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MARKETING 2.0

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Academic year: 2021

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MARKETING 2.0

1.1 Social media marketing

‹‹Le aziende e le organizzazioni devono tenere in forte considerazione questa evoluzione nelle relazioni tra gli individui, perché la familiarità con gli strumenti digitali sociali porta ciascuno a desiderare (magari a pretendere) lo stesso tipo di relazione anche nei rapporti tra aziende e consumatori.›› (Di Fraia, 2013, p.27).

Dalle parole di Guido Di Fraia emerge l’importanza che può avere, nel nuovo panorama digitale 2.0, l’analisi del social media marketing e più nello specifico la definizione di un progetto operativo.

Il mondo di Internet, con il passare del tempo, assume sempre forme nuove e maggiormente avanzate, proprio in virtù di ciò Cosenza (2012) analizza e classifica il web 2.0 in tre macrocategorie:

• nuovi strumenti di produzione che sostituiscano gli oramai obsoleti programmi installati sui personal computer;

• creazione di strumenti che facilitino la creazione di contenuti dal basso;

• ideazione di filtri che permettano all’utente di selezionare soltanto i contenuti ritenuti utili.

L’evoluzione del web permette all’azienda, quindi, di essere visibile in rete sempre e comunque al di là della sua localizzazione geografica; essa può inviare messaggi personalizzati ai clienti qualora essi lo richiedano o abbiano dato il consenso, può monitorare il comportamento dell’internauta che accede al portale, i dipendenti possono migliorare l’efficacia e la sfruttabilità del sito Internet rendendo, per esempio, più semplice la navigazione e il raggiungimento degli obiettivi dell’acquirente, l’impresa può inoltre, monitorare i dialoghi tra consumatori che avvengono in rete e, in ultima battuta coinvolgere gli internauti in attività online di promozione di prodotti o servizi realizzando il cosiddetto “viral marketing”.

L’ambiente digitale sopradescritto diviene quindi lo scenario principale nel quale si articolano i rapporti tra utente ed azienda; il costo delle informazioni in rete, per i clienti, è molto basso e questa è una delle caratteristiche principali della nuova realtà digitale. L’altra peculiarità, direttamente collegata alla precedente, riguarda il fatto che le informazioni sul prodotto in Internet, vengono fornite separatamente rispetto al prodotto stesso, in quanto il cliente, che consulta le caratteristiche di una merce online non ha modo di maneggiarla fisicamente. Che conseguenze ha questa abbondanza di informazioni che il consumatore trova nel web? L’acquirente purtroppo, di fronte a troppe nozioni è costretto, prima di acquistare un prodotto, a valutarle e processarle tutte, mentre se la merce fosse davanti a lui fisicamente, le informazioni sarebbero minori ma in maniera inversamente proporzionale sarebbe maggiore la capacità, per

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lui, di poter prendere una decisone sull’acquisto del prodotto in breve tempo (Wind, Mahajan, 2001, p.213).

All’interno dell’ambiente digitale il potenziale consumatore ha un comportamento che può essere studiato dal brand e dal quale possono emergere alcune riflessioni importanti. Ciò che avviene online è sempre sotto la completa supervisione dell’utente e tutto viene svolto secondo sua volontà; dalla modalità di navigazione in rete si possono rilevare una serie di indicatori utili per ulteriori e successive analisi, le opinioni del consumatore sul sito o sul prodotto possono essere ottenute dal brand tramite osservazioni accurate oppure anche in modo meno preciso, per esempio l’abbandono del sito, che viene registrato, da parte dell’utente può essere sinonimo di non soddisfazione durante la navigazione (Wind, Mahajan, 2001, p.218).

Secondo alcuni dati Eurisko, relativi all’anno 2012, l'87% delle imprese con più di 50 dipendenti ha un sito web, per le piccole e medie imprese con meno di 10 addetti la percentuale è inferiore al 50%, con una punta negativa del 15% per le imprese composte da solo 1 o 2 lavoratori.

L'indagine è stata condotta su un campione di 1.000 imprese italiane individuandone, a seguito della rilevazione, tre macrocategorie:

• le aziende online attive, possiedono un sito e si impegnano in campagne di marketing virtuali o di e-commerce;

• le imprese online, dotate di una pagina web ma senza la volontà di investire in strategie di marketing e neppure nel commercio in rete;

• le aziende offline, prive di sito Internet e totale assenza di strategie di marketing e e-commerce.

La prima categoria, grazie alla propria consistente presenza nel web, ha registrato un incremento annuo dei ricavi dell'1,2% contro il trend negativo delle altre due categorie (-2,4% per quelle online e -4,5% per quelle offline).

Il 65% delle imprese online attive ha affermato di aver addirittura migliorato la propria produttività grazie all'uso della rete in opposizione al 28% delle aziende online e il 25% di quelle offline.

È dalle parole di Marc Vos, partner & managing director, nonché responsabile della practice TMT per l'Italia, la Grecia e la Turchia di The Boston Consulting Group, che si può intuire quanto sia importante per le aziende investire in rete: ‹‹Le "attive" anche negli anni più difficili hanno avuto buoni risultati e assunto lavoratori››1(Vos, cit. in Traversa, 2011).

Addirittura, negli ultimi 5 anni (2008 – 2012) investire nella rete ha significato, per il 34% delle aziende online attive, poter assumere nuovo personale; la possibilità di far ciò è sicuramente imputabile all'incremento di fatturato che le imprese online attive hanno registrato, il quale

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evidenzia però un ulteriore aspetto legato all'economia di Internet, ovvero la creazione di nuove figure professionali, esperti di siti web, community manager per i social network e gestori di portali di e-commerce, che l’impresa online attiva avrà tutto l’interesse ad assumere1.

È quindi evidente, dai dati sopra riportati, che ‹‹un’azienda che non è presente in rete o nei social media è un’azienda che comunica la propria assenza›› (Di Fraia, 2013, p.20).

Nasce proprio da queste parole di Guido Di Fraia (2013) l’esigenza di studiare ed analizzare il fenomeno del social media marketing per capire meglio cosa spinge le aziende ad investire nel web, più nello specifico nei social media, e con quali strumenti intendono farlo. Se si esaminano le singole parole che compongono l’acronimo SMM si ottiene la definizione sopra riportata, in quanto: il termine “social” suggerisce una comunicazione tra due parti, la parola “media” indica la piattaforma attraverso la quale si ottiene l’interazione, mentre per “marketing” si intende la volontà dell’azienda di promuovere i propri prodotti e servizi finalizzata alla vendita. Il world web marketing, caratterizzato da due diverse tipologie di marketing, l’entry (utilizzato per realizzare attività che convoglino i visitatori verso il proprio sito Internet) e l’exit (tecnica con la quale si cerca di trattenere l’acquirente), offre ai suoi fruitori numerosissime opportunità; rispetto agli anni 1960 – 1980, dove erano esclusivamente le imprese a decidere ciò verso cui i loro clienti dovessero puntare l’attenzione, oggi è l’esatto contrario. Questo nuovo panorama andato delineandosi fino ai giorni nostri, può essere analizzato seguendo tre caratteristiche che lo identificano: interattività con i mercati, globalizzazione degli stessi e possibilità di scambiare informazioni in tempo reale (Morelli, 2000, p.81).

Nasce proprio in questo contesto 2.0, una nuova forma di attività economica che spinge le aziende a cercare un contatto diretto con i consumatori attraverso canali pubblicitari e altri mezzi più innovativi e interessanti; tutto ciò accade perché oggi sono i potenziali clienti a produrre contenuti, dal basso, e le aziende devono necessariamente adeguarsi a questo nuovo modo di comunicare, se vogliono raggiungere i propri “bersagli”2.

Effettuare una campagna di marketing online per un’azienda significa essere pronta a creare contenuti, riguardanti il prodotto o servizio che commercializza, in modo rapido e flessibile, rendendoli fruibili e aperti, chiedendo successivamente un riscontro ai consumatori che in rete esprimono la loro opinione; oggi gli scambi di idee e le discussioni avvengono per lo più in realtà virtuali, quali blog, forum, social network, siti e portali web, tutti questi mezzi forniscono agli internauti la possibilità di discutere e scambiarsi opinioni in piena libertà3.

1 www.osservatori.net/c/document_library/get_file%3FfolderId%3D844132%26name%3DDLFE-17406.pdf+La+penetrazione+di+Internet,+in+particolare+tra+le+piccole+imprese,+è+però+ancora+bassa %3B+secondo+gli+ultimi+dati+Eurisko,+mentre+l’87%25+delle+aziende+con+più+di+50+dipendenti+h a+un+sito&cd=2&hl=it&ct=clnk&gl=it 2 http://www.mercatoglobale.com/marketingecomunicazione/il-social-media-marketing-smm-e-il-marketing-del-futuro

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Si è arrivati a parlare di social media marketing nel momento in cui, a seguito della più grande rivoluzione culturale che ha dato vita ad Internet, la comunicazione tra clienti e brand non avveniva più tramite i media tradizionali quali tv, radio e giornali, ma attraverso il web; per le strategie di marketing i social network, nello specifico, e affini sono diventati indispensabili3. Su Facebook i principali prodotti Ferrero, Nutella al primo posto nella classifica di preferenze, hanno registrato un notevole boom di “adesioni”. Il brand Barilla, per esempio, ha realizzato diverse applicazioni per il dispositivo IPad creato da Apple; una di esse ha il nome “iPasta”, App che fornisce al fruitore un elenco di ricette da poter cucinare utilizzando proprio la pasta Barilla. Un altro media molto interessante è YouTube, sono sempre più numerose le aziende italiane che creano online un proprio canale e lo utilizzano come strumento di marketing, questa tendenza è aumentata esponenzialmente nel 2010. Il settore della moda ha subito sfruttato i vantaggi che la capacità di comunicare in modo visivo e di interagire contemporaneamente con milioni di clienti in tutto il mondo, offriva. Il marchio Dolce&Gabbana, per esempio, articola la propria presenza online in modo modulare: il canale su YouTube è stato creato con la finalità di far conoscere sempre più il marchio D&G, mentre il sito istituzionale ha lo scopo di illustrare le offerte del momento. L’apposito Internet store, invece, è stato ideato per soddisfare precisamente le esigenze degli acquirenti interessati ad acquistare gli abiti dei due stilisti italiani. Per ciò che concerne il settore dei viaggi, la ricerca in rete è la più utilizzata, oltre che per viaggi di lavoro, anche per vacanze di piacere; la Galleria degli Uffizi, per esempio, ha aderito al progetto Google Art, che permette alla clientela di conoscere ed esaminare tutte le sale del museo direttamente dal proprio pc ancor prima di averle visitate fisicamente3.

Tuttavia, non è possibile affermare che i vecchi mezzi di comunicazione non siano più “in voga”, al contrario se affiancati ai moderni social network, permettono alle imprese di raggiungere più facilmente i loro primari obiettivi, quali:

• far sì che un brand sia nelle prime posizioni dei risultati di Google, aumentando così la sua notorietà;

• ascoltare la parte abitata della rete che discute e si confronta a proposito del brand ed in base al pensiero dei consumatori, adottare la strategia di marketing più adeguata;

• favorire lo sviluppo di relazioni di tipo orizzontale, di fiducia, orientando così i comportamenti d’acquisto;

• fidelizzare il cliente al brand, contando quindi sul suo positivo passaparola e sui suoi acquisti (Di Fraia, 2013, p.112).

Nel passaggio da tradizione a modernità, nel nuovo panorama 2.0, è necessario affiancare ai tradizionali strumenti di ricerca, un’attività di analisi esplorando canali posseduti (owned

3 http://www.fattoreinternet.it/pdf/Fattore%20internet-2011.pdf

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media), da conquistare (earned media) ed eventualmente da comprare (paid media) (Di Fraia, 2013, p.64).

Da analizzare, in primis, sono i canali già posseduti dal brand per i quali l’impresa non deve investire somme di capitale, ma può semplicemente migliorarne il servizio. Quando si parla di owned media si fa riferimento al sito Internet dell’azienda, a corporate blog, newsletter, etc. Tutti questi canali, a disposizione dell’impresa, devono essere studiati ed analizzati a livello di contenuti, design e servizi cercando di capire se è possibile riuscire ad ottenere da quello stesso strumento, qualcosa in più. Investire tempo e risorse per sfruttare al meglio mezzi di comunicazione che già si possiedono è estremamente più semplice che partire da zero dovendosi guadagnare, con le proprie forze, canali tramite i quali poter arrivare al consumatore. Un esempio lampante di mezzi guadagnati sono i social media: le piattaforme sono a completa disposizione degli utenti, il brand che meglio struttura l’immagine della propria azienda acquisirà maggior seguito. Oltre ai social media è importantissimo per il brand, come già precedentemente accennato, guadagnarsi anche le prime posizioni nei risultati di ricerca di Google, per far ciò dice Di Fraia (2013) è necessario:

‹‹offrire contenuti di valore, dare conoscenze preziose, formare le persone, farle crescere attraverso ebook da scaricare, aree premium del sito, in cambi odi un’e-mail, è la conquista del mezzo più ambito: il contatto diretto […] con il quale è possibile svolgere un’attività di marketing formidabile attraverso newsletter.›› (Di Fraia, 2013, p.63).

Infine, l’ultima tipologia di canale da analizzare è il paid media; come suggerisce il nome stesso, per poter fruire di questi canali, è necessario che l’impresa investa denaro per acquistarli. I circuiti editoriali Adsense di Google sembrano essere il canale a pagamento migliore per raggiungere gli utenti; nel motore di ricerca Google gli internauti digitano le parole che esprimono il loro bisogno e il portale offre una risposta in linea con le richieste esternate. Utilizzare Google significa quindi per il brand raggiungere in maniera precisa un cluster specifico di consumatori con grande efficacia e costi contenuti (Di Fraia, 2013, p.69).

Prima di analizzare i singoli social media e cercare di capire per un’azienda quale sia quello migliore da adottare, è necessario fare una precisazione proprio su essi; si tende, in modo erroneo, a considerarli indistintamente appartenenti tutti ad un'unica categoria, mentre in realtà è necessario suddividerli in quattro tipologie:

• servizi di pubblicazione e gestione dei contenuti;

• mezzi attraverso i quali è possibile condividere file mediali, l’obiettivo di essi è la relazione tra persone;

• social network, dove è possibile recuperare rapporti di amicizia oppure espandere la propria rete di conoscenze;

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• ambienti virtuali che offrono la possibilità di creare realtà di gioco e di relazione con altri (Cosenza, 2012, p.7).

Ancor prima di definire un vero e proprio progetto di marketing è necessario che il brand, in base ai propri obiettivi, esamini ogni singolo social media e valutando una serie di parametri decida se e quali adottare.

I costi relativi all’apertura di un blog spesso rientrano nei budget di marketing di grandi aziende ma richiedono un consistente coinvolgimento di personale specializzato interno all’azienda; i blogger, infatti, riescono a creare del brand un immagine forte ed autorevole. L’impresa che decide quindi di investire nell’apertura di un blog avrà sicuramente chiaro che esso può essere utile per far conoscere il brand in rete, per fornire informazioni aggiuntive sul marchio e per offrire news in tempo reale ai clienti abituali.

Nel caso in cui il cuore della pubblicità e del farsi conoscere in rete coincida con elementi quali foto, video o link, il mezzo più idoneo da utilizzare è Tumblr, che permette una diffusione virale di contenuti multimediali e tutto ciò può essere attuato anche per campagne di breve periodo, vista la semplicità di accesso e utilizzo del suddetto social media.

Un altro mezzo di comunicazione che può essere utilizzato, qualora l’obiettivo dell’impresa sia quello di pubblicizzare il proprio marchio tramite filmati e/o video, è Youtube; all’interno del proprio canale l’azienda può pubblicare tutti i file multimediali che di volta in volta, aumentando, vengono archiviati (Cosenza, 2012, p.32).

Il social media Twitter è l’ideale per l’impresa che vuole lanciare brevi ma efficaci messaggi al popolo del web; i 140 caratteri massimi che un tweet può raggiungere sembra, inizialmente, un limite per l’azienda, in realtà non lo è affatto se considerato contemporaneamente all’immediatezza attraverso la quale viene diffuso.

Facebook è il social network per eccellenza, una grande vetrina alla quale, tramite un’iscrizione, tutti possono accedere ed il contenuto prodotto da un brand può essere visionato da qualsiasi internauta. Ovviamente utilizzando una pagina Facebook, aperta a chiunque voglia accedervi, la possibilità per l’impresa di trovare consumatori veramente interessati ad acquistare il prodotto/servizio commercializzato è minore rispetto ad altri media. Mentre un blog può essere paragonato ad una piccola bottega artigiana dove la clientela che vi accede è ridotta ma sicuramente interessata al prodotto, Facebook assomiglia di più ad un grande centro commerciale colmo di visitatori ma non tutti interessati al solito brand.

A questo proposito può essere utile analizzare i dati emersi da un’analisi effettuata dall’Osservatorio Brands e Social Media, promosso da Digital PR con il supporto scientifico dell’OssCom, il centro di ricerca sui media e la comunicazione dell’Università Cattolica. Sono state studiate 100 aziende italiane appartenenti a settori merceologici differenti ed è emerso che

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Facebook viene utilizzato indistintamente da tutte le imprese sopra citate, un notevole successo è stato riscosso anche da Youtube che coadiuva le aziende nella comunicazione online relativa alla pubblicazione di contenuti ludici e/o educativi. A differenza di Facebook, invece, Twitter ha un ruolo ancora marginale e viene usato solo in casi sporadici per riproporre messaggi già diffusi con altri mezzi di comunicazione. Infine, data la sua specificità e legato prettamente al settore della fotografia, Flickr viene utilizzato esclusivamente dalle imprese che appartengono a tale realtà produttiva (Cosenza, 2012, p.35).

Il progetto di SMM, nonostante le opportunità che offre, viene scarsamente utilizzato dalle aziende italiane; uno studio dello IULM, effettuato nel 2011 e condotto su 720 imprese “nostrane”, diverse tra loro per settore merceologico e per dimensione, ha reso noto che solo il 32,5% delle imprese utilizza strumenti partecipativi per arrivare alla propria clientela, nello specifico il 35,2% usa Facebook, il 15,5% Linkedin, il 14,1% YouTube, l’8,8% Twitter e il 3,9% il blog. Addirittura l’83% delle aziende esaminate non ospita, all’interno del proprio sito Internet, alcun link di condivisione con social network (Cosenza, 2012, p.33). La motivazione che sottende l’analisi appena effettuata risiede nel fatto che le imprese italiane hanno una scarsa conoscenza delle opportunità offerte dal web 2.0 e quindi l’utilizzo dei mezzi tecnologici è carente. Purtroppo tali realtà, come tutte le imprese offline, non giovano delle opportunità che la rete può offrire; infatti una recente ricerca, effettuata dall’American Chamber of Commerce in Italy, ha evidenziato come le aziende, con una forte presenza nel mondo digitale, siano cresciute a una velocità più che doppia rispetto alle altre. Le imprese online che hanno investito oltre il 2% del proprio fatturato annuo in tecnologie legate ad Internet hanno registrato nel biennio 2008-2010, un tasso di crescita di circa il 10% annuo, mentre le aziende “offline” non hanno verificato variazioni. Inoltre le imprese “nostrane” che hanno orientato il 5% dei propri dipendenti a mansioni correlate alla rete, hanno ottenuto un margine operativo del 50% superiore a quello di aziende concorrenti che non hanno adottato questa strategia. Un altro aspetto interessante riguarda le esportazioni; le aziende web oriented hanno raddoppiato le performance, ottenendo ricavi esteri superiori al 5% del totale, rispetto al 2% delle imprese poco attive in rete.

Lo studio è stato condotto su oltre 4.800 PMI attive in 13 diversi paesi ed ha rilevato che in Italia, Internet è un motore particolarmente importante per la crescita e la redditività delle aziende4.

È assolutamente importante, per le imprese online, che anche all’interno di esse, nella relazione tra colleghi, fornitori e partners, si utilizzi la stessa metodologia di approccio relazionale che si trova nell’esterno contesto sociale. L’azienda che ignora questa possibilità, rimanendo ancorata

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ai vecchi sistemi di comunicazione, rischia che il proprio ambiente professionale rimanga caratterizzato da logiche relazionali che a lungo andare diverranno obsolete.

Esistono esperti di pubbliche relazioni che misurano il grado di apprezzamento della propria impresa da parte degli utenti tramite sondaggi ed interviste online, reparti adibiti che gestiscono e cercano di risolvere problematiche sollevate dal consumatore e un team di ricerca e sviluppo che crea i prodotti aziendali in base alle singole esigenze del cliente; questi sono i caratteri delle nuove aziende 2.0 (Di Fraia, 2013, p.31).

Grazie ai sondaggi online, di gran lunga più veloci rispetto a quelli telefonici e in virtù dell’apertura di siti web aziendali è più semplice, per il brand, conoscere le esigenze e le preferenze dell’acquirente e lavorare su di esse. È proprio questo genere di “partnership” tra azienda e consumatori che ha portato, per esempio, il brand Barilla a creare il sito Internet “Il Mulino che vorrei” (www.ilmulinochevorrei.it) dove i clienti suggeriscono idee per nuovi prodotti e promozioni, cosicché l’impresa lavori proprio su di essi3.

Conoscere le preferenze dei consumatori e poter lavorare su di esse è un vantaggio di cui le imprese “online attive” possono fruire, poiché hanno deciso di investire in rete e i benefici che ne derivano sono molteplici.

I nuovissimi social media concedono all’azienda la possibilità di stabilire una comunicazione immediata che consente quindi, in un tempo brevissimo, di raggiungere sia i consumatori “generici” che quelli di nicchia, con preferenze molto più precise e delineate, verso i quali l’impresa si porrà utilizzando uno specifico linguaggio comunicativo, declinato a seconda degli obiettivi che si vogliono raggiungere. Il web 2.0 offre alle aziende, quindi in questa prospettiva, una duplice possibilità: arrivare alla clientela che, normalmente, cerca il prodotto di suo interesse all’interno del negozio e avvicinarsi al target di consumatori potenzialmente interessati alle offerte del brand, che però, per motivi svariati, non si sono mai accostati al marchio.

L’altra fondamentale finalità è la promozione; attraverso i social network è possibile coadiuvare le campagne promozionali tradizionali già presenti. Il contributo che la promozione online può offrire è relativo a casi in cui sono necessarie mosse mirate ad incentivare, per esempio, la partecipazione ad un evento. Le istituzioni utilizzano ovviamente questi “servizi” in modi molto diversi; le realtà più strutturate che intraprendono iniziative di marketing forti, li utilizzano per presentare tramite i social network omaggi, benefits, prezzi speciali, etc.

Lo strumento promozionale è finalizzato non tanto alla vendita immediata, quanto alla fidelizzazione di acquirenti e alla creazione di una collettività virtuale che possa trovare elementi di identificazione sia sul web che nella realtà5.

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Il terzo vantaggio, che l’investimento in social media può offrire, coincide con quello che Di Fraia (2013) descrive con il nome “content marketing”; con il suddetto appellativo si indica la procedura attraverso la quale un’azienda, oltre alla visibilità pagata per promuovere il proprio brand, si avvale anche di una visibilità guadagnata, in termini di creazione da parte dell’impresa stessa di contenuti interessanti, attraverso i quali poter raggiungere i propri clienti. Dice Di Fraia (2013):

‹‹Certo, chiunque dispone di un budget e di un modello economico sostenibile può acquistare spazi pubblicitari che garantiscono il diritto di figurare nella pagina dei risultati […] rimane il fatto che non più del 15% degli utenti seleziona le inserzioni pubblicitarie su Google, mentre la larga parte dei clic sono destinati alle pagine web ritenute più rilevanti dall’algoritmo del motore di ricerca.›› (Di Fraia, 2013, p.40).

Ciò che Di Fraia (2013) descrive, può essere paragonato ad un circolo vizioso dove i siti Internet, con contenuti interessanti e divertenti, riscuotono maggiori visite da parte del consumatore rispetto ai tradizionali canali di pubblicità e più questa condizione si consolida maggiore sarà il successo dei siti web; nonostante ciò permangono comunque grosse differenze tra i singoli siti Internet delle differenti aziende, taluni più curati e seguiti, mentre altri meno. Google, come gli altri motori di ricerca premiano, ovviamente, i contenuti che piacciono maggiormente agli utenti inserendoli al primo posto nelle loro graduatorie per numero di click. La paura più grande dell'impresa che decide di investire nel social media marketing, è quella di dover radicalmente cambiare le proprie abitudini e modificare ciò che sino ad allora era una certezza; il punto è che l'impresa, per assurdo, avrebbe già tutto ciò che le occorre per poter sviluppare un piano di content marketing, a partire dalle risorse fisiche che compongo l’organico. Le competenze e le conoscenze del capitale umano potrebbero essere utilizzate, non solo per fini di business, ma anche e soprattutto per far conoscere al mondo esterno quale sia il vero valore del brand dal quale acquistano i prodotti. Potrebbe essere, quella appena descritta, una soluzione valida ed efficace soprattutto per le aziende la cui reputazione non è ai massimi livelli; con una strategia di content marketing l'azienda potrebbe far avvicinare il consumatore al produttore, cercando di attenuare i dissapori espressi dall' utente coinvolgendolo nel processo descrittivo dell'impresa. Conoscere qualche aspetto in più del marchio in questione può permettere al cliente di avere idee più flessibili e meno rigidamente negative (Di Fraia, 2013, p.41)

Il progetto di content marketing analizzato sino ad adesso in linea generale ha però tre caratteristiche principali.

La prima peculiarità riguarda la consistenza dei contenuti in rete: è necessario produrre concetti che siano di sicuro interesse per il consumatore, la cui tematica può vertere su aspetti

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divertimenti ed ironici oppure su elementi che abbiano un valore informativo e che per loro natura siano utili ed interessanti.

La seconda caratteristica è la continuità: il progetto di content marketing deve essere strutturato in un ottica di lungo periodo, poi taluni risultati possono anche essere visibili nell'immediato, ma la filosofia di fondo è proprio quella di gestire gli investimenti nel lungo termine.

Il terzo ed ultimo carattere è la diffusione: i contenuti creati dall'azienda debbono essere fruibili dagli utenti attraverso svariate tipologie di piattaforme, fisse e mobile, in qualsiasi momento e luogo. Inoltre l'impresa deve inconsciamente accettare che i propri contenuti possano essere utilizzati liberamente dai clienti e redistribuiti (Di Fraia, 2013, p.46).

Nel nuovo panorama 2.0 il social media marketing, appena definito e descritto, è un fenomeno che genera un grande flusso di conversazioni che coinvolgono persone, aziende e organizzazioni.

I potenziali clienti trascorrono sempre più tempo online: fanno ricerche, trovano informazioni, si confrontano con altri utenti ed è proprio in questo modo che si formano e diffondono le loro opinioni nel web. Per queste ragioni è fondamentale che l’impresa li “intercetti” in rete, intraprenda con loro relazioni durature e ascolti i loro feedback per adeguare la produzione alle preferenze dell’utente e per migliorare la sua reputazione online.

Questi appena descritti sono gli obiettivi principali per cui un’azienda investe in un progetto di social media marketing; nel paragrafo seguente si descriveranno le motivazioni che spingono un’impresa ad investire online, le fasi che si susseguono durante lo sviluppo del progetto e gli elementi su cui l’azienda lavora affinché esso abbia successo.

1.2 Progetto di social media marketing: caratteri generali

La definizione di un progetto di social media marketing è fondamentale per le aziende, specialmente in un’epoca dove gli utenti/consumatori sono soprattutto online; è necessario, però, che tale campagna sia progettata, realizzata e seguita dal team di lavoro nel migliore dei modi affinché possa offrire ottimi risultati.

È opportuno iniziare delineando quella che può essere definita la prima fase che l’impresa deve seguire nell’adozione di un progetto di social media marketing, ovvero la decisione di quale mezzo di comunicazione adottare per l’esposizione del marchio in rete; a questo proposito può essere opportuno utilizzare una mappa di posizionamento strategico dei social media (Cosenza, 2012, p.223).

La mappa sotto riportata mostra un’asse verticale che esprime le caratteristiche delle diverse piattaforme, che possono dare maggior spazio alla conversazione piuttosto che alla distribuzione

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di contenuti ed un asse orizzontale che, invece, rappresenta le diverse tipologie di persone che frequentano i luoghi sociali.

Figura 1 Mappa di posizionamento strategico dei social media

Fonte: Cosenza, 2012, p.223

L’audience può essere quindi orientata ad interessi specifici e quindi focalizzata, oppure defocalizzata, cioè rivolta ad interessi di massa.

Queste quattro variabili si incrociano in modi differenti e vanno a fissare i diversi social media, in base alle loro caratteristiche, sulla suddetta mappa.

La prima variabile, delle quattro sopra citate, è la conversazione focalizzata, perfettamente espressa da piattaforme quali Google+ oppure LinkedIn che consentono la comunicazione tra l’azienda ed un pubblico di nicchia.

La seconda è la conversazione defocalizzata: l’obiettivo primario è quello di curare la rete di relazioni e creare contatti con il maggior numero di persone possibile, nonostante possano avere gusti, preferenze e interessi diversi rispetto a quelli espressi dal marchio, l’esempio migliore per questo tipo di carattere è Facebook.

La terza è la distribuzione focalizzata: si tende a convogliare i contenuti da pubblicare verso un pubblico di nicchia sicuramente interessato a ciò che si propone; Flickr, Tumblr e Twitter sono gli esempi più calzanti.

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La quarta ed ultima variabile è la distribuzione defocalizzata: privilegia, attraverso canali come Youtube, la distribuzione di contenuti verso un pubblico ampio e non necessariamente attratto da ciò che viene proposto.

Tale mappa permette quindi all’impresa, attraverso l’incrocio di una serie di variabili, di decidere in base alle loro caratteristiche ed in funzione degli obiettivi aziendali, quali sia la piattaforma migliore da adottare (Cosenza, 2012, p.223).

Una volta che i mezzi di comunicazione online sono stati scelti, si passa all’adozione di essi in azienda e quindi, eventualmente, alla ridefinizione di specifici asset organizzativi d’impresa. L’adozione del media scelto segue quattro stadi: sperimentazione, adozione, integrazione e azione (Cosenza, 2012, p.70).

La fase di sperimentazione può essere iniziata in due modalità diverse: spontanea e disordinata. oppure seguendo un criterio maggiormente razionale. Ad usare la metodologia meno rigorosa sono le aziende multinazionali che operano in più paesi; tali realtà utilizzano i social media in virtù di dipendenti appassionati che utilizzano la rete al di fuori della realtà professionale e decidono di importare queste tecniche anche nel contesto lavorativo. Pensare che ogni impresa facente capo al solito brand, possa creare pagine Facebook diverse in ogni paese in cui sorge è davvero impossibile, soprattutto per il manager che si trova a dover gestire una situazione simile. Questo tipo di sperimentazione dovrà essere chiaramente arginata, in maniera razionale, da agenzie competenti, le quali si preoccuperanno di individuare i vari asset attivi, definire punti di forza e di debolezza dei singoli asset individuandone i creatori. Questi ultimi dovranno essere guidati da regole condivise, che non avranno la funzione di limitare il loro lavoro ma, al contrario, dovranno stimolare e guidare l’inventore dell’asset a crearlo e successivamente gestirlo con maggior raziocinio (Cosenza, 2012, p.71).

La seconda modalità prevede invece che la decisione di portare l’azienda online venga presa dal manager, con l’unico obiettivo di testare questa nuova realtà 2.0 e le opportunità che può offrire, ma inizialmente senza alcun fine pecuniario. In questo panorama il manager ha solo la funzione di supervisone, mentre gli aspetti più pratici, che permettono l’ingresso di Internet nell’impresa, sono delegati a figure con specifiche competenze; è ovvio che sarà poi necessario, se il manager decide di mantenere i media in azienda, investire in questo settore e coordinarsi con altri imprenditori al fine di ottenere materiali e autorizzazioni per rispondere alle sollecitazioni degli utenti online.

La seconda fase di adozione dei media nell’impresa è caratterizzata dall’acquisizione finalizzata con uno specifico obiettivo di business e la figura del manager diviene social media manager. Quest’ultimo ha il compito di contattare responsabili marketing o addetti alle relazioni esterne per coinvolgerli in una serie di attività gestite tramite i nuovi mezzi di comunicazione. Il

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successo di questa “sfida” fa sì che il social media manager, nella sua posizione, acquisti sempre maggiore rilevanza e il suo lavoro aumenti, al punto che inizieranno ad essere fondamentali linee guida e procedure per riuscire ad ottenere un coordinamento tra team funzionali. Man mano che si prosegue nella fase di adozione finalizzata, aumenta in maniera direttamente proporzionale, la necessità di introdurre figure di ausilio al processo, quali community manager, digital PR manager, social analytics manager e così via. Procedendo gradualmente nell’implementazione e adozione di Internet nell’impresa, si passerà dall’adozione finalizzata ad una adozione estesa (Prunesti, Pierciavalle, 2013, p.112).

La terza fase del processo è quella dell’integrazione. Le piattaforme 2.0 sono divenute parte integrante dell’ambiente professionale e non è più necessaria la figura di uno specialista che si occupi di ciò; l’intera organizzazione ha conoscenze dettagliate sull’utilizzo dei social media ed è assolutamente cosciente di quale sia l’importanza di raggiungere obiettivi di business attraverso questi strumenti.

Una volta che i mezzi di comunicazione sono totalmente integrati, sorge la problematica di come debbano essere gestiti; non tutte le aziende sono configurate ed organizzate per lavorare includendo nel proprio processo i social media, è necessario, pertanto, comprendere le possibili configurazioni d’impresa valutando benefici e criticità. A proposito di ciò, Jeremiah Owyang (Jeremiah Owyang, cit. in Cosenza, 2012, p.72), analista di Altimeter group, ha individuato cinque diverse tipologie di configurazione aziendale, definite da vantaggi e svantaggi che caratterizzano la loro adozione:

• decentralizzata, modello di configurazione tipico delle grandi aziende dove le attività eseguite tramite i social media sono svolte da più soggetti. Il vantaggio: i social media nel loro complesso contribuiscono alla produzione di contenuti e discussioni che possono far emergere l’impresa come realtà dinamica. Lo svantaggio: difficoltà di coordinamento delle singole attività, in quanto ogni settore potrebbe utilizzare strumenti propri ed esclusivi di monitoraggio e gestione dei social media (Cosenza, 2012, p.72); • centralizzata, caratterizzata da un team, nella maggior parte dei casi adibito al controllo

di tutte le attività che sono programmate ed eseguite all’interno del social web; è necessario definire un programma che permetta di far emergere iniziative coerenti e riconoscibili. Il vantaggio: uniformità dell’esperienza del brand nel contatto con il cliente. Lo svantaggio: è necessario che il controllo gerarchico presente nella dinamica aziendale non emerga all’esterno (Cosenza, 2012, p.73);

• hub & spoke, configurazione rappresentata da un team appositamente creato per coadiuvare business unit o team funzionali, l’obiettivo dell’hub è quello di creare una strategia di misurazione, che tutti i componenti dell’azienda dovranno seguire, e di

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facilitare la scelta degli strumenti più adatti favorendo la collaborazione tra i soggetti coinvolti nel processo. Il vantaggio: si ha un team centrale che gestisce e supervisiona l’operato dei gruppi periferici fornendo supporto e spinta nel potenziamento della loro attività. Lo svantaggio: il team centrale, fondamentale in questo tipo di configurazione, richiede un’ingente investimento da parte dell’impresa (Sinibaldi, 2009, p.43);

• hub & spoke multipli, configurazioni che coinvolgono soprattutto le grandi multinazionali o le aziende conglomerate, questo modello funziona attraverso un perno centrale che irradia servizi ad hub periferici. Il vantaggio: in un quadro unitario e compatto, questo tipo di configurazione, lascia comunque molta autonomia di azione alle singole entità collocate nelle varie zone del mondo. Lo svantaggio: difficoltà nel coordinare e gestire dall’alto tutte queste costellazioni, nonché complicata sarà la comunicazione e la condivisione tra esse (Sinibaldi, 2009, p.43);

• olistica, questo tipo di configurazione prevede che tutti i componenti dell’azienda siano a strettissimo contatto con i social media, cosicché ognuno sappia utilizzarli in maniera adeguata; essi in questa configurazione non sono di proprietà esclusiva di un team ma vengono utilizzati da tutto il personale professionale indistintamente. Il vantaggio: si riesce a fidelizzare il cliente tramite la sua esperienza nei social media. Lo svantaggio: è necessaria la presenza del top managment in quanto, grazie alla sua cultura in materia, acquisita anche attraverso i social media, può far discendere le proprie conoscenze sui dipendenti dell’impresa rendendoli più concreti e profilati (Cosenza, 2012, p.75). La quarta fase, quella dell’azione, è la più operativa; si struttura, in pratica, la presenza del brand in rete definendo una serie di parametri che costituiranno la relazione tra l’utente e l’azienda (Cosenza, 2012, p.71).

Una volta terminato anche il quarto stadio del processo di adozione dei mezzi di comunicazione in azienda, essi si possono considerare a tutti gli effetti parte integrante del contesto professionale; per questi motivi è necessario che l’impresa, a questo punto, definisca e persegua un preciso progetto di social media marketing che si conformi perfettamente ai suoi obiettivi e finalità.

Di seguito si propongono alcune dritte per riuscire a creare efficaci progetti di social media marketing:

• è necessario che l’azienda presti molta attenzione alle discussioni che avvengono in rete così da conoscere le idee, le opinioni e le preferenze dei consumatori e strutturare una campagna di marketing ad hoc. L’ascolto, è inoltre necessario per rendersi conto di quale sia l’opinione che circola in Internet di un brand;

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• è indispensabile che i contenuti pubblicati in rete siano di valore e che abbiano una forte sostanza;

• è essenziale che il brand, che decide di investire sul web, abbia la costanza di seguire la strategia di marketing intrapresa per periodi piuttosto lunghi. Il successo, se raggiunto, lo si riscontra dopo un lungo periodo e non nell’immediato;

• la presenza e la disponibilità dell’azienda, che pubblica contenuti in rete deve essere costante, è necessario che il brand sia rappresentato da figure professionali sempre a disposizione del pubblico, pronte a partecipare alle conversazioni online qualora i consumatori lo richiedano6.

A differenza delle tradizionali strategie di marketing, l’azienda, per definire dettagliatamente i passaggi e le finalità della campagna di media marketing, utilizza il social media plan che si esplica in tre passaggi: analisi, strategia e azione.

L’analisi comprende la verifica di tutta una serie di aspetti, ovvero la presenza dell’impresa in Internet, il grado di preferenza accordato dagli utenti, i movimenti online dei concorrenti, etc. Nello specifico è possibile scindere quattro tipologie di analisi:

• rilevare la presenza del brand online e la sua posizione nei motori di ricerca;

• valutare la presenza nel web dei concorrenti sia a livello quantitativo che qualitativo; • monitorare le conversazioni che gli utenti tengono in rete dalle quali si deduce il grado di soddisfazione/insoddisfazione verso il prodotto commercializzato;

• osservare come l’audience di riferimento per uno specifico brand si muove in rete6. La fase strategica, invece, nel suo sviluppo, parte dagli obiettivi di business, definiti precedentemente dall’impresa, per individuare, poi, le specifiche finalità del piano d’intervento sui social media. Tra i più comuni scopi di esso emergono: la conoscenza di un prodotto, la credibilità di un marchio, il supporto alla vendita, il miglioramento nella cura del cliente, etc. L’elemento chiave di questa fase è proprio l’utilizzo, da parte dell’azienda, di una mappa di posizionamento sui social media, sopra descritta.

Il terzo ed ultimo stadio del social media plan rispecchia la fase più operativa, durante la quale si devono pianificare e realizzare le strategie più idonee per portare l’impresa a comunicare con i suoi pubblici di riferimento; da qui si definisce, quindi, l’uso quotidiano che deve esser fatto dei social media. A differenza delle tradizionali strategie di marketing, il social media plan deve avere un buon grado di flessibilità, per adattarsi a eventuali cambiamenti nel mondo dei nuovi mezzi di comunicazione 2.06.

6 http://www.marketingsocialnetwork.it/social-marketing/social-marketing-limportanza-del-piano-comunicazione/

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Oltre alla configurazione, che come si è visto varia da azienda ad azienda in base alle intenzioni del manager, alla sua volontà di investimento e alla valutazione di pro e contro, un altro elemento importante, che si deve studiare nel momento in cui si adottano i media nelle procedure professionali, è il personale che si occupa di essi in azienda; ma qual è il criterio utilizzato dall’impresa per selezionare i profili migliori? La creazione del team è il fulcro di questa analisi, un gruppo formato da persone abili ed esperte nel loro lavoro può fornire all’azienda risultati migliori. È pertanto necessario, delineare l’ampiezza del team ed il numero di persone che si vogliono al suo interno per decidere se selezionare professionisti con competenze specifiche, oppure se esperti del settore che abbiano però conoscenze più ampie. Un social media team complesso, presente soprattutto nelle grandi realtà aziendali, secondo uno studio svolto dall’Altimeter Group, comprende ben sette figure professionali: corporate social strategist, social media manager, community manager, social media analyst, web developer, education manager e business unit liason. Nelle realtà più piccole, invece, questo team così articolato, sarà più snello e presenterà un numero di professionisti ridotto. Ne consegue che la scelta dell’ampiezza del team deriva esclusivamente da una decisione presa dall’azienda, in base alle proprie dimensioni e alla volontà d’investimento in questo settore (Cosenza, 2012, p.219). Il social media plan, appena descritto, è quindi fondamentale nella definizione di un progetto di social media marketing perché ne delinea la pianificazione e l’organizzazione, ma, dice Cosenza, per creare un social media business completo è necessario scalare la “gerarchia dei bisogni dell’azienda sociale”.

Figura 2 Scala gerarchica dei bisogni dell’azienda sociale

Fonte: Cosenza, 2012, p.218

Il primo scalino della scala gerarchica, chiamato “Foundation”, evidenzia l’importanza di definire e pianificare i bisogni dell’azienda facendo sì che coincidano con gli obiettivi della campagna di marketing. Un altro aspetto importante, in questo stadio, è quello di creare un

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corpus di social media policy, ovvero un programma aziendale di gestione dei nuovi mezzi di comunicazione; dall’interno, i dipendenti dovranno creare e gestire la presenza online dell’impresa, mentre all’esterno, vengono definite regole che si impongono a chi visita il marchio nel web.

Le social media policy prevedono, inoltre, una carta dei principi che varia ovviamente da azienda ad azienda ed ha come scopo principale quello di incoraggiare i propri dipendenti all’uso dei social media, rispettando i valori aziendali. Alcuni punti fondamentali che tale carta deve contenere sono, secondo Cosenza (2012):

• offrire ai consumatori un servizio migliore attraverso la presenza del brand in rete; • i dipendenti dell’impresa sono incoraggiati a dialogare con i potenziali clienti tramite il

web, ma seguendo il codice etico e le condizioni generali d’uso delle singole piattaforme;

• esistenza di policy per ogni singolo media al quale l’azienda si affida, che regolino i rapporti tra impresa e consumatore;

• i dipendenti devono accertarsi di diffondere in rete informazioni veritiere;

• onestà e correttezza sono i principi cardine da seguire quando si utilizzano i mezzi di comunicazione, ed anche ovviamente al di fuori del web.

Uno degli obiettivi del secondo gradino della scala gerarchica “Safety”, è quello di mantenere sempre l’azienda pronta e flessibile per rispondere correttamente alle sollecitazioni e/o problemi che possono provenire dal mondo della rete. In questo senso è fondamentale la figura di un top managment che coordini l’operato del team, in modo che quest’ultimo possa lavorare in armonia ed elaborare decisioni in maniera rapida ed autonoma. Se necessario può essere opportuno, per questa fase del processo, avvalersi di agenzie di supporto esterne che coadiuvino l’operato del team ed intervengano prontamente laddove il gruppo di lavoro, autonomamente, non riesce ad arrivare (Cosenza, 2012, p.219).

Il terzo scalino, “Formation”, analizza la connessione tra diverse attività di business al fine di migliorarne ed aumentarne il coordinamento. È essenziale, innanzitutto, capire su quali social media sia già presente l’azienda, capirne il contenuto e verificare se tali presenze possono combaciare con gli standard attuali; se così fosse, è necessario riprendere i contenuti online e migliorarli, mentre se quanto pubblicato è oramai datato, può essere efficace eliminare l’account ed iniziare una nuova campagna dal principio. Tutte le unità di business, quindi, devono cooperare e collaborare per raggiungere la creazione di ‹‹un centro di eccellenza, che non sia accentratore di attività, ma fornitore di servizi per tutte le unità di business›› (Cosenza, 2012, p.219).

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Il penultimo gradino, “Enablement”, prevede l’abilitazione del centro di eccellenza sopra menzionato che assume, così, la configurazione organizzativa hub & spoke.

Il gradino più alto della scala gerarchica, “Enlightenment”, prevede che l’azienda debba rispondere immediatamente agli stimoli che provengono dai social media e prendere le decisioni, di maggior rilievo, in base ai feedback ricevuti dagli utenti in tempo reale.

Dall’analisi effettuata sino ad adesso, è possibile quindi affermare che i parametri più importanti per valutare il successo di una efficace campagna di marketing sono sette:

• custode experience; • nuovi clienti; • vendite globali;

• vendite influenzate dal marketing; • fatturato per cliente;

• metriche dei social network; • ROI del marketing.

Riguardo quest’ultimo parametro è importante capirne la misurazione; per ROI si intende “Return On Investment”, ovvero il ritorno economico che l’azienda può avere a fronte di un investimento fatto e relativo, in questo caso, alla presenza sui social media. Calcolare il ROI, però, non è così semplice, esso ha quattro caratteristiche principali:

• è una metrica finanziaria;

• è sempre riferito ad una specifica attività;

• non è condizionato dal media specifico a cui lo si riferisce; • deve sempre riferirsi a obiettivi chiari e definiti sin dall’inizio.

Pur essendo il ROI, solo uno dei tanti indici che possono essere misurati, in una campagna di SMM, per valutarlo si ha necessariamente bisogno di due parametri: utile e capitale investito (Cosenza, 2012, p.41).

Figura 3 Calcolo “Return On Investment”

Fonte: http://www.tlcws.com/blog/come-calcolare-il-roi-di-una-campagna-google-adwords.html

Una volta analizzati, quindi, i caratteri generali di un progetto di social media marketing è opportuno, quanto necessario, definirne e delinearne alcune componenti; il social media listening, la brand reputation, la pubblicità online, il search marketing e l’e-recruitment.

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1.3 Definizione e componenti del progetto di social media marketing

Le componenti principali da considerare, nell’elaborazione di un progetto di social media marketing, sono essenzialmente sei.

La prima componente è il social media listening, processo di ascolto tramite il quale il brand ha la possibilità di percepire le conversazioni online tra internauti rendendosi conto delle preferenze dei consumatori, delle loro opinioni riguardo il prodotto/servizio che il marchio eroga e, non per ultimo, valutare la reputazione del brand in rete. È proprio quest’ultimo l’altro elemento fondamentale da tenere in considerazione per un’efficace strategia di marketing; è importante che la reputazione dell’azienda sia positiva, un segno negativo comporterebbe profitti indubbiamente minori e la necessità di ridefinire la strategia di marketing.

La terza componente da monitorare è la pubblicità; il messaggio e le modalità promozionali con le quali si arriva al cliente, devono essere studiate nel minimo dettaglio evitando in ogni modo la ridondanza e l’intrusività, tipiche del comunicato pubblicitario; questi caratteri, anziché attirare la curiosità del potenziale acquirente, lo allontanano ancor di più dall’obiettivo che il brand vuole raggiungere. Il quarto elemento da considerare è il search marketing, ovvero l’insieme delle attività di web marketing il cui fine è quello di migliorare la visibilità di un sito, o di una sola pagina web, all’interno dei motori di ricerca, per ottenere un aumento di visite qualificate, cioè realmente interessate ai contenuti proposti. Il search marketing è composto da due macrocategorie di attività: il SEM (search engine marketing) ed il SEO (search engine optimization). L’ultimo elemento, che “completa” il progetto di social media marketing, è l’e-recruitment; la ricerca di lavoro da parte dei candidati e la selezione del personale nelle imprese stanno spostando il loro focus di attenzione in rete. L’incontro tra domanda e offerta di lavoro è prevalentemente online; siti internet e social network stanno diventando i mezzi privilegiati con i quali si ricerca lavoro e/o personale.

È opportuno quindi, adesso, analizzare singolarmente ed in maniera dettagliata ognuna delle variabili sopra descritte.

1.3.1 Social media listening

Con il passare degli anni le aziende si sono accorte della crescente importanza che acquisiva il concetto di “monitoraggio delle conversazioni tra utenti in rete” o meglio dell'ascolto delle opinioni e convinzioni che circolano in Internet. Risulta migliore, in questo contesto, utilizzare il concetto di ascolto, inteso come processo tramite il quale estrapolare i punti salienti delle conversazioni nel web cercando di trovare un nesso logico che li leghi, ottenendo così un idea

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dalla quale partire per migliorare un processo, ottimizzare un servizio, etc. Nonostante nelle imprese ci sia la consapevolezza dell'importanza del social media listening, molte, purtroppo (43%) non tengono monitorato il dialogo online.

Oltre a questo dato, dallo studio effettuato nel 2011, dall'Osservatorio Business Intelligence del centro di ricerca SDA Bocconi, emerge che solo il 13% delle aziende utilizza programmi classici di monitoraggio, esclusivamente il 10% usa software che analizzano il “sentiment” e solamente il 34% monitorizza le conversazioni in rete abitudinariamente.

Un altro dato interessante, quanto scoraggiante, deriva sempre dal sopracitato studio ed evidenzia che solo il 4% delle aziende, che adottano il social media listening, ha riscontrato, tramite le informazioni apprese, un effettivo impatto strategico; in questo scenario, però, non si ha un collegamento reale tra social media e customer care, unione che sarebbe invece attesa e voluta dal 54% delle aziende analizzate dallo studio del centro di ricerca SDA Bocconi (Cosenza, 2012, p.93).

Il social media listening è uno degli elementi fondamentali del social media/web analyst; Cosenza (2012) ci aiuta meglio a capire che cosa si intende con queste due espressioni.

‹‹Con il termine social media analytics si identifica la disciplina che ha lo scopo di aiutare le aziende a misurare, valutare, e interpretare la presenza del brand in rete e le performance delle iniziative sui social media nel contesto di specifici obiettivi di business al fine di far emergere suggerimenti utili a migliorare l'agire d'impresa.›› (Cosenza, 2012, p.92).

È grazie alla social media analytics che si possono studiare e valutare più da vicino, le relazioni tra consumatori e brand a livello qualitativo rendendo, per esempio, il sito o la pagina Facebook sempre più affine alle necessità del cliente.

Anche Cosenza (2012) si esprime, nello specifico, in merito al concetto di social media listening; esso per lui simboleggia

‹‹l’insieme dei processi e delle attività che permettono all'azienda di: comprendere i territori nei quali intercorrono le conversazioni che possono avere un impatto sui suoi brand […], individuare le persone che discutono di prodotti/servizi d'interesse, dei concorrenti e dei bisogno legati al core business aziendale […], misurare il volume e la qualità delle conversazioni che avvengono attorno ad un certo brand […] e far emergere utili suggerimenti per migliorare l'efficacia e l'efficienza delle attività aziendali […].›› (Cosenza, 2012, p.92).

Il processo di ascolto delle conversazioni online, nel dettaglio, si suddivide in quattro fasi principali: definizione degli obiettivi, selezione delle fonti, recupero dei dati e reporting.

La definizione degli obiettivi è il punto di partenza nella strutturazione di un social media plan; è necessario delineare i traguardi che si vogliono raggiungere tramite l’ascolto. La necessità di monitorare le conversazioni in rete nasce dalla volontà di scoprire gli ambienti nei quali avviene lo scambio di idee tra potenziali consumatori, intuire che cosa viene detto a proposito del brand,

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misurare gli effetti di eventuali campagne di marketing messe in atto dall’azienda e migliorare le performance aziendali oltre che il servizio di cui godono i clienti.

La seconda fase del social media listening consiste nel selezionare le fonti; è assolutamente necessario definire bene “l’ origine” da cui emerge l’opinione pubblica. Le fonti più comuni sono i siti Internet, i blog, i social network, le piattaforme di social sharing, Wikipedia (enciclopedia 2.0 libera) e Yahoo answer (servizio di domande e risposte online). In base agli obiettivi che l’impresa si è posta, essa selezionerà la fonte dalla quale attingere informazioni, in base a diversi ma importanti parametri: il settore in cui opera l’azienda, scegliere i media che possono raggiungere un alto numero di persone, possibilità di estendere l’attività di ascolto alle fonti specifiche di ogni paese, selezionare i media che possano offrire un monitoraggio limitato nel tempo, etc. (Cosenza, 2012, p.96).

La terza fase è quella del recupero dei dati ottenuti attraverso il monitoraggio; sono diverse le tecniche per ottenere le informazioni che ci pervengono dall’attività di ascolto, ma l’aspetto più importante è la loro lettura ed analisi. A questo proposito, è fondamentale che all’interno dell’organico aziendale vi sia la figura del social media analyst, che svolgerà un esame dei dati attraverso uno studio di tipo qualitativo e quantitativo; il primo focalizzerà l’attenzione sulla qualità della conversazione e soprattutto sul “sentiment”, cioè sul grado di opinione, positiva, negativa o neutra, dell’impresa in oggetto, espressa dagli utenti, mentre l’analisi quantitativa, studia la quantità di conversazioni che si sviluppano in rete riguardanti uno specifico brand. È inoltre opportuno, in questa fase del social media listening, effettuare uno studio dei mezzi di comunicazione nei quali avvengono le conversazioni e un’analisi degli utenti che ne sono protagonisti; lo studio dello spazio all’interno del quale avvengono i dialoghi ci permette di capire, durante lo sviluppo di una comunicazione tra consumatori, se un social media è maggiormente utilizzato rispetto ad un altro e quindi, durante la procedura di ascolto, a quale mezzo di comunicazione è necessario dare più importanza. L’analisi degli internauti, invece, è fondamentale per capire l’ “entità” delle persone che esprimono il loro parere online in merito ad una determinata realtà aziendale: sono blogger, utenti comuni o fruitori dell’azienda stessa? Qual’ è la loro idea? È possibile contattare l’influencer più incidente e assecondare/modificare la sua opinione? (Cosenza, 2012, p.100-101)

La reportistica, ovvero schemi, grafici e tabelle, è la parte finale del processo di social media listening, alla quale, spesso, viene data poca importanza, in realtà l’analisi dei dati elaborati dal social media analyst e il loro raggruppamento in tabelle e grafici, rendono più evidente il lavoro svolto. Le caratteristiche di un report efficace sono essenzialità, comprensibilità e specificità; la sua strutturazione temporale può comprendere un’osservazione che ha una durata molto

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variabile, è possibile infatti estrapolare alert in tempo reale, un riassunto giornaliero oppure un report periodico.

L’importanza del processo di social media listening, all’interno di una campagna di social media marketing, viene delineata anche da Unicredit Banca, rappresentata da Daniele Chieffi nel ruolo di gestore dei rapporti con i media online nell'ambito della struttura di media relations. A proposito dell’ascolto Chieffi (cit. in Cosenza, 2012, p.118), espone la procedura da lui utilizzata all’interno dell’impresa per la quale lavora:

‹‹abbiamo sviluppato un sistema che identifica i luoghi che potrebbero occuparsi dell’azienda e li ordina sulla base di un ranking che ne identifica sia il “peso” in termini assoluti sulla rete, sia in termini relativi per l’impresa stessa. Con un sistema di spider questo universo viene costantemente monitorato e ogni contenuto nuovo o aggiornato che riguardi l’azienda o che risponda a determinate parole chiave viene immediatamente intercettato […]inserito in un flusso RSS e inviato via e-mail al responsabile. A questo punto anche sulla base delle informazioni di ranking del luogo che ha originato il contenuto,è possibile valutarne le criticità e intervenire efficacemente per evitare una crisi di comunicazione. Crisi che viene gestita anche grazie al susseguente controllo dei livelli di viralità del contenuto stesso: più sono alti, più è alto l’allarme e più l’intervallo deve essere veloce e tempestivo.›› (Cosenza, 2012, p.118).

Al termine dell’analisi del fenomeno definito social media listening è necessario delinearne brevemente gli scopi.

La primaria finalità dell’ascolto è quella di misurare la percezione del brand e il successo/insuccesso dei marchi concorrenti; ciò viene messo in pratica e monitorato dall’impresa attraverso la dashboard (o cruscotto) che racchiude le informazioni sul volume delle conversazioni, il “sentiment” e altri parametri.

Un altro scopo dell’ascolto è quello di riuscire a migliorare la gestione delle diverse attività sulle piattaforme digitali; ma qual’ è esattamene la tecnica giusta da utilizzare per scegliere uno strumento di ascolto? Innanzitutto non esiste un parametro preciso che indichi il dispositivo più adatto; quello ideale sarà semplicemente quello che si conforma maggiormente alle specifiche esigenze aziendali. È quindi indispensabile, prima di acquistare un qualsiasi servizio, considerare molto bene le esigenze e gli obiettivi dell’impresa, dopo di che sarà necessario valutare alcuni parametri (impostazione, tipologia di setup, disponibilità di dati storici, frequenza di processo, lingua, metriche, share of voice, quantità delle menzioni, sentiment, funzioni gestionali, alert, reportistica automatica, esportazione dei dati, etc.) del media che si vuole acquisire (Cosenza, 2012, p.124).

Il panorama del social media listening rientra nel più ampio scenario del web 2.0, il quale, con le proprie caratteristiche, ha interrotto l’intermediazione, posta in essere da tv, radio e giornali, che esisteva tra consumatore e brand permettendo in questo modo una comunicazione diretta tra le due parti (Di Fraia, 2013, p.50).

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1.3.2 Brand reputation

‹‹La reputazione di un brand, da sempre, dipende da due fattori collegati e interconnessi l’un l’altro: ciò che viene comunicato dall’azienda (cioè la propri identità in rete) e ciò che viene percepito e condiviso dall’audience, spesso causato da un’esperienza di contatto con il prodotto o con il servizio di assistenza aziendale.›› (Di Fraia, 2013, p.83).

Le parole di Di Fraia, mettono in luce un primo elemento fondamentale nell’analisi della brand reputation, ma prima di riuscire ad ottenere una buona reputazione e un solido passaparola, è necessario del tempo per diffondere i messaggi online ed è indispensabile ottenere un ottimo ritorno dai clienti, così da guadagnare la loro fiducia; un’eccellente reputazione è sinonimo di maggiore espansione, connessione, vendite e fatturato (Di Fraia, 2013, p.85).

La reputazione dipende da ciò che l’impresa decide di comunicare al popolo dei consumatori, ma anche e soprattutto, da come il messaggio viene percepito; è indispensabile quindi, durante la strutturazione di un progetto di marketing, porre la massima attenzione alla composizione e al contenuto del messaggio, assicurandosi inoltre, che quest’ultimo abbia avuto sui consumatori un effetto positivo, altrimenti sarà necessario ricostruire il messaggio ex novo.

Il comunicato, prima dell’avvento del web 2.0, era strutturato tramite ferree linee guida ed il diritto di replica da parte del cliente era assolutamente inesistente, mentre l’avvento della società informazionale, la nascita di blog, forum e social network, ha portato i consumatori in una posizione di sopravvento comunicativo rispetto alla precedente “era”.

La reputazione del brand è legata anche, in modo più sottile, ai principi che definiscono il rapporto tra stakeholders (creditori, direttori, impiegati, fornitori, sindacati, etc.) e azienda (Cesarini, Locatelli, 2007, p.114). Affinché uno stakeholder sia incentivato ad investire in una realtà aziendale è necessario che questa si mostri come una solida impresa, con prodotti e/o servizi che tra i clienti riscuotono grande successo permettendo all’azienda di ottenere considerevoli profitti; se ciò che l’impresa commercializza è di qualità scadente, questo aspetto, nelle conversazioni tra consumatori, emergerà immediatamente e non ci sarà alcuna azione di marketing che potrà rimediare a ciò. È necessario pertanto, come già precedentemente accennato, che il bene offerto sul mercato sia di qualità, in questo caso per renderlo ancor più appetibile è possibile anticipare al mondo esterno la sua creazione; tattica di marketing utilizzata anche da imprese quali Samsung e Apple.

Un’altra caratteristica importante del rapporto azienda-stakeholder, sempre correlata alla brand reputation, è la personalità che l’azienda mostra di se stessa sul mercato esterno; spesso sono le piccole imprese ad avere maggiore “carattere” rispetto alle grandi multinazionali sempre più anonime. Un marchio che appare sul mercato come realtà forte, solida, compatta e che vanta una buona reputazione tra gli utenti, avrà maggiori possibilità di attirare l’attenzione di uno stakeholder, rispetto ad altre concorrenti (Di Fraia, 2013, p.87-88).

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Per poter avere un’idea precisa della reputazione del proprio brand in rete, è necessario che l’azienda effettui un sondaggio di customer satisfaction online.

La rilevazione della soddisfazione della clientela può essere indirizzata su due distinti ambiti di indagine:

• la qualità complessiva dei prodotti/servizi erogati attraverso un portale Internet; • la qualità di uno specifico servizio online, considerato singolarmente7.

Nel primo contesto di studio si insiste su indicatori di soddisfazione a carattere trasversale, applicabili a prescindere dal tipo di prodotto, nel secondo, invece, si punta ad individuare degli indicatori di soddisfazione specifici, riferibili al servizio di volta in volta studiato.

L’indagine per la rilevazione di customer satisfaction dei prodotti erogati tramite un portale online richiede un relativo impegno di progettazione e realizzazione poiché gli indicatori presi in considerazione sono predefiniti: l’azienda deve effettuare l’indagine tramite un questionario già pronto per essere somministrato, analizzare i dati ottenuti e predisporre eventuali azioni di miglioramento7.

Una volta completata la ricerca, l’impresa riuscirà a valutare il giudizio di soddisfazione complessiva dei clienti, il grado di appagamento in merito alle singole componenti del servizio e il giudizio di importanza attribuito alle diverse dimensioni del prodotto stesso.

Per questa rilevazione è stato progettato un apposito questionario “standard” - in questo caso ne viene proposto uno relativo ai servizi online offerti dalla Pubblica Amministrazione (Fig.4), che riprende le dimensioni e gli indicatori di soddisfazione trasformandoli in domande con relativa scala di risposta.

Tale “test”, però, permette di valutare l’appagamento degli utenti solo in relazione a sei specifiche dimensioni:

• facilità di accesso al sito;

• aggiornamento e completezza delle informazioni in rete;

• idoneità del servizio online a soddisfare le esigenze dei consumatori; • impostazione grafica e organizzazione dei contenuti presenti sul sito; • idoneità del sito a raccogliere quesiti e fornire soluzioni;

• percezione di sicurezza dell’utente nel rilasciare dati personali sensibili durante l’utilizzo del sito7.

7

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Figura 4 Questionario di soddisfazione relativo al sito e ai servizi online

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È opportuno analizzare, adesso, dettagliatamente le singole fasi del processo di rilevazione della customer satisfaction sui servizi erogati online.

La prima fase viene definita “piano di campionamento”7. Lo scopo di questo primo stadio è quello di scegliere, in maniera accurata, il campione da utilizzare per la rilevazione, in quanto successivamente, i risultati del campionamento dovranno essere estesi ad una popolazione più ampia mediante tecniche di inferenza statistica.

La seconda fase prevede la somministrazione del questionario, preferibilmente online e la raccolta dati.

Il “test” può essere assegnato agli utenti tramite quattro modalità: • compilazione online;

• invio del questionario per mail; • faccia a faccia;

• telefonicamente7.

Essendo la rilevazione della customer satisfaction relativa a prodotti/servizi “collocati” online, sarebbe opportuno che la modalità di somministrazione del questionario avvenisse anch’essa in rete. Per facilitare questa possibilità è necessario che il campione di utenti trovi di fronte a sé un test con uno specifico layout grafico, che attiri l’attenzione del consumatore e lo spinga a compilare il questionario in rete.

Una volta pervenuti tutti i test, debitamente compilati, è necessario riportare i dati raccolti su file excell in modo da avere un unico documento che comprenda tutte le risposte ottenute, così da poterle analizzare in maniera più veloce ed efficace.

L’analisi dei dati ottenuti è il terzo passaggio del processo di rilevazione della customer satisfaction sui servizi erogati online7.

I dati emersi attraverso la suddetta rilevazione, saranno raggruppati all’interno di una tabella (Fig.5) che permetta di evidenziare il livello di soddisfazione degli utenti e congiuntamente faccia affiorare specifiche criticità.

Figura 5 Accorpamento dei giudizi in classi ed attribuzione dell’emoticon

Figura

Figura 1 Mappa di posizionamento strategico dei social media
Figura 2 Scala gerarchica dei bisogni dell’azienda sociale
Figura 5 Accorpamento dei giudizi in classi ed attribuzione dell’emoticon
Figura 6 Esempio diagramma causa effetto
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Riferimenti

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