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Usciamo, la transizione ci aspetta!

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Academic year: 2022

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osservatorio - memoria - comunicazione - proposta

Periodico ROC - La Madonna della Guardia - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 MP/GENOVA NO/51/2011 - n. 2 anno 126 - Poste Italiane S.p.A. Taxe perçue - Tassa riscossa - CMP GE Aeroporto

RIVISTA DEL SANTUARIO DI NOSTRA SIGNORA DELLA GUARDIA - GENOVA

Periodico ROC - La Madonna della Guardia

MP/GENOVA NO/51/2011 - n. 2 anno 126 - Poste Italiane S.p.A. Taxe perçue - Tassa riscossa - CMP GE Aeroporto

Usciamo, la transizione ci aspetta!

ECOLOGIA, ECONOMIA, STILI DI VITA.

IL CAMBIAMENTO IRRINUNCIABILE.

Foto: Nick Fewings su Unsplash

n° 2 / 2021

osservatorio editoriale

UTOPIA E REALTÀ. UNA SFIDA MAI FINITA PER GENTE CHE “CI CREDE”!

le ragioni del credere

IL VIAGGIO IN IRAQ DI PAPA FRANCESCO.

TRA IDENTITÀ E FRATELLANZA sguardi avanti

GIOVANI CHE FANNO IL FUTURO

Al cuore de laGuardia,

16 pagine in più

(2)

generico

GIOVANI CHE FANNO IL FUTURO

sguardi avanti il Sommario

Associato all’U.S.P.I.

Unione Stampa Periodica Italiana

Stampa B.N. MARCONI s.r.l.

Passo Ruscarolo, 71 - 16153 Genova Tel. 010.651.59.14

La Madonna della Guardia - Anno 126o n. 2 Autorizzazione n. 2/84 del 17.1.1984 del Tribunale di Genova

a Proposito

editoriale

UTOPIA e REALTÀ.

Una sfi da mai fi nita per gente che “ci crede”!

... marco granara

7

pag.

scrivere e rispondere

le lettere al rettore

...

4

pag.

pag.

osservatorio

integrale, sostenibile, solidale. belle parole?

... mirco mazzoli

la (in)civiltà dei consumi e l’economia circolare

... carlo borasi

8

2 minuti per pensare

scegliere con la testa

... nucci scipilliti, laura siccardi

13

pag. C

La Redazione

luoghi di fede e storia

Il romanico in italia

... gianfranco parodi

pag. 24

il ricordo e la preghiera

...

30

pag.

pag. 14 le ragioni del credere

il viaggio in iraq di papa francesco.

tra identità e fratellanza

... maria pia bozzo

tutte le volte che lasciarono roma

... gianfranco parodi

semi di sapienza

... a cura di maria pia bozzo

da sapere...

covid. la pandemia della solitudine

... enrico quaglia

26

pag.

cronaca

- testimonianze dal... “dopo covid”

- il santuario di n.s. della guardia a grillano d’ovada - “presenze” della madonna della guardia...

28

pag.

C

ome anticipato nell’ultimo numero, laGuardia si propone con una nuova frequenza - più o meno bimestrale - e con un nuovo inserto, di 16 pagine, che ha un suo titolo e un suo compito (di cui spieghiamo il senso a pag. 16).

Nelle pagine ‘tradizionali’ che già conoscete da tempo…

Il primo servizio prende spunto dalla transizione ecologica, locuzione entrata di peso nella programmazione politica, dopo lunga gestazione in ampie fasce della vita civile e - specie da Papa Francesco in poi - anche all’interno della Chiesa. Le ultime encicliche, gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile ONU, la spinta del Terzo Settore e dei movimenti dal basso stanno persuadendo gli Stati e il mondo produttivo che non si può più rimandare un cambio di passo verso quella che, in termini ecclesiali, chiamiamo ‘l’economia di Francesco’ (il santo, ma anche il papa). Basterà? Cosa deve fare ognuno di noi? E perché questo non è un argomento alla moda ma una sfi da decisiva?

Nel secondo servizio ci soffermiamo sull’ultimo viaggio di Papa Francesco in Iraq, per ripro- porre ai nostri lettori i signifi cati di questa visita storica, inimmaginabile in passato, ennesima tappa del cammino tra fratelli di popoli e religioni diverse, che è una delle grandi direttrici dell’opera di questo pontifi cato.

Infi ne, un approfondimento sulla solitudine in tempo di Covid, che ha colpito tutte le età - anziani e adolescenti tra i primi - e ha permeato molte condizioni di vita e ambienti, obbligandoci a riconoscere che siamo fatti per vivere relazioni concrete e non virtuali.

Nel nuovo inserto….

La prima puntata è dedicata ai giovani. Se l’inserto sarà sempre centrato su temi civili ed eccle- siali che si pongono come sfi de non più rinviabili per il nostro futuro, allora i giovani sono a buon diritto il primo argomento di cui parlare perché, più che una sfi da per il futuro, sono il futuro stesso. Eppure, parrà strano ma il contributo dei giovani per il futuro della società e della Chiesa non è affatto scontato.

A tutti, buona (rinnovata) lettura.

leggere (e rileggere) la bibbia

la porterai sempre con te. l’arca dell’alleanza.

... anna gatti, nucci scipilliti

22

pag.

(3)

4 5

editoriale

R R

scrivere e rispondere

risponde mons. marco granara, rettore del santuario rettore@santuarioguardia.it

Lettera di un neofi ta felice ma ancora

in cammino...

C

aro don,

sono un credente di fresca data, un convertito, uno che ha sco- perto il Vangelo da adulto. Ed è diventato la mia gioia, il mio entusiasmo, il mio essenziale.

Però, proprio negli ambienti ‘di fede’ che mi trovo a frequentare riscontro, al contrario, scon- tatezza, abitudine, tiepidezza.

Come se il Dio di Gesù fosse un semplice corredo della vita: è normale che ci sia, è anche giu- sto e bello, ma da lì a capirne la centralità.... A questo punto, mi ritengo fortunato ad essere stato un “lontano” per tanto tempo, perché ora vivo davvero la gioia del Vangelo, come ha scritto il Papa. Ma, ad essere diventato vicino, quale vantaggio? Come risvegliare chi si è assopito?

Giacomo F. - Genova

C

ondivido e mi rallegro di quanto scrive. MI fanno pensare le due ultime domande finali: “quale vantaggio ad essere diventato vici- no” e “come risvegliare il cristiano debole chi si è assopito”. Eviden- temente non si può rallegrare di essere arrivato anche lei in una congrega (come si può chiamare

“comunità”?) di “assopiti” e meno

male che lei stesso si preoccupa di pensare a come rivitalizzare i fratelli che ha trovato così.

Quest’ultimo è un buon segno di appartenenza a Gesù. Se un cri- stiano non è anche missionario c’è da dubitare della validità della sua fede. Missionario vuol dire prima di tutto “testimone” coe- rente e gioioso della sua scoperta del Vangelo, non propagandista che arruola nuovi proseliti per la “setta”. Come risvegliare il pachiderma addormentato che un tempo chiamavamo “cristia- nità”? Molti che fanno parte dei dormienti neppure si avvedono di esserlo. Gli stessi dicono di soffrire di fronte al fenomeno dell’abbandono da parte di fi gli e congiunti, ma di fatto vivono di rimpianti, lagne e rassegnazione.

Caro amico, mi auguro che la tua “nuova” Fede sia autentica e non una “gasatura” emotiva di matrice equivoca e settaria.

La alimenti quotidianamente di Vangelo, la condivida in comunità che la traducono in carità, la tra- smetta sempre e dovunque con la testimonianza, la verifi chi con la fedeltà all’esempio e alla parola del Papa. “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso” (Lc. 12,49).

Se la Chiesa non è missionaria, non è Chiesa! Se il cristiano non è testimone dello spirito di Gesù, non è cristiano!

La Carità sarà il tuo distintivo.

Ma “quale” Carità?

R

ev. Rettore,

in Italia abbiamo 1 milione di poveri in più in un anno, oltre 5 milioni in totale. Effetto Covid.

Credo che, oltre allo Stato, anche la Chiesa dovrebbe porsi l’oriz- zonte di un piano di aiuti straor- dinari a tanti nuovi indigenti. So che la Chiesa non è il Governo né una ONG, come giustamente dice il Papa. Ma tante volte, in periodi di straordinaria necessi- tà, è stata determinante. Ecco, credo sia uno di quei periodi.

Maria Giovanna P. - La Spezia

Q

uando - giustamente - lei dice questo, che intende per

“Chiesa”? Se Chiesa è l’insieme dei battezzati che credono in Gesù, è giusto: tocca a tutti noi battezzati affrontare i problemi

“come” Gesù. “Date voi stessi da mangiare” alla moltitudine, condividendo anche il poco che avete e ce ne sarà per tutti. Ce ne fu per tutti e ne avanzò pure. Ma Lui si affrettò a dire della relati- vità di “quel” pane. Lui aveva da dare un “altro pane” che avreb- be tolto una fame più radicale.

All’insorgere della pandemia, cosa ci ha testimoniato Papa Francesco? “Esserci e condivide-

Ma che è sta “penitenza”?

R

ev. don Marco,

non riesco più ad applicarmi a sacrifi ci, digiuni, opere di penitenza. Sono una persona di fede, così almeno ho sempre creduto di essere, eppure - anche per questa ultima Quaresima - ho fatto poche rinunce. Così poi mi sento in colpa, specie a pensare a quanti nel mondo non hanno nulla. Poi ripenso a “misericordia voglio, non sacrifi ci” e mi confondo ancora di più. Dove sbaglio? Mi aiuti a ritornare nel giusto cammino.

Luigi R. - Vigevano

S

e sacrifi ci e penitenze ci vengono richieste, sono solo allo scopo di allenamento per liberarci da nostri

“bisogni indotti”, vizi ed esigenze che ci siamo creati, che ci schiavizzano e ci rendono indisponibili agli altri e ad altro. Non è che Cristo abbia bisogno di vedere autofl agellazioni, in solidarietà con lui. Sì, perché anche questo fa parte di certi insegnamenti qua e là ancora emergenti in casa nostra. In parole povere, Il

“troppo”, il “superfl uo” per noi, spesso condiziona giustizia e carità. A detta di Gesù, rimane la carità la prova del nove della Fede: “Da questo riconosceranno che siete dei miei, dal COME vi amerete”. I rabbini avevano alimentato la fede in un dio intransigente, da tener buono con offerte sacrali come i “sacrifi ci”.

Gesù invece è venuto a confermare la prassi dei profeti (leggetevi Isaia 58) e dei Salmi (si legga il salmo 51, 18-19). Non sto a esemplifi care, non fi nirei più. Spero suffi ciente questo per darle serenità e avviarla su un impegno quaresimale non più facile di quello da lei prospettato ma certamente senza scrupoli né formalismi che, giustamente, non la convincevano.

(4)

6 7

re in tutto, come Gesù, eccetto il peccato” problemi e urgenze di ogni tipo; rafforzare con Parola ed Esempio le “ragioni di fede e speranza”; richiamare TUT- TI al dovere dello specifi co del proprio compito; preoccuparci che questa “sosta forzata che ha fatto ritrovare tutti sulla stessa barca” diventi da tragedia e problema una grande occasione di cambiamento radicale. Con queste premesse i cristiani, che sono e fanno “chiesa”, ciascuno al suo posto, sapranno cosa fare e sapranno essere ovunque… in prima linea.

Sfogati pure.

Ma poi pensa e decidi...

M

onsignore,

quando finirà la retorica del

“cambieremo”, “dobbiamo tornare non come prima ma meglio di prima”? Ma chi ci cre- de? Chi sta davvero lavorando perché questo si realizzi? In quali campi stiamo cambiando in me- glio? Non voglio fare il disfattista, ma mi sono stancato di chi parla a vuoto. So che esistono tante persone di buona volontà. Ma in generale non usciremo mi- gliori da questa pandemia. Vedo troppo egoismo, troppa incom- petenza, troppa incoscienza.

Scusi lo sfogo.

Marinella G.F. - Rapallo

U

na lettura corretta della realtà è data dall’analisi dei contenuti dei due piatti della stessa bi- lancia. Sì, perché i piatti sono due: quello dei mascalzoni che credono solo in sé stessi e quello dei votati alla riuscita dell’ot- timale collettivo. Nella prima i qualunquisti chiacchieroni, nella seconda gli eroici costruttori del bene comune. “Utopia” credere e sperare che, siccome siamo

“fratelli tutti”, come ci ricorda il Papa, si possa capire e cambiare radicalmente? Il primo “Utopi- sta” è stato Gesù che ha creduto possibile la Volontà del Padre che nulla vada perduto e che TUTTI abbiano la vita “IN PIENEZZA”.

Lui ci ha creduto fi no a lasciarci la pelle. Risultati? Per chi ha

“creduto in lui” fi no al martirio, risultati incredibili. Basterebbe leggere la storia umana con occhi puliti e disincantati… Per chi non ha creduto? La condanna di una perenne Geenna: una vita da schifo, come la spazzatura fumante di Gerusalemme. Anche a Benedetto Pareto, dalla Guar- dia, sembrava utopistico quanto le chiedeva un’umile Madonna contadina. Chi avrebbe creduto possibile il seguito che tutti cono- sciamo? Pochi contadini scalca- gnati hanno messo in moto una storia incredibile. Noi vogliamo rimetterci su quella lunghezza d’onda anche oggi e… credere all’impossibile! Costi? Dio solo sa che saranno salati. “Nel paese dei profeti, solo i sognatori saranno realisti” diceva Ben Gurion, il

padre del nuovo moderno Israele.

E noi saremo da meno? Forza! Si unisca anche lei al sogno.

I “Santi” non hanno che da esistere...

tra Utopie e Realtà C

aro don,

ho letto una bella rifl essione di santa Teresa di Calcutta che in- vitava a non aspettare di essere felici quando avremo questo o quello, un lavoro, una famiglia, una soddisfazione, ma ad essere felici sempre. Lei però era una santa. Attorno a me vedo tanta infelicità e non solo a causa della pandemia. Persone infelici per gravi problemi, ognuno il suo, e una diffusa tensione sociale che denuncia infelicità e - credo - mancanza di fede. Cos’è la feli- cità? E come si fa a ritrovarla, non essendo santa Teresa? Grazie.

Beatrice S. - Genova

R

ispondo a lei quanto ho risposto alla lettera precedente. Le spiace rileggersela e, se vuole, farla sua?

I “Santi” non sono solo le “Madri Teresa” di Calcutta… Possiamo esserlo anche io e lei… Ci crede? Le vostre pressanti e preziose doman- de mi stimolano a pensare ancora a un “che dire e che fare” di più e di meglio dalla Guardia. Mi frulla in testa da tempo, grazie anche a voi, una radicale rifl essione su “Utopia e Realtà”. Preghi per me, perché riesca a non demordere. Con voi e anche per voi.

editoriale

di marco granara

UTOPIA e REALTÀ.

P Una sfi da mai fi nita per gente che “ci crede”!

P

asserà ‘sta pandemia. E torneremo come prima. Come prima? Non come prima. O molto diversi da prima o rischiamo un

“peggio di prima”! Parole gravi quelle ripetute da Papa Francesco. Sembravano una battuta.

Stanno diventando convinzione sempre più diffu- sa. Pandemia… Una fatalità possibile, ricorrente in forme diverse e non una parentesi da dimen- ticare. Purtroppo! Voglio essere un provocatore…

E se questo tempo fosse anche una grazia da non sciupare? Un’occasione unica per tutti, magari forzata e obbligatoria, per fare il punto, mettere in crisi le nostre scontate sicurezze che sono causa di tutti i nostri guai? Dove? In che direzione? Cosa intendo dire?

Tutti abbiamo nel cuore l’ottimale, il “come dovreb- be essere la vita”. Ce lo ha messo Dio quando ci ha pensato così. Lo desideriamo e lo desidereremmo, se non fossimo di fatto rassegnati alla mediocrità che invece ci siamo costruiti e che ci sta facen- do tanti guai. Qualche esempio? Abbiamo a suo tempo pensato e creato una “Società delle Nazio- ni” per perseguire pace e fraternità, un punto in avanti nel cammino della civiltà universale. Oggi l’ONU - Organizzazione delle Nazioni Unite - è una meta raggiunta? A ben vedere, i risultati sono modestissimi, le aspettative e gli ideali di partenza spesso sono delusi, troppi quattrini e risorse di- ventano privilegi di pochi. E allora? Deprezziamo l’ONU? Avrà l’ONU la capacità di una effettiva autoriforma? Cosa comporterebbe un’operazio- ne simile? In che tempi? Utopia o realtà? Pronti ad una prevedibile fatica? Quanto siamo pronti a spenderci in proprio? Noi cristiani - seguaci (diciamo…) di Uno che ha giocato tutto nel

progetto della Volontà del Padre che “nulla vada perduto di ciò che è suo” per la “vita in pienezza per tutti” - noi cristiani, dunque, saremo i primi a crederlo e pronti a metterci del nostro, per questi radicali cambiamenti? Scegliamo la diffi denza, la distinzione e la contrapposizione tra popoli o la promozione di una Umanità dove davvero tutti sono fratelli, non invasori, avversari, rivendica- tori di diritti troppo disattesi dai “realisti”?

Chi ricorda quando un “ingenuo” (?) Giorgio La Pira scriveva di suo pugno alla “belva”, ateo e intransigente Ho Chi Minh i testi del profeta Isaia che prevedevano un futuro di lance tramutate in falci, lupi e agnelli che pasco- lano insieme, senza allenamenti nell’arte della guerra? Chi avrebbe potuto prevedere Ho Chi Minh a Firenze al tavolo della Pace? Chi poteva credere che un disarmato Mahatma Gandhi potesse vincere senza spargimenti di sangue la sfi da dell’indipendenza dal colonialismo? E così un Julius Nyerere in Tanzania, un Nelson Mandela in Sud Africa…

Chi ci sta a seguire Papa Francesco nella rifor- ma del Vaticano stesso, nel ripensare l’econo- mia che soffoca invece che promuovere tutti, in una nuova ecologia integrale per salvare la casa comune e la vita di tutti, nella sfi da del disarmo universale, della fame del mondo, del dialogo con tutti, interetnico, interreligioso, ecumenico?

Idealismi o il vero modo di riferirsi a Cristo, unico “Modello/Archetipo” di Uomo?

Cari amici, per chi vorrà seguirci, ci ritroveremo spesso su queste sfi de… (vedi anche ultima pagina). Chi ci sta?

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Foto Micheile Henderson su Unsplash

Economia di Francesco

N Integrale, sostenibile, solidale.

Belle parole?

Un mondo più giusto e più verde ha bisogno di noi osservatorio

di mirco mazzoli

8

N

el vocabolario degli italiani è entrata una locuzione nuova: tran- sizione ecologica. È una sfi da vincolante per il nostro futuro (Covid a parte). A gestir- la, come ministro del Governo Italiano, è stato chiamato Ro- berto Cingolani, genovese di adozione, già direttore dell’IIT - Istituto Italiano di Tecnologia di Morego. Non signifi ca solo preservare l’ambiente ma fa- vorire una società più integrata in tutti i suoi stili di vita e in tutti i suoi processi. Per que- sto sono necessari - ma non bastano - un Ministero e una effi ciente macchina attuativa:

siamo tutti chiamati in causa, come singoli e come comunità.

Occorre ridurre l’impronta che la presenza umana la- scia sulla Terra, compiere una rivoluzione sostenibile - dopo la rivoluzione indu- striale e quella tecnologica. E occorre collegare tutto questo con una società più giusta al suo interno. Nell’Enciclica Laudato Si’ Papa France- sco parlava già nel 2015 di ecologia integrale. “Data l’ampiezza dei cambiamenti non è più possibile trovare una risposta specifica e indipen- dente per ogni singola parte del problema. È fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una

ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combat- tere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura” (§ 139).

Sostenibilità: non è un discorso per benpensanti Ad essere onesti, però, tut- to questo rischia di passare ben al di sopra delle nostre teste. I problemi contingenti ci schiacciano: la pandemia non si arresta, l’Istat conta 1 milione di poveri in più nel 2020 anche per effetto del Covid, il lavoro precario riguarda sempre più famiglie.

9

La transizione ecologica per molti è l’ultima delle preoccu- pazioni. Nel suo rapporto di marzo 2021 l’Asvis - Allean- za Italiana per lo Sviluppo Sostenibile riporta i risultati di una rilevazione di Eumetra, secondo cui “i gruppi socioe- conomici più fragili sono i meno favorevoli a politiche sostenibili, con un arretramento generale riconducibile alla crisi causata dalla pandemia, nella quale la sostenibilità, da alcuni, viene percepita come un lusso da po- sticipare alla fi ne della crisi in corso.” Gli indicatori generali, tuttavia, sono più incoraggian- ti: sempre Asvis ricorda che secondo una ricerca commis- sionata dalla Fondazione Uni- polis “il livello della conoscenza

specifica dell’Agenda 2030 si attesta intorno al 35 per cento della popolazione, con una cre- scita di sette punti rispetto allo stesso periodo del 2020. È il secondo anno di fi la in cui viene rilevata una crescita simile”.

L’aggettivo “sostenibile” non è un discorso da benpensanti o da pancia piena, non è uno slogan per nuove strategie di vendita: è uno stile di vita dei nonni che abbiamo di- menticato e una strategia di futuro per fi gli e nipoti che non possiamo permetterci di tradire; è condizione senza la quale non saremo in grado di preparare il futuro. Non per nulla sono proprio i giova- ni ad aver reclamato per primi

l’urgenza di questa prospettiva e Papa Francesco ha indicato come essenziale l’alleanza tra vecchi e bambini, citando il profeta Gioele (3,1). E, sem- pre non per nulla, Vaticano, Nazioni Unite, Unione Eu- ropea convergono, ciascuno nella propria specifi cità e pur con qualche accento differen- te, sulla sostenibilità dei nostri obiettivi. “Dobbiamo evitare il rischio che lo sviluppo sosteni- bile sia visto come un lusso - ha ricordato Pierluigi Stefani- ni, presidente di Asvis -. Gli Obiettivi di sviluppo sostenibile devono diventare un quadro di riferimento privilegiato per la stesura del Piano nazionale di ripresa e resilienza. (...) Questa situazione richiede un maggiore

(6)

sforzo da parte delle istituzioni, delle imprese e della società ci- vile per convogliare il messaggio che la sostenibilità non è un’op- zione, ma è l’unica strada sicura per intraprendere la ripresa”.

Strumenti ed esperienze Praticare l’ecologia integrale è questione di comportamenti quotidiani: sobrietà, equità, giustizia, solidarietà, mondia- lità devono entrare nelle case, nelle comunità, nelle scelte, nei progetti. L’Agenda 2030 ONU prevede 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile con 169 target: se è probabile che in po- chi leggeranno tutti i target, è ragionevole proporre di appro- fondire almeno gli Obiettivi ge- nerali. Tutti collegati tra loro, al- cuni ci riguardano più da vicino, come l’Obiettivo 11 dedicato alle città. Chi non sapesse da dove cominciare per informarsi e attivarsi può attingere al lavoro che da anni viene portato avanti

nella Diocesi di Genova dal Ta- volo Giustizia e Solidarietà:

un gruppo di realtà ecclesiali e non, coordinato da Caritas Diocesana, che promuove la sensibilizzazione sulla giustizia sociale e la pace e che in questi ultimi anni sta lavorando sulle encicliche di Papa Francesco e sull’Agenda 2030. Di facile frui- zione, ad esempio, sono i video reperibili sul canale Youtu- be del Tavolo, in cui i diversi Obiettivi sono approfonditi da esperti, associazioni e persone protagoniste di cambiamento.

Tra le altre risorse, il sito della stessa Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile - www.asvis.it - propone una miniera di informazioni, dati, proposte per diventare cittadini consapevoli. Asvis promuove inoltre ogni anno un Festival per mettere in luce gli Obiettivi e calarli nella concreta realtà dei singoli territori: da un paio di

anni anche Genova partecipa con diverse proposte tramite la rete di enti costituitasi con il nome di Liguria 2030 - www.liguria2030.org.

Da segnalare, infi ne, le Comunità Laudato Si’, sorte in diverse regioni italiane su iniziativa della Chiesa di Rieti e di Slow Food, nelle persone del Vescovo Domenico Pompili e di Carlin Petrini. Sono già 60 sul territorio italiano e sono costituite da “associazioni libere e spontanee di cittadini senza limitazioni o restrizioni di credo, orientamento politico, nazionalità, estrazione sociale”

che mettono in pratica esperienze differenti ma legate dallo “spirito dell’Enciclica e in omaggio all’opera di Francesco d’Assisi, che per primo fu interprete, quasi novecento anni fa, di una vita in armonia con gli uomini e con la natura”. Il sito di riferimento è www.comunitalaudatosi.org.

10 11

risultati perversi di tale meccani- smo sono essenzialmente due:

oltre al già citato esaurimento delle risorse, vanno considerati il problema sempre più grave del reperimento di luoghi adatti per le discariche e la contaminazione delle acque e dei terreni, l’inquinamento dell’atmosfera, le emissioni di gas serra, la desertifi cazione e molti altri.

Uomo e Natura.

Due comportamenti ben diversi

La Natura ha invece previsto la perfetta riutilizzazione dei propri scarti, attuando anche un processo di autoregolazio- ne. Lo scienziato inglese James Lovelock e la microbiologa

Lynn Margulis hanno formula- to una ipotesi nota col nome di Gaia, secondo cui gli organismi viventi interagirebbero con la realtà ambientale in cui sono immersi allo scopo di regolare e conservare le condizioni che permettono la vita sul piane- ta, tenendo sotto controllo ad esempio: temperatura globale, presenza di acqua allo stato liquido, livelli di salinità dell’ac- qua di mare, dell’ossigeno at- mosferico, di CO2. Forme di agricoltura e di allevamento estremamente intensive, di svi- luppo urbanistico incontrollato, di distruzione di vasti habitat ambientali, di deforestazione, che sono spesso connesse ad attività minerarie fuori controllo, attività industriali fortemente

Usiamo, sprechiamo, buttiamo.

E invece la Natura...

La (in)civiltà

dei consumi e l’economia circolare

I

osservatorio

di carlo borasi

I

l modello economico che troviamo oggi nei Paesi in- dustrializzati implica un sistema che presenta in ingresso materie prime di qualità prele- vate dall’ambiente ed energia elettrica, mentre in uscita, alla fi ne del processo di produzione, distribuzione, utilizzazione di beni e servizi, presenta le varie forme di rifi uti industriali, fra cui anche prodotti inqui- nanti e pericolosi. Questi ultimi sono stati troppo spesso scaricati nell’ambiente, anche con discariche aperte nei

“paesi in via di sviluppo”. Il processo industriale e la comu- nità prelevano dall’ambiente ri- sorse pregiate (che gradualmen- te andranno a esaurimento) e vi scaricano rifi uti di ogni tipo. I

Foto Hermes Rivera su Unsplash

Economia di Francesco

(7)

13 12

osservatorio

inquinanti, dispersione illegale degli scarichi industriali e man- cato trattamento dei rifi uti peri- colosi, sono tutto l’opposto di quanto operato dalla natura e che noi non abbiamo ancora imparato ad imitare.

Il riciclo indispensabile e ancora insuffi ciente

Oltretutto la fase di utilizzazio- ne dei beni e dei servizi che produciamo non è sempre otti- male; ci troviamo spesso nella moderna civiltà dei consumi (sarebbe meglio dire inciviltà dei consumi) di fronte a casi gravi di sottoutilizzazione, con conse- guente spreco di materia ed energia. La fase successiva a quella della utilizzazione (smal- timento dei rifi uti, recupero o riciclaggio parziale degli stessi, trattamento di quelli pericolosi e loro stoccaggio) risulta essere molto delicata e problematica.

Solo una parte dei rifi uti a livel- lo domestico o industriale che sappiamo essere facilmente riciclabile (vetro, carta, PET, rottami ferrosi o metallici, rifi uti organici, materiali tecnologici) subisce un adeguato trattamen- to; il resto, tra cui non è esclusa la presenza di rifi uti pericolosi, fi nisce purtroppo in discarica. La cultura del riciclo e del riutilizzo, che ha caratterizzato per secoli la nostra vita a livello personale e comunitario, ha lasciato, nella moderna civiltà consumistica, il posto a quella dell’usa e getta, che non considera i rifi uti come una fonte secondaria di materia e di energia. Gli Enti pubblici sono chiamati a incentivare la raccolta dif-

ferenziata e il conseguente riciclo, oltre che favorire una più capillare sensibilizzazione dell’opinione pubblica. A tale riguardo dovremo imparare ad evitare i consumi ingiustifi cati di materie prime, elettricità, acqua, combustibili, o a rinunciare alla eliminazione di oggetti ritenuti non alla moda e di apparecchia- ture elettroniche semplicemente perché non corrispondono al modello ultimo e pubblicizzato.

L’impegno dei singoli cittadi- ni o di singole realtà operanti nei settori agricolo, industriale o commerciale è importante, ma da solo non basta. Occorre ripensare e ridisegnare l’orga- nizzazione complessiva della moderna civiltà delle macchine, dai sistemi di organizzazione industriale alla pianificazione del territorio, dalla produzione di oggetti e di articoli facilmente ri- ciclabili alla dismissione di quelli che presentano gravi problemi di inquinamento; dovremo impara- re dalla Natura dove nulla viene sprecato e gli scarti diventano elementi nutrienti di altri orga- nismi, allo scopo di mantenere effi ciente la catena alimentare.

Passi verso l’economia circolare

Per fermare lo spreco di materia, l’inquinamento da fonti fossili di energia e il problema dei rifi uti, alcuni economisti hanno elaborato modelli di economia circolare, che prevedono siste- mi di produzione effi ciente, di riciclo, di utilizzazione di energie e fonti rinnovabili, di design ca- paci di permettere il reimpiego

o la riparazione di oggetti o di apparecchiature per prolungare la loro vita e massimizzare il loro valore d’uso. Evitare l’elimina- zione dei materiali di qualità, trovare forme di impiego di materiali che prima erano eli- minati, non ricorrere più all’ob- solescenza programmata per so- stenere il mercato, facilitare, dal momento della progettazione e realizzazione di beni e servizi, gli interventi atti a permettere il recupero dei materiali e dei componenti impiegati nelle fasi di produzione, saranno alcuni dei passi da compiere verso una economia circolare.

Nel ciclo produttivo entrerebbe una minore quantità di ma- teria prima prelevata dall’am- biente, grazie all’immissione di materia seconda recupera- ta alla fi ne della vita dei diversi prodotti. Ridurre la quantità di nuova materia immessa nel ciclo produttivo avrà come con- seguenza quella di ridurre la quantità di materia esausta da scaricare nell’ambiente. Fra i possibili vantaggi, oltre a quello di natura ecologica, vi sarebbero quelli relativi all’occupazione legati alla industria del riciclo, e la possibilità di limitare l’impie- go di risorse compatibilmente con quelle che sono le capaci- tà rigenerative del pianeta.

Sappiamo infatti che superare sistematicamente tale limite provocherebbe una inevitabile tensione fra domanda e offerta, con conseguenze devastanti sul piano del mantenimento della pace e sulle possibilità di crescita per le generazioni future.

generico

2 minuti per pensare

testo di nucci scipilliti e illustrazione di laura siccardi

M

oltissimi anni fa, un uomo di un piccolo borgo marinaro era stato costretto a rivolgersi per un prestito ad un avido vecchio usuraio. Questo spregevole individuo aveva messo gli occhi sulla bellissima giovane fi glia dell’uomo in diffi coltà. Decise allora di proporre un patto al suo debitore: gli avrebbe cancellato il debito se gli avesse concesso la fi glia in sposa. Essendo stata rifi utata con disgu- sto la proposta, l’usuraio disse che avrebbe offerto una possibilità alla ragazza: avrebbe messo due sassolini, uno nero e l’altro bianco dentro un sacco, se la giovane avesse estratto il sassolino bianco il debito sarebbe stato estinto senza che lei dovesse sposarlo, ma se avesse estratto il sasso nero avrebbe dovuto sposarlo per estinguere il debito di suo padre.

La scena si stava svolgendo su un sentiero tutto cosparso dei tipici sassolini bianchi e neri levigati dal mare davanti alla casa della ragazza e di suo padre e lì, per caso, erano presenti anche alcuni loro vicini. L’usuraio, dando le spalle a tutti, raccolse due sassolini entrambi neri, ma la ragazza se ne accorse. “Signore, - implorò in cuor suo - che cosa mi resta da fare? Rifi utarmi di estrarre il sasso dal sacco? Estrarre entrambi i sassi e accusare l’usuraio di frode, rischiando di incattivirlo maggiormente?

Sacrifi carmi per liberare mio padre da un debito enorme?”.

Come illuminata, decise: estrasse il sassolino dal sacco e, fi ngendo un gesto maldestro, prima ancora di guardarlo, lo fece cadere in mezzo ad una quantità di altri sassolini bianchi e neri, esclamando:

“Quanto sono sbadata! Ma non importa, se guardi dentro il sacco, vedrai di che colore è il sasso rimasto e quindi potrai sapere con certezza di che colore è quello che ho estratto io”. L’usuraio non poté fare altro che constatare che il sasso rimasto era nero, c’erano anche dei testimoni e, non volendo essere accusato, dovette cancellare il debito dell’uomo.

“Il coraggio creativo emerge soprattutto quando si incontrano diffi coltà. Sono a volte proprio le diffi - coltà che tirano fuori da ciascuno di noi risorse che nemmeno pensavamo di avere” (Papa Francesco.

8 dicembre 2020).

SCEGLIERE CON LA

TESTA

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Il viaggio in Iraq

di Papa Francesco.

Tra identità

e fratellanza

Nella terra di Abramo, con ebrei, musulmani, yazidi e curdi per pregare la pace le ragioni del credere

di maria pia bozzo

la patria di Abramo, con gli occhi alle stesse stelle additate da Dio ad Abramo, padre delle fedi. E i rappresentanti delle fedi abramitiche, ebrei, cristiani e musulmani erano lì convenuti insieme al papa, che si è presen- tato in Iraq quale pellegrino peni- tente. Probabilmente proprio nel ritorno a quelle antiche pietre, sconvolte dalla guerra scatenata nel 1990 dall’Occidente e ancora oggi non pacifi cate, da pellegri- no incolpevole che chiede perdono, va ricercato il senso più profondo di questo viaggio.

A Ur dei Caldei il Papa esprime il sogno che “la famiglia umana diventi ospitale e accogliente ver- so tutti i suoi fi gli; che, guardan- do il medesimo cielo, cammini in pace sulla stessa terra”. Un sogno che è un programma di impegno per uomini e donne di buona volontà, per una terra riconciliata che si estenda oltre l’Iraq in quella zona medio-orientale tutto- ra teatro di scontri feroci, di sopraffazioni, di veri e propri genocidi. E alcune frasi e alcune parole pronunciate in quei luo-

Q Q

uale è stato il senso del viaggio in Iraq di Papa Francesco che ha colpito l’intelligenza e il cuore dei fedeli più di altri che pure erano stati importanti? Forse lo possiamo trovare nel discorso che Raniero La Valle, indi- menticato direttore di Avvenire all’epoca del Concilio, chiama

“il discorso delle stelle” avvici- nandolo al famoso “discorso della luna” di Giovanni XXIII, pronunciato la sera dell’apertura del Concilio. Discorso che Papa Francesco ha pronunciato a Ur,

Foto Nacho Arteaga su Unsplash

ghi, quasi da esse riconsacrati, sono destinate a rimanere nella memoria come ispirazione e guida, non solo dei cristiani.

“Se Dio è il Dio della vita - e lo è - a noi non è lecito uccidere i fratelli nel suo nome. Se Dio è il Dio della pace - e lo è - a noi non è lecito fare la guerra nel suo nome. Se Dio è il Dio dell’amore - e lo è - a noi non è lecito odiare i fratelli.”

Se la preghiera a Ur ha dato al viaggio del Papa un grande si- gnifi cato nel rapporto inter-

religioso, l’incontro a Najaf, cit- tà santa degli sciiti iracheni, con l’ayatollah al-Sistani ha avvia- to la relazione con l’islam sciita, dopo che con quello sunnita (presente nei paesi del Golfo) era stato fi rmato, nel 2019 ad Abu Dhabi, con l’imam al-Tayyeb il documento comune sulla fratellanza umana. Proprio sull’importanza di questi rap- porti il Papa si è soffermato con i giornalisti, in aereo, nel viaggio di ritorno, sottolineando la diretta ispirazione che gli proviene dai documenti del Concilio Vati-

cano II, l’inquietudine che prova per la fratellanza da cui poi è uscita l’enciclica “Fratelli tutti”.

Un cammino che proseguirà nel tempo, anche se non si è nasco- sto tutte le diffi denze e le critiche che ha raccolto tra molti cattolici, timorosi o tradizionalisti.

Ma il viaggio in Iraq ha avuto un grande significato soprattutto per la comunità cristiana che ancora resiste tra le macerie della guerra e i colpi delle per- secuzioni e del terrorismo. Ha condiviso la sofferenza e ha con-

Papi “in cammino”

continua a pag 17

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diviso la speranza. In particolare a Qaraqosh, la città nella pia- na di Ninive, a maggioranza cristiana, dove il cristianesimo risale alla predicazione degli apostoli e dove, nella cattedrale ricostruita dopo le distruzioni del Daesh, la folla ha accolto il papa agitando le palme e cantando in aramaico, la lingua madre del cristianesimo siriano in Iraq, quella parlata da Gesù.

Anche fra le rovine di Mosul il Papa si è fermato ed è stato accolto da cristiani, musul- mani, yazidi, curdi decimati dopo il dominio del sedicente stato islamico (solo i cristiani, da circa un milione e mezzo agli attuali 300.000). E anche qui, come pure a Erbil, ha elevato forte la sua preghiera perché Dio conceda pace, perdono e fraternità a quella terra e alla sua gente. “Non stanchiamoci di pregare per la conversione dei cuori e per il trionfo di una cultura della vita, della riconciliazione e dell’amore fraterno, nel rispetto delle differenze, delle diverse tra- dizioni religiose, nello sforzo di costruire un futuro di unità e di collaborazione fra tutte le persone di buona volontà”.

Il viaggio del Papa nella terra dei due fi umi, l’antica Mesopo- tamia, il paese sicuro di Ninive e Babilonia, descritto nella Bibbia come un paradiso terrestre, si presenta come memoria di una grande civiltà, come soffe- renza di una attualità lacerata, come speranza e impegno

Papi “in cammino”

Ho sentito forte

il senso penitenziale di questo pellegrinaggio...

... N

on potevo avvicinarmi a quel popolo martoriato, a quella Chiesa martire, senza prendere su di me, a nome della Chiesa cattolica, la croce che loro portano da anni; una croce grande come quella posta all’entrata di Qaraqosh. L’ho sentito in modo particolare vedendo le ferite ancora aperte delle distruzioni, e più ancora incontrando e ascoltando i testimoni sopravvissuti alle violenze, alle persecuzioni, all’esilio…

(...) Il popolo iracheno ha diritto a vivere in pace, ha diritto a ritrovare la dignità che gli appartiene. Le sue radici religiose e culturali sono millenarie: la Mesopotamia è culla di civiltà;

Baghdad è stata, nella storia, città di primaria importanza, che ha ospitato per secoli la biblioteca più ricca del mondo.

E che cosa l’ha distrutta? La guerra. Sempre la guerra è il mostro che, col mutare delle epoche, si trasforma e continua a divorare l’umanità. Ma la risposta alla guerra non è un’altra guerra, la risposta alle armi non sono altre armi. E io mi sono domandato: chi vendeva le armi ai terroristi? Chi vende oggi le armi ai terroristi che stanno facendo stragi in altre parti, pensiamo all’Africa per esempio? È una domanda a cui vorrei che qualcuno rispondesse. La risposta non è la guerra, ma la risposta è la fraternità. Questa è la sfi da per l’Iraq, ma non solo:

è la sfi da per tante regioni di conflitto e, in defi nitiva, è la sfi da per il mondo intero: la fraternità.

(...) Per questo ci siamo incontrati e abbiamo pregato, cri- stiani e musulmani, con rappresentanti di altre religioni, a Ur, dove Abramo ricevette la chiamata di Dio, circa quattromila anni fa. Abramo è padre nella fede perché ascoltò la chiamata di Dio…”.

(Papa Francesco, Udienza generale, mercoledì 10 marzo 2021)

continua da pag 15

sguardi avanti... Perché

Il nuovo inserto de laGuardia

A

bbiamo cercato un gioco di parole per titolare le 16 pagine in più che trovate su laGuardia, a partire da questo numero: letto in un certo modo - sguardiavanti - nasconde il nostro nome.

Abbiamo scelto questo titolo perché il tempo presente ci obbliga più che mai a immaginare il domani, ad anticiparlo, a individuare quelle urgenze che non possiamo più disattendere. E per fare questo, per lanciare lo sguardo avanti, vogliamo tenere la Guardia bene al centro. Non per protagonismo, ma perché la Madonna della Guardia nasce proprio così: in un tempo diffi cilissimo, su un luogo alto, ad un uomo anonimo, Maria scelse di apparire per invitare la comunità a guardare avanti e a farlo ri-costruendo un mondo diverso.

La pandemia ha costretto il nostro orizzonte entro i muri di casa, ha confi nato le vite di molti in ospedale, in solitudine: sono morti così oltre 100.000 italiani, più di 2.700.000 persone nel mon- do - fi no al momento in cui scriviamo queste righe. Anche chi non è stato toccato da malattia e lutti si è ritrovato davanti altri muri, che hanno reso asfi ttico il suo sguardo: chi ha perso il lavoro o il reddito, chi ha dovuto chiedere aiuto per la prima volta per tirare avanti, chi ha studiato per mesi guardando uno schermo, chi ha dovuto rinunciare alla visita dei fi gli o alla compagnia degli amici, chi ha dovuto prendersi cura della propria o altrui fragilità senza alcun aiuto esterno, chi ha dovuto rimandare quel progetto su cui contava. Abbiamo sacrifi cato ogni occasione di socialità, cultura, sport. È un tempo nel quale gli sguardi esteriori si sono fatti corti e abbiamo dovuto acuire quelli interiori, cercando forze e spesso trovando fratture e fragilità. Sono venuti a mancare i gesti più semplici, abbracciarci, stringerci la mano, vederci sorridere e paradossalmente proprio allo sguardo abbiamo dovuto affi darci per trasmettere il tutto di noi e cogliere il tutto degli altri, oltre la mascherina. La pandemia, tuttavia, non è solo un tempo da dimenticare. Non basta dire: tornerà la vita. Dobbiamo ricostruirla. Gli sguardi che ci servono non sono semplicemente colpi d’occhio sul domani: non ci serve un generico ‘guardare’, ma un ‘vedere’ attivo. Cosa dobbiamo cambiare?

Quali sono le sfi de che ci attendono, oltre la pandemia, come società? Quali urgenze ci attendono come Chiesa, per collaborare alla riforma missionaria e all’ecologia integrale che papa Francesco ci indica, tra resistenze, inerzie e buone pratiche evangeliche?

Nelle 16 nuove pagine, ponendo al centro la Guardia, la sua storia e la sua vocazione, proviamo a fare proprio questo: gettare sguardi vigili, scrutare i temi più importanti che ci chiedono protagoni- smo ma come fu protagonista Pareto, con la fatica dei sassi e il mettersi in gioco in prima persona.

Ogni numero, sguardi avanti vi proporrà un unico tema, sviluppato (ove possibile) da fi rme che non appartengono alla nostra redazione. Ci offriranno testimonianze, dati, approfondimenti, esperienze, con autorevolezza e - speriamo sempre - con semplicità di esposizione.

Lasciamo questa piccola novità ai lettori e alla Diocesi di Genova come strumento in più per con- dividere stimoli, idee, riflessioni, in dialogo con la città. La affi diamo a Maria della Guardia: se sarà in linea con la sua richiesta originaria, avrà anche validità e continuità. Buona lettura.

laRedazione

Lasciamo questa piccola novità ai lettori e alla Diocesi di Genova come strumento in più per con- dividere stimoli, idee, riflessioni, in dialogo con la città. La affi diamo a Maria della Guardia: se sarà in linea con la sua richiesta originaria, avrà anche validità e continuità. Buona lettura.

laRedazione

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laGuardia Osservatorio

sguardi avanti

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Per ragioni temporali ieri, per spinta pastorale oggi, ogni viaggio papale è un pezzo di storia da ricordare

Tutte le volte che

le ragioni del credere

di gianfranco parodi

PENSIERI DALL’ARSENALE

Il sapore della verità

Seguo in TV il viaggio del Papa in Iraq, la terra di Abramo. Mi commuovo per il suo coraggio. Mi fa tenerezza questo Santo Padre che zoppica e sembra che cada da un momento all’altro.

Zoppica, ma non zoppicano le sue parole. Se uno si sofferma a meditarle, sente il sapore della verità. Zoppica, sembra che caschi, ma quanto è ben saldo, dritto davanti a Dio.

Quanta dignità nella debolezza del suo corpo anziano, dritto e fresco nella forza della sua fede sempre giovane.

Guardo il Papa in Iraq e mi viene spontaneo dirgli, attraverso lo schermo: Papa mio, ti voglio bene.

Ernesto Olivero (da Avvenire, 9 marzo 2021) di perdono e di nuova pacifi ca

convivenza. Perché quella terra non potrebbe tornare ad essere ciò che è stata per secoli? L’in- vito a pregare per la pace e la prosperità di quella gente e di quella terra vale anche per noi, accomunati dall’identità cristiana, ma soprattutto chia- mati ad unirci al pellegrino penitente per le rovine che una guerra, incautamente scatenata nel 1990 e ancora nel 2003, ha lasciato ad una popolazio- ne certamente incolpevole.

D D

opo che San Pietro si stabilì a Roma tutti i suoi successori dimo- rarono di massima in questa città. Abbiamo detto “di mas- sima” perché certamente nel corso dei secoli alcuni papi si allontanarono per periodi più o meno lunghi da Roma. Ciò avvenne prevalentemente per sottrarsi a pericoli di attentati alla loro persona o per andare a svolgere missioni politiche o diplomatiche. Citiamo qualche caso: Leone I nel 452 si allon- tanò da Roma per incontrare Attila (probabilmente nei pressi di Mantova) e convincerlo a desistere dal proposito di calare su Roma (e l’Italia) e metterla

sotto assedio. Gregorio VII nel 1077 si recò a Canossa presso la duchessa Matilde per ricevere le scuse dell’Imperatore Enrico IV dopo la scomunica infl ittagli dallo stesso papa.

Uscite poco pastorali...

C’è poi da ricordare che per tutto il Medio Evo, ma anche dopo, la vita a Roma fu caratterizzata dalle sanguinose lotte tra le fa- miglie della nobiltà romana che pretendevano di mettere loro membri sul soglio pontifi cio, per cui spesso i papi, per proteggersi da possibili attentati, dovettero allontanarsi da Roma per perio- di più o meno lunghi e trovare rifugio in altre città. Anche alla

base degli ottanta anni della permanenza dei papi ad Avi- gnone ci fu tale motivazione.

Ricordiamo poi il caso di Giulio II, che dopo la riconquista da parte dei suoi eserciti di alcune città già facenti parte dello stato pontifi cio, nella seconda metà del 1506 fece un lungo giro ai confini dei suoi possedimenti per riaffermare il suo potere sulle città e sui castelli riconquistati.

Insomma le uscite da Roma dei papi avevano motivazioni di va- rio tipo: ben raramente erano dettate da intenti pastorali.

Se i fedeli volevano vedere il papa e ascoltare i suoi insegnamenti, dovevano mettersi in viaggio alla volta di Roma...

lasciarono Roma

Semi di Sapienza

a cura di maria pia bozzo

I

l bene esiste, la luce esiste, ma non è immediatamente visibile a noi, ha bisogno di pazienza, della pazienza di saper restare al buio. Che cos’è che ci dà la forza di restare al buio? La Speranza che quel buio non è buio fi no in fondo. Che cos’è che ci fa restare sulla Croce? La Speranza che quella Croce non è croce fi no in fondo, cioè che è nascosta in tutto questo una luce, una luce al fondo di tutto, un bene.

Se prendiamo i racconti della Resurrezione, ci accorgiamo di come tutto questo sia vero. Tutte le apparizioni del Risorto non sono mai immediate. Nessuno riconosce Gesù immediatamente, nemmeno Maria Maddalena, che si scontra con quest’uomo, lo scambia per il giardiniere, per il custode (cfr. Gv 20,1-18). Nessuno lo riconosce immediatamente.

Tutti hanno bisogno di una mediazione: la mediazione di una parola, “Maria, rabbunì”; la mediazione del sepolcro vuoto, la mediazione di uno straniero che ti cammina accanto e che ti svela il senso delle Scritture, la mediazione di un impiccione, che sulla spiaggia dice:

“Non avete pescato niente?” “No!” “Buttate le reti”; la mediazione di quelle reti piene;

“È il Signore” e si butta nell’acqua Pietro per arrivare là (cfr. Gv 21). Le apparizioni del Risorto ci dicono che l’esperienza dell’incontro con il “fatto della Resurrezione” è sempre un’esperienza mediata.

Luigi Maria Epicoco, Sui passi del Risorto, San Paolo, 2021

Quel che si vede e quel che si spera...

Papi “in cammino”

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le ragioni del credere le ragioni del credere le ragioni del credere le ragioni del credere le ragioni del credere le ragioni del credere

nei propri paesi. Ma anche le motivazioni ecumeniche, come per esempio la visita nel Regno Unito e la preghiera col Primate Anglicano nella catte- drale di Canterbury. Molto signi- fi cative anche le visite a paesi martoriati dalle guerre o oppressi da tirannie. Una vi- sita che colpì molto fu quella in Senegal, nel 1992, nel porto da cui partivano le navi degli schia- visti (cristiani!) verso le Ameri- che col loro carico di umanità strappata violentemente dalle proprie terre e dalle proprie famiglie: in quella occasione fu netta la condanna di quelle vicende e sincera la domanda di perdono per quelle orribili azioni. Come si può vedere, le motivazioni che stavano e stan- no alla base della nuova fase di viaggi di questi papi e dei loro successori, sono ben diverse da quelle che avevano guidato i passi dei papi nei secoli passati.

Benedetto e Francesco Anche Benedetto XVI negli 8 anni di pontifi cato si recò in 21 paesi (numerose furono anche le visite a città italiane). Come non citare la visita al campo di concentramento di Auschwitz per ricordare la tragedia dell’O- locausto? Oppure il viaggio in Terra Santa con la visita alla Cupola della Roccia e al Muro del Pianto, luoghi sacri per Mu- sulmani ed Ebrei?

Francesco, in 7 anni di ponti- fi cato, fi nora, è uscito dall’I- talia 29 volte visitando ben

51 paesi. Ci piace qui ricordare gli incontri del 2016 a Cuba col Patriarca di Mosca Ciril- lo, e a Erevan col Patriarca Armeno. Sempre nel 2016 c’è da ricordare la visita a Lund, in Svezia, e la preghiera comune coi Vescovi Luterani in occasione del 5° centenario della Ri- forma Protestante. Anche se in Italia e non all’estero, è stata poi molto signifi cativa la visita a Lampedusa per ricordare a

tutti la tragedia dei migranti e dei morti nel Mediterra- neo. Vogliamo ricordare anche diversi viaggi nei paesi arabi (l’ultimo quello in Iraq ricordato nelle pagine precedenti) e gli incontri con le varie autorità religiose islamiche, per dare una forte testimonianza della comune fede nell’unico Dio e per affermare la volontà di coesi- stenza pacifi ca e collaborazione tra le varie religioni.

PREGHIERA A MARIA

Santa Maria, serva della Parola, serva a tal punto che, oltre ad ascoltarla e custodirla, l’hai accolta incarnata nel Cristo, aiutaci a mettere Gesù al centro della nostra vita. Dacci una mano perché sappiamo essergli fedeli fi no in fondo. Donaci la beatitudine di quei servi, che egli, tornando nel cuore della notte, troverà ancora svegli, e che, dopo essersi cinto le vesti, lui stesso farà mettere a tavola e passerà a servire.

Tu che hai sperimentato le tribolazioni dei poveri, aiutaci a mettere a loro disposizione la nostra vita, con i gesti discreti del silenzio.

Rendici consapevoli che, sotto le mentite spoglie degli affaticati e degli oppressi, si nasconde il Re. Apri il no- stro cuore alle sofferenze dei fratelli. E perché possiamo essere pronti a intuirne le necessità, donaci occhi gonfi di tenerezza e di speranza.

Tonino Bello, Maria donna dei nostri giorni, San Paolo, 1993

IL TEMPO DI UNA PREGHIERA

Papi “in cammino”

Papi in prigionia

Con la Rivoluzione francese prima e Napoleone dopo, ben due papi - Pio VI e Pio VII - dovettero lasciare Roma addirittura come prigionieri dei francesi. Pio VI morì in Francia e Pio VII, agli arresti domiciliari a Savona, poté tornare a Roma solo dopo la sconfi tta dell’imperatore. Dopo l’entrata in Roma dei Savoia e la proclamazione della città ca- pitale del regno d’Italia, Pio IX e i suoi successori si ritennero prigionieri dello Stato Italiano e ovviamente non si allontana- rono mai dalla città. Ma anche dopo il Concordato del 1929 la situazione non cambiò.

I Papi in uscita del Vaticano II

Fu solo nel 1962, ad una set- timana dall’inizio del Concilio

Ecumenico Vaticano II, che Papa Giovanni XXIII uscì da Roma per recarsi, in treno, in pellegrinaggio a Loreto ed Assisi. Questo evento sorprese molto i fedeli che non erano più abituati a vedere un papa lasciare Roma. Solo con Paolo VI però si può parlare di inizio delle missioni apostoliche all’estero del Papa. Oltre ad alcuni viaggi in Italia in occa- sione di eventi religiosi partico- lari, il Papa a più riprese uscì dall’Italia per visitare 18 paesi: è sicuramente impresso nei ricordi dei nostri lettori più anziani il viaggio in Terra Santa e l’abbraccio con il Patriarca Atenagora. Ma fu molto im- portante anche il viaggio negli Stati Uniti d’America con l’in- tervento appassionato a favore della pace durante l’Assemblea Generale dell’ONU. Vorremmo

anche ricordare l’attentato su- bito nel 1970 all’aeroporto di Manila, quando un folle lo ferì con una coltellata.

Il Papa missionario

Il primato dei viaggi missionari all’estero va però sicuramente a Giovanni Paolo II. Questo pontefi ce in 104 viaggi apo- stolici toccò ben 127 paesi.

Le motivazioni di questi viaggi furono diverse: la partecipa- zione alle Giornate Mondiali della Gioventù, numerosi pel- legrinaggi a Santuari Mariani, la visita a fi orenti comunità cattoliche molto legate alla Chiesa ma che difficilmente avrebbero potuto recarsi a Roma per incontrare il Papa, oppure l’incoraggiamento a piccole comunità cristiane chiamate a testimoniare la loro fede, a volte in maniera eroica,

Foto Pedro Mealha su Unsplash

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D

urante i 40 giorni che restò sul monte Sinai, Mosè ricevette dal Signore le Tavole della Legge e anche le istruzioni su dove e come conservarle perché fossero sempre presenti in mezzo al popolo. La Bibbia fi ssa con precisione la forma e le misure dell’Arca, ossia della cassa che doveva contenerle: “Faranno un’arca di legno d’acacia, lunga due cubiti e mezzo, larga un cubito e mezzo e alta un cubito e mezzo. La ricoprirai d’oro puro dentro e fuori”. Il cubito era la misura di lunghezza più comune nell’antichità e corrisponde alla distanza che corre dal gomito alla punta del dito medio, vale a dire circa mezzo metro. L’arca quindi era lunga un metro e 25 cm per 75 cm di larghezza e d’altezza.

Il coperchio, chiamato propiziatorio, era tutto d’oro e all’estremità erano scolpiti due cherubini rivolti uno verso l’altro, con le ali stese a coprire l’Arca. Dentro la cassa erano custodite le Tavole di pietra insieme alla verga di Aronne e a un vaso con la manna che aveva sfamato il popolo nel deserto. Il bastone di Aronne era miracolosamente fi orito, unico tra quelli delle altre tribù, per indicare che Dio sceglieva come sacerdoti esclusivamente i membri della tribù di Levi.

Israele in quel momento non era un popolo stan- ziale, era in viaggio e si spostava continuamente attraverso il deserto e l’arca doveva viaggiare con lui. Per questo nelle istruzioni date a Mosè c’era

La porterai sempre con te.

L’Arca dell’Alleanza.

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E RIVÀ NEL TEMPO BAMBINA

Maria

genufl essa in preghiera stretta nel singhiozzo del cuore

con battiti lievi di ciglia accarezza l’amato Suo Figlio.

Profumo di aloe e mirra avvolge il tenero corpo,

Angeli in candide vesti Lo vegliano.

E rivà nel tempo bambina:

l’Angelo e il sì, la luce a Betlemme, la profezia di Simeone, Gesù fra i dottori del Tempio,

con Giuseppe in bottega col Battista al Giordano per le strade a insegnare

fra la gente a guarire con gli amici a pregare…

il miracolo di Cana…

Re a Gerosolima al Getsemani nell’orto.

Ora Maria, il tremare di cuore di Mamma

Ti lascia.

Le braccia protese per l’ultimo abbraccio

al Bambino Gesù della Croce.

Maria Caterina Scandàle, Dal Libretto “Dal cuore di gioia”,

maggio 2016

A MARIA

anche la seguente: “Farai delle stanghe di legno d’a- cacia e le ricoprirai d’oro: introdurrai le stanghe negli anelli ai lati dell’arca per trasportarla”. Le stanghe non dovevano essere mai sfi late per indicare che come il popolo d’Israele doveva essere sempre pronto a partire, così anche l’arca doveva essere pronta per accompagnarlo.

Per gli israeliti l’arca era la cosa più sacra e preziosa che ci fosse sulla terra; era il segno visibile della presenza di Yahvé, il Dio che aveva comandato di non fare scultura o immagine di ciò che è su in cielo né di ciò che è sulla terra per preservare il suo popolo dall’idolatria.

Tuttavia anche Israele come tutti gli altri popoli dell’antichità, sentiva il bisogno di vedere e toccare il divino, di celebrare i riti religiosi attorno a qual- cosa di reale e concreto che diventava così anche immagine in cui riconoscersi come popolo. Durante il lungo periodo della schiavitù gli israeliti avevano certamente assistito alle cerimonie religiose egizie e probabilmente da questi ricordi presero il modello per costruire l’arca. Infatti ci sono molte somi- glianze tra l’arca dell’Alleanza e l’arca egizia.

Le dimensioni sono simili, entrambe nell’interno custodiscono qualcosa considerato “sacro” (per gli egizi era la statuetta di qualche dio o un oggetto di particolare importanza), all’esterno sono raffi gurate fi gure antropomorfe spesso dotate di ali e durante le processioni anche i sacerdoti egizi trasportavano l’arca per mezzo di stanghe.

Da ritrovamenti e studi archeologici è emerso che era molto diffuso presso i popoli di quell’area (Ba- bilonesi, Hittiti, Egizi..) l’uso di deporre nel tempio, sotto i piedi di qualche idolo, i testi dei trattati di alleanza o di amicizia stretti tra re o nazioni, come a rendere il dio testimone e garante del patto. An- che nell’Arca dell’Alleanza viene osservata questa usanza: la Bibbia riporta che a Mosè fu detto da Dio: “Metterai il propiziatorio in alto, sopra l’arca;

e nell’arca metterai la testimonianza che ti darò. Lì io mi incontrerò con te; dal propiziatorio, fra i due cherubini che sono sull’arca della testimonianza, ti comunicherò tutti gli ordini che avrò da darti per i fi gli d’Israele.” L’arca non può contenere Dio, ma simbolicamente è come lo sgabello dove Dio poggia i piedi e dove tuttavia è in qualche modo presente: è presente nella Parola/Legge che ha donato al popolo. Il Patto di alleanza viene così ratifi cato e messo sotto la protezione di Yahvé.

leggere (e rileggere) la bibbia

testo di anna gatti e disegno di nucci scipilliti

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Il romanico in Italia

N

el numero precedente abbiamo visto le fasi di sviluppo dell’architettura religiosa a partire dal 313 fi no alla caduta dell’Impero e poi ancora all’alto Medioevo.

Occorre a questo punto fare una considerazione:

fi no all’anno Mille l’Italia aveva attraversato un periodo di grande diffi coltà. Prima le invasioni barbariche avevano scardinato tutta la struttura sociale ed economica della penisola. Poi erano iniziate le guerre, con la conquista da parte dei Longobardi di buona parte dell’Italia. Ai Lon- gobardi succedettero, non certo pacifi camente, i Franchi. Appena stabilizzatisi questi ultimi, iniziò la minaccia araba che interessò buona parte dell’Italia meridionale. Nel frattempo Roma, sede del Papato, che avrebbe dovuto rappresentare la

continuità con le strutture dell’Impero Romano d’Occidente, era dilaniata dalle lotte senza esclu- sioni di colpi tra le famiglie che volevano porre loro rappresentanti sul trono pontifi cio. È chiaro che in queste situazioni nessuno pensava ad av- viare cantieri per nuove chiese o per ingrandire quelle esistenti.

Dopo l’anno Mille, con la nascita dei primi co- muni, che si contrapponevano ai rappresentanti del feudalesimo peraltro ancora molto potenti, con l’incremento dei traffi ci, con la ripartenza dell’artigianato e della piccola industria, furono poste le premesse per una ripresa dell’attività sociale ed economica che ebbe le sue manifesta- zioni anche nel rilancio dell’attività edilizia sia civile che religiosa.

È però necessario fare un passo indietro. Quando nel 410 Alarico saccheggiò Roma, molte mae- stranze esperte in lavori edili, per sfuggire alla morte e alle distruzioni, si rifugiarono in massa in Lombardia, nella zona di Como: qui riuscirono a tramandare di padre in fi glio le sofi sticate regole di costruzione raggiunte dai Romani e l’utilizzo di ingegnose macchine di cantiere, mentre nel resto d’Italia queste tecniche furono dimenticate.

Quando i tempi furono maturi per la ripresa, que- ste compagnie di artigiani genericamente indicate come “Maestri Comacini” uscirono allo scoperto e ben presto furono reclutate in varie città. Per esempio a Genova, nel XII secolo, furono attivi i Maestri Antelami (dal primitivo nome della val d’Intelvi) cui si deve la costruzione di Santa Maria di Castello, della Commenda di Pré e delle Porte Soprana e Dei Vacca e forse anche di San Siro di Struppa. Queste corporazioni arrivavano sul cantiere con tutto il bagaglio di conoscenze per progettare e innalzare gli edifi ci:

solo la manovalanza era reclutata in loco. Lo stile di questi edifi ci è chiamato romanico e questo termine, che deriva da romano, è stato coniato proprio per sottolineare tale derivazione.

Per quanto riguarda l’aspetto delle chiese roma- niche, esse strutturalmente restano simili alle precedenti (normalmente a tre navate, con due spioventi per quella centrale e uno per quelle la- terali) ma cambia molto l’aspetto esteriore:

diventano più luminose grazie a grandi fi nestre laterali e rosoni in facciata, crescono in altezza, si dotano di campanili, impiegano a profusione elementi decorativi esterni (loggette, colonne e capitelli, lesene, archi, protiri con colonne spesso rette da leoni) e decorazioni interne (cibori, colon- ne lavorate, matronei, pulpiti in marmi pregiati, sculture ecc).

Tutto questo ci fa capire come le popolazioni del tempo nutrissero l’ambizione di costruire qualcosa di bello che potesse testimoniare alle future generazioni la generosità, la capacità, il gusto dei loro antenati. Ma le comunità che fi nanziavano queste costruzioni, per molto tempo, vollero che gli edifi ci avessero anche una

generico

luoghi di fede e storia

di gianfranco parodi ERRATA CORRIGE

Lo scorso numero, la foto a corredo di questa rubrica era sbagliata: le colonne cui ci si riferiva nell’articolo non sono quelle (barocche) della facciata del duomo di Si- racusa ritratte nella foto ma sono quelle che costituiscono i fi anchi della chiesa ancora ben visibili, in stile dorico, lo stile tipico dei templi della Magna Grecia. Ci scusiamo con i lettori.

funzione civica. Infatti per le nascenti forme di democrazia era necessario disporre di spazi dove le comunità potessero riunirsi per eleggere i loro rappresentanti e approvare le loro decisioni. Una volta le comunità si riunivano sotto la chioma dell’albero della piazza principale: ora necessita- vano di un luogo più organizzato. Accadde così che nella chiesa principale delle città al mattino si sentissero le preghiere dei fedeli, alla sera si incro- ciassero le discussioni, anche vivaci, dei cittadini.

Le chiese principali, quelle dove si trovava la ”cat- tedra” del Vescovo normalmente erano dedicate a santi particolarmente venerati dalla popolazione (nelle cripte di queste chiese spesso ne venivano conservate le reliquie). Accadeva così che la ve- nerazione del Santo cittadino diventasse un forte elemento di identità comunale, quasi una bandiera che infondeva la forza per affrontare le sfi de quotidiane.

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