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2 IL CAPABILITY APPROACH: UNA NUOVA VALUTAZIONE DEL TENORE DI VITA

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2 IL CAPABILITY APPROACH: UNA NUOVA VALUTAZIONE

DEL TENORE DI VITA

L’approccio delle “capabilities” consiste nel valutare il benessere di una persona in termini di capacità individuali possedute, al fine di realizzare un insieme di funzionamenti personalmente scelti. Se l’insieme dei funzionamenti individuali rappresenta che cosa una persona intende essere o fare nella vita, le capacità possono essere definite come le possibilità effettive che ognuno ha di realizzarsi.

Possono inoltre essere considerate come un buon indice della libertà individuale goduta. In quest’ottica, il benessere dell’individuo va giudicato non in funzione al reddito o ai beni posseduti ma in base alle capacità e alle libertà fruibili, considerate come mezzi per la realizzazione del proprio modo di essere.

Da un punto di vista più spiccatamente economico il nostro autore è stato spinto alla costruzione di questo approccio dalla sentita necessità di rifarsi ad un’immagine dell’individuo diversa da quella di “massimizzatore delle utilità personali”, di prendere in esame metri valutativi della condizione umana diversi da redditi e risorse.

Idea guida del progetto è l’aristotelica domanda “come possiamo e dobbiamo vivere?”, per cui l’interesse è tutto rivolto allo studio dell’uomo e alla sua realizzazione tramite le merci.

Proprio quest’ultime sono infatti considerate da Sen come strumentali rispetto all’individuo, e non viceversa: la prospettiva analitica e’ focalizzata sugli standard di vita e non sulla allocazione delle merci sul mercato.

L’adozione di questo nuovo apparato logico-concettuale comporta delle difficoltà, in realtà più di tipo operativo che teorico; tuttavia non insormontabili.

Parliamo di un problema di natura empirica legato alla prospettiva multidimensionale proposta. Infatti lo studio delle capacità richiede strumenti di misurazione adeguati, ed e’ lo stesso Sen a sollevare la questione, consapevole

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della necessità di dover distinguere tra ciò che si può misurare quantitativamente e ciò che richiede sfumature qualitative.

Non possiamo, sostiene caparbiamente l’autore, rimuovere aspetti importanti della realtà per l’inadeguatezza degli strumenti quantitativi disponibili.

La proposta e’ allora quella di costruire nuove metodologie in grado di affrontare la complessità del reale, rifondando il sistema economico su basi etiche, abolendo la netta separazione tra economia e filosofia fortemente sostenuta dagli approcci moderni.

2.1 Approcci morali allo studio del benessere

2.1.1 Criteri tradizionali di giustizia distributiva

In campo filosofico la speculazione del nostro si inserisce nei dibattuti temi della teoria della giustizia distributiva, elaborata per la prima volta da Platone e ripresa successivamente da Aristotele. Il concetto di giustizia distributiva riguarda i criteri in base ai quali avviene la ripartizione della ricchezza tra i vari membri della società, e si contrappone al concetto di giustizia commutativa che invece ne propone una distribuzione in parti uguali.

Successive elaborazioni di approcci morali per una “giusta” distribuzione della ricchezza hanno condotto alla definizione di due criteri fondamentali, in base ai quali si ordinano le teorie, quello del merito e quello del bisogno.

Secondo il criterio del merito va premiato chi maggiormente ha contribuito alla creazione della ricchezza con il proprio sforzo e le proprie capacità; secondo quello del bisogno, invece, la ricchezza dovrebbe essere distribuita a coloro che maggiormente necessitano di aiuti perché possiedono minori capacità di produrre benessere.34

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L’idea che la giustizia distributiva debba essere basata sul merito informa, nei tempi moderni, la difesa dell’economia del mercato. Infatti il mercato lasciato libero remunera gli attori economici in base al contributo produttivo da essi arrecato, assicurando l’efficienza nell’allocazione delle risorse in questo modo.

Le radici ideologiche del secondo criterio, invece, quello basato sui bisogni, possono essere riassunte, nella loro espressione piu’ classica, nella massima di Luis Blanc35: “Da ciascuno secondo le sue capacità. A ciascuno secondo le sue necessità”. Il “bisogno” è un concetto tipico della tradizione socialista e di tutte quelle teorie e di quei movimenti socio-economici che propugnano la realizzazione di una nuova società tramite il raggiungimento dell’eguaglianza politica, sociale ed economica di tutti gli uomini.

Attualmente possiamo ritrovare nel moderno stato assistenziale una posizione più mediata, che cerca di combinare i due criteri in un'unica visione, mettendo in pratica –in modo più o meno interventista – opere di redistribuzione del benessere tramite strumenti di politica economica.

Lo stato assistenziale ha operato sia sulla dotazione dei fattori produttivi con imposte che tendono a ridurre gli squilibri più accentuati, sia sulla distribuzione dei guadagni con imposte ad aliquota progressiva al fine di livellare le remunerazioni. Ha inoltre cercato di assicurare una soglia minima di benessere attraverso prestazioni gratuite di servizi assistenziali ed educativi, e attraverso trasferimenti monetari pubblici verso i più bisognosi.

Ma, la difesa di un certo margine di diseguaglianza è da sempre stata ritenuta necessaria per assicurare il mantenimento del sistema stesso.

Le politiche redistributive si basano dunque sul concetto di desiderabilità sociale, studiato dall’economia del benessere, per giungere alla creazione di situazioni economiche alternative.

Nelle pagine che seguono si cercherà di illustrare per sommi capi quali sono state le applicazioni del criterio di giustizia sociale nei diversi approcci morali al problema della distribuzione della ricchezza.

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2.1.2 Gli approcci morali

L’economia del benessere offre schemi analitici per giudicare la desiderabilità o meno di piani economici. Più in generale, essa serve a confrontare situazioni economiche alternative sulla base di criteri etici.

L’economia del benessere si propone proprio di considerare i metodi e le variabili utilizzabili per poter effettuare classificazioni di sistemi economici alternativi. Uno studio dell’economia condotto in tale maniera può essere definito un approccio morale, proprio perché sulla base di criteri etici esprime inevitabilmente dei giudizi di valore.

Lo scopo di queste indagini è quello di ridefinire la situazione economica di un sistema mediante politiche redistributive. Il risultato di queste politiche dipenderà dai principi morali attraverso i quali si è evoluta l’indagine e dalle variabili d’analisi poste a fondamento della stessa.

In questo contesto i principali problemi riscontrabili sono due: l’equità e la scelta delle variabili. L’equità riguarda i giudizi morali che una società esprime in merito al modo in cui le risorse sono distribuite e ai risultati che la stessa si propone di conseguire.

La scelta delle variabili è un problema analitico: attraverso quali variabili il benessere può essere espresso in maniera soddisfacente?

Alla luce di ciò si può ben notare che i due problemi non sono disgiunti, in quanto la scelta delle variabili sarà sempre condizionata dal significato attribuito al concetto di equità.

A questo punto sarà conveniente illustrare brevemente i principali approcci morali del ventesimo secolo, evidenziando le variabili considerate come determinanti in ognuno di questi in relazione agli obiettivi di equità scelti e in ai principi morali a fondamento di ciascuna teoria per meglio comprendere la portata innovativa dell’ approccio seniano36. Come suggerisce lo stesso Sen, l’utilitarismo

36 Sen, A., Resources, Values and Development, Basil Blackwell Publisher Ltd.,Oxford, 1984; trad it. Risorse, valori e

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fornisce, per la sua struttura assiomatica, un conveniente punto di partenza per l’analisi dei vari approcci.

2.1.3 L’Utilitarismo e la teoria utilitarista

La costruzione teorica dell’utilitarismo presenta tre componenti di fondo: Il consequenzialismo prevede che la giustezza delle azioni , e più in generale della scelta di tutte le variabili di controllo, sia giudicata sulla base della bontà del risultato conseguente. Il welfarismo implica che la valutazione del benessere avvenga in relazione alla sola nozione di utilità, senza considerare soddisfacimenti o violazioni di diritti e doveri individuali. Infine in base all’ordinamento somma la bontà di ogni insieme (di individui o situazioni) è giudicata unicamente sulla base della somma totale delle singole utilità; somma che va comunque massimizzata indipendentemente dalle diseguaglianze che ci possono essere nella distribuzione.

L’unione del welfarismo con il consequenzialismo porta a giudicare ogni azione sulla base dell’utilità che produce; le tre componenti messe insieme danno la formula utilitaristica classica: ogni scelta va giudicata in base alla somma complessiva delle utilità che genera.

Dunque, la teoria utilitarista nel contesto degli studi sul benessere si presenta come un approccio consequenzialista, nel senso che i giudizi di bontà sulle politiche redistributive vengono espressi in funzione di una morale che considera rilevanti solo ed esclusivamente i guadagni e le perdite di utilità per la collettività nel suo insieme, indipendentemente da come i livelli di utilità sono distribuiti tra gli individui. In questo ambito non si valutano le singole azioni ma gli stati di cose risultanti, quindi è un tipo di morale basata sui risultati (outcome morality). Il suo welfarismo si esprime invece nella pratica di considerare l’utilità come un fedele indicatore del benessere goduto da un individuo e, al fine di calcolare le perdite e i guadagni di utilità per la collettività, considera una trasformazione monotona della somma delle utilità individuali.

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Un simile impianto teorico presenta delle lacune molto gravi37, prima fra tutte l’impossibilità di produrre confronti interpersonali ignorando le diseguaglianze distributive interne alla collettività. Infatti, in teoria viene effettuata una ricerca sull’individuo, ma in fase analitica si considera la somma totale delle situazioni senza considerare se effettivamente ognuna di esse sia giunta al risultato preposto.

Un’altra grave mancanza dell’approccio utilitarista è quello di non dare il giusto peso in fase operativa a quei valori definiti come non intrinsecamente utilitari, quali diritti e libertà. Quest’ultimi hanno un rilievo nell’analisi solo indirettamente, cioè solo quando influiscono sull’utilità.

Infine, la misurazione dell’utilità risulta praticamente impossibile, perché così come definita dall’utilitarismo, associata al concetto di felicità, è imperniata di troppe sfumature psicologiche che sfuggono ad una misurazione scientificamente provata. Non di meno, la stessa percezione individuale di utilità è condizionata da troppi aspetti (situazioni e circostanze sociali, grado di adattamento individuale, storia personale dei singoli, ecc.) che l’analisi utilitaristica omette a priori, e che comunque renderebbero il lavoro analitico troppo complesso.

L’impossibilità di produrre confronti interpersonali e la mancata considerazione dei diritti e delle libertà godute dai singoli inducono Sen a cercare un’alternativa alle teorie utilitaristiche. Per questo motivo prende in esame alcune teorie deontologiche dei diritti basate sul rispetto dei doveri morali, che tuttavia non saranno scevre di critiche.

2.1.4 Le teorie deontologiche dei diritti

Le tre caratteristiche di fondo dell’utilitarismo costituiscono la base critica su cui si fondano le diverse teorie deontologiche dei diritti. Nel prendere in considerazione solamente i risultati finali di certe azioni individuali e pubbliche, l’utilitarismo dimentica che ci sono dei vincoli che moralmente non possono essere superati: i diritti individuali.

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Questi non possono essere scambiati con l’aumento dell’utilità di qualcuno, ma valgono come limiti invalicabili ai rapporti tra gli individui. Ciò accomuna le teorie di Nozick,Rawls e Dworkin.

Le teorie in questione si distinguono dall’utilitarismo perché per esse la priorità non è quella di massimizzare l’utile complessivo, ma di rispettare certi principi di giustizia. La priorità morale passa così dalla valutazione degli esiti migliori alla giustificazione del rispetto di valori politici e morali quali uguaglianza, diritti, equità e libertà.

Il consequenzialismo, tratto caratterizzante l’utilitarismo, viene facilmente meno in relazione al fatto che la difesa dei diritti degli uomini non è sostenuta in termini della bontà del risultato conseguente, ma sulla base del loro valore morale intrinseco.

Le varie teorie dei diritti hanno punti di partenza differenti; lo stesso Sen, come vedremo in seguito, si inserisce nel dibattito rispondendo alla domanda «Uguaglianza di che cosa?». La posizione fondamentale della domanda sulla giustizia richiede rispetto di principi e diritti alla base e non mera attenzione agli esiti. Consideriamo per prima la posizione di Nozick, dal momento che questa rappresenta il bersaglio critico di Sen essendo per certi aspetti l’espressione estrema, forse anche provocatoria, della teoria deontologica dei diritti.

2.1.4.1 La teoria dei diritti di Nozick

Negli aspetti primari dell’elaborazione della sua teoria libertaria, Nozick38 precisa che l’atteggiamento da osservare nei confronti dei diritti è in assoluto

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l’inviolabilità, quale vincolo supremo di rispetto nei riguardi dell’umanità di ogni individuo.

Pur partendo, come Rawls, da posizioni ispirate al liberalismo classico e da un’analoga critica nei confronti dell’utilitarismo, le argomentazioni successive del filosofo americano lo allontanano anche dal sistema rawlsiano.

Nozick sostiene una visione radicalmente individualista della vita, che comporta la drastica riduzione della sfera di intervento dello Stato negli affari dei cittadini (“Stato Minimo”).

Un tale atteggiamento sarebbe l’unico modo coerente di prendere sul serio il principio, di derivazione kantiana, secondo cui le persone sono dei fini in sé e non dei mezzi in vista di qualcos’altro. A tal scopo gli individui sono portatori di diritti, che, per essere tali, devono essere vincoli sulle azioni e non scopi da realizzare39. Secondo Nozick i diritti non devono essere considerati dei fini da massimizzare poiché in questo modo sarebbero giustificate violazioni dell’individualità in vista di un fine superiore da realizzare. Il timore di una violazione della sfera individuale da rispettare lo porta a dichiarare la non giustificabilità morale di qualsiasi teoria «a stato finale», ovvero di un principio da perseguire che entrerebbe in contrasto con l’obbligo del rispetto dei diritti, poiché comporterebbe inevitabilmente dei trade-offs non giustificabili moralmente.

Questo individualismo antiutilitarista parte dal presupposto dell’esistenza di un diritto inviolabile alla proprietà di sé e dei frutti del proprio lavoro. In base a un argomento “neo-lockeano”, la proprietà privata ottenuta tramite il proprio lavoro rientra nella sfera di diritto individuale intangibile; la giustizia non comporta una redistribuzione di beni se questi sono stati ottenuti legittimamente (la teoria del «titolo valido» consta di due principi di giustizia nell’acquisizione e nel trasferimento, e di un principio di rettifica nei casi di ingiustizia). La giustizia di un ordine sociale dipende solo dalla storia che ha portato a questo stato: se le

39Cfr. Nozick (2000): «Ma una teoria può anche includere in via prioritaria la non-violazione di diritti, e tuttavia includerla nel modo e al posto sbagliati. Infatti, si supponga di incorporare nello stato finale desiderabile da conseguire una

condizione sulla minimizzazione della quantità totale (ponderata) di violazione di diritti. Avremmo così un qualcosa di simile all’“utilitarismo dei diritti”», p. 50.

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transazioni sono state corrette, l’esito finale non è ingiusto; mentre il fatto che ci siano disuguaglianze, per Nozick, non giustifica moralmente un intervento di redistribuzione che violerebbe l’esito di giuste transazioni.

La teoria della giustizia che ne consegue è di natura procedurale: tutte le acquisizioni sono legittime se, e solo se, sono il frutto di azioni non aggressive.

A questo punto, allo Stato spetta il solo compito di interferire il meno possibile nella vita degli individui.

Risulta ben chiaro che Nozick è contrario ai programmi di riequilibrio delle condizioni sociali, perché il singolo non può sacrificare nessun diritto in vista del bene della società.

Per Sen una tale posizione risulta assai pericolosa, specialmente se non si considerano le conseguenze fattuali dell’operato di tali diritti.

Nel suo saggio Poverty and Famines40 (Povertà e Carestie), Sen ha dimostrato come molte grandi carestie non siano state provocate dall’insufficienza di cibo, ma da una distribuzione dei diritti, anche di proprietà, considerata legittima da un punto di vista giuridico e procedurale, che però ha condannato a morte disoccupati e poveri proprio perché i titoli dei loro diritti, per quanto legittimi, non bastavano a saziare la loro fame. Si nota in questo senso una grave indifferenza soprattutto per le libertà sostanziali che alcuni individui non riescono ad esercitare.

Il libertarismo di Nozick appare troppo limitato nel suo estremismo: la priorità assoluta assegnata ai diritti e alle libertà porta a perdere di vista i bisogni economici degli individui. Per questa ragione Sen considera la posizione più moderata di Dworkin, che in Taking Rights Seriously, mette in luce come l’istituzione di diritti nei confronti dello Stato non sia né un dono divino, né un’antica consuetudine, ma piuttosto una pratica complessa che rende l’opera dello Stato più difficile e dispendiosa, al fine di garantire un beneficio comune.

2.1.4.2 Dworkin e l’eguaglianza delle risorse

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Nei suoi scritti, Dworkin è andato elaborando una forma etica del liberalismo, derivante valori e diritti da una nozione di libertà strettamente imparentata con quella di eguaglianza. La sua teoria si basa su due idee di fondo, quella della dignità umana (di derivazione kantiana) e quella di uguaglianza politica. Ne segue che il liberalismo di Dworkin si costruisce intorno a due considerazioni principali: l’eguaglianza degli individui e la funzione egualitaria che dovrebbe avere lo Stato (una teoria delle istituzioni giuridiche e politiche come organi finalizzati a garantire il diritto di ciascuno all’ “equal concern and respect”).

In questo modo Dworkin si addentra negli studi sull’eguaglianza, considerandola in termini di risorse e di opportunità più che di generico benessere41. Per risorse si intende tutto ciò che è funzionale all’uomo per il soddisfacimento dei suoi bisogni.

Il filosofo americano parte dal postulato che le “facoltà personali fisiche o psichiche siano effettivamente delle risorse, in quanto vengono utilizzate, insieme alle risorse materiali, per fare della propria vita qualcosa d’importante”42. Secondo Amartya Sen, quest’idea è estremamente interessante, perché porta ad una potenziale corrispondenza tra l’esigenza di uguaglianza delle risorse e quella di uguaglianza delle capacità43.

Dworkin immagina che il concetto di uguaglianza delle risorse presupponga il funzionamento perfetto di un mercato concorrenziale e l’esistenza di mercati assicurativi che compensino le differenze di abilità e di capacità produttiva. Solo così l’uguaglianza delle risorse può essere considerata come un criterio morale convincente. Il sistema assicurativo, nell’archetipo dworkiniano di società giusta, è di fondamentale importanza in quanto deve supplire l’impossibilità distributiva di risorse non trasferibili, quali le facoltà fisiche e psichiche.

Dworkin afferma però, che per applicare l’idea di compensazione degli handicap, sia fisici che intellettuali, sia necessaria l’esistenza di “criteri di giudizio delle facoltà normali”. In altre parole, è necessario definire quali siano le facoltà

41 R. Dworkin, What is equality? Part II: Equality of resources, in "Philosophy and Public Affairs", 1981, X, pp.

283-345.

42 Ibidem.. 43

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personali socialmente considerate come normali, a cui far riferimento, per identificare l’entità dell’insufficienza e realizzare la compensazione44. E’ indubbio che per effettuare una compensazione, siano necessari dei termini di paragone tra ciò che è considerato normale e ciò che è considerato insufficiente. Ma al pari, Dworkin fa notare che “nessuna possibile compensazione iniziale possa rendere una persona cieca o mentalmente insufficiente uguale per risorse fisiche o mentali a una persona considerata normale sotto questi aspetti”; dunque, non si può parlare dell’uguaglianza, se non è realizzabile, né si possono raccomandare azioni in direzione di tale uguaglianza se non è possibile ottenere l’uguaglianza assoluta. Della problematica relativa alla compensazione degli handicap non se n’è occupato neanche il filosofo americano John Rawls, le cui argomentazioni hanno influenzato notevolmente il pensiero liberal-democratico del ventesimo secolo e la sua teoria della giustizia rappresenta, a detta dello stesso Sen, una delle più influenti ed importanti nel panorama contemporaneo.

2.1.4.3 La teoria dei beni primari

Nel suo scritto A Theory of Justice del 197145 Rawls tenta di superare la dottrina filosofica dell’utilitarismo, cioè l’idea secondo la quale una società giusta debba perseguire il maggior benessere possibile per il maggior numero di persone. Per il filosofo la posizione utilitarista tende a sacrificare gli interessi delle minoranze.

Il suo approccio in economia normativa si sviluppa attorno a due principi di giustizia:

44 R. Dworkin, Eguaglianza di Risorse, in L' idea di eguaglianza/ introduzione a cura di Ian Carter, Feltrinelli, Milano, 2001, pp. 94 - 163.

45 J. Rawls, A Theory of Justice, in: What do we deserve?,editors Pojman,McLeod - New York; Oxford University Press, 1999.

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“ogni persona ha diritto all’insieme più ampio possibile di libertà fondamentali uguali per tutti”;

“le diseguaglianze economiche devono essere strutturate in maniera tale da

attribuire ai più svantaggiati le prospettive migliori riguardo a funzioni e posizioni sociali accessibili a tutti”.

Per quanto riguarda il primo principio Rawls sostiene che ogni persona possiede un’ inviolabilità fondata sulla giustizia su cui neanche il benessere della società nel suo complesso può prevalere. “L’eguaglianza nel godimento delle libertà fondamentali è un diritto assoluto che non ammette eccezioni né tanto meno compromessi”. Ma un’eccezione in realtà esiste: è tollerabile un’ingiustizia se serve ad evitarne una ancora maggiore.

Il secondo principio, conosciuto come principio delle differenze, afferma che tendenzialmente la ricchezza della società dev’essere distribuita in maniera uguale tra tutti i membri, ma certe diseguaglianze sono ammissibili se capaci di migliorare le condizioni dei membri più svantaggiati.

In realtà Rawls non critica le diseguaglianze di reddito legate alla bravura di ogni singolo individuo se la società in questione si basa sull’uguaglianza delle opportunità; ma le diseguaglianze immeritate e arbitrarie. Nascere ricco o povero, intelligente o con qualche handicap non è un merito, ma solo questione di arbitraria fortuna.

Egli ritiene che una giustizia distributiva equa debba tener conto delle diseguaglianze immeritate e creare le condizioni affinché i meno avvantaggiati possano ottenere il massimo possibile.

Per creare una giustizia distributiva equa, Rawls utilizza, reinterpretandolo, lo strumento del contratto sociale. Tuttavia non credo sia questo l’argomento necessario alla nostra discussione sugli approcci morali.

L’approccio delle differenze non si può definire welfarista: Rawls classifica le condizioni di svantaggio o di benessere non in funzione del livello di utiltà, ma in funzione del possesso o meno di un indice di beni sociali definiti primari, ovvero “cose che si suppone ogni individuo razionale desideri avere, qualunque siano gli altri suoi desideri”.

Pertanto, la condizione di eguaglianza di benessere è soddisfatta dall’equidistribuzione dei beni primari.

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Proprio in questo punto si insinua la critica di Sen46: in che modo si può definire un indice dei beni primari? In che modo si possono indicizzare le necessità degli uomini senza perdere di vista le loro storie e le loro intrinseche differenze? Come stabilire se sia più “importante” un paio di scarpe per un povero o un panino farcito per un ghiotto?

Per Sen, Rawls non prende in considerazione il fatto che gli individui, anche nel perseguire gli stessi scopi, lo fanno in maniera diversa, poiché hanno una diversa relazione con le risorse necessarie. Rawls assume che gli stessi beni primari servano indifferentemente per tutti gli obiettivi, ma diverse persone hanno bisogno in diversa misura degli stessi beni per perseguire i propri fini, poiché hanno differenti tassi di conversione,che ne caratterizzano la struttura individuale in maniera decisiva, almeno tanto quanto sono caratterizzati dalla diversità di scopi che si prefiggono. Per Sen, Rawls, concentrandosi sugli strumenti per ottenere fini liberamente scelti, perde di vista la valutazione della libertà in quanto tale. Partendo dal presupposto “che la struttura fondamentale della società distribuisca determinati beni principali [primari], cioè cose che si presume ogni

individuo razionale desideri.”47, Rawls non considera le marcate differenze

interindividuali che potrebbero comunque pregiudicare i principi di giustizia ipotizzati nella sua visione.

Dunque, quantità e priorità caratterizzano i modi di assunzione dei beni delle persone in relazione alle caratteristiche individuali di ciascuno; una malattia, ad esempio, potrebbe essere causa di cambiamenti nelle funzioni di conversione del soggetto48. Proprio in questo senso, Rawls, pur avendo menzionato handicappati e disabili, non si è posto il problema che se pur questi avessero la stessa dotazione di beni primari degli altri individui si troverebbero comunque in una situazione di inferiorità.

46 A. Sen, Risorse,valori e sviluppo. 47 Cfr. Rawls, A Theory of Justice, p. 67.

15 Le funzioni di conversione comprendono, le caratteristiche sia fisiche sia culturali di una persona; inoltre rimandano a ciò che una persona può diventare e acquisire, date le risorse, le opportunità a sua disposizione e la capacità di convertirle.

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La critica di Sen si snoda comunque sul valore concettuale e analitico dei beni sociali primari. La costruzione teorica di Rawls rimane sempre nello spazio materialistico dei beni e non considera la libertà effettiva dei soggetti, e come tale soffre delle distorsioni che si hanno nel valutare gli strumenti per la libertà, invece che la libertà stessa. Lo si vede in modo particolare prendendo in esame due modelli di derivazione rawlsiana: i modelli del maximin e del leximin.

2.1.5 Gli approcci del maximin e leximin

Gli approcci del “maximin” e il “leximin” vengono utilizzati per stimare la bontà di insiemi di utilità. Definiti rawlsiani, proprio perché si ispirano alle argomentazioni del filosofo in questione, differiscono profondamente dall’approccio di questi. Infatti, mentre Rawls spiega il principio di differenza per mezzo di un indice di “beni primari”, nei due approcci in questione viene ancora una volta chiamato in causa il concetto di utilità.

Nell’approccio del maximin la bontà di ogni insieme di utilità deve essere giudicata facendo riferimento al valore del membro più svantaggiato. Ed è proprio qui che viene rilevata l’ispirazione rawlsiana: l’ordinamento somma dell’utilitarismo viene sostituito dalla condizione soggettiva. In questo modo, realizzando un confronto interpersonale delle utilità individuali, il livello di utilità del gruppo aumenterà solamente se verrà accresciuto il livello di utilità dell’individuo che si trova nella situazione di minor vantaggio.

La teoria del leximin presenta una piccola variabile rispetto all’approccio appena descritto. Il confronto interpersonale delle utilità non è più individuale, ma può essere operato per gruppi. Esemplificando: in un confronto a due alla volta, se i livelli dei più svantaggiati sono gli stessi, allora la coppia viene ordinata in relazione all’utilità del penultimo; e così via.

Questo tipo di approccio può essere utile per il confronto di insiemi numerosi all’interno di una società, come classi o caste.

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Entrambe le due teorie soddisfano gli assiomi del consequenzialismo e del welfarismo, ma non quello dell’ordinamento somma.

Infatti, proprio perché fanno riferimento ai livelli di utilità ottenuti dal consumo di beni primari sono considerate come concettualizzazioni dell’approccio di Rawls in senso welfarista.

2.1.6 Le critiche di Sen

A prescindere dalle critiche che si possono muovere all’utilizzabilità e alla realizzabilità della concezione “radicale” dei diritti, Sen dirige le sue critiche non sull’aspetto debole della teoria nozickiana, ovvero sulla “fattibilità”, ma su quello “forte”, ovvero sull’assoluto “apriorismo” e deontologismo della teoria stessa.

Nell’ambito di questi problemi Sen ritiene che la critica delle concezioni deontologiche nei confronti dell’utilitarismo sia imprescindibile; ma parimenti alcune impostazioni incentrate esclusivamente sul rispetto dei diritti risultano troppo unilaterali. Alla base delle teorie dei diritti vi è il rifiuto del principio utilitaristico, che non considera veramente le persone come agenti distinti e autonomi, quindi l’assunzione dell’idea che l’individuo ha spazi e ambiti intoccabili, che costituiscono la sfera dei diritti. Sen attribuisce a queste teorie un difetto “speculare”: nella versione estrema di Nozick, gli unici aspetti significativi e validi della politica e della teoria morale sono il rispetto o la violazione dei diritti legittimi. Ogni diritto è ugualmente vincolante e obbligatorio nei confronti dei terzi e dell’agenzia pubblica che sono moralmente chiamati a rispettarlo: in questo modo i diritti sono tutti equipollenti e ugualmente stringenti. Ciò significa che la violazione di un qualsiasi diritto ha moralmente lo stesso peso e che, ad esempio, non è giustificabile moralmente la violazione della proprietà privata per salvare la vita di una persona. Per illustrare questi problemi Sen ricorre ad un esempio: ipotizza il caso di una persona (A) che vuole aggredirne un’altra (B); una terza persona (C) sa che può impedire questa aggressione solo se entra illegalmente in casa del futuro aggressore per scoprire il tempo e il luogo dell’aggressione. In questo caso, rispettando i principi della teoria dei diritti di

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Nozick, la terza persona non è comunque autorizzata a violare la proprietà privata del futuro aggressore, poiché la proprietà privata, se ottenuta rispettando le regole di trasferimento, è intoccabile e non può essere barattata in funzione di altro. Questo esempio però rivela anche i problemi dell’utilitarismo: ipotizzando che sia maggiore il beneficio che A ottiene aggredendo B rispetto alla disutilità che B subisce venendo aggredito, si dovrebbe concludere che è legittimo che A attacchi B e che C non avrebbe alcun ruolo nella situazione49. Nel caso dell’utilitarismo il problema verrebbe proprio dal fatto che la metrica della felicità, delle preferenze e della soddisfazione cerca di pesare gli effetti individuali di azioni che invece non dovrebbero essere in ogni caso compiute. Non tenere conto del fatto che ci sono sfere di inviolabilità non disponibili a compromessi comporta che vengano pesate e quantificate sfere che non potrebbero esserlo da un punto di vista della teoria dei diritti. In entrambi i casi troviamo un problema opposto che determina una singolare situazione di specularità: nel dare uguale importanza di inviolabilità a tutti i diritti, proprio in quanto diritti, la teoria di Nozick non rileva le differenze di valore morale nei diversi ambiti della vita; mentre l’utilitarismo, essendo disposto a ogni tipo di “scambio” e compromesso, in funzione di un migliore risultato globale, non tiene conto del fatto che ci sono altri valori morali oltre all’utilità. Entrambe le teorie hanno un unico valore morale da rispettare o da massimizzare: l’unicità del valore non permette di prendere in considerazione non solo i molteplici casi che possono fare eccezione, ma anche i molteplici valori che richiedono spazio in una teoria morale che voglia, allo stesso tempo, essere fondata e realizzabile.

Nell’esempio prima citato il rispetto dell’incolumità fisica di una persona viene a dipendere, nella teoria nozickiana, dalla disponibilità della proprietà privata, e in quella utilitaria, dal calcolo utilitaristico delle parti in causa.

49 A. Sen, A Positive Concept of Negative Freedom,in Ethic: Grundlagen, Plobleme und Anwendungen, Akten des 5

Internationalen Wuttegenstein-Simposium, 1980; p.44: Sen ipotizza che A sia una persona infelice e rancorosa,che

trarrebbe una grande felicità dall’attacco da B, che invece è una persona soddisfatta di sé e fortunata. In questo caso l’aggressione aumenterebbe l’utilità totale. Paradossalmente anche un sistema rawlsiano che massimizza l’utilità del più svantagiato potrebbe giustificare l’aggressione.

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Il fatto che l’utilitarismo non tuteli a priori i diritti individuali e li faccia dipendere dal calcolo delle utilità si specchia nell’incapacità della teoria deontologica dei diritti di valutare le priorità e le differenze tra diversi diritti. Entrambe le teorie non riescono a tenere conto della varietà delle situazioni ed esigenze della vita morale, poiché dal punto di vista di Sen commettono l’errore di subordinare la morale ad un unico aspetto che decreta la validità dell’azione o dello stato di cose. Un caso parte è la teoria di Rawls che, pur rientrando nella famiglia delle teorie deontologiche, combina due principi di giustizia e ha un posto a parte nel panorama teorico.

Per Sen ogni teoria che usa una sola «base informazionale» non riesce a tener conto della molteplicità dei problemi e delle esigenze etiche, quali uguaglianza, libertà, efficienza, diritti, attività e benessere. Per questo l’autore cerca di combinare l’interesse per la massimizzazione del benessere sociale con l’interesse per l’equidistribuzione dei beni primari, senza giungere ai risultati estremi proposti dall’uno o dall’altro approccio.

2.1.7 Teoria delle capacità di consumo: assioma debole di equità

La teoria delle capacità di consumo nasce dall’esigenza che avverte Sen “ di

combinare il carattere di sensitività al totale dell’utilità con quello di sensitività alla distribuzione delle utilità”50.

La teoria si fonda su un assioma fondamentale, definito dall’autore Assioma Debole di Equità (ADE), per cui: “se a parità di reddito una persona A ottiene meno benefici, perché possiede minori capacità di godimento di questo, rispetto ad un’altra persona B, allora una ridistribuzione ottimale del reddito deve

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prevedere che l’individuo A riceva più risorse dell’individuo B, al fine di eguagliarne il benessere”.

Questo tipo di approccio, che anticipa la struttura concettuale delle capabilities, fornisce un punto di vista innovativo allo studio del benessere poiché pone l’attenzione su una base informativa nuova: la capacità personale di consumo del singolo, al fine di esprimere giudizi di valore sul benessere goduto da un individuo.

Questo assioma è violato dall’utilitarismo e in molti aspetti anche dal principio di differenza di Rawls, sebbene l’ADE tragga origine proprio dalle obiezioni rawlsiane all’utilitarismo.

Rispetto al principio di differenza, l’applicabilità dell’ADE non è generale, ma ristretta ai casi di evidente svantaggio dell’individuo, dovuti ad esempio a situazioni di handicap fisici.

Infatti, mentre nelle argomentazioni rawlsiane la posizione di svantaggio è definita in relazione alla disponibilità o meno del paniere di beni primari; in quella seniana lo svantaggio è posto in relazione al soddisfacimento dei bisogni primari di un individuo e alla sua capacità di riuscirci.

Il concetto di utilità e quello di beni primari viene in questo modo sostituito da quello di capacità, ovvero l’abilità o l’attitudine di un soggetto a trarre godimento dalle risorse a sua disposizione.

Anche quest’approccio, al pari degli altri, presenta delle difficoltà oggettive di applicazione, relative soprattutto alla costruzione di un indice di soddisfacimento delle capacità primarie nonché alla definizione del concetto di “capacità primarie”.

Per questo lo stesso Sen ci invita a considerare quest’approccio come un’impostazione alternativa per formulare giudizi di equità nell’ambito di tali studi.

In queste pagine si è cercato di chiarire che il titolo morale di un individuo per ottenere un reddito al fine di realizzare una equa ridistribuzione della ricchezza, dipende dal tipo di approccio morale privilegiato dalla società di cui fa parte: una elevata utilità marginale del reddito personale, secondo l’approccio morale degli utilitaristi; una bassa utilità personale totale, secondo gli approcci morali del

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maximin e leximin; una ridotta disponibilità personale di beni primari, secondo il principio delle differenze, proposto da John Rawls; ridotte capacità primarie, secondo gli assiomi deboli di equità; la violazione dei diritti e delle libertà personali, secondo l’approccio dei diritti e l’idea di giustizia di Nozick. Naturalmente non vi è nulla di contraddittorio nell’accettare più di una motivazione quale origine di un titolo morale per la ridistribuzione del reddito, l’importante è che non vengano accolte motivazioni antagoniste, altrimenti ci si troverebbe di fronte ad problema morale di difficile risoluzione.

Vale la pena sottolineare che l’atteggiamento critico di Sen nei confronti della teoria utilitarista non lo ha dissuaso dal riconoscere le valide intuizioni di questa teoria che hanno arricchito le speculazioni successive. In particolare, Sen sostiene che il consequenzialismo, lungi dall’essere assunto così com’è definito dall’approccio (perché si limiterebbe alle caratteristiche astratte ed impersonali delle situazioni di fatto), ha posto l’accento sull’importanza dell’analisi dei risultati, sottolineando la necessità di valutare le reali conseguenze quando si giudicano le scelte politiche future. Inoltre proprio la teoria utilitarista è stata la prima a proporre lo studio del benessere individuale.

Un’ulteriore specificazione deve essere fatta in considerazione dell’approccio rawlsiano. Per Sen utilizzare lo spazio delle capacità invece che quello dei beni sociali primari, consente di valutare non i mezzi ma la libertà effettiva senza presupporre che le persone condividano una concezione del bene. Questa esigenza rimane costante nella teoria dei funzionamenti e delle capacità e, come vedremo, Sen rifiuta qualsiasi impostazione che necessiti un ordinamento dei valori e delle concezioni del bene individuali, in nome di un ideale morale esterno all’autonomia individuale.

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2.2 Il capability approach: un tentativo di definizione

L’approccio delle capacità formulato da Amartya Sen intorno alla metà degli anni ottanta e poi più volte rivisitato dallo stesso in riferimento ai diversi campi d’indagine, risulta particolarmente idoneo per analizzare e misurare la qualità della vita e la sostenibilità dei processi di sviluppo.

Potrebbe essere definito come un approccio normativo generale per la valutazione del benessere individuale e dell’assetto sociale al fine di individuare politiche sociali adeguate. Ma allo stesso tempo non si presenta come una teoria della giustizia51: pur nascendo da un atteggiamento critico nei confronti degli approcci tradizionali non si propone come una teoria alternativa a questi ultimi. Può anche essere considerato solo una formula utile per le comparazioni interpersonali in termini di benessere.

Tuttavia, per come ci è stato proposto dal suo autore, il capability approach è semplicemente l’ossatura di una metodologia che ha come campo d’indagine privilegiato l’uomo e le sue capacità; e come variabili i funzionamenti derivati.

Possiamo dire che l’approccio seniano ci offre una nuova prospettiva d’analisi, cambiando il punto di vista dell’osservatore rispetto alle tradizionali indagini economiche.

A questo punto sarà conveniente prendere in considerazione la nozione di “bene”, per capire in che modo l’approccio risulta innovativo rispetto alla letteratura precedente.

51 A. Sen, Risorse, valori, sviluppo.

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2.2.1 I beni: Capabilties e Functionings

Se prendiamo in considerazione un bene qualsiasi possiamo notare come questo assume una rilevanza diversa a seconda dell’approccio che usiamo per analizzarlo.

E proprio da qui vorrei partire per introdurre le categorie d’analisi di Amartya Sen: le capacità (o capacitazioni, come più spesso viene tradotto il termine “capabilities”) e i funzionamenti (functionings), due concetti strettamente correlati, tanto da risultare come due declinazioni di uno stesso concetto.

La natura dei beni nell’economia del consumo è stata pensata in relazione alle caratteristiche che questi presentano, che sarebbero determinanti nelle scelte degli individui.

Sen propone di considerare il “bene” sotto un’altra ottica, partendo dalla distinzione all’interno del concetto di quattro aspetti fondamentali:

• il bene come oggetto d’uso (es. il grano);

• le caratteristiche del bene (es. i valori nutrizionali);

• il funzonamento relativo al bene (es. vivere senza carenze caloriche); • l’utilità derivate dal bene (es. la reazione psicologica scaturita dal

funzionamento).

L’utilitarismo prende in considerazione solo l’ultimo dei quattro aspetti; i teorici dei diritti personali acquisiti, come Nozick, non sarebbero interessati a nessuno degli aspetti, considerando importante solo la procedura da cui scaturisce il possesso di beni da parte delle persone; i rawlsiani, interessati alla distribuzione dei beni, non fanno che concentrarsi sul primo punto, sebbene anche Rawls, nel considerare i beni primari, nel contesto del principio delle differenze ponga l’attenzione sui beni in questa quadruplice classificazione.

Molte delle teorie del benessere in generale sono giunte a considerare il possesso individuale dei beni come espressione del vantaggio personale.

Sen fa notare che ogni studio sul benessere basato sui beni e sulle loro caratteristiche rischia di trascurare un importante aspetto del legame esistente tra i

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beni e gli individui: il mero possesso di un bene non chiarisce in che modo l’individuo può usufruire del bene stesso.

Le caratteristiche rappresentano una astrazione dei beni, ma si riferiscono comunque ai beni e nulla ci dicono sulle possibilità e sulle abilità individuali dei singoli consumatori. Ritroviamo in questo passaggio un chiaro riferimento al pensiero marxiano.

Marx, ne Il Capitale, chiama “feticismo delle merci” il processo che porta a ritenere sia che le merci abbiano valore di per se stesse (dimenticando che sono frutto del lavoro umano), dimenticando che i rapporti economici siano rapporti fra uomini e non tra “cose”.

“Quel che qui assume per gli uomini la forma fantasmagorica di un rapporto fra cose è soltanto il rapporto sociale determinato che esiste tra gli uomini stessi. Quindi per trovare un’analogia, dobbiamo involarci nella regione nebulosa del mondo religioso. Quivi, i prodotti del cervello umano paiono figure indipendenti, dotate di vita propria…

Così, nel mondo delle merci, fanno i prodotti della mano umana. Questo io chiamo feticismo che s’appiccica ai prodotti del lavoro appena vengono prodotti come merci…”

Sen, prendendo spunto dalla nota espressione di Marx, definisce “feticista” ogni sforzo intellettuale che cerca di esprimere il vantaggio di una persona in termini di beni posseduti, piuttosto che in termini di abilità personali in riferimento ai beni. Per superare questo feticismo propone, dunque, un’inversione logica del senso dell’analisi: non è il possesso di un bene ad esprimere il vantaggio personale, bensì il personale possesso di alcune abilità in riferimento all’utilizzo dei beni.

L’approccio delle “capabilities” consiste nel valutare il benessere di una persona in termini di capacità individuali possedute, al fine di realizzare un insieme di “funzionamenti” personalmente scelti.

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I funzionamenti rappresentano ciò che una persona intende fare o essere nella vita; le capacità riflettono le possibilità reali che ogni individuo possiede per realizzare i propri funzionamenti.

Un funzionamento è un conseguimento, mentre una capacità è l’abilità di conseguire. Dunque, mentre i primi costituiscono i diversi aspetti delle condizioni di vita di un individuo; le capacità sono nozioni di libertà positiva: esprimono le opportunità reali in relazione alla vita che si può condurre52.

Ingrid Robeyns53 ha cercato di definire meglio la distinzione che passa tra le due categorie, “la differenza tra funzionamenti e capacità è la stessa che intercorre tra l’essere e la libertà d’essere”.

La nozione di funzionamento trae origine prorpio dall’esigenza di elaborare un concetto di benessere che superi gli errori e il semplicismo di una concezione che valuta solo la quantità di beni materiali posseduti. Il funzionamento è ciò che una persona riesce ad essere con l’utilizzo di un bene o servizio: in un bene o in un servizio non sono incorporate utilità, benessere o stati personali che si raggiungono linearmente; al contrario un bene o un servizio è composto di caratteristiche, che, utilizzate dall’individuo, si trasformano in funzionamenti. Ciò che i diversi beni materiali e immateriali possono dare agli individui, non dipende solo dalle quantità dei suddetti beni, ma ancora prima dipende dal modo in cui gli individui convertono le caratteristiche dei beni in stati individuali, utilità, soddisfazione, o altro. L’aspetto centrale è il passaggio dalle caratteristiche alla conversione, che può dipendere dalla fisiologia personale (gravidanza, fattori metabolici o malattie), dall’età, dal sesso, dalle richieste e convenzioni sociali, e in generale dalle caratteristiche singolari e dalla situazione dell’individuo54. Il modo differente in cui diversi individui

52 A. Sen, Il tenore di vita, Marsilio, Venezia;1993.

53 I. Robeyns, Promoting Women’s Capabilities: examining Nussbaum’s Capabilities Approach, University of Cambridge, 2002. 54 Cfr. A. Sen, Commodities and Capabilities, North-Holland, Amsterdam; 1985.: «The conversion of commodity-characteristics into personal achievements of functionings depends on a variety of factors – personal and social. In the case of nutritional achievements it depends on such factors as (1) metabolic rates, (2) body size, (3) age, (4) sex (and, if a woman, whether pregnant or lactating), (5) activity levels, (6) medical conditions (including the presence or absence of parasites), (7) access to medical

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trasformano caratteristiche dei beni in proprie acquisizioni di benessere, abilità individuali o richieste sociali manifesta le differenze dei singoli in tutti i livelli di espressione individuale: dalle caratteristiche fisiologiche a quelle psichiche, dalle fasi vitali agli oneri sociali. I diversi tassi di conversione individuale per i diversi beni strutturano un tipo di uomo che si differenzia dagli altri su diversi livelli e nei diversi ambiti. Qui non si parla di fondamento dell’individualità, ma di genesi e struttura della differenziazione, per cui negli esiti dei diversi modi di essere e funzionare la valenza del tasso di conversione dovuto alla richiesta sociale può valere tanto quanto le esigenze fisiologiche. Ne consegue un’immagine, per quanto riguarda la struttura, di un uomo a molti livelli e a diversi gradi di compatibilità con i beni.

Per quanto riguarda l’aspetto dinamico dell’individuo, dobbiamo analizzare il concetto di capacità. La capacità rappresenta la possibilità di scelta tra diversi insiemi di funzionamenti, date le caratteristiche individuali e la disponibilità di ottenere beni. Questo concetto nasce, in senso economico, come possibilità di scelta nel convertire beni in funzionamenti, ma riflette da subito l’estensione della libertà di una persona di ottenere funzionamenti e stati propri. La capacità riflette la libertà poiché comprende l’ambito delle scelte che si possono fare dati determinati insiemi di funzionamenti. Il concetto di capacità non può fare a meno di quello di funzionamento: non ci può essere libertà di scelta se non ci sono stati individuali da ottenere attraverso le scelte; ma senza il concetto di capacità i funzionamenti rimangono semplici stati che non ci dicono da chi sono scelti e come sono indirizzati. Senza i funzionamenti le capacità sono vuote, i funzionamenti senza le capacità sono ciechi. I funzionamenti rappresentano ciò che si ottiene (achievements), nei diversi sensi in cui si può intendere, come acquisizione, raggiungimento, successo o anche solo acquisto; le services and the ability to use them, (8) nutritional knowledge and education, and (9) climatic conditions. In the case of achievements involving social behaviour and entertaining friends and relatives, the functioning will depend on such influences as (1) the nature of the social conventions in force in the society, (3) the presence or absence of festivities such as marriages, seasonal festivals and other occasion such as funerals, (4) the physical distance from the homes of friends and relatives, and so on», pp. 25-6. Nell’elenco delle condizioni sociali Sen si riferisce principalmente a paesi in via di sviluppo, ma ciò vale per i paesi industrializzati, in cui si dovrebbero aggiungere altre numerose “richieste” sociali.

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capacità rimandano sia alla possibilità generica, sia alla facoltà di fare e scegliere, sia alle abilità acquisite da un individuo tramite un certo bene.

Riassumendo possiamo dire che per Sen la vita di un individuo è una combinazione di modi di essere ed il benessere del singolo deriva dalla libertà di poterli realizzare.

L’approccio delle capacità sembrerebbe una teoria etica individualistica, perché il giudizio di valore si basa sull’analisi del singolo; in realtà si tratta di un individualismo non ontologico, non si considera l’individuo fine a se stesso, ma in relazione alla società. Sen sottolinea, infatti, che ogni individuo pondera i propri funzionamenti in funzione al “rispetto sociale di sé”. La ponderazione è un’attività individuale che viene effettuata tenendo conto del contesto sociale55.

L’approccio permette di prendere in considerazione un gran numero di fattori sociali, in virtù del fatto che la scelta dei funzionamenti da realizzare non dipende solo da fattori economici, ma anche da fattori personali (età, sesso, collocazione geografica, prestanza fisica ed intellettuale, handicap ecc.) e culturali (discriminazione, stratificazione sociale ecc.).

2.2.2 Capacità come espressione della libertà positiva

Il concetto di capacità rappresenta l’effettiva estensione e importanza di ciò che si può concretamente fare. Sen rileva che in molte concezioni della libertà l’attenzione è concentrata sull’assenza di vincoli e impedimenti alla libera scelta, iniziativa e opinione. In questa visione, non solo gli aspetti sostantivi sono lasciati a carico dell’arbitrio, fortuna e merito individuali, ma anche gli aspetti concreti e le condizioni della libertà non vengono presi in considerazione56.

55 A.Sen, Capability and well-being, in The quality of life, edito da M.Nussbaum e A. Sen, Oxford, Clarendon press, 1993. 56 L’eccezione entro le teorie liberali è rappresentata da Rawls, che si pone il problema delle condizioni concrete tramite la teoria dei beni sociali primari, ma abbiamo visto precedentemente quali sono le critiche rivolte da Sen.

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“Tutto questo pone un problema difficile e molto antico. Perché è importante che non mi venga impedito di fare una cosa e, allo stesso tempo, irrilevante se io sia effettivamente capace o no di fare quella cosa?”57.

Abbiamo visto che significato ha questo tipo di libertà nello sviluppo e nella teoria dei diritti in relazione agli scopi da raggiungere; ora questo argomento ritorna dall’interno del concetto di capacità, che è essenzialmente un concetto positivo di libertà.

“Le capacità rispecchiano essenzialmente la libertà di acquisire importanti funzionamenti. Esse si concentrano immediatamente sulla libertà in sé, piuttosto che sugli strumenti per acquisire la libertà, e identificano le concrete alternative che abbiamo. In tal

senso, possono essere intese come una rappresentazione della libertà sostantiva”58.

Sen elabora questa concezione positiva di libertà sostantiva senza venire meno ai principi liberali che informano il suo pensiero: la libertà negativa in molti casi non è possibile senza l’intervento attivo di qualcuno per difenderla, ma anche senza le condizioni concrete della sua realizzazione. Anche il concetto minimo di libertà negativa necessita di una serie di libertà-capacità. La libertà dalle carestie, la possibilità di acquisire panieri di beni, la possibilità di comparire in pubblico senza vergogna, non sono condizioni garantite in tutti i paesi, eppure non esistono impedimenti legittimi: semplicemente queste possibilità non ci sono. Per quanto riguarda i paesi industrializzati il discorso si estende e si complica, ma il principio rimane lo stesso: i bisogni primari, compresi nelle capacità fondamentali, sono più

57 A. Sen, Risorse, Valori e Sviluppo, Bollati Boringheri, Torino; 1992; p. 129. 58 A. Sen, La Disuguaglianza. Un riesame critico., Il Mulino, Bologna; 1994; p. 76.

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facilmente assicurati, ma le possibilità di scegliere tra diverse opzioni vitali e condurre una vita buona non sempre sono a disposizione di tutti59.

Inoltre nella valutazione della libertà di scelta deve entrare anche la valutazione di ciò che si sceglie, innanzitutto per dare il giusto peso ai funzionamenti prioritari, poi per accertare se, anche in una condizione di relativa opulenza, è possibile effettivamente disporre di capacità significative e importanti, come appunto poter avere una vita sociale paritaria, poter sviluppare le doti naturali ecc. Lo spazio dei funzionamenti e delle capacità è rilevante non solo per valutare le questioni di sottosviluppo o le disuguaglianze entro le società prospere, ma si rivela essere una fondamentale questione morale poiché le capacità sono l’espressione fondamentale della libertà umana.

Il concetto di capacità sintetizza due concezioni della libertà che spesso non troviamo assieme: la libertà quale assenza di vincoli e la libertà come poter fare effettivamente una cosa. Le due concezioni, negativa e positiva, secondo Sen non possono escludersi.

2.2.3 Il processo di detrminazione del benessere come schema di analisi multidimensionale

È oramai chiaro che Sen descrive il benessere individuale non come una condizione statica e materialistica, definita dal semplice possesso in un certo istante temporale di un dato ammontare di risorse materiali, ma come un processo in cui i mezzi e le risorse acquisibili o disponibili rappresentano uno strumento (di portata assolutamente indispensabile) per ottenere benessere.

59 Ibidem, p.162: “ una deprivazione relativa nello spazio dei redditi può implicare una deprivazione assoluta nello spazio delle capacità. In un paese che è in generale ricco, può essere necessario un reddito maggiore per comprare merci sufficienti ad acquisire gli stessi funzionamenti sociali, come apparire in pubblico senza vergogna. Lo stesso può dirsi per la capacità di prendere parte alla vita della comunità”.

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Le risorse non costituiscono per Sen una metrica adeguata a misurare il benessere complessivo delle persone o la qualità della vita che essi riescono a realizzare60.

Nel linguaggio che caratterizza l’approccio delle capacità il benessere materiale, così come viene inteso in senso tradizionale, è sostituito da un’idea di “star bene” (well-being) che si rifà ad una condizione individuale più estesa, includendo “ciò che l’individuo può fare o essere” (l’insieme di being e doing). Un’idea che parte dai mezzi e dalle risorse relazionandole alle capacità dei singoli di riuscire a realizzare i traguardi prefissati.

Dunque, è l’insieme di questi traguardi potenzialmente raggiungibili (definiti da Sen “capability set” o “spazio delle capacità”) o effettivamente realizzati (“functionings” o “spazio dei funzionamenti”) a costituire il benessere e la qualità della vita delle persone.

Figura 2: Il processo di determinazione del benessere.

Limitarsi solo al primo passaggio di questo processo porta ad una grave distorsione nei risultati derivabili; e questo perché vi sono aspetti della vita cui le persone riconoscono valore sebbene a questi non corrisponda necessariamente un valore monetario, come il tempo libero, l’istruzione, le condizioni di salute, ..

60 “..non è la ricchezza il bene da noi cercato: essa ha valore solo in quanto utile, cioè in funzione di altro..” , Aristotele, Etica Nicomachea, Libro Primo. Sen in più occasioni ha sottolineato la derivazione aristoltelica del suo pensiero.

Beni e risorse acquisibili sul mercato o disponibili (beni e servizi pubblici) Fattori di conversione Insieme delle capacità (pruralità di opzioni o funzionamenti) SCELTA Funzionamento effettivamente realizzato o acquisito

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Inoltre vi sono numerosi problemi legati alla sottostima di alcune fonti di reddito, all’impossibilità di misurare gli auto-consumi effettivi, alla mancanza di riscontri pratici sugli usi che si fanno del reddito, che rendono il reddito una unità di misura altamente spuria del benessere.

Per Sen il calcolo utilitaristico che può derivare dall’analisi dei redditi si basa su due errori di fondo.

Innanzitutto bisogna partire dal presupposo che non esiste alcuna relazione diretta tra quantità di beni posseduta e utilità totale conseguibile, come invece hanno sostenuto gli utilitaristi.

Ciò che un individuo può ricavare dai beni dipende da una pluralità di fattori interni ed esterni allo stesso individuo. A parità di reddito siamo in grado di ottenere livelli diversi di well-being a seconda delle capacità di conversione che abbiamo a nostra disposizione. Le capacità di conversione e le scelte sono i due nodi fondamentali di questo processo. Le prime dipendono da fattori personali quali il sesso, l’età, le condizioni di salute, le abilità e i talenti; nonché da fattori ambientali, familiari, sociali, economici, culturali, politici, insomma dai vari aspetti che caratterizzano la vita dell’uomo. Le seconde, le scelte e la responsabilità legata all’atto di scelta, giocano un ruolo centrale entrando in scena nel passaggio dallo spazio delle capacità a quello delle effettive realizzazioni, determinando l’effettivo status che il soggetto andrà ad occupare. Nell’analisi occorre tenere sotto controllo anche le libertà che ruotano intorno a questo atto: è necessaria alla creazione del benessere individuale la possibilità di scegliere tra una pluralità di alternative.

In secondo luogo occorre, a parere di Sen, screditare l’assunto utilitaristico che riguarda l’identità tra la nozione di utilità e quella di benessere. L’utiltà personale è solo uno degli aspetti materialistici che possiamo ricavare dalle scelte che effettuiamo, il benessere è una condizione più ampia che riguarda anche altri aspetti della vita dell’uomo. Alla condizione di benessere concorrono interessi, ideali, aspirazioni, motivazioni, .., tutti aspetti che sfuggono alla contabilità utilitaristica. Ma proprio questi aspetti rappresentano i fattori causali del processo di determinazione del benessere personale.

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2.2.4 Considerazioni sull’operazionalizzazione dell’approccio delle capabilities

Martha Nussbaum, sulla scorta dell’etica aristotelica, ha proposto una delle più famose interpretazioni operative dell’approccio di Amartya Sen, invitandolo a dare alla sua teoria sullo sviluppo delle capacità una lista di funzionamenti appropriata61, non condividendo il carattere di genericità della sua impostazione.

La Nussbaum interpreta la filosofia etico-politica aristotelica sulla base del concetto primario che il fine della politica non è quello di dispensare beni e cariche ma di «produrre capacità» per i cittadini, che posseggono i requisiti e le potenzialità di vivere una vita buona62. La formazione della vita virtuosa di un cittadino è fatta di tre componenti:

• le capacità interne (del corpo e del carattere) che sono sviluppate dall’educazione;

• le condizioni esterne (status sociale e disponibilità economica); • le capacità basilari di cui è dotato naturalmente.

Secondo questo resoconto le ultime sono le capacità che richiedono di essere sviluppate e riempite di funzionamenti attuali; in tal modo l’idea aristotelica di sviluppo umano ha un significato meritocratico, con lo scopo di fornire alle capacità naturali il proprio migliore sviluppo63.

Nussbaum ha sostenuto la necessità di specificare una lista di capabilities e functionings che possano essere accettate universalmente da ognuno in quanto uomo,

61 Cfr. Sen, Il tenore di vita, p. 126: “ [..] Mi pare allora che Sen debba essere più radicale di quanto sia stato fino ad ora nella sua critica alle teorie utilitaristiche del benessere, introducendo una considerazione normativa oggettiva dei funzionamenti umani descrivendo un metodo di valutazione oggettivo attraverso cui i funzionamenti possano essere valutati in base al loro contributo al buon vivere umano”(Nussbaum, 1990).

62 M. Nussbaum, Nature, Function and Capability: Aristotle on a Political Distribution, Oxford Studies in Ancient Philosophy; 1988; p.146.

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al fine di rendere applicabile l’approccio64. L’autrice stessa ha redatto una lista di capacità composta da dieci dimensioni65: vita; salute fisica; integrità e sicurezza personale; sensazioni, immaginazione e pensiero; emozioni; ragioni pratiche; associazione; bio-diversità; svago; controllo del proprio ambiente.

Vita: essere capaci di vivere per tutta la durata normale della vita di un essere umano, senza morte prematura o prima che la vita non valga più la pena di essere vissuta.

Salute fisica: essere capaci di stare in buona salute e di mettere al mondo dei figli, avere la possibilità di essere ben nutriti e di vivere in un luogo riparato.

Integrità e sicurezza personale: essere capaci di muoversi liberamente da un luogo ad un altro, essere capaci di autogestire un privato spazio vitale, avere la possibilità di vivere al sicuro da aggressioni, comprese le molestie sessuali, gli abusi sui minorenni e le violenze domestiche; avere la possibilità di beneficiare di soddisfazioni sessuali e di poter decidere in merito alla riproduzione.

Sensazioni, immaginazione e pensiero: essere capaci di utilizzare i propri sensi, di immaginare, di pensare e di ragionare – e di fare tutto ciò in modo “veramente umano”; avere la possibilità di essere ben informato, di godere di una buona educazione in ambito letterario, matematico e scientifico. Essere capaci di utilizzare l’immaginazione, di poter fare riflessioni e di metterle in relazione alle esperienze individuali, per la produzione di lavori personali, orientando così le scelte individuali, religiose, letterarie, musicali, ecc. Essere capaci di utilizzare queste facoltà in modo autonomo per garantire la libertà d’espressione con il pieno rispetto della propria mentalità politica, artistica e religiosa; di cercare il significato della propria vita; di vivere dell’esperienze gratificanti e evitare le difficoltà non importanti.

Emozioni: capacità di essere attaccati a delle cose e a delle persone al di fuori di noi stessi, amare chi ci ama e chi si prende cura di noi, patire della loro assenza; in generale, amare, patire, sperimentare il desiderio, la gratitudine e giustificare la

64 M. Nussbaum, Capabilities as fundamental entitlements, feminist Economics, forthcoming, 2003.

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collera. Possibilità di non subire uno sviluppo emozionale prodotto da paura e ansia profonda o per un evento traumatizzante come un abuso o una negligenza. Sostenere questa capacità significa sostenere forme d’associazione che possono essere cruciali per lo sviluppo dell’essere umano.

Ragioni pratiche: essere capaci di mettere in pratica una concezione del bene e ingaggiare una riflessione critica sulla pianificazione della propria vita.

Associazione: essere capaci di vivere con gli altri, riconoscere e prestare attenzione agli altri esseri umani per intraprendere varie forme di interazioni sociali; essere capaci di immaginare la situazione di altre persone e mostrare compassione per avere un senso di giustizia e amicizia. Garantire questa capacità significa proteggere le istituzioni che costituiscono e che nutriscono queste forme di associazione e anche proteggere le libertà d’assemblea e di discussione politica. Avere le basi sociali del rispetto personale e della non umiliazione; capacità di essere trattati in modo dignitoso allo stesso modo degli altri. Si suppone al meno una protezione contro le discriminazioni per razza, sesso, orientamento sessuale, religioso, sociale, o origine nazionale. Nel lavoro essere capaci in modo umano, esercitare un ragionamento pratico mentre si intrattengono delle relazioni costruttive e di mutua riconoscenza tra i lavoratori.

Bio-diversità: essere capaci di vivere in modo rispettoso e in relazione con la flora, la fauna e l’ambiente in generale.

Svago: essere capaci di ridere, di giocare, di svolgere hobby e di apprezzare le attività ricreative.

Controllo del proprio ambiente: sia politico – essere capaci di partecipare attivamente alle scelte di politica orientando la propria vita; avere la possibilità di garantire le proprie libertà d’espressione e di associazione; sia materiale – essere capaci di avere una propria proprietà (terreno e atri beni immobili) non solo in modo

Figura

Figura 2:  Il processo di determinazione del benessere .

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