estendendo la loro sfera d’azione, potessero venir meno agli scopi per i quali erano stati creati. L’opinione che finì col pre- valere sarebbe stata comunque quella di Magaldi, favorevole, come si è detto, a lasciare all’iniziativa privata di integrare la legge anticipando, a livello locale, determinate riforme cui il legislatore avrebbe guardato negli anni a venire.

16A. SALVATORE, Legge e regolamento, cit., p. 105.

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2. Nasce la Cassa Consorziale Vercellese Infortuni sul lavoro (16 ottobre 1898)

Sul giornale cittadino “La Sesia” del 27 settembre 1898, intanto, appariva una lettera, in prima pagina, di uno “stimato industriale della nostra città” dedicata proprio al tema degli infortuni sul lavoro. La pub- blichiamo integralmente poiché possiamo considerarla come punto d’ini- zio dell’intensa attività svolta dagli imprenditori vercellesi non solo per ottemperare al più presto agli obblighi previsti dalla legge, e quindi esser esonerati dalla responsabilità civile in caso di eventuale infortunio da parte dei loro sottoposti, ma anche per fare chiarezza nei confronti di coloro ai quali, eventualmente, la legge avrebbe potuto non applicarsi:

Signor direttore,

La legge sugli infortunii essendo di grande interesse per gli industriali, sarebbe uti- lissimo che sul giornale La Sesia apparisse qualche articolo che spiegasse detta legge agli industriali. Avrà letto in una corrispondenza da Roma al Corriere della Sera che la denun- cia al Prefetto della natura delle imprese o industrie e degli operai assicurandi, deve esse- re fatta prima della fine di ottobre, come dicono alcuni agenti d’assicurazione; ed in fine di detta corrispondenza si afferma che col 1° dicembre tutti gli operai devono essere assi- curati. Sappia pertanto, e se crede lo pubblichi sul giornale, che la legge 17 marzo 1898 dice che devono sottostare alla legge le industrie che trattano od applicano materie esplodenti oppure: gli opifici industriali nei quali si fa uso di macchine mosse da agenti inanimati, per cui a mio modo di vedere molti industriali, grandi e piccoli, questi in ispecie, non devono essere soggetti alla prescrizione di legge, ed ella, caro signore, che sempre volenteroso si dedica all’interesse pubblico, farebbe un segnalato servizio a tutti gli interessati, pubbli- cando quali sono gli obblighi della legge, e quali industriali non sono contemplati dalla legge stessa.17

Il giornale vercellese non mancava di rispondere alle sollecitazioni provenienti dal mondo industriale. Per quanto riguardava la denuncia al prefetto si rimandava all’art. 28 della legge 17 marzo 1898 n. 80 ove era stabilito che la legge stessa sarebbe entrata in vigore dopo sei mesi dalla pubblicazione nella “Gazzetta Ufficiale” del Regno, e quindi il primo ottobre 1898. Tuttavia, siccome la legge all’art. 19 disponeva che la denuncia al prefetto doveva essere fatta nel termine di un mese dall’en- trata in vigore della legge, era evidente che gli industriali avessero tempo fino alla fine del mese di ottobre per poter adempiere agli obblighi della denuncia.

Quanto all’assicurazione - evidenziava l’articolista - se gli industriali non avevano provveduto altrimenti, o con speciali casse debitamente riconosciute, o con sindacati di mutua assicurazione, doveva eseguirsi un mese dopo la denuncia al prefetto, quindi entro il primo dicembre 1898.

14

17“La Sesia” del 27 settembre 1898, p. 1.

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Restava da analizzare l’ultimo punto, il più importante, presentato dall’imprenditore vercellese all’opinione pubblica, e cioè quali fossero le industrie alle quali la legge avrebbe imposto l’obbligo dell’assicurazione degli operai contro gli infortuni. Giustamente venne rinviata la risposta al primo articolo della legge, la quale si applicava agli operai addetti:

“1. All’esercizio delle miniere, cave e torbiere; alle imprese di costruzio- ni edilizie; alle imprese per produzione di gas o di forza elettrica e alle imprese telefoniche; alle industrie che trattano od applicano materie esplodenti; agli arsenali o cantieri di costruzioni marittime. 2. Alle costru- zioni ed imprese seguenti, qualora vi siano impiegati più di cinque ope- rai: costruzione o esercizio di strade ferrate, di mezzo di trasporto per fiumi, canali e laghi, di tramvie a trazione meccanica; lavori di bonifica- mento idraulico; costruzioni e restauri di porti, canali ed argini; costruzio- ni e restauri di ponti, gallerie e strade ordinarie, nazionali e provinciali.

3. Agli opifizi industriali nei quali si fa uso di macchine mosse da agenti inanimati o da animali, qualora vi siano occupati più di cinque operai”.18 La maggior parte delle piccole industrie sembrava cadere quindi sotto il disposto del terzo paragrafo di questo articolo, nel quale era evidente che quelle imprese nelle quali non si faceva uso di macchine mosse da motori inanimati di ogni specie (a vapore, a gas, elettrici, idraulici) oppu- re da animali - cioè dove pur essendovi macchine queste erano messe in azione dagli stessi operai - non erano tenute all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro. Obbligo preciso e tassativo per questo genere di imprese, dunque, non c’era. Tuttavia l’articolista sembrava spezzare una lancia ugualmente per la copertura del rischio:

“L’assicurazione è sempre opera previdente, saggia ed umana, perché qualche infortunio, sia pure solo di lieve entità, è possibile anche in quel- la industria in cui non siano applicati motori meccanici o idraulici, o mossi da animali”.19

L’articolo si chiudeva ricordando agli industriali vercellesi che a parti- re dal primo ottobre 1898 rimanevano loro due mesi di tempo per fare quanto imposto dalla legge e cioè un mese per la denunzia al prefetto dell’industria o dell’impresa e del relativo numero degli operai e degli apprendisti, ed un altro mese, tutto quello di novembre, per stipulare il contratto di assicurazione.

Gli industriali vercellesi, anche a seguito di questo intervento sul più importante foglio cittadino, vollero subito scendere in campo per costi- tuire un consorzio di mutua assicurazione contro gli infortuni degli ope- rai sul lavoro.

Ma quali erano concretamente le industrie e le imprese a Vercelli che

18“La Sesia” del 27 settembre 1898, p. 1.

19Ibidem.

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dovevano essere soggette all’obbligo dell’assicurazione per gli infortuni sul lavoro? Le fonti in nostro possesso per fornire una risposta, il più pos- sibile aderente alla realtà, sono due: la prima, più diretta, possiamo rica- varla dall’analisi della documentazione rintracciata presso l’Archivio del deposito del comune di Vercelli; la seconda, seppur non esaustiva, dai risultati del Censimento degli opifici del 1911, promosso dalla Direzione generale della statistica e del lavoro presso il Ministero di agricoltura, industria e commercio.

In particolare, su incarico della Regia Sottoprefettura, in data 19 novembre, il sindaco Vincenzo Canetti aveva trasmesso, il 26 successivo, ai capi o esercenti imprese, industrie o costruzioni il modello per la denunzia della stipulazione del contratto di assicurazione previsto dalla legge 17 marzo 1898, con preghiera di compilarlo e restituirlo entro il 30 novembre.20

Appena ricevute le risposte, il Sindaco le trasmise subito in allegato al Sottoprefetto di Vercelli in data 6 dicembre 1898: nonostante si lamen- tasse che non tutti gli interessati avevano rimandato il modello debita- mente compilato, per noi è ugualmente utile questo elenco in quanto ci consente di quantificare, seppur non a livello statistico esatto (erano esentate dall’assicurazione obbligatoria - come abbiamo visto - le indu- strie con l’installazione di macchine mosse con la sola forza dell’uomo) i soggetti obbligati all’assicurazione ed avere così uno spaccato dell’indu- stria vercellese di fine secolo.21La parte del leone la facevano le imprese di costruzioni edilizie (i cui esercenti furono - come vedremo - i fondato- ri della Cassa Consorziale Vercellese), con dodici imprese soggette ad assicurazione, seguite da quattro opifici industriali esercenti la brillatura del riso (un nome fra tutti, quello di Felice Lombardi) e otto molini; le ditte esercenti le fonderie in ghisa erano tre (e precisamente Geminardi, Locarni e Fumagalli), come tre erano pure le tipografie interessate (Chiais, Coppo e Gallardi), una ditta era dedita alla produzione di gas (la Tuscan gaz Company Limited), una a materie esplodenti (Ariotti e Barbanotti), due alla produzione di acque gassose (Mossotti e Riccardi), due alla produzione di acido solforico (Locarni e Società anonima vercel- lese), due nel settore meccanico (Garrone e Vezzani), una all’esercizio di trebbiatrici (Ferri), una telefonica (Marangone), due nel settore tramvie (Tramways vercellesi e Ferrovie del Ticino); nel settore degli opifici industriali venivano poi le ditte per la produzione del caffè di cicoria (Luigi Rossa, forse la prima ditta di questo tipo che si sia attivata in Italia), la pasta da riso (Sarasso), l’olio (Antoniolo), il ghiaccio (Ospedale Maggiore); un’importante industria vercellese, che tra l’altro testimonia-

16

20 Archivio storico del comune di Vercelli - archivio di deposito, Categoria XIV - Oggetti diversi, classe IV - Lavoro, fascicolo V - Infortuni degli operai sul lavo- ro (d’ora in avanti ASCV - infortuni degli operai sul lavoro), Lettera del Sottoprefetto Adami-Rossi al Sindaco di Vercelli del 19 novembre 1898.

21ASCV - infortuni degli operai sul lavoro, Lettera del Sindaco di Vercelli al Sottoprefetto del 6 dicembre 1898.

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va il dinamismo imprenditoriale della comunità israelitica cittadina, era quella della fabbricazione dei bottoni, il cui commercio era rivolto preva- lentemente verso l’estero (Mazzucchelli, Treves, Pugliese e Segre).22

La seconda fonte di cui ci siamo serviti è stato, come detto, il Censimento degli opifici del 1911. Esso è utile per comprendere la pre- senza delle industrie a Vercelli nel primo decennio del secolo ma, non avendo i dati disaggregati della Cassa Consorziale Vercellese, è pratica- mente impossibile adoperarlo al fine di determinare quante di queste industrie avessero preferito assicurarsi presso l’istituto vercellese che non presso la Cassa Nazionale Infortuni o società private. Nel primo volume del Censimento, dedicato al numero degli opifici censiti nel Regno, erano indicate le imprese esercitate in appositi locali da non meno di due persone occupate, comprendente gli operai, i membri delle famiglie dei padroni che erano addetti alle imprese con o senza retribuzione, ed il per- sonale dirigente, sorvegliante tecnico o amministrativo. Il numero delle industrie che al 10 giugno 1911 a Vercelli lavoravano e utilizzavano i pro- dotti dell’agricoltura era 209 con 1.421 persone occupate, 106 le industrie che lavoravano i metalli con 991 operai, 38 le imprese di costruzione (edi- lizie, stradali, idrauliche) con 699 occupati, 63 le industrie di fibre tessili con 552 operai, 10 le industrie chimiche con 397 lavoratori, 17, infine, il numero delle industrie e servizi definiti dal Ministero come “corrispon- denti ai bisogni collettivi” (cioè trasporti, servizi pubblici, luce, acqua, gas) con 153 dipendenti. Nel comune di Vercelli, in definitiva, vi era un totale di 443 industrie con 4.213 persone occupate.23

Riprendiamo ora, facendo un passo indietro, a seguire le vicende degli imprenditori vercellesi dal punto in cui li avevamo lasciati, all’indomani cioè del dibattito su chi avesse o meno l’obbligo di assicurazione. Sempre su “La Sesia” veniva data la notizia di una importante riunione che si sarebbe tenuta domenica 16 ottobre 1898, “alle ore 14 precise”, presso la sala della Società dei militari congedati, proprio al fine di costituire un consorzio di mutua assicurazione. Tutti gli industriali che potevano aver- vi interesse erano ovviamente pregati di intervenire. Il comunicato stam- pa era firmato da un comitato promotore composto da nove persone, tutti capimastri impresari del settore edilizio e precisamente da Pietro Berra, Giovanni Bona, per la ditta F.lli Bona, Pietro Bona, Angelo Bosso, per la ditta Eusebio Bosso, Alfredo Delpiano, Alessandro Delpiano, per la ditta Delpiano Carlo, Zanone e compagni, Eusebio Delpiano, Giovanni Termine e Cesare Zumaglini.24

Fu, in quella assemblea, fondata definitivamente la Cassa consorziale e venne trasformato il comitato promotore, a livello provvisorio, in comi-

22ASCV - infortuni degli operai sul lavoro, Allegato alla lettera del 6 dicembre 1898, p. 3.

23Ministero di agricoltura, industria e commercio - Direzione generale della sta- tistica e del lavoro (Maic), Censimento degli opifici e delle imprese industriali al 10 giugno 1911, vol. I, Roma 1913, p. 150. Nei volu- mi successivi venivano ulteriormente spe- cificate le industrie, con più e meno di 10 operai, divisi per sesso ed età, e che aves- sero installati motori meccanici distinti per fonti di energia, con specificata la potenza in cavalli dinamici. Delle 443 imprese e dei 4.213 operai occupati, 75 erano con più di 10 operai (per un totale di 2.681 lavora- tori), 368 con meno di 10 operai (per un totale di 1.532 addetti). Cfr. Maic, Censimento degli opifici, cit., vol. II, pp. 44- 45 e vol. III, pp. 12-13. Sul dibattito al Censimento vedi D. MARUCCO, L’amministrazione della statistica italiana dall’Unità al fascismo, Torino-Firenze 1992, pp. 276-278.

24“La Sesia” dell’11 ottobre 1898, p. 3.

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tato esecutivo. La riunione risultò superiore ad ogni aspettativa poichè

“delle 36 Ditte intervenute all’invito numero 35 inscrissero la loro firma in calce all’atto notarile, superando di molto il numero degli operai richie- sto dalla Legge”.25

Fortunatamente, presso l’Archivio di Stato di Vercelli, si conserva l’at- to notarile (rogito Ranno), che contiene, oltre al progetto di Statuto della neonata Cassa Consorziale Vercellese, preziose informazioni sui primi

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Vercelli - Officina elettrica municipale (Archivio della Biblioteca Civica di Vercelli)

Vercelli - Interno Officina elettrica municipale

(Archivio della Biblioteca Civica di Vercelli)

25Archivio Bona, Verbale di deliberazione del Comitato promotore per la formazione di un Consorzio Vercellese per gli Infortuni degli operai sui lavoro, 17 ottobre 1898.

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passi dell’assicurazione infortuni a Vercelli.26

Innanzitutto, per la costituzione del consorzio, essendo necessario il deposito della cauzione previsto dalla legge, il comitato promotore aveva provveduto in due modi: in primo luogo, il deposito cauzionale in titoli emessi e garantiti dallo Stato per la costituzione della Cassa consorziale, fatto presso la Cassa di risparmio di Vercelli con la garanzia della firma dei componenti il comitato promotore, si intendeva in maniera solidale e nella stessa misura garantito da tutti indistintamente gli associati al con- sorzio; in secondo luogo, i contraenti, mediante otto giorni di preavviso dato dal Consiglio di amministrazione, a seconda della loro industria, del rischio e proporzionalmente al numero degli operai impiegati, si obbliga- vano a versare in denaro la metà del premio che sarebbe stato stabilito a ciascuno di essi in base alla tariffa riconosciuta ed approvata dalla Cassa Nazionale Infortuni.

I nove componenti del Consiglio di amministrazione provvisorio così nominati, oltre alle facoltà relative alle modificazioni dello Statuto, alle cau- zioni ed al contributo, avrebbero dovuto adempiere a tutti gli atti necessa- ri ed opportuni per avere dal Ministero di agricoltura, industria e commer- cio l’approvazione dello Statuto stesso, emettendo qualsiasi dichiarazione o modifica che fosse stata redatta dal Ministero a questo scopo.

Comunque, anche in pendenza della pratica di approvazione, il Consiglio avrebbe potuto lo stesso eleggere un Presidente all’interno del suo seno, il quale avrebbe rappresentato in giudizio, agito e firmato per esso qualsiasi atto, rilasciando quietanza per il recupero delle somme dovute.27

3. Lo Statuto della Cassa Consorziale Vercellese e il tema della prevenzione

Lo Statuto della Cassa Consorziale Vercellese, deliberato dall’assem- blea dei partecipanti il 16 ottobre 1898, lievemente modificato dal Consiglio di amministrazione con deliberazione del 15 dicembre 1898, fu finalmente approvato dal ministro Alessandro Fortis con Decreto Reale 27 aprile 1899.28

Esso, suddiviso in IX Titoli e 49 Articoli, è posto integralmente nelle appendici.

Esaminiamone gli aspetti più significativi.

Nel Titolo I “Sede, oggetto, durata e composizione” si evince che, all’art. 2, la Cassa aveva per scopo la corresponsione agli operai delle indennità fissate dalla legge 80/1898 e cioè in caso di “morte” una inden-

26 Archivio di Stato di Vercelli - Scritture pubbliche dell’Ufficio del Registro di Vercelli, cartella numerata 208, Rogito Ranno, Costituzione del Consorzio Vercellese di Mutua assicurazione contro gli infortuni degli operai sul lavoro. Lo schema di Statuto era stato compilato dal geom.

Angelo Bosso e oggetto di discussione tra i soci del Comitato promotore. Vedi Verbale di deliberazione del Comitato promotore, 18 agosto 1898.

27Ibidem.

28Per le modificazioni allo Statuto con- sorziale vedi Archivio Bona, Verbale di deli- berazione del Consiglio di Amministrazione del Consorzio Vercellese di Mutua Assicurazione degli operai contro gli infortuni sul lavoro, 15 dicembre 1898.

Per l’approvazione governativa vedi Archivio Bona, Verbale di deliberazione del Consiglio d’Amministrazione della Cassa Consorziale Vercellese per gli Infortuni degli operai sul lavoro, 16 giugno 1899 e “La Sesia” del 27 giugno 1899, p. 3.

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nità uguale a cinque salari annui da devolversi secondo le norme del Codice Civile agli eredi, in caso di “inabilità permanente assoluta” una indennità pari a cinque salari annui e non mai minore di lire 3.000, in caso di “inabilità permanente parziale” una indennità pari a cinque volte la parte di cui era stato ridotto il salario annuo, in caso di “inabilità tempo- ranea assoluta” una indennità giornaliera uguale a metà del salario medio che doveva pagarsi per tutta la durata dell’inabilità, cominciando dal sesto giorno dall’infortunio, in caso di “inabilità temporanea parziale”

una indennità pari alla metà della riduzione che avrebbe dovuto subire il salario medio per effetto dell’inabilità stessa e da pagarsi per tutta la dura- ta della inabilità cominciando dal sesto giorno dall’infortunio.

Riteniamo opportuno specificare i termini “inabilità temporanea” e

“inabilità permanente”: la prima era la conseguenza di un infortunio che impediva totalmente e di fatto all’interessato di attendere al suo lavoro comportando, di fatto, l’astensione effettiva concreta, dalla sua attività specifica, per più di cinque giorni; la seconda era la conseguenza di un infortunio dal quale residuavano conseguenze invalidanti previste dalla legge: si distingueva in “invalidità permanente assoluta” quando l’orga- nismo colpito avesse perduto completamente e per tutta la vita l’attitu- dine al lavoro, in “inabilità permanente parziale” quando l’attitudine al lavoro risultasse diminuita solo in parte ma essenzialmente e per tutta la vita. Bisogna anche tenere presente che le suddette espressioni, ancora oggi usate dall’INAIL, non andavano intese in senso letterale assoluto:

non si richiedeva la materiale impossibilità di esplicare un qualsiasi lavo- ro generico, né si escludeva che nel corso della vita non si potesse avere un parziale ripristino della capacità lavorativa in un primo tempo total- mente o parzialmente perduta.

Importante soffermare l’attenzione sull’art. 3 che ci permette di aprire una parentesi sul tema della prevenzione: in esso si affermava esplicita- mente l’impegno dei soci aderenti alla Cassa Consorziale Vercellese a pre- venire gli infortuni sul lavoro vigilando sugli stabilimenti, imprese e costru- zioni “prescrivendo ove occorra, l’adozione di speciali misure preventive”.

Sul tema del “mito” della prevenzione da parte degli industriali ha scritto pagine illuminanti Roberto Romano, soprattutto ricordando le vicende dell’Associazione degli industriali d’Italia per prevenire gli infor- tuni sul lavoro, trasformatasi successivamente in Ente nazionale per la prevenzione infortuni.29Nonostante tra gli industriali ci fosse un impe- gno sincero per ricercare i mezzi idonei onde ridurre gli infortuni, ali- mentato anche dal clima di ottimismo creato dall’età giolittiana in cui l’i- dea di “progresso” sembrava permeare tutte le manifestazioni della vita

20

29R. ROMANO, Sistema di fabbrica, svi- luppo industriale e infortuni sul lavoro, cit., pp. 1022 ss.

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economica e sociale, è probabile che non si andò oltre il classico paterna- lismo di fine secolo. La legge stessa del 1898 non distingueva con chia- rezza la tutela previdenziale da quella prevenzionistica: spia di questo atteggiamento marcatamente classista era l’assenza di qualsiasi forma di coercizione o di imposizione nei confronti degli industriali inadempienti alle norme preventive.30

Tuttavia per Vercelli sembrerebbe esserci un’eccezione. Ai successivi artt. 14 e 17, si nota come il partecipante fosse obbligato ad osservare le disposizioni di sicurezza prescritte dalle vigenti leggi. Contravvenendo a questa disposizione avrebbe potuto essere iscritto in una classe superiore di rischio e, in caso di recidiva, addirittura essere escluso dalla Cassa Consorziale. Nell’art. 22 del presente Statuto, inoltre, la Cassa Consorziale aveva diritto a fare eseguire delle ispezioni allo scopo di accertare se si era provveduto in modo opportuno da parte dell’impren- ditore all’incolumità degli operai.

Dal successivo regolamento interno della Cassa, approvato dall’as- semblea il 6 giugno 1899, si evince che l’amministrazione avrebbe potu- to nominare e delegare incaricati speciali, scelti fra gli stessi partecipanti al consorzio, esperti e competenti nel ramo dell’industria, impresa o costruzione che si trattava di controllare: “Nelle loro visite i rappresen- tanti incaricati alle ispezioni, potranno fare tutte quelle osservazioni che stimeranno del caso, come potranno consigliare, sindacare, ordinare ed imporre tutte quelle misure precauzionali e quei mezzi di prevenzione che a loro giudizio ritenessero necessari ed opportuni, per viemmeglio garantire l’incolumità degli operai sul lavoro”.31

Ad esempio, per le opere di demolizione, di scavi di costruzioni, i par- tecipanti che le dirigevano dovevano procedere “dando le regolari incli- nazioni ai terreni a seconda della diversa loro natura e della profondità degli scavi, provvedendo in tutte le operazioni con opportune ed ade- guate sbadacchiature e puntellamenti”, oppure, per le industrie mecca- niche, ogni partecipante avrebbe dovuto “escogitare ed adottare tutte le precauzioni e tutti i mezzi che l’esperienza e la scienza meccanica indi- cano e suggeriscono adottati ed adottanti per garantire l’incolumità degli operai sul lavoro”.32

Dal registro dei verbali del Consiglio di amministrazione siamo a conoscenza non solo dell’opera di vigilanza ma anche di repressione svolta dai soci promotori in merito al mancato rispetto delle norme di prevenzione da parte di ditte associate. Ecco un esempio:

Poscia, il Sig. Presidente riferisce essersi recato, nella giornata, a Borgo Vercelli ed ivi

30R. ROMANO, Sistema di fabbrica, svi- luppo industriale e infortuni sul lavoro, cit., p. 1024.

31Cassa Consorziale Vercellese per gli Infortuni degli operai sul lavoro, Regolamento interno, Vercelli 1906, p. 15.

32Ibidem, pp. 16-17.

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trovato il Segretario Cassanelli visitarono ambidue le impalcature delle costruzioni agli ordini del Sig. Partecipante Portalupi Giuseppe; tali impalcature avendole trovate contra- rie alla regola dell’arte perché pericolosissime ne denuncia il fatto all’Ufficio, tanto più che questa anormalità è maggiormente grave perchè malgrado una lettera del Presidente diretta a detto Partecipante colla quale lo ammoniva di costruire le impalcature in modo sicuro ed a regola d’arte, egli invece non se ne diede per inteso.

L’Ufficio impensierito del modo scorretto con cui il Sig. Portalupi provvede alla sicu- rezza dei suoi operai delibera ad unanimità di voto di radiarlo dal libro dei Sig.

Partecipanti.33

Sarebbe interessante a questo proposito un’analisi anche di altri con- simili casse private e sindacati di mutua assicurazione, non solo per capi- re meglio a livello teorico le norme di prevenzione, il dettato delle san- zioni e delle relative applicazioni ma anche per vedere in pratica gli effet- ti delle stesse, tenuto conto soprattutto che non vi era molta differenza tra controllori e controllati.34

La durata della Cassa Consorziale Vercellese sarebbe stata di venti anni (art. 4) ma già qualche anno più tardi, e precisamente nel 1908, il consorzio si sarebbe trasformato in Sindacato Vercellese Infortuni.

Nel Titolo II si parlava di “Ammissione dei partecipanti e loro diritti e doveri”. Coloro che intendevano partecipare alla Cassa (art. 6) avreb- bero dovuto presentare domanda al Consiglio di amministrazione, il quale deliberava in seduta segreta senza rendere conto della deliberazio- ne, contro la quale non era ammesso alcun ricorso. Ovvia la preoccupa- zione da parte dei dirigenti della Cassa Consorziale Vercellese di assorbi- re l’assicurazione dei rischi più lievi, lasciando l’onere di quelli più gravi alla Cassa Nazionale Infortuni che, non è un caso, proprio in quegli anni registrava una notevole contrazione del numero degli assicurati.35

Al momento dell’accettazione (art. 7), il partecipante avrebbe dovuto versare alla Cassa, come cauzione, una somma corrispondente a cinque volte l’importo del premio che avrebbe dovuto versare alla Cassa Nazionale Infortuni. Come premio, invece, nei primi quindici giorni di ogni anno, il partecipante doveva versare anticipatamente l’importo nella misura fissata dalla tariffa.

Il partecipante contraeva l’obbligo di appartenere al consorzio per cin- que anni (art. 10); qualora entro due mesi dallo spirare del quinquennio l’imprenditore non avesse denunziato la cessazione dell’attività, gli effet- ti dell’iscrizione alla Cassa Consorziale si sarebbero ritenuti protratti per altri cinque anni.

Il Consiglio di amministrazione doveva essere avvertito al più presto di ogni variazione avvenuta all’interno della ditta partecipante alla Cassa Consorziale (art. 12): entro il decimo giorno dalla data della variazione l’im-

22

33Archivio Bona, Verbale di deliberazione del Consiglio d’Amministrazione della Cassa Consorziale Vercellese per gli Infortuni degli operai sul lavoro, 17 marzo 1899.

34S. MERLI, Proletariato di fabbrica e capitalismo industriale. Il caso italiano: 1880- 1900, Firenze 1972, pp. 352-53 cit. in R.

ROMANO, Sistema di fabbrica, cit., pp. 1022- 1023.

35E. CATALDI, L’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro, Roma 1983, (Testimonianza di un secolo), pp. 56-57.

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prenditore che si fosse ritenuto in dovere di pagare un premio inferiore a quello pagato precedentemente, in seguito ad una diminuzione del rischio derivante da modificazioni all’interno dell’impresa o per aver adottato spe- ciali misure preventive, doveva notificare il tutto al Consiglio di ammini- strazione. Tuttavia, nel caso di variazioni che avessero comportato un aumento di premio presentate in ritardo (art. 13), l’imprenditore avrebbe dovuto pagare, oltre al premio aumentato in ragione del nuovo rischio, un soprapremio corrispondente ad un quinto dell’aumento del premio.

Se l’Assemblea dei soci, dopo l’approvazione del bilancio consuntivo, avesse rilevato che i premi pagati dai partecipanti fossero stati in esube- ro rispetto al pagamento delle indennità, avrebbe deliberato quale parte avrebbe dovuto andare al fondo di riserva e quale invece avrebbe dovuto essere rimborsata ai soci (art. 15), così come, nel caso inverso, avrebbe invitato i partecipanti a versare una quota supplementare per far fronte agli oneri derivanti dalle maggiori spese dovute per il pagamento delle indennità.

L’esclusione dell’imprenditore dalla Cassa Consorziale Vercellese (art. 17), deliberata dal Consiglio di amministrazione, poteva determinar- si per vari motivi: uno, lo abbiamo già visto, allorquando il partecipante si fosse dimostrato recidivo nell’inosservanza delle misure di igiene e pre- venzione; in secondo luogo quando risultasse che il numero degli operai per il quale figurava iscritto al consorzio fosse inferiore a quello che occu- pava abitualmente; in terzo luogo quando, per modificazioni introdotte nell’impresa, i rischi fossero aumentati di molto in modo che il parteci- pante non sarebbe stato ammesso come tale se al tempo dell’iscrizione fosse esistito questo stato di cose. Si ritornava così al vecchio discorso della distorta concorrenza tra casse private e Cassa Nazionale Infortuni, a netto svantaggio di quest’ultima poiché - come abbiamo visto - aveva l’obbligo di accollarsi l’assicurazione per i rischi più gravosi, cosa che le casse private, e fra queste la nostra Cassa Consorziale Vercellese, si guar- davano bene di fare. Altri motivi di esclusione erano dati dalla caduta del- l’imprenditore in stato di fallimento e allorquando la Cassa fosse stata costretta a ricorrere ad atti coercitivi per ottenere che il partecipante adempisse agli obblighi contratti.

Se l’esclusione del socio partecipante poteva essere discrezionale in base all’articolo appena esaminato, essa diventava categorica nel succes- sivo art. 18 allorquando provasse in modo certo e sicuro di avere cessato l’attività dell’impresa o dell’industria esercitata al momento dell’iscrizio- ne al consorzio. Tuttavia la cessazione dell’appartenenza al consorzio da parte della ditta avrebbe avuto effetto dal giorno in cui il Consiglio di

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