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Interventi al seminario “La formazione personale dello psicoterapeuta”

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Academic year: 2021

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Intervento al seminario

"LA FORMAZIONE PERSONALE DELLO PSICOTERAPEUTA"

Elisa Canossa

*

Riassunto. L'obiettivo di questo articolo è quello di riflettere sulla formazione personale dello psicoterapeuta, ricostruendo incertezze ed aspettative iniziali e mostrando come, grazie al percorso di specializzazione, sia possibile acquisire consapevolezze e pensieri utili al lavoro psicoterapeutico. Poiché teorie, conoscenze e modo di porsi con l'altro sono strettamente interconnesse con il saper utilizzare strategie, la seconda parte dell'articolo propone una sintetica carrellata di alcune metodiche apprese, mostrando in che modo e a quali scopi esse si rivelino utili nel lavoro clinico.

Parole chiave: Formazione, Competenze, Strategie terapeutiche

Summary. The aim of this paper is to reflect on the training of psychotherapists, by reconstructing doubts and initial expectations and by showing how it is possible to reach a useful awareness required to perform a therapy thanks to the training. Given that theories, knowledge and ways of being with a person are closely interconnected with the ability to use strategies, the second part of this paper proposes a concise overview of the main learned methods, by showing how and for what purposes they are useful in the psychotherapeutic process.

Key words: Training, Skills, Therapeutic strategies

1. Introduzione

Molti possono essere i dubbi e le incertezze di chi si appresta a terminare l'università: al termine di quegli anni molti studenti e laureati provano a fare un bilancio delle competenze e conoscenze acquisite durante il percorso universitario e talvolta può emergere la sensazione di avere delle lacune, in particolare per quanto riguarda i risvolti operativi di quanto appreso sui libri di studio. Si inizia allora a sentire parlare di scuole di specializzazione e della possibilità di intraprenderle, ad esempio, per migliorare le proprie competenze, per avere maggiori opportunità lavorative e spendersi più efficacemente nel mercato del lavoro. Ma serve davvero oggi intraprendere una scuola di psicoterapia? Quali competenze fornisce una tale scuola in più rispetto all'università? In che modo la formazione cambia le persone e i professionisti che siamo, incidendo sul modo di stare

* Psicologa, specializzanda presso la scuola di Specializzazione in Psicoterapia Interattivo-Cognitiva di Padova.

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con l'altro? E in che modo gli elementi appresi possono essere utili alla professione dello psicologo? Questi interrogativi hanno guidato l'idea di creare un seminario dedicato alla formazione personale dello psicoterapeuta, seminario rivolto a studenti universitari, laureati e laureandi al fine di offrire qualche spunto di riflessione e di risposta su tali dubbi. Il seminario si è svolto a Padova il 24 settembre 2015. Di seguito viene riproposta una traccia su alcune riflessioni presentate: si tratta di un punto di vista maturato verso la fine di quattro anni trascorsi alla Scuola di specializzazione Interattivo-Cognitiva, frutto di riflessioni personali ed esperienze condivise.

2. Riflessioni sulla formazione personale dello psicoterapeuta

In che cosa consiste la formazione personale dello psicoterapeuta? Posta davanti a questo interrogativo, mi sono chiesta a quali elementi potessi far riferimento per rispondere a questa domanda ed ho concluso che questo quesito non può prescindere dalle convinzioni, ma anche dubbi, incertezze ed aspettative con le quali mi sono apprestata ad iniziare la Scuola di specializzazione, ma anche alle competenze acquisite ed in che modo esse si sono rivelate utili per la mia professione. Alla luce di queste premesse, ho pensato di suddividere questo contributo in due parti: la prima dedicata ad approfondire in che modo la formazione ha inciso in generale sul mio modo di lavorare e di essere psicoterapeuta, in cosa mi vedo una professionista diversa e più competente ed in che modo sto diventando tale. Per preparare questa parte ho attinto ai miei ricordi di quattro anni fa, quando da neolaureata mi accingevo ad iniziare la scuola e mi sono chiesta: come mi vedevo allora? Come mi immaginavo la Scuola di psicoterapia, cosa mi aspettavo di imparare? Le mie aspettative di allora potrebbero in parte coincidere con quelle di altri studenti universitari e laureati di oggi ed erano sostanzialmente due: 1) capire e imparare come gestire la relazione terapeutica, ovvero sapermi porre in maniera terapeutica di fronte all'altro, cosa che ho sempre ritenuto fondamentale del lavoro di uno psicologo e 2) capire come inserirmi e spendermi nel mercato del lavoro: questa è una domanda per cui la Scuola, indirettamente, mi ha fornito strumenti, spunti, modelli di lavoro e una forma mentis spendibili in vari contesti. Usando una metafora musicale, potremmo dire che la Scuola fornisce uno spartito (modello, concetti, strumenti, strategie), ma poi ogni specializzando/terapeuta, come ogni musicista, lo suona in modo del tutto personale, a seconda dei contesti in cui vuole lavorare.

Nella seconda parte dell'articolo vorrei esporre alcuni concetti e modi di lavorare e fare terapia appresi a scuola che ritengo particolarmente utili in psicoterapia nel gestire la relazione con l'altro ed anche elementi/modi di lavorare spendibili in più contesti lavorativi, fornendo anche qualche esempio. Questa seconda parte ha lo scopo di dare un'idea ai lettori di quali siano i modi di lavorare grazie al modello Interazionista e le ragioni per cui esso si rivela particolarmente utile. Non può considerarsi una carrellata esaustiva (quanto piuttosto una cernita di alcuni concetti e strategie di cui ho personalmente riscontrato l'efficacia) né tanto meno può sostituirsi al livello di approfondimento che viene fornito a lezione.

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Se i tre poli della formazione del terapeuta, così come indicato sul programma della Scuola, sono il saper essere, il sapere e il saper fare (Salvini & Dondoni, 2011), potremmo dire che questo lavoro intende concentrarsi nella prima parte sul saper essere, mentre nella seconda parte fa riferimento al sapere ed al suo collegamento col saper fare, privilegiando un'ottica pragmatica e di utilità nel lavoro. Sapere, saper essere e saper fare sono tre elementi strettamente collegati tra loro ed è essenziale ricordare quanto essi si influenzino a vicenda: per esempio non è possibile applicare in modo efficace e ragionato le tecniche (saper fare) se a monte non vi è una riflessione epistemologica e di utilizzo del metodo (sapere), così come le conoscenze e le tecniche si riflettono sul saper essere, favorendo consapevolezze e modi di stare con l'altro durante il percorso terapeutico utili e funzionali ad obiettivi ed aspettative (Salvini, 1998; Salvini & Dondoni, 2011).

Di seguito propongo due tabelle che riassumono:

1) tabella 1 (saper essere): in che modo la formazione ha inciso sul mio modo di essere terapeuta. Parto qui dai miei pensieri e vissuti relativi alla professione di psicologo prima della scuola, li confronto con quelli di adesso e illustro come/attraverso quali spunti offerti a scuola sia avvenuto questo cambiamento; 2) Tabella 2 (sapere e saper fare): elementi appresi durante la formazione e focus

sulla loro utilità nel lavoro clinico.

PARTE 1: IN CHE MODO LA FORMAZIONE HA INCISO SUL MIO MODO DI ESSERE TERAPEUTA

ASPETTATIVA 1: essere in grado di gestire la relazione terapeutica I miei vissuti, pensieri, modi di agire relativi al fare lo psicologo prima della Scuola

I miei vissuti, pensieri, modi di agire relativi al fare lo psicologo adesso

Grazie a cosa la formazione mi ha permesso di cambiare i miei vissuti, pensieri e modi di agire tra prima e adesso Senso di incapacità a fronteggiare l'ignoto: “Non so bene cosa dire e come aiutare una persona che viene da me”

Mi sento in grado di fronteggiare l'ignoto e di sapermi muovere in una relazione terapeutica.

NB: fronteggiare l'ignoto non significa avere una soluzione precostituita a priori, ma costruire in itinere qualcosa insieme all'altro, avendo la consapevolezza di avere degli strumenti terapeutici (vedi tabella parte 2) e sapere come e quando usarli (Salvini, 1998).

- Momenti di confronto con docenti e colleghi in aula (classi di 20 iscritti, quindi il lavoro in piccoli gruppi facilita tali confronti rispetto all'università) per discutere i dubbi;

- esercitazioni guidate in classe e simulate; - supervisioni in classe;

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- fornisce il modello teorico e le strategie per utilizzarlo in vari contesti.

Senso di essere inefficace:

“Anche se l'altro parla con me, non cambia molto la sua situazione”.

Questa questione si collega in parte al punto precedente, in quanto ci si sente inefficaci quando per esempio si ritiene di non avere gli strumenti adatti o li si hanno, ma non si sanno usarli.

Oggi ho smesso di problematizzare così tanto la questione dell'efficacia, mi concentro piuttosto sull'altro, su quello che mi sta dicendo, su che cosa possiamo fare insieme e come utilizzare il mio sapere per aiutarlo. La maggior risposta di

efficacia mi viene in itinere dai piccoli progressi che fa e racconta, da come cambia la sua storia strada facendo. Se sbaglio qualcosa o vedo che non gli è utile, ora so che posso cambiare strategia.

- Confronto con colleghi e docenti; - studio, conoscenza e possibilità di sperimentare tattiche e strategie apprese a scuola; - riflessioni a scuola guidate dai docenti sul problema dell'efficacia e sulla sua valutazione; - I docenti danno la possibilità ad ogni lezione di esporre I propri dubbi sul lavoro che stiamo facendo o altre questioni di nostro interesse e offrono spunti per risolverli. Chiacchiere da bar, chiacchiere tra amici, richiesta di consigli e andare dallo psicologo: in che modo andare dallo psicologo è diverso dal parlare con gli amici o dare consigli? Non vedo molta differenza: in tutti questi casi si parla sempre con l'altro...

Oggi so che c'è una bella differenza! Con gli amici o quando si dà consigli si parla attingendo a esperienze proprie o altrui, secondo i propri punti di vista e secondo il senso comune. Lo psicologo, pur essendo anche esperto di senso comune, parla e agisce avendo fatto una riflessione epistemologica e pragmatica a monte (Salvini, 1998) e avendo una conoscenza più ampia di processi mentali, affettivi, cognitivi, rappresentativi, emotivi e su come agire per modificarli in un modo più adattivo per chi gli sta di fronte.

- Studio e approfondimento del modello teorico e dell'epistemologia sottostante; - in classe vengono presentati spunti ed esempi dove si riflette sul senso comune, sul lavoro del terapeuta e sulla gestione dei vari casi.

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separare i miei

giudizi (derivanti da miei valori e mie teorie a monte) dalla descrizione del processo in corso, con conseguenti difficoltà nel lavoro.

valori e separarli dalla persona che ho davanti, non utilizzandoli se per lei sono controproducenti. Mi adeguo a chi ho davanti, proponendo qualcosa in linea con i suoi valori, significati, modi di rappresentarsi e di narrarsi, anche se talvolta questo non coincide con i miei.

dell'epistemologia;

- supervisione guidata dal docente in classe;

- confronto con colleghi e docenti sui casi;

- proposta didattica tesa a interrogarsi su ciò che sta avvenendo e sui propri vissuti; - possibilità di fare esperienza in prima persona, supervisione e discussione in classe. Sensazione di

pormi con l'altro con troppa incertezza, troppa cautela e a volte in modo troppo accogliente + giovane età = “Sono poco credibile come psicologa!”

Mi sono resa conto che il procedere in modo cauto e accogliente sono utili in terapia, ma diverso è il modo in cui li utilizzo (con attenzione maggiore ai toni di voce e alla prossemica e già si comunica meglio la propria competenza). Se so lavorare, l'età non importa e diventa poco rilevante anche per l'altro.

- Valorizzazione delle risorse personali di ciascun allievo da parte dei docenti;

- trasformare presunti difetti in opportunità; - presentazione delle strategie per gestire la relazione terapeutica ed essere messi in condizioni di imparare a utilizzarle. Interventi verbali tesi a spiegare e motivare: “Forse lei si comporta così, perché...”; compiti e prescrizioni dati spiegandone il motivo e la logica che mi ha guidato nel farli:

“Provi a fare questo compito, perché è utile

Oggi so che spiegare la logica che ha guidato la scelta di utilizzare certi strumenti terapeutici è controproducente, perché distoglie dal qui e ora e toglie forza al compito che ho dato. Meglio lasciare che la persona faccia e successivamente si discute insieme l'utilità del compito, a partire da SUE considerazioni del modo in cui gli è stato utile.

Anche spiegare i comportamenti

problematici non aiuta, anzi contribuisce a creare una narrazione di giustificazione che li mantiene (Nardone & Watzlawick, 1990).

- Uno degli assunti del modello Interazionista si basa sulla comprensione dell'altro piuttosto che sulla spiegazione: tutte le

attività proposte a Scuola sono coerenti con questo assunto;

- in classe viene illustrato come dare prescrizioni e compiti in modo che risultino efficaci; - possibilità di sperimentarsi e

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a...” del lavoro svolto con

docenti e colleghi. Prestavo poca attenzione al linguaggio utilizzato nelle interazioni con l'altro

Maggior attenzione al linguaggio, sia quello che utilizzo io (il linguaggio è

performativo e come tale il modo in cui parlo e i termini che utilizzo sono già terapeutici), sia a quello che utilizza l'altro (mi permette di comprenderlo meglio) (Watzlawick, 1980; Wittgenstein, 1953)

Un altro degli assunti del modello Interazionista cita il linguaggio come

costruttore della realtà. Anche in questo caso il tema dell'attenzione al linguaggio e la riflessione su di esso ritorna nella maggior parte delle lezioni. Pensare subito

all'inizio a tutto il percorso

terapeutico

Focalizzarsi sul qui ed ora, procedere per piccoli passi, rinegoziando se necessario.

- Discussioni e riflessioni in classe sui casi con colleghi e docenti, esercitazioni in piccoli gruppi.

ASPETTATIVA 2: capire come inserirmi nel mondo del lavoro

“Vale davvero la pena iscriversi a questa Scuola, spendendo tempo, soldi, energie e weekend che potrei dedicare allo svago? Quali garanzie mi offre la Scuola di poter lavorare come psicologa?”

Alla fine del quarto anno di Scuola, posso dire che sì, ne è valsa la pena e se tornassi indietro lo rifarei, soprattutto per via delle competenze di gestione della relazione e spendibilità del modello Interazionista in vari settori (vedi riga successiva).

La Scuola non offre un lavoro assicurato a tutti al termine di essa, perché questa questione è legata alla domanda e offerta di certi servizi, al territorio, agli ambiti in cui si vuole lavorare e a ciò che essi

richiedono, ma nella misura in cui ogni allievo coglie la spendibilità del modello nei diversi ambiti, può utilizzarlo per porsi in maniera strategica nei contesti di lavoro che gli interessano.

La Scuola promuove e incoraggia

l'avviamento professionale in autonomia o in collaborazione con altri e si rende

- Modello e sua spendibilità vengono presentati in varie lezioni; - le attività didattiche proposte (esempi,

esercitazioni, riflessioni su casi) danno spunti su come fare una lettura processuale della situazione e delle

interazioni (sia nei singoli individui che si rivolgono a noi, sia nelle istituzioni). Questa lettura dei processi e le strategie per

modificarli costituiscono un canovaccio generale, un modello, che è flessibile ed applicabile a più contesti;

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disponibile a offrire tempi e spazi per discutere eventuali dubbi e problemi relativi al lavoro.

- I docenti offrono consigli e spunti concreti e utili per avviarsi.

In quali contesti lavorativi posso utilizzare ciò che apprendo a scuola?

Studio privato (lavorando col singolo o con coppie e famiglie), enti, associazioni, cooperative, scuole, aziende, ospedali, progetti vari destinati a vari tipi di utenza.

- Lezioni su analisi del contesto, analisi della domanda, analisi dei bisogni e dei problemi con relative esercitazioni; - esercitazioni non solo relative all'individuo singolo ma anche alla famiglia e alla coppia; - lezioni di progettazione in vari settori (scuola,

aziende, progetti nell'ambito sociale e sanitario);

- lavoro per obiettivi.

“E se provo ad avviarmi e poi vedo che non riesco a lavorare come

psicologa?”

Oggi penso che fasciarsi la testa prima di essersela rotta può essere

controproducente: meglio smettere di pensare all'ipotetico fallimento e iniziare a fare qualcosa di concreto per la propria professione! Docenti e compagni di classe sono un valido sostegno e le competenze apprese, se utilizzate bene, di solito vengono apprezzate anche da esterni alla Scuola. La Scuola inoltre mette nelle condizioni di fronteggiare anche quest'incertezza.

- Il modello, le lezioni e il confronto con i docenti promuovono una certa flessibilità negli

specializzandi e danno la possibilità di lavorare in vari settori;

- nell'ottica di ampliare le possibilità di scelta (vedi tabella successiva) la Scuola attraverso i suoi insegnamenti

implicitamente suggerisce di tenersi aperte più strade e più occasioni lavorative e di coltivare altre identità, ruoli e interessi che possono tornare utili nella professione di psicologo e nella formazione.

“Rispetto ad altre scuole di

Come già detto, il modello è spendibile in diversi contesti. Il modello Interazionista è

- lezioni sugli assunti teorici;

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psicoterapia, questa Scuola che vantaggio mi dà nel lavoro?”

un modello di terapia breve e per questo più sostenibile dai clienti, sia per quanto riguarda i tempi che i costi. Si rivela particolarmente efficace in tempi brevi perché si focalizza su obiettivi e compiti specifici (anziché sul passato e sulla ricostruzione e spiegazione dei problemi attuali sulla base di esso) e sulla

comprensione dell'altro con i suoi bisogni, valori, significati, aspettative (Salvini, 1998; Salvini & Dondoni, 2011).

- lezioni sulle strategie terapeutiche, esempi e momenti in cui ci si esercita ad usarle. “Come faccio ad essere sicura che questa è la scuola adatta a me?”

Per certi versi, la Scuola è come un credo. È una sorta di abito che mi sento bene addosso, perché propone un'idea di persona, di configurazione dei problemi e di terapia che si confa/è molto simile alle mie, oppure perché propone un'alternativa comunque valida a qualche altro modello che ho studiato ma che sento non

appartenermi. Ci si augura che la

conoscenza pregressa di questo modello e/o questi incontri di presentazione della Scuola, dove si sono illustrati alcuni assunti teorici e modi di fare terapia, abbiano contribuito a dare una panoramica dell'abito che gli specializzandi qui indossano. Chiarito ciò, la scelta della Scuola è infine personale.

Per lo più credo che

questa sensazione ognuno se la sente addosso, ma può anche venire dal confronto con colleghi che stanno frequentando o hanno frequentato questa scuola, vedendo come lavorano e con i docenti.

Nel mio “essere professionale” quanto viene dato dalla Scuola? E quanto da me stessa e dal mio impegno?

Certamente la Scuola si occupa di veicolare concetti, strategie per fare terapia, offrire occasioni per sperimentarsi, poi ognuno coglie ciò che ritiene più utile per sé e per il suo lavoro, in un processo di formazione che è sempre attivo. L'impegno e il coinvolgimento attivo di ciascun

Specializzando, unite alla creatività e spirito di iniziativa personali, sono sempre auspicabili nel processo di formazione e spesso sono anche garanzia di buoni risultati nel lavoro, nell'essere terapeutici e

- Attraverso momenti di lezioni frontali, confronti, momenti in cui ci si esercita e supervisioni, la Scuola offre gli strumenti necessari per poter lavorare come

psicoterapeuta e invita a sperimentarsi nella

maggior parte dei contesti possibili (lavorativi e non). L'integrazione con

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nella possibilità di lavorare. esperienze personali, hobby, altre letture diverse da quelle suggerite a scuola è gradito e auspicabile (es: leggere romanzi, sapere qualcosa di antropologia o come nel mio caso esperienze all'estero, scrivere, osservare conversazioni quando vado in giro e riflettere su esse).

PARTE 2: ELEMENTI APPRESI GRAZIE ALLA FORMAZIONE: SAPERE E SAPER FARE E LORO UTILITA' NEL LAVORO

Elementi appresi In che modo sono utili nel lavoro Focus sulla

comprensione del

disagio/problema dell'altro e non sulla spiegazione

Permette di far sentire la persona accolta nel suo disagio; limita i repertori discorsivi legati alla giustificazione (al

contrario del focus sulla spiegazione) (Salvini, 1998; Salvini & Dondoni, 2011).

- Attenzione ai significati, valori, ragioni dell'altro; - Non giudicare, ma comprendere

Permette di far sentire l'altro compreso, accolto e di concordare un percorso in linea a ciò che pensa e quindi percorribile per la persona (Salvini, 1998; Salvini & Dondoni, 2011). Attenzione ai contesti (persone, luoghi, relazioni) in cui si manifesta la situazione vissuta come problematica

Utile ad esplorare il problema, cosa lo mantiene e

successivamente le strategie migliori per superarlo adatte a quel contesto (Salvini, 1998; Salvini & Dondoni, 2011)..

Persona come agente attivo

Restituire alla persona la sua intenzionalità le permette di assumersi la responsabilità del proprio cambiamento e di non attribuirla al terapeuta, la mette nelle condizioni di “farsi terapia” da sola e così di avere risultati stabili dei

cambiamenti raggiunti (Salvini, 1998; Salvini & Dondoni, 2011; Kelly, 1955).

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seduta una buona

relazione con la persona

al clima di fiducia, accoglienza e comprensione che creiamo (Salvini & Dondoni, 2011).

Attenzione al linguaggio Le persone costruiscono i problemi attraverso esso. Un buon punto di partenza è osservare quale linguaggio, quali

metafore la persona usa per descrivere il suo disagio. Utilizzare il suo stesso linguaggio accelera il processo di psicoterapia (diversamente per es. dalla psicoanalisi), lo fa sentire accolto e compreso e allo stesso tempo mi permette di inserirmi nel problema inserendo piccole perturbazioni,

modificando gradualmente come si racconta. A fine terapia, il nuovo modo in cui si racconta mi dà l'idea del cambiamento avvenuto (follow up). (Wittgenstein, 1953; White 1992; Salvini & Dondoni, 2011).

L'importanza dell'analisi del problema (Salvini & Dondoni, 2011)

Grazie alla lettura professionale che facciamo della

situazione, è possibile mettere a punto le strategie più efficaci per risolvere il problema. I punti da tenere presenti per

svolgere l'analisi del problema sono i seguenti (indicati in grassetto con i numeri a fianco).

1) Esplorare le

aspettative sulla terapia e sul terapeuta

Configurano il tipo di rituale che per la persona ha senso per risolvere il problema. Permette di capire in che direzione vuole andare, di fugare eventuali dubbi su aspettative poco praticabili, eventualmente di ridefinire rinegoziando, facendo sentire la persona come agente attivo del cambiamento, di avere chiara la direzione di lavoro (Salvini, 1998; Salvini & Dondoni, 2011).

2) Fare un'analisi della domanda (Salvini & Dondoni, 2011)

Utile per capire se possiamo lavorare concretamente e come; a volte è necessario ridefinirla per poter iniziare il lavoro. 3) Esplorare e

contestualizzare il problema (Salvini & Dondoni, 2011)

Dove? Come? Quando? Con chi? Quali norme viola? Ha finalità esplorativa. È utile per farci un'idea e iniziare a

pensare dove e come potremmo terapeuticamente agire, per circoscriverlo e impedire di generalizzarlo (Salvini, 1998; Salvini & Dondoni, 2011).

4) Esplorare la teoria sul problema

Ovvero per quali ragioni la persona ritiene di stare male. Ci serve saperlo perché è il materiale su cui lavoreremo ed è ciò che più di tutto il resto mantiene il problema. La teoria sul problema è una storia, una narrazione, pertanto lavoreremo per generare incoerenze in questa trama per renderla più funzionale per la persona (White, 1992; Salvini & Dondoni,

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2011).

5) Esplorare le tentate soluzioni disfunzionali

Cosa ha fatto finora la persona per provare a risolvere il problema? Spesso le soluzioni che mettono in atto

mantengono il problema invece di risolverlo. Conoscerle ci dice anche qualcosa sul problema e su come la persona si muove. Conoscerle ci permette anche di modificarle, in modo che siano più utili alla persona (Nardone & Watzlawick, 1990; Watzlawick et al., 1971; Watzlawick, 1980).

6) Esplorare i “vantaggi secondari”

Ovvero ciò che di utile la persona ottiene per sé, nonostante gli aspetti negativi del problema. Consente di capire quale equilibrio si è creato (Nardone & Watzlawick, 1990). 7) Perché arriva da me

proprio adesso?

Dà ulteriori indicazioni su come è configurato il problema ed eventualmente sulle norme che lo reggono.

8) Teorie degli altri significativi sul problema

(analisi sistemica)

Approfondendo inoltre le tentate soluzioni del contesto di riferimento che mantengono il problema. Utili per sapere come si configura il problema, essendo il problema sempre collocato in un tempo, spazio e relazioni definiti (White, 1992). 9) Analisi dell'invio Cioè in che modo arriva da noi (di sua spontanea iniziativa?

Mandato dal medico? Dal fidanzato?). Ci dà un'idea di quanto una persona può essere attiva nel processo di cambiamento. Se non lo è, è necessario ridefinire il senso della terapia (Salvini & Dondoni, 2011).

10) Come si vede?/Chi è?/Come si descrive?

Esplorare l'identità dell'altro è utile per capire come si colloca rispetto al problema, agli altri, ai contesti, quanto il problema è pervasivo. A volte è necessario aiutarlo a costruire ulteriori identità che non siano soltanto quella di portatore di quel problema. Utile anche per capire quali risorse ha e come utilizzarle/potenziarle (Kelly, 1955).

11) Lavoro per obiettivi Concordati insieme alla persona e rinegoziabili eventualmente nel corso della terapia, permettono al

terapeuta e alla persona di avere una sorta di “linea guida” da seguire nel lavoro. Nel retrobottega il terapeuta ha degli obiettivi che non vengono necessariamente esplicitati all'altro e non corrispondono necessariamente a quelli concordati con lui (Salvini & Dondoni, 2011).

12) Sapere in quali contesti di vita è inserito

Utile per sapere quali risorse ha, in quali ruoli e panni può sperimentarsi. Se ne ha solo uno, uno degli obiettivi della terapia può essere quello di costruirne anche altri.

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13) Osservare il modo in

cui parla degli altri

Per comprendere l'altro è anche utile sapere quali costrutti utilizza. Ci è utile per capire quale linguaggio può essere utile parlare con la persona producendo atti terapeutici.

14) Assume farmaci? Occorre saperlo per concordare eventualmente con lo psichiatria una diminuzione scalare della terapia

farmacologica, altrimenti non si può sapere fino a che punto il cambiamento è generato dallo psicoterapeuta e fino a che punto dai farmaci.

15) Contratto terapeutico

È necessario specificare tempi della terapia, modi e costi. Questo ci dà un'aura di professionalità e contribuisce a creare nella sua mente il momento rituale di terapia che contribuisce alla sua buona riuscita.

“Agisci in modo da

aumentare le possibilità di scelta” (H. von Foerster)

È la responsabilità etica del terapeuta. Le persone si vedono spesso solo come portatrici del problema, la loro vita ruota intorno a quello. Con il nostro lavoro gli permettiamo di concedersi di essere anche altro.

Valorizzazione delle risorse/trasformare il problema in risorsa

Collegato in parte al punto precedente, è uno dei punti di partenza affinché la persona non si identifichi soltanto con il problema, ma affinché veda anche altri aspetti utili e positivi di esso. Per farlo occorre riuscire a mettere da parte il senso comune e guardare la persona con occhi diversi (fornendo esempi) (Watzlawick, 1980; Salvini & Dondoni, 2011). Relativizzare e sciogliere

il pensiero assolutista

Utile per circoscrivere il problema. Esempio di pensiero assolutista: tutto/niente/sempre/mai; “Va tutto male” (White, 1992; Nardone & Salvini, 2004).

Focus sul qui e ora Per cogliere i processi in atto, ascoltare e comprendere l'altro al meglio e riuscire ad agire in maniera terapeutica

coerentemente con quanto si sta generando nell'interazione attuale.

Focus sui processi, più che sui contenuti

Come psicologi e futuri psicoterapeuti siamo esperti dei processi cognitivi, emotivi, affettivi, relazionali che generano i problemi, mentre l'altro è l'esperto dei contenuti che porta. Per essere terapeutica e orientata al cambiamento ogni domanda e osservazione che noi facciamo con l'altro deve essere focalizzata sui processi e sul modificarli (Salvini & Dondoni, 2011).

4 linee guida e strategie nel lavoro: tecniche alfa,

- tecniche "Alfa", volte a influire e modificare i processi senso-percettivi e gli stati di coscienza;

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tecniche transattive e

relazionali, tecniche basate sui generi

narrativi, tecniche socio-cognitive

(Salvini & Dondoni, 2011)

- tecniche "Transattive" e relazionali, indirizzate a ristrutturare le rappresentazioni e le tentate soluzioni

disfunzionali/sintomatiche, tecniche anche condivise, in parte, con altri modelli di psicoterapia;

- tecniche centrate sui "Generi narrativi", ad esempio

psicobiografiche, volte a riorganizzare le rappresentazioni di sé anche in una prospettiva futura e progettuale;

- tecniche "Socio-cognitive", indirizzate al cambiamento dei sistemi di regole, norme, valori e significati, ovvero la matrice generativa di molti modi di essere e agire disfunzionali. Lavoro in ottica

pragmatica e in funzione dell'adattamento

Ottica pragmatica = si lavora sinergicamente con la persona per ciò che le è utile in quel preciso momento e in quei precisi contesti.

Lavoro in funzione dell'adattamento = in modo che la persona senta di agire in modo coerente con la sua visione del mondo (eventualmente superando contraddizioni interne se ci sono), ma anche con i contesti che abita e con le persone

significative, in modo che si senta bene con se stessa, con gli altri e con i contesti che abita (Salvini, 1998).

Una buona terapia parte da delle buone domande

Ovvero domande necessariamente generiche e

sufficientemente specifiche. Ad esempio: “Sei stato male ieri?” è troppo specifica e imbocca già un certo tipo di risposta ipotizzando che sia stato male. “Come sei stato ieri?” è allo stesso tempo necessariamente generica (Le domande che iniziano con come o cosa sono di solito necessariamente generiche) e anche sufficientemente specifiche (“ieri” e tutti gli altri avverbi che specificano tempo, spazio o con chi era consentono alla domanda di non essere dispersiva ma ben localizzata). All'inizio capita spesso che le domande che poniamo siano mal poste (Nardone & Salvini, 2004; Salvini & Dondoni, 2011).

Normalizzare alcuni comportamenti e problemi

Permette di tranquillizzare la persona e metterla nelle

condizioni migliori per cambiare e agire terapeuticamente con lei (Watzlawick et al. 1971; Watzlawick, 1980; White, 1992)

Riferimenti bibliografici

Kelly, G.A. (1955). The Psychology of Personal Constructs. New York: Norton. Trad. it.

Psicologia dei costrutti personali. Raffaello Cortina, Milano 2004.

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strategica. Ponte alle Grazie, Firenze.

Salvini, A. (1998). Argomenti di psicologia clinica. Upsel Domeneghini, Padova.

Salvini, A. & Dondoni, M. (2011). Psicologia clinica dell'interazione e psicoterapia. Giunti, Firenze.

Nardone, G. & Salvini, A. (2004). Il dialogo strategico. Ponte alle Grazie, Firenze.

Watzlawick, P. (1971). Pragmatica della comunicazione umana, trad. it. Astrolabio, Roma. Watzlawick, P. (1980). Il linguaggio del cambiamento, trad. it. Feltrinelli, Milano.

Watzlawick, P., Weakland, J.H. & Fisch, R. (1971). Change. Sulla formazione e la

soluzione dei problemi, trad. it. Astrolabio, Roma

White, M. (1992). La terapia come narrazione. Proposte cliniche, trad. it. Astrolabio, Roma. Wittgenstein, L. (1953). Ricerche filosofiche, trad. it., Einaudi, Torino.

Riferimenti

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