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Ricordo di due grandi Maestri: Hans-Heinrich Jescheck e Giuliano Vassalli

GABRIELEFORNASARIHans-Heinrich Jescheck (10 gennaio 1915-27 settembre 2009) – PAOLASEVERINOGiuliano Vassalli (25 aprile 1915-21 ottobre 2009)

Dibattito: Giustizia penale e politica

FRANCESCOPALAZZOPrincipî e realtà del rapporto tra giustizia e politica – GIOVANNITARLIBARBIERILa parteci- pazione dei magistrati all’attività politica – LUCIANOVIOLANTE“La parte giudiziaria del sistema di governo”

Il punto su… L’illegittimità del c.d. Lodo Alfano (Corte cost. n. 262/2009) GLAUCOGIOSTRAIl crepuscolo dello stato di diritto – GIORGIOSPANGHERDissenting opinions Primo piano

LUISE. CHIESAGiustizia e fairness nel processo penale – ETTOREDEZZAMulta renascentur quae iam cecidere. La plurisecolare vicenda del Progetto sostituito di Giandomenico Romagnosi – BURKHARDHIRSCHDiritto all’ucci- sione di innocenti? La lotta sulla sicurezza aerea – MARIOJORIInterpretazione e creatività: il caso della specialità Spazio giuridico europeo

ANDREW ASHWORTH L’emersione dell’interesse pubblico nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

L’affievolimento della tutela in materia penale – MARTINBO¨SELa sentenza della Corte costituzionale tedesca sul Trattato di Lisbona e il suo significato per la europeizzazione del diritto penale

Opinioni a confronto

Fatto, prova e verità (alla luce del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio). Nota introduttiva di GIOVANNI

CANZIO. Ne dibattono: MICHELETARUFFO-GIULIOUBERTIS– Riflessioni sulla vicenda di Eluana Englaro. Nota introduttiva di STEFANOCANESTRARI. Ne dibattono: FERRANDOMANTOVANI-AMEDEOSANTOSUOSSO– Il diritto di critica giudiziaria e i suoi limiti. Nota introduttiva di CRISTINA DEMAGLIE. Ne dibattono: GAETANOINSOLERA- LUCAPISTORELLI– Il reato di immigrazione clandestina. Nota introduttiva di FAUSTOGIUNTA. Ne dibattono:

ANGELOCAPUTO-MARIOCICALA

Appello per l’abolizione della pena di morte nel mondo STEFANOCANESTRARI, Presentazione – Documento e firmatari Biodiritto: Atto medico arbitrario e responsabilità penale

LUIGICORNACCHIATrattamenti sanitari arbitrari divergenti – LUCIANOEUSEBIVerso una recuperata determina- tezza della responsabilità medica in ambito penale?

Attualità: Carcere, salute e umanizzazione

L. BACCARO, F. MORELLIMorire di carcere – P. COMUCCI, D.F. MEDDISDivieto di trattamenti inumani o degra- danti e sovraffollamento carcerario – P. MARTUCCISe il boss si deprime. La tutela della salute (anche) psichica, fra diritti dei detenuti ed esigenze securtarie

Antologia

ALESSANDROCORDALegislazione antitrust e diritto penale: spunti problematici in ambito europeo – DARIOGUIDI

Il tentativo punibile: modelli di tipizzazione e nodi interpretativi – DARIOMICHELETTI Reato e territorio – ALESSANDRAPALMALa divisione del lavoro in ambito sanitario tra principio di affidamento e dovere di controllo – FEDERICOPUPPOLogica fuzzy e diritto penale nel pensiero di Mireille Dalmas-Marty

Vita forense

ETTORE RANDAZZOUn laboratorio per la legalità dell’esame incrociato Progetto di riforma della responsabilità penale del medico

GABRIOFORTI, Presentazione – Articolato – Sintesi delle relazioni di accompagnamento al progetto

www.edizioniets.com/criminalia

ETS

2 0 0 9

Criminalia

Annuario di scienze penalistiche

dibattito

Giustizia penale e politica

il punto su…

L’illegittimità del c.d. Lodo Alfano (Corte cost. n. 262/2009)

primo piano

Giustizia e fairness nel processo penale

Multa renascentur quae iam cecidere. La plurisecolare vicenda del Progetto sostituito di Giandomenico Romagnosi Diritto all’uccisione di innocenti? La lotta sulla sicurezza aerea

Interpretazione e creatività: il caso della specialità

spazio giuridico europeo

L’emersione dell’interesse pubblico nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

L’affievolimento della tutela in materia penale

La sentenza della Corte costituzionale tedesca sul Trattato di Lisbona e il suo significato per la europeizzazione del diritto penale

opinioni a confronto

Fatto, prova e verità (alla luce del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio) Riflessioni sulla vicenda di Eluana Englaro

Il diritto di critica giudiziaria e i suoi limiti Il reato di immigrazione clandestina

Appello per l’abolizione della pena di morte nel mondo Biodiritto

Attualità Antologia

Edizioni ETS

Criminalia 2009

€ 40,00

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Direttore Fausto Giunta

Comitato scientifico

Stefano Canestrari, Giovanni Canzio, Adolfo Ceretti, Cristina de Maglie, Luciano Eusebi, Fausto Giunta, Renzo Orlandi, Michele Papa, Ettore Randazzo, Francesca Ruggieri

Redazione

Alessandro Corda, Daniele Guerri Dario Micheletti, Silvia Ravaioli

Direttore responsabile Alessandra Borghini

www.edizioniets.com/criminalia

Registrazione Tribunale di Pisa 11/07 in data 20 Marzo 2007

Criminalia

Annuario di scienze penalistiche

(3)

Edizioni ETS

2 0 0 9

Criminalia

Annuario di scienze penalistiche

(4)

www.edizioniets.com

© Copyright 2010 EDIZIONI ETS

Piazza Carrara, 16-19, I-56126Pisa info@edizioniets.com

www.edizioniets.com Distribuzione

PDE, Via Tevere 54, I-50019Sesto Fiorentino [Firenze]

ISBN978-884672662-9 ISMN 1972-3857

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INDICE

Ricordo di due grandi Maestri: Hans-Heinrich Jescheck e Giuliano Vassalli GABRIELEFORNASARI

Hans-Heinrich Jescheck (10 gennaio 1915-27 settembre 2009) 11 PAOLASEVERINO

Giuliano Vassalli (25 aprile 1915-21 ottobre 2009) 17

Dibattito: Giustizia penale e politica FRANCESCOPALAZZO

Principî e realtà del rapporto tra giustizia e politica 23 GIOVANNITARLIBARBIERI

La partecipazione dei magistrati all’attività politica 57

LUCIANOVIOLANTE

“La parte giudiziaria del sistema di governo” 89

Il punto su… L’illegittimità del c.d. Lodo Alfano (Corte cost. n. 262/2009) GLAUCOGIOSTRA

Il crepuscolo dello stato di diritto 113

GIORGIOSPANGHER

Dissenting opinions 127

Primo piano LUISE. CHIESA

Giustizia e fairness nel processo penale 135

ETTOREDEZZA

Multa renascentur quae iam cecidere. La plurisecolare vicenda

del Progetto sostituito di Giandomenico Romagnosi 157 BURKHARDHIRSCH

Diritto all’uccisione di innocenti? La lotta sulla sicurezza aerea 189 MARIOJORI

Interpretazione e creatività: il caso della specialità 211

(6)

Spazio giuridico europeo ANDREWASHWORTH

L’emersione dell’interesse pubblico nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

L’affievolimento della tutela in materia penale 249

MARTINBÖSE, La sentenza della Corte costituzionale tedesca sul Trattato di Lisbona e il suo significato per la europeizzazione del diritto penale 267

Opinioni a confronto

Fatto, prova e verità (alla luce del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio)

Nota introduttiva di GIOVANNICANZIO 305

Ne dibattono:

MICHELETARUFFO

GIULIOUBERTIS

Riflessioni sulla vicenda di Eluana Englaro

Nota introduttiva di STEFANOCANESTRARI 331

Ne dibattono:

FERRANDOMANTOVANI

AMEDEOSANTOSUOSSO

Il diritto di critica giudiziaria e i suoi limiti

Nota introduttiva di CRISTINA DEMAGLIE 361

Ne dibattono:

GAETANOINSOLERA

LUCAPISTORELLI

Il reato di immigrazione clandestina

Nota introduttiva di FAUSTOGIUNTA 387

Ne dibattono:

ANGELOCAPUTO

MARIOCICALA

Appello per l’abolizione della pena di morte nel mondo

STEFANOCANESTRARI, Presentazione 407

Documento e firmatari 411

Biodiritto: Atto medico arbitrario e responsabilità penale LUIGICORNACCHIA

Trattamenti sanitari arbitrari divergenti 415

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LUCIANOEUSEBI

Verso una recuperata determinatezza della responsabilità medica in ambito penale? 423

Attualità: Carcere, salute e umanizzazione L. BACCARO, F. MORELLI

Morire di carcere 435

P. COMUCCI, D.F. MEDDIS

Divieto di trattamenti inumani o degradanti e sovraffollamento carcerario 449 P. MARTUCCI

Se il boss si deprime. La tutela della salute (anche) psichica,

fra diritti dei detenuti ed esigenze securtarie 473

Antologia

ALESSANDROCORDA

Legislazione antitrust e diritto penale: spunti problematici in ambito europeo 485 DARIOGUIDI

Il tentativo punibile: modelli di tipizzazione e nodi interpretativi 533 DARIOMICHELETTI

Reato e territorio 565

ALESSANDRAPALMA

La divisione del lavoro in ambito sanitario tra principio di affidamento

e dovere di controllo 591

FEDERICOPUPPO

Logica fuzzy e diritto penale nel pensiero di Mireille Dalmas-Marty 631

Vita forense ETTORE RANDAZZO

Un laboratorio per la legalità dell’esame incrociato 659

Progetto di riforma della responsabilità penale del medico

GABRIOFORTI, Presentazione 667

Articolato 671

Sintesi delle relazioni di accompagnamento al progetto 688

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Ricordo di due grandi Maestri:

Hans-Heinrich Jescheck e Giuliano Vassalli

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HANS-HEINRICH JESCHECK (10 gennaio 1915-27 settembre 2009)

Hans-Heinrich Jescheck è scomparso a Friburgo il 27 settembre 2009;

avrebbe compiuto 95 anni il prossimo 10 gennaio.

Il vuoto che lascia è immenso.

Tracciare un Suo ricordo è compito graditissimo e difficile: graditissimo perché permette a chi lo scrive di rivivere tante emozionanti sensazioni e di dare un contributo alla sua memoria; difficile perché sarà necessario operare una improba selezione tra le numerose suggestioni che salgono alla mente, con il rischio di non riuscire a rendere la grandezza, la ricchezza e la poliedri- cità del personaggio.

Infatti, Hans-Heinrich Jescheck (quanto ci teneva al trattino tra i suoi due nomi, così come al fatto che nell’intestare le nostre lettere non scrivessimo Prof. anziché Professor!) è stato un grandissimo giurista, come tale lo conosco- no tutti, ma chi lo ha conosciuto bene lo ricorda anche come straordinario or- ganizzatore di cultura, come umanista a tutto tondo, come formidabile raccon- tatore e ancora come grande amante del nostro Paese e della sua arte e cultura.

Il giurista ha meriti che gli vengono riconosciuti in tutto il mondo.

È stato per decenni direttore ed anima dell’Istituto (poi divenuto Max- Planck) di Diritto penale straniero ed internazionale di Friburgo; è stato lo studioso che nel secondo dopoguerra più di ogni altro ha puntato a fondare una scienza della comparazione in diritto penale; è stato uno dei principali precursori del diritto penale internazionale, tema cui dedicò il Suo lavoro di abilitazione; nella Sua produzione scientifica sterminata (oltre 600 pubblica- zioni) spicca su ogni altra cosa il prestigioso Manuale di diritto penale, tradot- to in numerose lingue e adottato anche in Università straniere, compendio in- superato per chiarezza ed equilibrio di quella dogmatica tedesca che è stata la chiave di formazione di tanti penalisti europei ed extraeuropei; è stato mem- bro di quella Grosse Strafrechtskommission che ha rifondato in senso liberal- democratico il codice penale tedesco; è stato per anni presidente dell’AIDP (Association internationale de droit penal), che ha guidato con mano sicura nella sua fase di massima espansione; è stato insignito di lauree honoris causa in ogni angolo del mondo.

Criminalia 2009

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Un approfondimento anche solo superficiale di tutti questi aspetti della Sua biografia di giurista richiederebbe uno spazio che qui non è disponibile, sicché vorrei concentrare il mio ricordo, in questa prima parte dedicata allo Jescheck giurista, sul ruolo che svolse come direttore e poi, dopo il compi- mento dei 68 anni, come direttore emerito dell’Istituto (Max-Planck) di Dirit- to penale straniero ed internazionale.

Grazie a Lui l’Istituto divenne, a far data dagli anni sessanta e soprattutto settanta, la fucina di formazione di centinaia di penalisti e criminologi di tutto il mondo, per l’eccellente biblioteca internazionale sita prima al numero 72 poi nel bellissimo edificio al numero 73 di Günterstalstrasse, per l’accoglienza ospitale che veniva e viene riservata a tutti, ma anche e soprattutto, anche ne- gli anni dell’ottima direzione del Professor Albin Eser e poi del Professor Ulrich Sieber, per la possibilità di salire ogni martedì alla stanza dell’ultimo piano dove il Professor Jescheck teneva le sue Sprechstunden.

In quelle occasioni, mezz’ora esattamente cronometrata per ogni ospite che avesse chiesto appuntamento, tutti noi, gli uomini in giacca e cravatta e le si- gnore con un tailleur un po’ più formale che non erano di solito richiesti dallo stile assolutamente informale dell’Istituto, andavamo letteralmente a scuola, perché andavamo al cospetto di un Maestro.

Un Maestro, lo voglio sottolineare, che faceva scuola soprattutto ascoltan- do, dando fiducia all’interlocutore, dialogando da studioso a studioso, anche davanti, magari, a cinquant’anni di differenza di età e ad un vertiginoso disli- vello di esperienza.

Costante era poi in Lui la sollecitudine ad informarsi se le condizioni di la- voro garantite dall’Istituto fossero le migliori (attivandosi concretamente in caso contrario), nonché la disponibilità ad un confronto scientifico intenso, in cui trasmetteva in primo luogo feconde indicazioni di metodo, relative per esempio alle trappole della traduzione giuridica ed alla necessità di inquadra- re sempre ogni indagine dogmatica nei contesti storici, sociali e culturali di ri- ferimento.

Per quest’ultimo aspetto, Hans-Heinrich Jescheck si distingueva nettamen- te dalla maggior parte dei pur grandissimi dogmatici tedeschi del suo tempo, ad avviso dei quali (penso per esempio a Hans Joachim Hirsch, a Günther Jakobs, a Eberhard Schmidhäuser, a Claus Roxin e prima di loro allo stesso Hans Welzel) la dogmatica ha radici essenzialmente ontologiche e razionali, sicché la miglior dogmatica è un prodotto facilmente esportabile in qualun- que ordinamento.

Questo atteggiamento, nel corso dei decenni del XX secolo, ha portato la

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scienza penalistica tedesca a rischiare fortemente di essere autoreferenziale, ri- schio che non ha mai corso il pensiero di Jescheck, che addirittura nel Suo ce- lebre Lehrbuch dedica molte pagine, unico nel panorama tedesco, alla compa- razione con istituti di altre esperienze penalistiche.

Ma la Sprechstunde del martedì (che non escludeva eccezioni in altri giorni della settimana in casi di necessità, spesso valutati come tali dallo stesso Je- scheck) non resta nei ricordi solo per quanto era scientificamente fruttuosa, bensì anche per tante altre sollecitazioni.

Il discorso andava spesso ai viaggi, alla politica, all’arte, alla letteratura, ma anche all’amore per la montagna e alla gastronomia, senza essere mai banale;

non appena possibile venivano coinvolte le famiglie degli ospiti (il suo italiano era ottimo e non c’erano problemi di empasse linguistica) ed ho ancora il ri- cordo dei miei due figli ancora piccoli, seduti sul tappeto della sua stanza, che lo guardavano col naso all’insù e la bocca aperta mentre ascoltavano rapiti il suo racconto dei duelli con la sciabola che si svolgevano negli anni trenta tra i giovani appartenenti alle associazioni studentesche.

Con il dialogo, con l’incoraggiamento, è stato capace di instillare in coloro che studiavano presso l’Istituto il senso di essere una comunità e questo ha aiutato moltissimo almeno la mia generazione a crescere con la consapevolez- za della necessità del confronto come primo strumento di conoscenza.

Confronto come analisi critica, ma anche come essenziale rispetto del lavo- ro degli altri: così fu chiaro a chi Lo aveva avuto come Maestro che il metodo della comparazione non è semplice soddisfazione di una curiosità intellettua- le, ma chiave di volta di ogni corretta comprensione dei fenomeni del diritto, e che ci si può con umiltà ed assenza di pregiudizi rivolgere anche a modelli non dotati di prestigio storico con l’atteggiamento di chi può avere qualcosa da imparare.

Quale influenza possa avere avuto questa Sua lezione sulla nostra scienza penalistica può essere testimoniato, credo, dall’impressionante elenco di stu- diosi italiani che per quattro decenni hanno effettuato soggiorni non episodici presso l’Istituto frequentando il Professor Jescheck e che oggi sono o che so- no stati professori di ruolo nelle nostre Università: questo elenco comprende una sessantina tra penalisti e processualpenalisti e per comporlo non ho con- sultato altro archivio se non quello della mia memoria, per cui devo scusarmi anticipatamente per eventuali lacune.

Si tratta in ordine sparso, oltre a chi scrive, di Cesare Pedrazzi, Roland Riz, Alessandro Baratta, Franco Bricola, Alessandro Calvi, Enzo Musco, Filippo Sgubbi, Alessio Lanzi, Lucio Monaco, Vittorio De Francesco, Alfonso Stile,

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Giovanni Grasso, Salvatore Prosdocimi, Domenico Pulitanò, Carlo Enrico Paliero, Antonio Fiorella, Gabrio Forti, Marta Bertolino, Mario Zanchetti, Francesca Molinari, Lorenzo Picotti, Nicola Mazzacuva, Sergio Seminara, Manfredi Parodi Giusino, Vincenzo Militello, Elio Belfiore, Alberto Cadoppi, Massimo Donini, Stefano Canestrari, Alessandro Melchionda, Luigi Foffani, Paolo Veneziani, Giovannangelo De Francesco, Valeria Del Tufo, Andrea Ca- staldo, Cristina de Maglie, Fausto Giunta, Paola Balducci, Renzo Orlandi, Luca Marafioti, Mauro Catenacci, Adelmo Manna, Francesca Ruggieri, Anna Maria Maugeri, Carlo Piergallini, Marco Mantovani, Giulio De Simone, Enri- co Mezzetti, Enrico Ambrosetti, Francesco Viganò, Alberto Di Martino, Car- lo Ruga Riva, Vittorio Manes, Nicola Pisani, Luigi Cornacchia, Daniele Negri, Gaetana Morgante, Antonio Vallini.

A tutti costoro è stato possibile, in qualche caso per settimane, in altri per mesi o addirittura per anni, fare tesoro di un’esperienza unica.

La biografia di Hans-Heinrich Jescheck, come anticipato, non è riassumibi- le nelle poche pagine che ho a disposizione.

Posso però provare a tracciare il suo itinerario scientifico attraverso alcune Grundlinien essenziali, o almeno quelle che a me sembrano tali.

Innanzi tutto, mi pare significativo menzionare il modo in cui è iniziata la sua carriera di docente di diritto penale; fatto prigioniero dai francesi poco prima della fine della seconda guerra mondiale e trattenuto in prigionia fino al 1947, Jescheck contribuì con altri ufficiali tedeschi a fondare presso Le Mans una “Università dei prigionieri”, dove assunse appunto l’insegnamento del diritto e della procedura penale, discipline per le quali aveva già ottenuto il dottorato prima dell’inizio della guerra.

Tornato libero e avvicinatosi alle tesi radbruchiane che intendevano opera- re una rivalutazione del diritto naturale, si interessò in particolare dei fonda- menti giuridici del processo di Norimberga e dedicò il lavoro che gli consen- tirà di acquisire l’abilitazione universitaria proprio al tema della responsabilità degli organi statali nel diritto penale internazionale, branca della scienza pe- nalistica che pertanto vede in Lui un illuminato anticipatore.

Intrapreso l’insegnamento prima a Tubinga poi a Friburgo, diventò subito, in quest’ultima sede universitaria, Direttore dell’Istituto di Diritto penale stra- niero ed internazionale che in seguito, nel 1966, entrerà a far parte dei presti- giosi Istituti Max-Planck.

Dal 1954 al 1959 fece parte della Commissione ministeriale chiamata a rifondare il codice penale tedesco e vi svolse, benché fosse tra i più giovani, un ruolo di primo piano; fondamentale è anche il ruolo che svolse durante il

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dibattito pubblico che ebbe luogo negli anni sessanta, allorché si trattava di stabilire se il nuovo codice, la cui emanazione era oggetto del lavoro del Parla- mento, dovesse seguire le linee del diritto penale liberale classico fissate dalla commissione o prendere il sentiero tracciato nell’Alternativ Entwurf da un gruppo di giovani docenti tedeschi e svizzeri, più vicini all’ideale di un diritto penale della prevenzione e ad un ampio uso di misure differenti dalla pena tradizionale; in quel dibattito, Jescheck assunse una funzione di mediazione, determinando in un senso intermedio molte delle scelte effettuate nel codice entrato in vigore nel 1975.

L’intensissima attività scientifica e didattica non Gli impedì negli stessi anni di rivestire importanti ruoli accademici, come quello di preside della Facoltà giuridica dell’Università di Friburgo e poi di Rettore della stessa Università.

E non Gli impedì neppure di svolgere per diversi decenni l’attività di giudi- ce presso la Corte d’Appello di Karlsruhe; un’esperienza, questa, che non mancò mai di segnalare ai suoi interlocutori come assolutamente fondante nella Sua formazione come giurista e come uomo delle istituzioni.

Tornando al Suo profilo scientifico, ancora due cose mi preme ricordare.

Da un lato, il Suo celebre Manuale, la cui grande notorietà è tutto meno che casuale: si tratta dell’opera che veniva indicata a tutti i giovani che si af- facciavano al diritto penale tedesco come “la prima cosa da leggere”, perché riusciva (ne parlo ormai al passato perché l’ultima edizione è risalente ormai a tredici anni fa) a coniugare una trattazione completa ed articolata della com- plessa dogmatica tedesca con uno stile semplice ed asciutto che rendeva chiari anche i passaggi concettuali più intricati.

D’altro lato, la Sua franca propensione verso quella che Alessandro Baratta e il mio Maestro Franco Bricola chiamavano “scienza integrata del diritto pe- nale”: nell’opera di Jescheck, la gesamte Strafrechtswissenschaft prende la net- ta curvatura di un diritto penale che dialoga con la sociologia e la criminolo- gia (fu Lui a volere che l’Istituto Max-Planck avesse un’importante sezione criminologica), ma che guarda anche alla cultura e alla storia; più ancora che la Sua famosa e supercitata frase secondo cui “il diritto penale senza la crimi- nologia è cieco, mentre la criminologia senza il diritto penale non ha argini”, mi piace ricordare come affermasse sovente che la dogmatica del diritto pena- le è un prodotto essenzialmente transeunte, e sempre attende di essere di es- sere soppiantata da una nuova dogmatica.

Tutto questo, però, nel quadro dell’incrollabilità dei principi fondamentali:

da un uomo di idee liberal-conservatrici, dotato del grande tratto di umanità di chi ha conosciuto nella Sua lunga vita il senso della tragedia, come è stato

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Jescheck, dobbiamo cogliere una lezione che si compendia nella frase che pronunciò in occasione del festeggiamento dei 90 anni che gli fu tributato dal- l’Istituto, quando affermò ancora con forza che anche il miglior diritto penale possibile sarebbe stato accettabile solo in quanto compatibile con il principio di ultima ratio.

Lo scempio del diritto penale compulsivo ed onnicomprensivo che caratte- rizza le legislazioni degli ultimi anni grida vendetta alla luce di questo insegna- mento, che segnerà magari una battaglia di retroguardia, alla quale tuttavia devono restare fedeli tutti coloro che ancora credono nella possibilità di vede- re un giorno trionfare di nuovo la ragione.

Termino di scrivere queste pagine, con grande emozione, proprio a Fribur- go, seduto alla scrivania della stanza che l’Istituto mi ha concesso durante un periodo di ricerca del mio anno sabbatico; avevo pensato di venire qui anche per incontrare Jescheck, a cui avevo mandato qualche tempo fa un libro che avevo pubblicato insieme con un mio allievo appunto sui temi del diritto pe- nale internazionale; di questo e di altro avrei voluto parlare con Lui, dopo quattro anni dal nostro ultimo incontro; Lo sapevo malato, e forse anche pre- so dalla stanchezza di vivere dopo la recente scomparsa della amatissima mo- glie, ma la notizia della Sua morte mi ha ugualmente sorpreso e lasciato una grandissima amarezza, con un groppo in gola per le tante cose non dette.

Da Lorenzo Picotti apprendo che stava curando un libro di memorie, in cui avrebbe una parte consistente il Suo rapporto con la “colonia italiana”

dell’Istituto; se, come spero, questo libro vedrà un giorno la luce sarà, per tut- ti coloro che come me sono stati gratificati da Lui come “i miei amici italiani”, un volume da collocare in una parte nobile della biblioteca personale.

Del resto, non possiamo che ricordarLo al lavoro, a suggerire idee, a mette- re a disposizione il Suo sapere con sollecitudine ed umanità; sperando di non essere indegni di quanto ci ha trasmesso, auguriamo a quest’Uomo grande che Gli sia lieve la terra.

GABRIELEFORNASARI

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GIULIANO VASSALLI (25 aprile 1915-21 ottobre 2009)

Quando ripenso a Giuliano Vassalli, il ricordo che mi si riaffaccia in manie- ra più immediata e vivida alla mente è quello del nostro primo incontro all’U- niversità. Istituto di Diritto penale della Sapienza, grande e lungo corridoio contornato da panche rigide e scomode che conferivano austerità al luogo; io giovane studentessa che aveva quasi ultimato i corsi e che andava a chiedere l’assegnazione della tesi, Lui, una figura per me gigantesca ed inarrivabile di Professore. Ciò che mi colpì maggiormente in quell’incontro fu l’insieme di sensazioni che promanavano da quella persona dall’aspetto elegante e signori- le: una grande disponibilità, ma anche un ineluttabile senso di impotenza nel governare il tempo che scandiva i suoi tanti impegni; un profondo senso di stanchezza, ma anche un accendersi improvviso ed inarrestabile dell’interesse e dell’attenzione, quando si toccavano i temi del diritto, della politica e della vita sociale del nostro Paese.

Nel corso degli anni queste prime, complesse sensazioni si sono trasforma- te nella comprensione di un aspetto fondamentale della Sua vita di professore, avvocato e politico insigne: il desiderio di svolgere sempre nel migliore dei modi tutti questi impegnativi ruoli, nel timore di non essere in grado o in tem- po per farlo.

Timore, ovviamente, rivelatosi del tutto infondato, se solo si consideri che Egli fu Ordinario di diritto penale nelle Università di Urbino, Pavia, Padova, Genova, Napoli e Roma; Senatore e capogruppo parlamentare dopo aver ma- nifestato la Sua adesione all’idea socialista fin dal tempo della Resistenza e su- bendo per ciò una dura carcerazione che rischiò di trascinarlo nell’eccidio delle Fosse Ardeatine; Ministro della Giustizia in tre diversi governi e firmata- rio del nuovo codice di procedura penale; Giudice costituzionale e poi Presi- dente della Corte.

Difficile, se non impossibile, commentare in questo spazio limitato la Sua immensa produzione scientifica, che ha avuto la caratteristica, del tutto in li- nea con la pluralità degli interessi coltivati, di spaziare e di soffermarsi su un numero estesissimo di temi, che andavano dalla criminologia alla procedura penale, dalla teoria generale agli aspetti comparati del diritto penale, dall’esa-

Criminalia 2009

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me di un possibile spazio giuridico giudiziario europeo alla critica dell’istituto del mandato di arresto europeo, dalla analisi dei principi cardine della Carta Costituzionale e delle prospettive di riforma di essa alla valorizzazione dei di- ritti umani come elemento fondante di una giustizia penale internazionale.

Nella impossibilità di commentare ed esaminare, sia pure soltanto per ac- cenni, tutti gli aspetti di questa così copiosa e variegata produzione scientifica, vorrei soffermarmi proprio su questi aspetti di diritto internazionale, che han- no formato oggetto di studio nell’ultimo quindicennio della Sua lunga vita.

Essi si aprono con un contributo, scritto nell’anno 1995, intitolato “Verso una giustizia internazionale penale?”. La Sua chiara, sentita e proclamata propen- sione per la creazione di un diritto internazionale penale sostanziale, di un si- stema di accordi di reciproca assistenza nella materia dei delitti contro l’uma- nità e per la istituzione di una Corte penale internazionale permanente sarà accompagnata sempre, in tutti gli scritti successivi in argomento, da quel pun- to interrogativo che non ha mai trovato risposta adeguata.

A ragione veduta Egli sottolineava la lunghissima pausa dei lavori delle Na- zioni Unite su questa materia a causa della guerra fredda dopo il 1954, la dif- ficile ripresa di essi negli anni ’90, l’insufficiente istituzione di Tribunali inter- nazionali ad hoc per la punizione di crimini di guerra e genocidi, il varo di una Corte internazionale permanente deliberato a Roma nel luglio del 1998 e vi- ziato tuttavia da risultati di compromesso con alcune tra le più grandi potenze mondiali; la complessità della definizione, della identificazione e della qualifi- cazione giuridica di concetti fondanti del diritto penale internazionale come quelli di “crimine di guerra” e “crimine contro l’umanità” a fronte del variare delle forme di guerra e delle forme di persecuzione ed aggressione di intere collettività, etnie e gruppi religiosi; la difficoltà di rinvenire un principio fon- dante della repressione di crimini internazionali diverso da quello della appli- cazione della legge del vincitore.

Questo corposo elenco di difficoltà e di ostacoli non gli ha mai però impe- dito di affermare con forza che ogni tappa raggiunta in questa difficile materia rappresenta un grande traguardo di civiltà e che bisogna continuare ad opera- re e sperare per salvaguardare valori etici che, per la loro estensione e gravità, colpiscono l’intera comunità internazionale.

Mi sembra che questo prezioso insegnamento di cautela e di speranza rap- presenti uno degli elementi più preziosi di un’eredità culturale pur così ricca di tanti altri spunti giuridici.

In un’epoca in cui la globalizzazione sembra implodere verso una sempre più diffusa estensione di fenomeni di criminalità internazionale di matrice

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finanziaria ed economica, di episodi di sfruttamento della tecnologia telemati- ca per realizzare illeciti transazionali più difficilmente punibili, di condotte di pirateria, tratta di donne e minori meritevoli di punizione a prescindere dal territorio in cui sono commessi, di crimini di guerra e genocidi che assumono le forme e le motivazioni più atroci, tali da essere intollerabili per ogni stato che aspiri ad un livello di civiltà accettabile nella comunità internazionale, la risposta del giurista e di chi ha a cuore la tutela dei diritti dell’umanità non può che essere nel solco già tracciato da Giuliano Vassalli. Costruire un siste- ma penale e processuale idoneo a garantire l’effettività della repressione e del- la punizione, a prescindere dal locus commissi delicti, per tutti quei reati che offendono beni ed interessi comuni a tutte le Nazioni.

PAOLASEVERINO

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Dibattito

Giustizia penale e politica

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1 V. ad es. L. FERRARELLA, L’indagine sui diritti tv e quei dubbi sui tempi, in Corriere della Sera, 21 gennaio 2010.

prof. FRANCESCOPALAZZO Università di Firenze

PRINCIPÎ E REALTÁ DEL RAPPORTO TRA GIUSTIZIA E POLITICA

SOMMARIO: 1. Le preoccupazioni dell’ora presente. – 2. I “luoghi” del rapporto tra giustizia e politica. – 3. I piani del discorso su giustizia e politica: la contingenza attuale e le dinamiche storico-sociali della contrapposizione. – 4. Segue. I principî costituzionali di riferimento. – 5. Il problema della fonte degli istituti immunitari. – 6. I reati funzionali e le “speciali” esi- genze di tutela della politica. – 7. I reati extrafunzionali e le esigenze di tutela della politica:

prestigio dell’organo e azioni persecutorie della magistratura. – 8. Segue. Il buon funziona- mento degli organi costituzionali e le difficoltà del bilanciamento. – 9. Dalla riforma degli istituti immunitari alle “grandi riforme”.

1. Le preoccupazioni dell’ora presente

Nel momento in cui scriviamo queste note il rapporto tra politica e giusti- zia penale ha raggiunto livelli di una conflittualità così radicale ed acuta da non far ben sperare per una soluzione del problema – che pure si dice cercata da molti – capace di assicurare un soddisfacente equilibrio ad una disciplina normativa così difficile e delicata, e tale soprattutto da non mettere a repenta- glio le strutture portanti della nostra democrazia costituzionale.

Da un lato, manifestazioni verbali delegittimanti la magistratura hanno rag- giunto una asprezza di toni e di contenuti inaudita e incompatibile con un sa- no ordine democratico, anche a cagione del ruolo istituzionale di chi le pro- nuncia e delle amplificazioni mediatiche di cui tali esternazioni beneficiano.

Dall’altro lato, continuano le azioni giudiziarie contro politici, locali o nazio- nali che rivestono ruoli di primo o anche addirittura di primissimo piano: una vera “gragnola” di iniziative la cui contestualità col delicato momento eletto- rale non ha mancato di suscitare “qualche sospetto” anche negli osservatori più cauti e misurati1. Comunque, l’ampiezza quantitativa del fronte giudizia- rio contro la politica produce senz’altro disorientamento nell’opinione pub- blica, ponendo la sconfortante alternativa di trovarsi o di fronte ad un imper- versante comportamento latamente affaristico-corruttivo del ceto politico

Criminalia 2009

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2 V.E. ORLANDO, Immunità parlamentari ed organi sovrani (1933), ora in ID., Diritto pub- blico generale. Scritti vari (1881-1940) coordinati in sistema, Milano, 1954, 476, cit. da A. PACE, La legge n. 140/2003 e i principi costituzionali violati, in Studi in onore di G. Ferrara, III, Tori- no, 2005, 16.

3 Nel momento attuale, un disegno di legge sulla estinzione del processo per decorrenza di termini (Atto S/1880) è stato approvato dal Senato il 20 gennaio 2010 e prevede una norma transitoria per l’applicazione ai processi pendenti per reati commessi fino al 2 giugno 2006; un disegno di legge sul legittimo impedimento (Atto S/1996), di efficacia temporanea, è stato ap- provato definitivamente dal Senato il 10 marzo 2010 e prevede un sorta di presunzione di legit- timo impedimento del Presidente del Consiglio e dei ministri, senza valutazione discrezionale dell’impedimento stesso da parte del giudice; un disegno di legge costituzionale (Atto S/1942), d’iniziativa Chiaromonte e Compagna è stato presentato il 17 dicembre 2009 al Senato per la reintroduzione di una immunità parlamentare consistente nella sospensione del processo su ri- chiesta del ramo del parlamento di appartenenza dell’inquisito.

ovvero dinanzi ad un diffuso atteggiamento latamente persecutorio o specifi- camente complottardo della magistratura.

Già questo clima, politico-mediatiaco-sociale, sarebbe più che sufficiente per indurre serî timori per una soddisfacente regolamentazione dei cosiddetti rapporti tra politica e giustizia penale. Ma non mancano ulteriori ragioni di preoccupazione. Innanzitutto, sono all’attenzione pressoché contestuale del parlamento plurimi disegni di legge finalizzati allo scioglimento di quel nodo.

Ed a preoccupare non è solo la presenza di riforme, come segnatamente quel- la sul “processo breve”, che mentre obliquamente guardano alle difficoltà giu- diziarie del Presidente del Consiglio direttamente producono effetti dirom- penti sull’intero sistema della giustizia penale e sul suo funzionamento. Qui il discorso a rigore trascende il rapporto giustizia/politica, che costituisce solo per così dire l’occasione di un provvedimento da valutare per sé e per le con- seguenze indotte. Piuttosto, non può far presagire nulla di buono il fatto che un tema così delicato – politicamente e giuridicamente – come quello della re- sponsabilità penale della politica, tanto difficile da essere stato paragonato ad una vera “quadratura del cerchio”2; un tema che esigerebbe dunque serenità, ponderazione e anche capacità tecniche, sia invece confusamente rimesso a plurimi disegni di legge (legittimo impedimento, sospensione dei processi, im- munità ed autorizzazioni a procedere)3che si inseguono e si accavallano sul- l’onda del momento, con un pensiero fisso sull’obiettivo specifico, dimenti- cando che il sistema delle “prerogative della politica” non può che essere qualcosa di unitario, che tenga conto degli equilibri complessivi esistenti nella realtà costituzionale tra i vari poteri ed organi dell’ordinamento.

Non manca poi un ulteriore motivo di preoccupazione, di stampo più poli-

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4 Si possono ad es. ricordare sia la vicenda della proroga ex lege del Procuratore nazionale

tico ma certo non per questo meno vivo e serio. Nella consapevolezza di un li- vello ormai insopportabile dello scontro tra politica e giustizia penale, da mol- te parti si accede all’idea che sia necessario (salus rei pubblicae…) adottare qualche strumento normativo per evitare più gravi pericoli per la democrazia.

Tuttavia, il discorso sul rapporto politica/giustizia non si limita al circoscritto – quantunque delicatissimo – orizzonte degli istituti “immunitari”, ma si allar- ga naturalmente al ruolo della magistratura in un ordinamento di democrazia costituzionale. Ebbene, si ha l’impressione che su questo più ampio terreno il sempre ripetuto refrain delle “riforme” costituzionali possa riservare poi sce- nari inquietanti e davvero pericolosi. Da un lato, per uno spirito quasi vendi- cativo e di redde rationem nei confronti della magistratura; dall’altro lato, per un disorientamento di fondo tra l’attivismo di chi paventa una definitiva emarginazione politica dal tavolo delle riforme e le resistenze di chi si arrocca sul mantenimento di uno status quo anche di principio, negando ad esempio l’evidenza che un processo realmente accusatorio non può che essere di “par- ti” effettivamente paritarie. In questo stato di cose, cedere alla suggestione del refrain delle “riforme” costituzionali ad ogni costo – diventate quasi il banco di prova della vitalità se non addirittura dell’esistenza stessa delle forze politi- che – potrebbe essere davvero pernicioso. Toccare l’assetto della magistratura senza avere idee chiarissime sugli obiettivi di fondo e sul ruolo prima di tutto culturale dell’ordine giudiziario nella democrazia costituzionale, può condur- re a risultati a parole rifiutati da tutti. Essendo infatti la magistratura il princi- pale strumento di garanzia dei diritti, prima e forse più ancora della stessa Corte costituzionale, un suo eventuale depotenziamento si risolverebbe in un sostanziale mutamento della stessa prima parte della Costituzione.

2. I “luoghi” del rapporto tra giustizia e politica

Il tema dei rapporti tra politica e giustizia penale ha bisogno di una preli- minare delimitazione, poiché sono moltissimi i “luoghi” dell’ordinamento in cui quel rapporto si pone e deve essere disciplinato. Intanto, va detto che non esiste solo un’unica direzione di quel rapporto, che va nel senso dalla giurisdi- zione verso la politica, ma anche una direzione opposta: dalla politica alla giu- risdizione. A parte, le ipotesi – che pure non sono mancate – in cui il legisla- tore è intervenuto per incidere sugli organi della giurisdizione al di fuori ed in deroga della normativa generale4, c’è da considerare in proposito tutta una

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antimafia Pier Luigi Vigna fino all’agosto 2005 così da alterare le aspettative dei possibili con- correnti all’alta carica; sia la vicenda (2003) relativa alla reimmissione in servizio, oltre i limiti dell’età pensionabile, dei magistrati autopensionatisi in seguito a procedimenti penali e poi suc- cessivamente assolti.

5 V. in generale l’agile ma prezioso volumetto di S. BARTOLE, Il potere giudiziario, Bologna, 2008, in part. 59 ss.; N. ZANON, Profili costituzionali dell’ordinamento giudiziario: autonomia e indipendenza della magistratura, in AA.VV., La giustizia civile e penale in Italia, Bologna, 2008, 79 ss., 134 s. in part. sulle pratiche a tutela.

vasta gamma di vari istituti. Ferma restando l’impossibilità degli organi del potere politico di incidere contenutisticamente sull’esercizio concreto delle funzioni giudiziarie, vengono in gioco ovviamente e prima di tutto gli istituti autorizzatorî con cui gli organi politici condizionano l’an della funzione giudi- ziaria. Ma vi è ancor prima la rilevantissima area in cui la politica interseca l’amministrazione della giustizia penale a livello sia di “partecipazione” alla costituzione degli organi dell’ordine giudiziario (composizione del CSM,

“concerto” ministeriale alle nomine dei capi degli uffici giudiziari, esercizio dell’azione disciplinare, ecc.), sia a livello di organizzazione giudiziaria e quo- tidiano funzionamento degli uffici (in generale, rapporti tra ministro della giu- stizia e ordine giudiziario). Fino ad arrivare alle situazioni estreme, in cui l’a- zione della politica si fa così patologicamente aggressiva da comportare la rea- zione delle cosiddette “pratiche a tutela” da parte del CSM5.

Per contro, nella direzione dalla magistratura ordinaria verso la politica, il condizionamento si rivela meno normativamente strutturato ma decisamente più dirompente ed eclatante, amplificato com’è sempre dalla risonanza me- diatica. Naturalmente, l’azione della magistratura non può avvenire che me- diante l’esercizio della funzione giudiziaria. E qui sta subito il nodo centrale:

mentre gli interventi della politica sul sistema giustizia, se effettuati entro la le- galità delle regole, scontano una legittima discrezionalità politica; quelli della magistratura sulla politica, dietro l’apparente legalità della discrezionalità giu- diziale, possono celare l’illegittimità sostanziale di un uso politico della fun- zione. E anche i rimedi a queste eventuali distorsioni rischiano di non essere efficaci, non solo e non tanto perché tutti necessariamente interni all’ordine giudiziario, ma anche e soprattutto perché inidonei a neutralizzare le conse- guenze politicamente nefaste dell’immediata amplificazione mediatica della notizia giudiziaria. Il senso dunque di una perdurante esposizione della politi- ca, e quasi d’impotenza, può produrre alla lunga una sua reazione sproporzio- nata, specie se la magistratura non fa di tutto per fugare il sospetto di una cer- ta opacità della legittimità sostanziale del suo operato.

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6 Impressionante è ad es. il catalogo contenuto nel ponderoso volume di G. BARBACCETTO-

Comunque, nel valutare l’incidenza dell’azione giudiziaria sulla politica non si può razionalmente perdere di vista una distinzione fondamentale dal punto di vista dei principî. E cioè la distinzione tra reati funzionali e reati ex- trafunzionali. Quando la magistratura penale agisce per perseguire i primi, si realizza una “contestazione” diretta nei confronti dell’esercizio del potere po- litico e ci si pone sul piano del comunque difficile rapporto tra discrezionalità politica e controllo di legalità: un aspetto quasi strutturale nelle complesse di- namiche dei moderni Stati di diritto. Quando invece si tratta di reati extrafun- zionali, certamente nessuno disconosce la capacità fattuale politicamente e mediaticamente devastante di un’azione giudiziaria pur se relativa a reati non funzionali; ma è anche vero che sul piano istituzionale l’aggressività di una sif- fatta azione nei confronti della politica deve essere valutata diversamente: in vero, una reale aggressività è appunto fattuale e presuppone un intento altret- tanto fattualmente persecutorio. Così che i rimedi giuridici contro simili ag- gressioni possono essere rivolti non tanto nei confronti della funzione giudi- ziaria in sé, quanto invece nei confronti degli specifici procedimenti inquinati.

A meno di non ipotizzare un generalizzato inquinamento della magistratura e dell’ordine giudiziario nel loro complesso. Ma allora si aprirebbero scenari in cui gli strumenti normativi di regolazione dei rapporti tra politica e giustizia penale sarebbero del tutto vani e dovrebbero cedere il posto ad approfondite analisi valutative politiche e sociologiche prima di mettere mano ad un gene- ralizzato riequilibrio dei poteri – o piuttosto ad una rifondazione etica delle categorie del politico e del giudiziario. Peraltro, la distinzione tra reati funzio- nali ed extrafunzionali, chiara in linea di principio, in realtà non è sempre fa- cilissima, subendo anche sollecitazioni interessate: come dimostra la vicenda della legge di attuazione della riforma dell’art. 68 Cost. (legge 20 giugno 2003, n. 140), di cui ci occuperemo in seguito.

3. I piani del discorso su giustizia e politica: la contingenza attuale e le dinamiche storico-sociali della contrapposizione

Che il problema dei rapporti tra politica e giustizia penale oggi in Italia sia esploso è indubbio: quantitativamente, ricerche accurate, anche se di taglio non scientifico e non da tutti considerate obiettive, mostrano come il numero dei procedimenti a carico di politici, di varia estrazione e livelli, sia esorbitan- te, per reati sia funzionali che extrafunzionali6. Qualitativamente, poi, non

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P. GOMEZ- M. TRAVAGLIO, Mani sporche. 2001-2007. Così destra e sinistra si sono mangiate la II Repubblica, Milano, 2008.

meno certo è il fatto che l’intonazione alla discussione sia data dalle vicende giudiziarie in particolare del Presidente del Consiglio, il che induce grandi tensioni e radicalizza il problema situandolo ai vertici della vita politica. Eb- bene, tutto ciò, se per un verso sembra sempre più spingere – come detto – verso ipotesi riformistiche degli istituti “immunitari”, per l’altro dovrebbe mettere in guardia dall’assumere (e condividere) le riforme sotto la determi- nante influenza della situazione contingente, trattandosi comunque di riforme incidenti sul sistema se non proprio “di sistema”. D’altra parte, non c’è nem- meno dubbio che il discorso sui rapporti tra politica e giustizia penale non può essere condotto su un piano esclusivamente astratto, in cui le soluzioni giuridiche si facciano derivare quasi meccanicisticamente dai modelli teorici di riferimento. La valutazione e la progettazione degli istituti regolanti il rap- porto giustizia/politica, ed in particolare degli istituti “immunitari”, deve te- ner conto del fatto che la relazione tra le sfere della politica e della giustizia è configurata non solo dalle norme costituzionali ma anche dal contesto storico- sociale in cui quelle sfere concretamente operano, e dipende in modo partico- lare dal prestigio di cui esse sono circondate nella società civile per ciò che es- se sanno effettivamente recare alla vita democratica.

Peraltro, il realismo storico con cui va affrontato il problema non può pre- scindere dal riferimento ai principî fondamentali del sistema, e segnatamente ai principî derivanti dall’idea della democrazia costituzionale, a costo altri- menti di accreditare mediante una revisione degli istituti immunitari – magari anche in sé equilibrata – una vera e propria rottura della compagine costitu- zionale.

Su questi diversi ed interferenti piani tenteremo di svolgere le osservazioni che seguono.

Sul piano della contingenza storica, hic et nunc pare di assistere ad un feno- meno inverso a quello che si verificò quando, nella prima metà degli anni no- vanta del secolo scorso, si ebbe una sostanziale resa della classe politica di fronte alle inchieste specialmente di “mani pulite”. Una resa dinanzi alla ma- gistratura, ma anche all’assalto di un’“antipolitica” non tanto qualunquistica e preconcetta quanto piuttosto fattasi consapevole della degenerazione corrutti- va del sistema politico. Si può forse addirittura individuare un’espressione per così dire formalizzata di questa resa politica nella legge costituzionale del 1993 con la quale il parlamento abolì l’autorizzazione a procedere. Ma la spi-

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7 Sottolinea la svolta intervenuta L. CARLASSARE, Responsabilità giuridica e funzioni politi- co-costituzionali: considerazioni introduttive, in ID. (a cura di), Diritti e responsabilità dei soggetti investiti di potere, Padova, 2003, 13.

8 Non stupisce invero che la conquista di una consistente indipendenza della magistratura può rivelarsi la condizione per una sua anche spiccata politicizzazione, sebbene non rispetto al- l’area del potere partiticamente organizzato.

rale in questo senso si era avviata già prima, con la legge costituzionale del 16 gennaio 1989, n. 1 sulla responsabilità per i reati ministeriali. Oggi, invece, pare che la reazione della politica sia piuttosto di resistenza all’azione giudizia- ria della magistratura. I primi sintomi di questo diverso atteggiamento si pos- sono cogliere forse già nella citata legge n. 140 del 2003, con la quale – a di- stanza di dieci anni esatti – si opera un vistoso revirement, ritornando sull’art.

68 Cost. per incidere sul nesso funzionale dei reati coperti da immunità e so- prattutto per introdurre la cosiddetta pregiudiziale parlamentare7. Non è que- sta la sede per cercare le ragioni della svolta. Non sembrerebbe però del tutto estranea al mutamento la trasformazione della rappresentanza politica in rap- presentanza delle investiture carismatiche, con conseguente personalizzazione e mediatizzazione della rappresentanza stessa: alla fine, una sorta di sudameri- canizzazione della politica italiana, in cui finiscono per contare più le immagi- ni mediatiche dei suoi protagonisti piuttosto che i comportamenti e i risultati e la loro coerenza ideologica. Il protagonismo personalistico, opportunamente drenato mediaticamente, rafforza il consenso popolare, sposta l’antipolitica verso l’indistinto e – in quanto concentra l’attenzione sulle vicende giudiziarie di uno o di pochi – induce quasi processi di identificazione vittimari. Per con- tro, per caso o pour cause, dall’altra parte non sembrano emergere figure di magistrati dotati di particolare presa carismatica. Insomma, l’affidamento ver- so l’uomo politico se c’è è incondizionato, e l’azione della magistratura viene sentita come un’aggressione persecutoria; la valutazione sociale dell’esercizio della giurisdizione nei confronti della politica finisce per essere un’appendice della scelta di campo elettorale e per riflettere la contrapposizione del bipola- rismo. La contingenza è dunque favorevole ad un riposizionamento del rap- porto politica/giustizia a favore della prima.

Lasciando ora la contingenza, il discorso diviene senz’altro più complesso.

Quali sono le dinamiche socio-politiche sottostanti a questo periodico accen- tuarsi della conflittualità tra politica e giustizia penale? È abbastanza naturale che tra i due “poteri” non corra buon sangue, specialmente quando sia assicu- rata una reale indipendenza della magistratura8. Diremmo, in primo luogo,

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che c’è una ragione di fondo, quasi strutturale, derivante dal loro rapporto di sostanziale concorrenzialità nella produzione del diritto per il disciplinamento delle esigenze ed interessi sociali. Concorrenzialità accresciuta dall’inarresta- bile processo di ipergiuridicizzazione dei rapporti sociali, senza che il legisla- tore-politico riesca ad affermare il suo monopolio neppure tendenziale. Il di- sciplinamento giuridico è certamente esercizio di un potere molto rilevante.

La concorrenza tra politica e giustizia nasce forse dalla radicale diversità del loro approccio, culturale prima che istituzionale, al magma sociale da sotto- porre a regole. La politica media la disciplina (legislativa o regolamentare) tra- mite i quadri di riferimento costituiti dai programmi elettorali e dalle dinami- che partitico-politiche; mentre la magistratura ispira la disciplina (giurispru- denziale) più direttamente ai bisogni che gli interessi sociali anche diffusi, dei litiganti privati, delle vittime e degli imputati, le rappresentano sulla scena del processo. Insomma, la concorrenzialità strutturale nasce da una sorta di senso di superiorità che ciascuno dei due poteri crede di poter vantare sull’altro: il disciplinamento giuridico democraticamente legittimato ma condizionato dal- le gabbie ideologiche o partitiche, l’uno; il disciplinamento giuridico privo della rappresentatività democratica ma capace di cogliere direttamente le reali esigenze sociali delle persone senza schermi deformanti, l’altro.

Vero che sia tutto ciò, cos’è però che innesca il conflitto aperto? Al di là delle contrapposizioni ideologiche, peraltro sempre più sfumate, non c’è dub- bio che il ceto politico tenda ad una comune autoreferenzialità e ad una chiu- sura sociale, che non a caso ha portato a farne il primo destinatario della qua- lificazione di “casta”. E guardando le cose con l’obiettività di chi conosce un poco i diffusi codici comportamentali del ceto politico spicciolo, degli ammi- nistratori locali di un po’ tutte le sigle, non si può purtroppo disconoscere che il modus operandi è solitamente ai margini della legalità, anche perché ingenti sono le necessità economiche derivanti dalla carriera politica come oggi con- cepita. Vero e proprio arricchimento personale, molteplici situazioni di con- flitto di interessi, esigenze di finanziamento di partito o di convogliamento di tessere, costituiscono una trama che non manca di omologare, forse inelutta- bilmente, il comportamento di molti politici, senza grandi differenze di parti.

La magistratura subisce forse meno un così forte condizionamento di codici comportamentali e certamente rispecchia oggi una estrazione sociale molto differenziata, che la rende socialmente poco omogenea – specialmente oggi – rispetto al ceto politico. Non che la qualificazione “castale” non le si addica, ma indubbiamente si tratta di una chiusura sul piano più dei propri privilegi organizzativi e professionali che su quello dell’esercizio concreto della funzio-

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9 Molto autorevolmente è stata proposta sul piano storico una penetrante analisi del rap- porto tra politica e giustizia, ricollegandolo addirittura alla guerra fredda (E. SEVERINO, La vit- toria giustifica i mezzi, in Corriere della Sera, 25 gennaio 2010). L’illegalità della politica italiana sarebbe stato un mezzo, soprattutto attraverso il finanziamento illecito dei partiti di governo ma anche mediante collegamenti con la criminalità organizzata, per contribuire alla lotta anti- comunista; fino a che, caduto il muro di Berlino, sarebbero maturate le condizioni perché la magistratura portasse in tribunale il mondo democratico-capitalistico (che in qualche modo aveva vinto il comunismo) o “quanto rimane di quel mondo – che non è poco”.

10 L. FERRAJOLI, Democrazia costituzionale e scienza giuridica, in Dir. pubbl., 2009/1, 1ss.;

M. MORISI, La legalità tra giurisdizione e sistema politico, in Il Ponte, 1998/2-3, num. speciale, Giustizia Come. Giurisdizione e sistema politico in Italia, a cura di R. Minna e M. Morisi, 17, 23;

G. SILVESTRI, Sovranità popolare e magistratura, in AA.VV., La sovranità popolare nel pensiero di Esposito, Crisafulli, Paladin, a cura di L. Carlassare, Padova, 2004, 233; G. ZAGREBELSKY, La legge e la sua giustizia, Bologna, 2008, spec. 145 (‹‹La democrazia pura, […], basata per l’ap- punto sul popolo, riunito in assemblea, che legifera senza incontrare limiti, è un’idea in puntua- le contrasto con quella di Costituzione››.

ne e dei rapporti con la società civile. Tutto ciò almeno riguardo alla magistra- tura giudicante, essendo invece più percepibile in quella requirente una certa qual tendenziale omogeneizzazione di orientamento che, tra parentesi, la dice lunga sui rischi connessi ad una incomunicabile separazione delle carriere. In queste condizioni sociali, non è dunque strano che la concorrenzialità struttu- rale tra i due poteri possa esplodere in conflittualità diffusa9.

4. Segue. I principî costituzionali di riferimento

A questo punto il discorso deve lasciare i due piani della contingenza stori- ca e dell’analisi sociologica per approdare a quello dei principî, seppur stori- camente concepiti come dinamici. Ebbene, deve essere respinta con estremo rigore l’idea – pure autorevolmente espressa in sede politica – che la legitti- mazione democratica di cui godono gli eletti dal popolo possa costituire la chiave per risolvere il rapporto tra giustizia e politica. In verità, l’idea cioè che il consenso popolare di cui beneficiano i rappresentanti parlamentari (e for- s’anche ancor più il Presidente del Consiglio dei ministri nell’ambiguità del- l’attuale disciplina elettorale italiana) rivesta il potere politico di una sorta di intangibilità rispetto all’azione giudiziaria, se intesa in questo senso così estre- misticamente unilaterale, è semplicemente eversiva. Comporterebbe, infatti, la trasformazione del nostro sistema da una democrazia costituzionale ad una democrazia puramente maggioritaria o al più rappresentativa. Come ormai è stato definitivamente chiarito10, la nostra democrazia – come la gran parte

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11 Sono queste le categorie in contrapposizione utilizzate da T.F. GIUPPONI, Le immunità della politica. Contributo allo studio delle prerogative costituzionali, Torino, 2005, 116 ss.

12 Cfr. sul punto fondamentale A. PACE, Conclusioni, in L. Carlassare, Diritti e responsabi- lità, cit., 187.

13 V. in particolare il saggio di P. ROSANVALLON, La légitimité démocratique. Impartialité, ré- flexivité, proximité, Paris, 2008, 26, 190 ss., 222 ss.

14 L’avvento del governo democratico è così sintetizzato da A. TOCQUEVILLE, Considéra- tions sur la Révolution, in Œvres, Paris, Gallimard, 2004, III, 492: ‹‹La nozione di governo si semplifica: solo i numeri fanno la legge e il diritto. Tutta la politica si riduce ad una questione d’aritmetica››.

delle altre occidentali – è costituita dallo spazio del decidibile parlamentar- mente a maggioranza e dallo spazio dell’indecidibile perché costituzionalmen- te fondativo dell’identità di un ordinamento. Contrapporre in modo secco l’intangibilità della politica in quanto democraticamente legittimata all’azione giudiziaria per la concretizzazione del diritto, significa pensare di risolvere il complesso e delicatissimo rapporto politica/giustizia con uno strumento non solo del tutto inadeguato al bilanciamento delle esigenze in gioco ma anche in sé radicalmente distorto.

Per contribuire ad allontanare tali schematismi culturali, può forse valere la pena indugiare su un paio di ulteriori notazioni. In primo luogo, l’opposizio- ne tra legittimazione democratica e legalità della politica11 è, al fondo, falsa.

Rinunciare alla legalità del comportamento politico – e al connesso controllo giudiziario – significherebbe non già salvarne la legittimazione, bensì mettere in sofferenza il valore dell’eguaglianza di trattamento, proprio dinanzi a quella legge penale che ha un significato fondante della identità sociale. Ma incidere sull’eguaglianza significherebbe a sua volta sfigurare il volto della stessa legit- timazione democratica, posto che la prima e fondamentale base assiologica della democrazia è proprio l’eguaglianza delle persone12. Torneremo natural- mente sul principio d’eguaglianza e sulla sua capacità di adattarsi – coi bilan- ciamenti – alla complessità e molteplicità degli interessi in gioco; qui si vuole però ribadire che il fuoco della legittimazione democratica non può bruciare in sé la legna dell’eguaglianza senza spegnersi esso stesso.

In secondo luogo, la democrazia non è più un concetto monodimensiona- le13. Nelle attuali democrazie il potere ha, da un lato, una legittimazione elet- torale-rappresentativa che si fonda sulla forza dei numeri14; che è uno stru- mento procedurale per assumere decisioni puntuali nel quadro sociale del pluralismo e del contrasto d’idee e d’opinioni; che muove da un presupposto sostanzialmente fittizio e convenzionale qual è quello della identificazione del-

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la maggioranza con la ipotetica volontà generale. Dall’altro lato, la democrazia sta sviluppando sempre più una nuova legittimazione d’imparzialità e di ri- flessività, di cui godono organi vecchi e nuovi. Gli organi dotati di legittima- zione d’imparzialità – ad esempio le autorità indipendenti – prendono deci- sioni tenendo conto di tutti gli interessi in gioco, contrappongono dunque alla decisione maggioritaria necessariamente “parziale” la decisione del contempe- ramento e bilanciamento degli interessi. Gli organi dotati di legittimazione di riflessività – ad esempio le Corti costituzionali – contrappongono alla decisio- ne maggioritaria necessariamente “puntuale” ed immediata un quadro di rife- rimento ordinamentale stabile e duraturo costituito da valori culturali condi- visi e quasi identitarî del corpo sociale. L’opera della magistratura nell’eserci- zio della sua funzione giudiziaria partecipa di entrambe le forme di questa ul- teriore legittimazione democratica, non fondata esclusivamente sulla forza dei numeri. Anzi, si potrebbe dire che, da un punto di vista sostanziale, la legitti- mazione d’imparzialità e di riflessività sia addirittura più solida di quella elet- torale-rappresentativa poiché non muove dalla finzione convenzionale che la maggioranza possa decidere per tutti, ma cerca piuttosto una dimensione più comunitaria della decisione. Tuttavia, le nuove forme di legittimazione demo- cratica non dovranno mai prendere il sopravvento su quella elettorale-rappre- sentativa. In effetti, la decisione maggioritaria, pur scontando l’artificio con- venzionale della volontà generale, dovrebbe però assicurare la trasparenza procedurale del modo della sua formazione attraverso i meccanismi della rap- presentanza elettorale e della disciplina di funzionamento delle assemblee parlamentari. Non così, invece, le decisioni degli organi ispirati alle altre for- me di legittimazione democratica: a fronte del loro maggior sforzo di tenere insieme in teoria tutte le forze e gli interessi legittimi del contesto sociale, assai poco trasparente è il modo con cui quelle decisioni in pratica si formano. Così che il controllo sull’effettiva corrispondenza di tali decisioni alle loro basi di legittimazione democratica non può che assumere un indistinto carattere so- ciale, molto condizionato dunque dal prestigio di cui gli organi indipendenti possono godere nella popolazione.

Comunque sia, è certo che sarebbe oggi davvero antistorico voler imposta- re e risolvere il rapporto tra politica e giustizia assumendo quale criterio tran- chant quello della legittimazione democratica, intesa come interamente ed esclusivamente assisa sulla politica nella sua unica forma elettorale-rappresen- tativa. Così come, d’altra parte, sarebbe altrettanto irrealistico ignorare le con- seguenze che sulla politica obiettivamente produce un esercizio della giurisdi- zione men che cauto e ponderato – seppure totalmente immune da faziosità –

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