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CAPITOLO 9 LA LAVORAZIONE DELLA STEATITE

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 9

LA LAVORAZIONE DELLA STEATITE

9.1 PREMESSA

La steatite è una varietà compatta di talco, il minerale più tenero della scala Mohs (durezza 1); è una roccia leggera e dall’aspetto polveroso, facilmente sfaldabile anche in lamine sottili. Solitamente è di colore verde, ma non mancano varianti bianche, crema, nere o rosse; in giacitura primaria si presenta in aggregati scagliosi di colore variabile a seconda delle impurità contenute e si trova associata a rocce metamorfiche, tra cui il serpentino di cui è componente accessorio (Fig. 138).

Fig. 138 – Steatite, campione geologico

Al tatto risulta scivolosa e ciò le ha procurato sia l'etimologia - dal greco steàzein, “rendere grasso”, o da stèatos (genitivo di stèar), che significa “grasso” - sia il nome comune di Pietra Saponaria. Essendo facilmente modellabile e al contempo compatta, fin dai tempi più antichi è stata utilizzata nella produzione di perline ed altri oggetti di ornamento. Le prime testimonianze risalgono al Paleolitico superiore e provengono da diverse grotte sparse in tutta la penisola italiana: le più celebri sono le “Veneri” provenienti dai Balzi Rossi (IM), 15 statuette femminili di dimensioni molto ridotte, tutte al di sotto dei 7 cm (Graziosi 1973; Gernone 1994).

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In seguito la steatite viene impiegata per produrre soprattutto ornamenti. L’utilizzo di questa pietra diviene piuttosto frequente a partire dal Neolitico finale con la cultura della Lagozza, analogamente a quanto avviene in Francia con lo Chasseano (Barge 1982). Nel periodo successivo, con la prima età dei metalli, si assiste ad un notevole incremento della produzione di ornamenti, non solo in steatite ma in tutti i materiali in qualche modo lavorabili (conchiglie, calcare, marmo, osso, etc.), come dimostra la grande quantità di reperti provenienti per lo più da corredi sepolcrali (Gernone 1994).

Quando è possibile, lo studio di questo tipo di materiale è significativo poiché i supporti conservano sulla superficie, in maniera anche evidente, le tracce degli interventi di lavorazione. Infatti, la modellazione di questa pietra, che viene praticamente limata, produce polvere bianca che si disperde; le tracce di usura degli utensili impiegati si conservano ben visibili sui reperti. Dall’osservazione delle usure, dall’analisi dei pezzi non ultimati e di quelli rotti, oltre che al tipo di strumenti impiegati, si può risalire alle diverse fasi di lavorazione e ai problemi tecnici inerenti questo tipo di attività.

Sia a Pian di Cerreto che al Muraccio, è stata rilevata una certa abbondanza di pezzi di steatite, non lavorati o appena sbozzati, e un gran numero di scarti di lavorazione. La provenienza dalle vicine formazioni ofiolitiche della Valle del Serchio (affioramenti nei pressi di Sasso Cinturino e Piazza al Serchio) della materia prima fa supporre che gli insediamenti fossero legati all’approvvigionamento e alla prima lavorazione della stessa.

Nello studio delle rispettive industrie, per quanto riguarda le tecniche di lavorazione e la ricostruzione della catena operativa di produzione, si è presa in considerazione la metodologia utilizzata da Tiscornia per lo studio tecnologico effettuato sugli oggetti di

parure in steatite della “officina di produzione” dell’età del Bronzo della Pianaccia di

Suvero (SP) (Tiscornia 1983; 1988), in parte modificata in seguito ad osservazioni e analisi effettuate successivamente su una maggior quantità di materiale a disposizione da Gernone (1994).

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Tale sito riveste un’importanza notevole, non solo dal punto di vista culturale nell’ambito dell’ età dei metalli della Liguria orientale, ma soprattutto perché costituisce una delle rarissime officine per la produzione di ornamenti.

In questa sede, l’obiettivo è tuttavia quello di sintetizzare e completare lo studio già in parte affrontato da Cristina Massei (Massei 2000) e Barbara Zamagni (Tozzi e Zamagni, 2000).

9.2 METODO DI STUDIO

Come precedentemente accennato (Par. 3.1), anche per l’industria in steatite si è preferito non catalogare singolarmente ciascun frammento di lavorazione o detrito naturale, ma rilevarne esclusivamente la collocazione planimetrica e stratigrafica, le dimensioni, il peso complessivo e altri particolari solo se strettamente necessari.

Si è realizzata una descrizione più ampia soltanto per quei reperti che, per le loro caratteristiche generali, possono offrire maggiori informazioni ai fini di una corretta ricostruzione della catena operativa di produzione.

Tutti i reperti recuperati, dal punto di vista tecnologico, possono essere ricondotti a tre grandi divisioni:

ƒ Scaglie: tutti i frammenti presenti nel deposito, naturali o distaccatisi dai blocchi di materia prima durante la lavorazione, con dimensioni inferiori a 25 mm;

ƒ Blocchi: costituiscono la materia prima da lavorare condotta nei siti dagli affioramenti situati a pochi chilometri di distanza, le cui dimensioni vanno da 25 a 50 mm;

ƒ Manufatti: comprendono la serie dei pezzi finiti, rotti, non terminati, i residui di sfaldatura o di frattura che in qualche modo possono fornire informazioni riguardo alle tecniche di lavorazione ed alla tipologia.

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Mentre il materiale dei primi due gruppi è stato solo conteggiato e pesato, quindi preso in esame solo da un punto di vista quantitativo, i reperti significativi sono stati descritti e catalogati singolarmente.

Lo studio tecnologico effettuato sugli oggetti di parure in steatite della “officina di produzione” dell’età del Bronzo della Pianaccia di Suvero ha consentito di mettere in evidenza differenti momenti della lavorazione della steatite, alcune delle quali riscontrabili nei due siti oggetto di studio:

1) PRELAVORAZIONE: fase iniziale in cui la materia prima grezza viene predisposta alla lavorazione tramite l’appianamento e la regolarizzazione delle facce. In questa operazione si può procedere nei seguenti modi:

a) per intaglio, tramite uno strumento litico scheggiato (bulino, lama, raschiatoio); b) per sfregamento, su superfici abrasive a grani grossi (tecnica definita anche

“abrasione su arenaria”);

c) per segmentazione, effettuata incidendo profondamente il pezzo con uno strumento litico scheggiato e procedendo poi alla separazione per frattura della parte assottigliata.

2) SBOZZATURA: fase in cui il blocco precedentemente preparato viene modellato nella forma più o meno definita dell’oggetto (abbozzo). Le tecniche relative a questa seconda fase della lavorazione sono le tre già descritte nella prima fase di lavorazione.

3) RIFINITURA: le facce e i bordi dell’oggetto vengono regolarizzati e smussati tramite sfregamento su superfici abrasive a grani fini, al termine di questa operazione il manufatto è sottoposto a lucidatura su pelle o tessuto utilizzando sabbia fine.

4) PERFORAZIONE: la fase finale realizzata con uno strumento litico come un bulino o una punta. Le perforazioni possono essere coniche, biconiche o cilindriche, a seconda del metodo utilizzato (Gernone 1994).

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Proprio a causa della delicatezza di quest’ultima fase di lavorazione si capisce come non si possa trattare di una tecnica standardizzata, bensì di un insieme di operazioni determinate da una valutazione del minor rischio di frattura, e comunque, dall’intenzionalità creativa dell’artigiano (Tiscornia 1983).

9.3 PIAN DI CERRETO

All’interno dell’industria sono presenti 4 manufatti determinabili, numerosi frammenti non lavorati e scarti di diverse dimensioni per un peso complessivo di 214 grammi.

Tra i manufatti ve ne sono 2 di forma triangolare allungata della lunghezza di circa 40 mm, sezione prismatica e con una larghezza che varia dai 10 ai 15 mm (Fig. 139). Presentano entrambi superfici faccettate dovute allo sfregamento su un supporto abrasivo. Su uno di essi , in particolare, sono state rilevate numerose strie di lavorazione sulle varie facce del supporto che appaiono piuttosto larghe e profonde, polidirezionali e ad andamento parallelo.

Si tratta probabilmente di preform da cui potevano essere confezionati, con lavorazioni successive, varie tipologie di ornamento: questo tipo di semilavorato è documentato anche alla Puzzolente, presso Livorno (Sammartino 1990).

Un terzo reperto, di forma sub piramidale, potrebbe rappresentare un brunitoio per la ceramica fine (Fig. 140). Esso presenta, unitamente a strie ad andamento irregolare, una evidente lustratura delle superfici. Inoltre la compresenza di margini a spigolo vivo e convessi potrebbe testimoniare un utilizzo sia per modellare che per lisciare le pareti ceramiche (Tozzi e Zamagni, 2000).

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Figg. 139 e 140 – Preform e brunitoio da Pian di Cerreto

Di notevole interesse è la presenza di esemplari dalle stesse caratteristiche in altri contesti di Neolitico antico attribuibili alla cultura del Vho (Starnini 1993)

Tuttavia l’analisi di altri contesti di fasi successive del Neolitico non ha permesso di riscontrare l’uso di tale materia prima per questo scopo, preferendo solitamente il serpentino o il calcare (Tozzi e Zamagni, 2000).

La determinazione dell’ultimo manufatto risulta più difficile a causa delle poche tracce presenti e ad un’infiltrazione calcarea su una faccia del supporto, elemento che potrebbe aver condizionato la scarsa lavorazione del pezzo.

Sono stati inoltre rinvenuti 99 scaglie e 12 blocchetti che presentano labili tracce di lavorazione che non ne consentono alcuna identificazione.

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9.4 MURACCIO

L’industria in steatite presente al Muraccio risulta più abbondante di quella di Pian di Cerreto (peso complessivo di 666 grammi). Si tratta principalmente di frammenti non lavorati e scarti ai quali si aggiungono 8 manufatti, che consentono, solo parzialmente, di ricostruire la catena operativa di produzione.

Tra essi vi sono 3 pezzi identificabili come brunitoi, per la presenza di superfici convesse e lustrate e margini a spigoli vivi, ai quali si aggiungono 4 preform più o meno lavorati. Uno è di forma rettangolare e presenta solo una porzione lisciata della superficie, 2 di forma quadrangolare (Fig. 141) e 1 a forma di goccia, il quale trova confronti con un esemplare simile della Pianaccia di Suvero.

Un reperto, in quanto frammentario, presenta solo generiche e indefinibili tracce di lavorazione.

Sono stati infine rinvenuti 57 scaglie e 2 blocchetti che presentano labili tracce di lavorazione che non ne consentono alcuna identificazione.

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9.5 CONSIDERAZIONI

In conclusione, per entrambi i siti, sembra che la lavorazione della steatite presenti le caratteristiche di un artigianato piuttosto embrionale, che utilizza materia prima scadente e adotta tecniche non particolarmente raffinate. I siti potrebbero aver costituito dei veri e propri atelier per la produzione di supporti semilavorati e, data la scarsa quantità delle industrie in steatite, si potrebbe ipotizzare che lo scavo abbia forse interessato solo una parte delle rispettive aree di lavorazione (Tozzi e Zamagni, 2000 ). Il ritrovamento di alcuni strumenti passivi in arenaria (Cap. 11) utilizzati per la loro superficie abrasiva potrebbe confermare tale interpretazione.

Analisi sperimentali condotte per individuare il ciclo di produzione della steatite destinato alla realizzazione di oggetti di ornamento, hanno accertato l’uso di abrasivi fini per modellare le superfici (Massei 2000). Anche nell’atelier per la lavorazione della steatite di Suvero sono stati trovati numerosi blocchi in arenaria dalle superfici piatte utilizzate probabilmente a questo scopo.

Non per ultima, l’abbondanza di lame e lame raschiatoio, nonché la presenza di un bulino per ciascun sito all’interno dell’industria litica scheggiata contribuirebbe ad avvalorare questa teoria.

Sotto l’aspetto tecnologico, è possibile stabilire dei confronti con i materiali provenienti dalla località La Puzzolente situata a Nord-Est di Livorno, che ha fornito la raccolta più cospicua di prodotti in steatite, attribuita, in base alle associazioni ceramiche, a una facies di tipo campaniforme (Sammartino 1990).

Sempre dall’area livornese, proviene tuttavia una serie di testimonianze che provano l’esistenza di altri centri di lavorazione della steatite per la produzione di ornamenti (Sammartino 1986; 1990). Purtroppo si tratta di reperti provenienti da raccolte di superficie e quindi non sempre di attribuzione culturale sicura, tanto più che l’ambito in cui si collocano, l’Eneolitico, è caratterizzato da facies e scansioni cronologiche piuttosto complesse (Cocchi Genick e Grifoni Cremonesi, 1989).

Figura

Fig. 138 – Steatite, campione geologico
Fig. 141 -  Preform da Muraccio

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