G It Diabetol Metab 2010;30:196-197
La Ricerca in Italia
Associazione tra i polimorfismi G1181C e T245G della
osteoprotegerina e l’osteoartropatia di Charcot: studio caso- controllo
Pitocco D, Zelano G, Gioffrè G, Di Stasio E, Zaccardi F, Martini F, Musella T, Scavone G, Galli M, Caputo S, Mancini L, Ghirlanda G Servizio di Diabetologia, UCSC, Roma
Diabetes Care 2009;32:1694-7
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
Al possibile legame tra due polimorfismi dell’osteoprotegerina (G1181C e T245G) e l’osteoartropatia di Charcot.
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
L’osteoartropatia di Charcot è caratterizzata da un elevato riassorbimento osseo in arti che abbiano perso la normale innervazione sensoriale. L’osteoprotegerina (OPG), rappresenta un importante regolatore del rimodellamento osseo.
Sintesi dei risultati ottenuti
L’analisi ha evidenziato un’associazione positiva tra i 2 polimorfismi e l’osteoartro- patia di Charcot, individuando nella doppia omozigosi CC/TT un fattore protettivo.
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?
Secondo noi la neuropatia svolge un ruolo necessario ma non sufficiente nella patogenesi, richiedendo il coinvolgimento di altri fattori come la genetica. I polimor- fismi dell’asse OPG/RANKL/RANK possono rappresentare importanti mediatori del metabolismo osseo dell’osteoartropatia di Charcot.
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
Lo studio tramite biopsia ossea dell’espressione genica dell’asse OPG/RANK/RANK-L con la caratterizzazione delle popolazioni cellulari coinvolte nel danno e l’indagine tramite coronaro-TAC del calcium score nei pazienti con osteoartropatia di Charcot.
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
Si potrebbe ipotizzare l’utilizzazione in osteoartropatia di Charcot in fase acuta del- l’anticorpo monoclonale diretto contro RANK-L (denosumab) e la possibilità di attuare uno screening genetico nei pazienti affetti da neuropatia diabetica.
Effetti di una dieta a base di alimenti vegetali ricca in carboidrati e fibre versus una dieta ricca in
monoinsaturi e povera in carboidrati sulla lipemia postprandiale in pazienti con diabete di tipo 2
De Natale C, Annuzzi G, Bozzetto L, Mozzarella R, Costabile G, Ciano O, Riccardi G, Rivellese AA Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università Federico II, Napoli
Diabetes Care 2009;32:2168-73
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
Si è cercato di identificare l’approccio dietetico ottimale per il trattamento del dia- bete di tipo 2 nel suo complesso valutando in particolare gli effetti sul metabolismo lipidico postprandiale.
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
Mentre molti lavori hanno valutato gli effetti di diversi approcci dietetici sul metabo- lismo glicolipidico a digiuno, pochi sono quelli che ne hanno studiato i possibili effetti sulla lipemia postprandiale.
Sintesi dei risultati ottenuti
La dieta relativamente ricca in carboidrati e ricca in fibre, oltre a ridurre la glicemia postprandiale, la variabilità glicemica e il colesterolo delle LDL, ha determinato una riduzione significativa, rispetto all’altra dieta, della risposta postprandiale delle lipo- proteine ricche in trigliceridi, in particolare dei chilomicroni.
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?
I risultati di questo studio hanno chiarito che gli effetti di una dieta ricca in carboi- drati sul metabolismo lipidico postprandiale dipendono essenzialmente dal tipo di carboidrati utilizzati.
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
Approfondire i meccanismi con cui la dieta ricca in carboidrati e fibre agisce sul metabolismo lipidico postprandiale.
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
L’implementazione di una dieta relativamente ricca in carboidrati e ricca in fibre può essere particolarmente utile nel trattamento del paziente diabetico per i suoi mol- teplici effetti positivi compresi quelli sul metabolismo lipidico postprandiale.
197 La Ricerca in Italia
Il blocco del recettore CB1 migliora l’albuminuria nel diabete sperimentale
Barutta F, Corbelli A, Mastrocola R, Gambino R, Di Marzo V, Pinach S, Rastaldi MP, Cavallo Perin P, Gruden G
Laboratorio di Nefropatia Diabetica, Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi di Torino Diabetes 2010;59:1046-54
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
Lo scopo dello studio era di valutare il ruolo del recettore CB1 degli endocannabi- noidi (EC) nello sviluppo di albuminuria nella nefropatia diabetica (ND).
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
Uno studio condotto in un modello animale di nefropatia secondaria a obesità ha dimo- strato che il blocco del recettore CB1 riduce l’albuminuria. In tale modello, tuttavia, l’effet- to antiproteinurico era dovuto principalmente a un miglioramento del profilo metabolico.
Sintesi dei risultati ottenuti
In animali resi diabetici con streptozotocina (DM1) il recettore CB1 era iperespres- so dai podociti del glomerulo e il blocco farmacologico del CB1 con l’AM251 pre- veniva la downregulation delle proteine podocitarie e riduceva l’albuminuria.
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?
I nostri risultati dimostrano che gli EC hanno un effetto diretto sui podociti e che, nella ND sperimentale, l’iperespressione del recettore CB1 contribuisce allo sviluppo di proteinuria.
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
Verificare se il blocco del CB1 con un farmaco di nuova generazione, che non attraversi la barriera ematoencefalica, sia in grado di prevenire/rallentare la progres- sione della ND anche nell’animale da esperimento e nell’uomo già in trattamento con i farmaci attualmente raccomandati.
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
Lo studio ha dimostrato che il recettore CB1 ha un ruolo nella patogenesi della ND sperimentale. Se i risultati ottenuti verranno confermati nell’uomo, il recettore CB1 potrà rappresentare un nuovo bersaglio per l’intervento terapeutico.
Indice adiposo viscerale (VAI): un affidabile indicatore di funzione adiposa viscerale associato con il rischio
cardiometabolico
Amato MC1, Giordano C1, Galia M2, Criscimanna A1, Vitabile S2, Midiri M2, Galluzzo A1
1Dipartimento di Oncologia
Sperimentale e Applicazioni Cliniche (DOSAC), Sezione di
Endocrinologia, Università di Palermo; 2Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Legale, Sezione di Scienze Radiologiche, Università di Palermo Diabetes Care 2010;33:920-2
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
La ricerca ha messo a punto un indice specifico per genere (basato su circonferen- za vita, BMI, livelli di trigliceridi e di colesterolo HDL) in grado di valutare la funzio- ne adiposa viscerale.
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
Fino a oggi tutte le valutazioni dell’obesità viscerale non sono scevre di critiche: la misurazione della circonferenza vita esprime sia il tessuto adiposo viscerale sia il tes- suto adiposo sottocutaneo presente nella zona di determinazione. La valutazione con RMN è un esame invasivo e costoso. Il dosaggio delle adipocitochine non è routina- riamente applicabile e necessita di standardizzazione. Tutti gli indici di insulino-sensi- bilità valutano soltanto l’aspetto dell’insulino-resistenza inerente il metabolismo dei car- boidrati, perdendo di vista gli altri fattori di rischio legati all’obesità viscerale.
Sintesi dei risultati ottenuti
Il VAI ha mostrato una forte correlazione con il grasso viscerale (determinato trami- te RMN), con l’insulino-sensibilità determinata tramite clamp e una correlazione indipendente con gli eventi cardio- e cerebrovascolari.
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?
Il VAI ha mostrato un’associazione superiore con gli eventi cardio- e cerebrovasco- lari rispetto ai quattro parametri che lo compongono valutati da soli.
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
Individuare cut-point di rischio nelle varie popolazioni ed etnie. Confrontare il VAI con le adipocitochine. Programmare studi prospettici atti a individuare nel VAI un nuovo fattore di rischio cardiovascolare.
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
La semplice determinazione dei parametri circonferenza vita, BMI, trigliceridi e colesterolo HDL potrà farci individuare precocemente soggetti a rischio cardiova- scolare, che magari non presentavano nessuno degli attuali criteri previsti nella dia- gnosi di sindrome metabolica.