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5. La crisi di un sistema: il cambiamento che destabilizza

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Academic year: 2021

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5. La crisi di un sistema: il cambiamento che destabilizza

Ogni sistema si trova, prima o poi, ad affrontare una crisi. Essa non è altro che un momento nel quale forze interne od esterne tentano di rivoluzionarne le principali caratteristiche, lasciandolo quindi in una condizione di instabilità.

Alcuni studiosi valutano il cambiamento come un fenomeno positivo, in quanto permetterebbe al sistema di mettersi in gioco e di rafforzarsi, riuscendo così ad affrontare meglio le sfide future. Altri invece considerano che il mutamento è una perenne perturbazione, che sconvolge e destabilizza il sistema: bisogna però affrontarlo, facendo scelte che riescano a contrastarlo. Pier Luigi Muti ha scritto che il cambiamento può essere guidato da una meta controllabile dall’uomo, oppure può condurre alla rottura dell’equilibrio o alla mutazione non finalizzata e incontrollabile1. Quindi così si perde ogni connotazione, positiva o negativa, del concetto e lo si rimette così in gioco. Secondo Muti gli approcci con cui le scienze umane hanno cercato di interpretare il cambiamento sono stati principalmente tre: sistemico, rivoluzionario, psicoanalitico.

Nell'approccio sistemico le organizzazioni vengono viste appunto come dei sistemi. Essi sono degli insiemi di elementi differenziati, che però riescono a mantenere un'identità nonostante le modifiche che subiscono. Il sistema tende quindi ad essere chiuso per preservare la propria coerenza, anche se è sempre inserito in un ambiente più vasto che lo condiziona e lo porta a modificare le sue caratteristiche. Deve quindi cercare di trarre giovamento dalle inevitabili perturbazioni che, però, non sono solo esterne. Posso essere spinte anche dall'interno, nella logica dentro-dentro, e condurlo comunque ad una crisi se non è in grado di gestire la complessità. Come esempi di questo approccio, sono stati introdotte nel capitolo 3 di questa trattazione le teorie di Parsons e Luhmann, che hanno ben proposto degli schemi utili anche per fronteggiare il cambiamento: il primo ha prodotto il modello AGIL sulle funzioni del sistema, mentre l'altro autore si è concentrato sulle scelte dotate di senso e l'importante opera di riduzione della complessità.

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Per l'approccio rivoluzionario, tipico della teoria marxista, il cambiamento all’interno dei sistemi sociali è invece concepito un sovvertimento radicale dello status quo. Nonostante voglia modificare un sistema sociale chiuso, propone come alternativa comunque un insieme chiuso, senza conflitti ed estremamente legato alla dottrina. Si incentra quindi sulla trasformazione delle strutture piuttosto che sul cambiamento individuale.

Invece l'approccio psicoanalitico si occupa della trasformazione dal punto di vista personale. Le strutture che il cambiamento mira a condizionare sono quelle delle personalità definite da Freud: l’Io, il Super Io, l’Esterno ed i loro rapporti. L’Io è simile ad sistema aperto in quanto, pur essendo sensibile agli influssi degli altri due sistemi, tende a mantenerli in equilibrio mediante il principio di realtà. Il Super Io può assimilarsi ad un sistema circoscritto poiché tende a chiudersi ad ogni influsso perturbatore della realtà, seguendo rigorosamente i “modelli” che la socializzazione ha introiettato nell’individuo. L’Esterno è un sistema particolare dominato dalla caoticità, in continuo movimento e cambiamento. La psicoanalisi cerca quindi di portare chiarezza nella confusione tra immaginario e realtà, di procedere ad un’azione di cambiamento sul mondo reale. Non sempre ci riesce poiché molte volte l’ambiente esterno prende il sopravvento, con una forza più elevata di quella individuale.

Nonostante questi filoni, nessuno è riuscito ad arrivare ad una definizione chiara del concetto, anche se i diversi autori hanno contribuito ad analizzarlo sotto diversi punti di vista. Negli ultimi decenni, si sono però riconosciuti due paradigmi del cambiamento:

uno che lo considera come uno strumento della razionalità organizzativa, ovvero come un progetto che vuol modificare intenzionalmente il sistema per migliorarne le funzioni e renderlo più efficace;

un altro che vede i sistemi cambiare in modo discontinuo, a volte apportando lievi modifiche al sistema e a volte mettendo in crisi il suo nucleo centrale. È poi possibile integrare questi due paradigmi in un terzo prospettato da Quaglino2, che spiega il funzionamento delle organizzazioni come il prodotto tra struttura

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sociale, personalità individuale e cultura accumulata dall’organizzazione. Nel cambiamento emergerebbe così la dimensione razionale dell’universo motivazionale ed emozionale degli individui che animano l’organizzazione e il processo di sedimentazione del sistema di valori e norme prodotto dal continuo rapporto tra individui e organizzazione. In questo paradigma, definibile come “orientamento al processo”, l’attenzione si sposta sulla dimensione del processo di cambiamento, inteso come fenomeno complesso nel quale interagiscono spinte e resistenze spesso di natura contraria.

Butera3 poi distingue il cambiamento in cumulativo o di modello: la differenza tra questi due tipi di trasformazioni sta nel modo di vedere l’organizzazione. Il cambiamento cumulativo è il mutamento delle tecniche specifiche di gestione dell’azienda. Presuppone che l’organizzazione abbia una struttura di norme e tecniche che riguardano la divisione del lavoro e della responsabilità, i meccanismi di connessione tra uomini e macchine, la gestione delle operazioni tecniche e sociali. Nel cambiamento di modello l’organizzazione è vista invece come un modello di governo con il quale si tenta di ricondurre ad unità una serie di elementi differenti. Quindi, come esiste un modello di governo potrebbe, esiste un modello per coordinare e gestire il cambiamento al fine di condurlo verso una risoluzione efficace ed efficiente: anche in questo caso i modelli proposti dagli studiosi dell'organizzazione sono molti e qui non analizzabili.

A questo proposito riprendo solo le osservazioni svolte da un docente del cambiamento organizzativo che però è stato anche Direttore di un Ente pubblico, Angelo Tanese4. La sua esperienza sul campo infatti l'ha portato a riconoscere il cambiamento come un processo e non come una semplice azione, in modo da ricondurlo all'interno della razionalità e poterne analizzare i presupposti e le sue conseguenze.

Secondo lui, nella PA il cambiamento dovrebbe esser introiettato come qualcosa di permanente e quindi ciò dovrebbe renderla capace di gestirlo tempestivamente e

3 F. Butera, L’orologio e l’organismo: il cambiamento della grande impresa in Italia, Franco Angeli, Milano, 1992

4 Vedi la relazione di A. Tanese reperibile su

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sapersi trasformare, mettendo in discussione le proprie abitudini e non sedimentandole. Inoltre sfata l'idea che per cambiare un ente pubblico debba avere il consenso di tutti i suoi dipendenti: quello che è più importante è che ci sia cooperazione nel rivedere le relazioni tra i soggetti del sistema perché «La qualità di un cambiamento non dipende dalla qualità dei singoli individui, ma principalmente dalla qualità del gioco collettivo che essi creano»5.

Quindi la PA per essere pronta alle crisi deve avere poi una buona dose di dinamismo e di capacità di mettersi in discussione, perché senza la curiosità per il nuovo sarà ancora più difficile governare il cambiamento. Dalla crisi bisogna poi apprendere i meccanismi per una giusta organizzazione, cercando di analizzare e ricostruire la propria esperienza concreta e non rifarsi soltanto a criteri di regolamentazione astratti, universali, impersonali. Essi sono tipici del primo approccio al cambiamento che Tanese ha visto all'interno della PA: quello giuridico-formale. Questo approccio avrebbe portato la PA ad agire solo dietro ad atti normativi o formali chiari e a richiederne sempre il supporto. Quest'attitudine sarebbe però lenta rispetto al cambiamento che spinge quotidianamente sul sistema e condurrebbe a forme di resistenza al nuovo.

L'autore però critica anche un approccio strumentale-razionale al mutamento nella PA perché, nonostante in esso ci sia rigore, non è sufficiente agire in modo pianificato secondo una serie di obiettivi, bisogna anche analizzare i problemi di adattamento e di resistenza che gli impiegati possono addurre. Non si può quindi pensare solo alla perfezione delle soluzioni e considerarle così automaticamente recepite.

Maggiormente interessante per l'autore è l'approccio incentrato sulla dimensione psicologica e culturale del cambiamento, che cerca di lavorare sulla trasformazione delle mappe cognitive e degli schemi d'azione delle persone.

Quindi, in questo modo, si dà molto più risalto al gruppo in quanto è quest'ultimo che sviluppa la cultura, la quale è il motore del funzionamento e dell'evoluzione del sistema. Per cambiarlo bisogna lavorare su essa, producendo processi di adattamento ed integrazione all'interno delle relazioni di gruppo che gli individui hanno creato nel

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sistema. Questo approccio dunque contempla di più l'imprevedibilità del sistema e non cerca di imporsi con nuove strutture razionali, bensì incentiva l'apprendimento delle novità esterne. Esso però ha il limite di pensare al cambiamento solo se cambia la cultura del sistema, quando invece ci possono essere azioni collettive che possono portare rotture ed innovazioni al di là della cultura.

Perciò per Tanese l'approccio migliore è quello strategico, dove si lascia da parte ogni forma di determinismo e si punta al gioco di relazioni interne al sistema, facendo leva sulle esperienze e sul potenziali interni. Occorre disporre di una consapevolezza dei propri punti di forza e di debolezza, di una lettura critica e approfondita dei vincoli culturali e di potere dell'organizzazione in modo da capire come ne limitano lo sviluppo.

«Porre al centro la strategia vuol dire quindi considerare il cambiamento organizzativo come quel processo di apprendimento collettivo che passa soltanto attraverso una trasformazione dall’interno del sistema di relazioni, come auto-adattamento reciproco tra le sue componenti, quindi come auto-organizzazione»6. In conclusione l'autore sottolinea che anche gli altri approcci possono comunque coesistere, l'importante è «intervenire nell’azienda in modo molto meno rigido e a priori di quanto non si faccia tradizionalmente»7.

Sulla scia di queste riflessioni trovo che sia importante rapportare la comunicazione all'organizzazione: nel secondo approccio presentato da Tanese si sottolineava l'importanza della cultura organizzativa, che è un insieme di assunti e valori che tengono saldi i rapporti interpersonali interni e permettono anche di relazionarsi con l'esterno in un processo di apprendimento. In ciò rientra pienamente la comunicazione poiché i valori vengono diffusi all'interno tramite lo scambio informativo, che può avvenire attraverso cerimoniali e schemi di comportamento che li denotano.

Di fronte alla complessità anche Paolo Borsone preferisce puntare su concetti come “mappa”8 o “intensità di informazione” e su una maggiore semplificazione perché

6 A. Tanese, op. cit. 7 Ibidem

8 A proposito dell'importanza della mappature si vede anche L. Mori in S. Cacciari, L. Mori, Mesh

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«in effetti la capacità di interpretare e di fronteggiare la complessità di un ambiente non passa tout court attraverso un aumento di complessità, ma certamente attraverso un aumento dell’intensità di informazione e di conoscenza tale da fornire migliori strategie di sopravvivenza e di modifica dell’ambiente»9. L'autore quindi incentrava la sua riflessione sulla teoria dell'informazione, come valido strumento per analizzare e risolvere sistemi in crisi. Questa prospettiva si rifà anche al pensiero di Habermas, che a differenza di Luhmann non subordina le interazioni discorsive all'interno del funzionamento del sistema ma considera la comunicazione come imprescindibile. La comunicazione quindi interverrebbe in aiuto alla crisi perché con essa è possibile autoorganizzarsi e gestire azioni collettive: fondamentale sarebbe il ruolo del “gioco” che per Crozier e Friedberg è «il solo concetto che può contenere una visione dualistica e non integrata dell’azione sociale, il solo che può riconciliare le idee di libertà e di vincolo, l’autonomia degli attori e la realtà dell’integrazione del loro comportamento, le strategie egoistiche e interessate degli attori e la coesione finalizzata del sistema»10. L'attenzione alla specificità delle singole organizzazioni comporta la valorizzazione delle soggettività e l'importanza del senso che viene attribuito ai vari meccanismi organizzativi. Un interessante saggio in questo senso è quello di Barbara Czarniawska e di Bernward Joerges11 che reinterpreta la contingenza, al di fuori della prospettiva positivistica e di quella ermeneutica, per riferirsi ad una conoscenza di tipo narrativo. Per questo ritengo che tutta questa trattazione e le parti che seguiranno, che hanno l'obiettivo di presentare le problematiche intercorse durante il tirocinio all'interno del sistema, si rifaccia a quando detto da Crozier e Friedberg: «Dall’analista ci si dovrebbe aspettare soltanto la produzione di conoscenza empirica sulle reali strutture e i reali meccanismi di regolazione del sistema umano che caratterizzano un dato campo d’azione. Questa conoscenza permetterà agli attori di vedere e capire in modo diverso da prima la loro situazione, li aiuterà ad acquisire e a sviluppare nuove capacità, a livello sia

9 In un suo articolo reperibile su <http://www.paoloborsoni.net/complessita.htm>

10 M. Crozier – E. Friedberg, Organizzazioni e azione collettiva: il nostro contributo all’analisi

organizzativa, in AA. VV., Il pensiero organizzativo europeo, a cura di Samuel B. Bacharach, P.

Gagliardi e B. Mundell, Guerini e Associati, Milano 1995, p. 116

11 B. Czarniawska – B. Joerges, Venti di cambiamento organizzativo: come le idee si traducono in

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individuale che collettivo, mettendoli quindi in grado di modificare – e, sperabilmente, di migliorare – il loro modo di partecipare al gioco organizzativo della cooperazione e del conflitto, fino a cambiare eventualmente quel gioco e impararne un altro»12.

5.1. Il caso dell'Agenzia Comunicazione: il cambio politico modifica

il sistema

Iniziai il mio tirocinio presso l'Agenzia Comunicazione del Comune di Bergamo il 26 maggio 2009. Il 6 e 7 giugno 2009 a Bergamo si tennero le elezioni comunali per la scelta di un nuova Amministrazione. Il Sindaco uscente - Roberto Bruni - si proponeva per il secondo mandato con il supporto dei gruppi politici del centro-sinistra, mentre il suo avversario principale - Franco Tentorio - si presentava con i partiti del centro-destra.

Alle ore 18 del 8 giugno 2009 già si era compreso che le elezioni erano state vinte da Franco Tentorio: in nottata venne infatti confermata la sua vittoria col 51,4% dei voti dei cittadini bergamaschi.

Questo breve resoconto è importante per comprendere le vicende intercorse durante il mio tirocinio, all'interno dell'Agenzia Comunicazione. Le elezioni comunali infatti stravolsero l'assetto dell'ufficio, in quanto per buona parte era legato all'andamento dell'Amministrazione. La vittoria di Tentorio infatti sancì, tra le altre novità, la conclusione di due contratti importanti all'interno dell'ufficio: quello del Dirigente e quello dell'Addetta Stampa. Essi erano stati nominati cinque anni prima dal Sindaco Bruni e avevano contratti con il vincolo di mandato: erano quindi dipendenti del suo staff e con lui dovevano concludere l'esperienza amministrativa, qualora le scelte dei cittadini o condizioni particolari lo imponessero.

Non ci fu nessuna comunicazione ufficiale, interna al Comune, che stabilì la loro decadenza: essi si rifecero alla nomina ufficiale del nuovo Sindaco da parte del Prefetto , il quale la rese pubblica l'11 giugno. In quella stessa mattinata il Dirigente e l'Addetta Stampa lasciarono quindi l'ufficio.

Si concludeva così anche il mio rapporto con loro, durato solo undici giorni. Inoltre

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veniva così a ridursi radicalmente l'organico dell'Agenzia Comunicazione: contando anche l'URP, da sette dipendenti (escluso quindi lo stagista) improvvisamente si è passati a cinque. Il Dott. Roberto Cremaschi – allora Dirigente della struttura - ben consapevole del disagio che ciò avrebbe apportato, decise di tenere una riunione organizzativa con la Dirigente dell'area Affari Istituzionali a cui appartiene tutt'ora l'Agenzia Comunicazione, la Dott.ssa Giacoma Giaccone. In quella riunione, a cui fui presente anch'io, si parlò di quali erano le competenze dell'ufficio e quali servizi era necessario mantenere. I due Dirigenti si scambiarono così le consegne e la Dott.ssa Giaccone chiese ai dipendenti di continuare nell'impegno di produrre informazione istituzionale per i cittadini, tramite i consueti canali. Furono invece sospesi diversi progetti poiché, in qualche modo, erano legati alle scelte dei precedenti Assessori.

Tra i servizi a cui si garantì continuità ci furono gli aggiornamenti delle sezioni news,

agenda, infomobilità del sito Internet in quanto fornivano informazioni di servizio e

utilità pubblica. Inoltre si decise di proseguire la rassegna stampa quotidiana, che era gestita dall'Addetta Stampa e che per ora sarebbe stata organizzata dall'Agenzia Comunicazione: il compito quindi passò nelle mani di Simona e, quando lei andò in ferie, in quelle di Silvia. Quest'attività venne mantenuta per la sua importanza informativa, anche se nell'ambiente della comunicazione è considerata delicata in quanto nella selezione degli articoli e delle testate possono intervenire scelte di tipo politico. Ciò può sicuramente avvenire, anche se bisogna ricordare che la rassegna stampa del Comune dovrebbe avere come scopo solo quello di presentare ai cittadini, in maniera completa ed obiettiva, come tutti i quotidiani nazionali e locali raccontano e commentano le notizie della città.

Ad ogni modo, questa situazione di cambiamento può esser interpretata come un esempio del fuori che entra nel sistema e finisce per condizionarlo. Durante le elezioni il confine tra sistema ed ambiente si era già assottigliato finché il nuovo (soprattutto proveniente dal fuori in quanto molti consiglieri ed neoAssessori non avevano mai partecipato all'Amministrazione del Comune di Bergamo) ha prevalso. Quindi, se valutato in questo modo, il fuori si è concretizzato nel dentro proprio attraverso persone nuove.

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Si può rappresentare il fuori anche come il voto degli elettori che, sebbene responsabili e con pieni diritti verso l'amministrazione, non partecipano in maniera diretta alla vita pubblica della loro città ma attraverso forme di democrazia rappresentativa13. Il loro potere quindi sarebbe riuscito a scardinare il sistema interno del Comune e quindi anche quello dell'Agenzia Comunicazione.

Questo stravolgimento della struttura ha generato diverse situazioni di crisi, tra cui la più rilevante è stata quella che ha portato alla cessazione degli incarichi di Dirigente e Addetto Stampa, i quali all'interno del gruppo svolgevano un importante ruolo importante di coordinamento e stimolo.

5.2. Lo spoil system

Lo spoil system è un concetto tipico della comunicazione politica e nacque in America, dove è legato al motto americano “To the victors go the spoils” (Ai vincitori va il bottino) e il cui significato letterale è “sistema dello spoglio”. Esso descrive la pratica attraverso cui le forze politiche che hanno conquistato, tramite le elezioni, il diritto a governare poi distribuiscono a simpatizzanti e affiliati cariche istituzionali e dirigenziali. In Italia a questo concetto viene spesso affiancato quello di clientelismo, ma nella logica anglosassone lo spoil system non è un termine negativo quanto piuttosto un'espressione neutra che connota una pratica diffusa e legittimata dalla considerazione che chi è il vincitore delle elezioni deve poter governare nel migliore dei modi.

Ad esso si contrappone il merit system, che prevede l'assegnazione dei ruoli di gestione di un ente tramite la valutazione oggettiva delle competenze e al di là delle preferenze politiche, seguendo quindi la prassi del concorso pubblico.

5.2.1.Storia del concetto nella sua patria d'origine

Lo spoil system è esplicitato con parole anglosassoni perché è nato negli Stati Uniti d'America. La frase citata sopra, “To the victors go the spoils”, fu infatti attribuita al Senatore William Learned Mercy che con ciò intendeva segnalare come il Governo

13 Cfr. P. Martelli, Elezioni e democrazia rappresentativa. Un'introduzione teorica, Laterza, Bari, 1999

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vincitore delle elezioni ha tutto il diritto di scegliersi un'amministrazione di fiducia. La logica che sottende lo spoil system sarebbe quindi la catena di responsabilità: i dirigenti rispondono ai ministri, questi ultimi al Parlmento, il quale è espressione degli elettori.

Negli Stati Uniti lo spoil system comparve per la prima volta con la presidenza Jefferson (1801-1809), mentre in quella Jackson (1829-1837) esso fu inteso anche come un meccanismo utile per consentire la rotazione dei dipendenti pubblici, che impedirebbe la loro fossilizzazione o l'appropriazione di ambiti burocratici14. Quindi in quegli anni venne inteso come un modo per creare un rapporto fiduciario tra l'amministrazione e chi era stato eletto dal popolo, ma anche per impedire forme di cristallizzazione del potere burocratico.

Non si creda però che, nella patria dove nacque, questo fenomeno fu totalmente accettato: all'interno della presidenza Jackson, Calhoun propose di abolire la legge sulla durata massima degli incarichi pubblici15. Il presidente Lincon (1861-1865), che quando entrò in carica sostituì l'80% dei dirigenti del governo federale, si trovo costretto a ritornare sulle sue idee perché il sistema clientelare era diventato estenuante e corrotto. Si avviò così un processo di professionalizzazione della dirigenza, incentivato ancora di più dopo che si diffuse la notizia che ad uccidere il presidente Garfield (1881) fu un “insoddisfatto cercatore di cariche”. Nacque così il Pendleton Act che nella scelta dei dipendenti pubblici imponeva maggiore attenzione al merito. All'inizio ebbe poco successo, ma negli anni della Seconda Guerra Mondiale la meritocrazia arrivo ad incidere sull'amministrazione pubblica in più del 90% dei casi. Si iniziò così a considerare anche la burocrazia come un ambiente dove doveva prevalere la produttività, mentre lo spoil system poteva agire solo nei limitati settori d'indirizzo e non in quelli della gestione.

L'alternanza però di opinioni sul tema si ripropose nell'ultima metà del Novecento: Nixon (1969-1974) reintrodusse criteri fiduciari attraverso un piano che voleva togliere spazio alla meritocrazia per darlo a quei burocrati favorevoli alle sue

14 Come riportato in G.Gardini, L’imparzialità amministrativa tra indirizzo e gestione, Giuffrè, Milano, 2003

15 Cfr. J.L. Mashaw, I funzionari pubblici negli Stati Uniti in M. D’Alberti L’alta burocrazia, Il Mulino, Bologna, 1994, p. 53

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riforme; Carter all'apparenza propose leggi come il Civil Service Reform Act per incentivare il merito, ma nella pratica diede incarichi marginali a chi non si voleva allinearsi alla linea politica del Presidente16.

In periodi più attuali, Bush (1989-1993) fece dei tagli all'amministrazione piuttosto che ridurre i funzionari fiduciari, mentre Clinton (1993-2001) puntò sulla figura del funzionario in carriera, scelto dopo un'attenta valutazione17.

Attualmente quindi sembra aver avuto la meglio il merit system sullo spoil system nella sua terra d'origine, ma esso non è ancora del tutto cancellato.

Questa breve storiografia del concetto di spoil system in America è stata presentata per analizzare poi meglio un paragone proposto dal Dott. Cremaschi, nell'intervista a me rilasciata. Ora però è importante anche comprendere come questo tema sia stato trattato all'interno della PA italiana.

5.2.2. Lo spoil system in Italia

In Italia il rapporto tra politica e amministrazione è stato interpretato all'interno della dirigenza pubblica, la quale negli ultimi decenni è stata soggetta ad un'evoluzione normativa da parte dello Stato e degli enti locali. Sono infatti le leggi e i regolamenti, come sottolineato anche in altri ambiti, gli strumenti che nelle realtà pubbliche comunicano le strategie e le definizioni.

La dirigenza nella PA fu creata col DPR 748/72 che affidò ai dirigenti competenze proprie, dando loro la responsabilità degli atti dell'ente e dei risultati di gestione. Allora però non venne assegnata loro la possibilità di gestire il personale e le risorse economiche degli uffici, la quale rimase nelle mani degli organi politici. La riforma del DPR 748/72 si proponeva di separare politica e dirigenza, ma non offriva ai dirigenti gli strumenti necessari per essere autonomi.

Quindi la prima vera tappa legislativa che riuscì, in qualche modo, a regolare il rapporto tra politica e dirigenza fu il già citato (all'interno del capitolo “Norme” come il decreto principe dell'URP) d.lgs. 29/1993, il quale per Gardini18 venne elaborato in seguito alla scoperta dei malaffari della politica da parte dell'inchiesta

16 Cfr. G. Gardini, op.cit. 17 Cfr. J.L. Mashaw, op. cit. 18 G. Gardini, op. cit., p. 490

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giudiziaria “Tangentopoli”. Esso ha portato alla privatizzazione del pubblico impiego, superando nella maggior parte dei settori la disciplina pubblicistica dei contratti a favore di quella privata, più flessibile. Ovviamente questa norma condizionò anche i dirigenti pubblici, anche se nella legge vennero esclusi i dirigenti generali, a cui spettò ancora il regime di diritto pubblico. Questi ultimi dovevano esser scelti, per quanto riguarda gli organi statali, dal Ministro e confermati dal Consiglio dei Ministri e dal Presidente della Repubblica. Rispetto a loro, i dirigenti di seconda fascia oltre a gestire gli uffici di amministrazioni anche autonome, potevano svolgere funzioni ispettive e di ricerca. Il loro ruolo era quello della «gestione finanziaria, tecnica e amministrativa, compresa l’adozione di tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane e strumentali e di controllo»19, con piena responsabilità sulla gestione e i risultati dell'ufficio. La loro nomina avveniva esclusivamente tramite procedure meritocratiche, che valutavano le qualità degli aspiranti.

Tra il 1997 e il 1998 questa disciplina venne rivista allo scopo di risolvere la disuguaglianza di regimi legali per dirigenti di fascia diversa e differenziare ancor di più gestione e politica. Sono stati in particolare i d.lgs. 80/1998 e 387/1998 ad attuare ulteriori cambiamenti, in seguito alle intenzioni contenute nella prima legge Bassanini (legge 59/1997), che puntava ad uno Stato leggero, flessibile e decentralizzato.

Esse hanno innanzitutto previsto la cessazione degli incarichi dirigenziali dei Ministeri entro novanta giorni, se non confermati, e hanno esteso la disciplina privatistica anche ai dirigenti generali. Inoltre hanno modificato l'articolo 19 del d.lgs. 29/1993 prevedendo tre tipi di dirigenti, differenti in base al loro rapporto con gli organi politici. Nella posizione più alta e vicina alla politica c'erano «gli incarichi di segretario generale di ministeri, gli incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e quelli di livello equivalente»20, nominati come prima si faceva coi dirigenti generali e ritenuti di prima fascia, ovvero apicali. Sono poi stati introdotti incarichi di direzioni di uffici generali che vengono attribuiti

19 D.lgs. 29/1993, art.3, co. 2

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a dirigenti di prima fascia, in possesso di specifiche qualità professionali: questa tipologia è emblematica della difficile distinzione tra dirigenza e politica.

Come ultimo sono stati previsti incarichi di direzione degli altri uffici di livello dirigenziale, conferiti «dal Dirigente dell’ufficio di livello dirigenziale generale, ai dirigenti assegnati al suo ufficio»21.

Inoltre per tutti questi incarichi si è inserita nella legislazione il principio di temporaneità dei contratti dirigenziali, nei quali doveva esser definita da subito la «durata non inferiore a due anni e non superiore a sette anni con facoltà di rinnovo»22. Qualora poi un dirigente non venga riconfermato la legge prevede che venga posto in una situazione di disponibilità, all'interno della quale può svolgere funzioni di ispezione e studio per conto del vertice dell'ente.

Se però l'amministrazione nota che il dirigente non sta raggiungendo i suoi obiettivi e gestisce scorrettamente l'ufficio gli può revocare l'incarico o spostarlo in un altro ufficio, a seguito però di contestazione e contraddittorio.

Già queste norme suscitarono scalpore in quanto la temporaneità degli incarichi era vista come una disposizione che consegnava la dirigenza nelle mani della politica, quando invece l'intento era quello di collegarla maggiormente al raggiungimento di chiari obiettivi, come previsto per molti lavori istituiti con contratti di diritto privato. Il giurista Ronconi sottolinea, nel suo articolo pubblicato su Filodiritto23, che ciò non va contro la Costituzione, ma a favore di una dirigenza più controllata e precisa, con obiettivi chiariti fin dalla stipula del contratto.

Si sancisce poi che l'incarico dirigenziale deve essere assegnato con un procedimento amministrativo che ne specifichi le necessità e gli obiettivi. Ciò per Ronconi significa definire lo spoil system in quanto il provvedimento amministrativo di nomina con una scadenza conferisce potere all'organo politico di fare scelte di intuitus personae, come del resto è stabilito anche dalla nuova versione del d.lgs. 29/199324 che prevede la possibilità di scegliere personale esterno alla PA fino ad un massimo del 5%, purché con esperienza nel settore. Per l'autore poi ciò avrebbe lo scopo di permettere

21 D.lgs. 29/1993, art. 19, co. 3 come modificato da d.lgs. 80/1998, art. 13 22 Ivi, co.2

23 Reperibile su <http://www.filodiritto.com/index.php?azione=visualizza&iddoc=1127> 24 D.lgs. 29/1993, art. 19, co. 6 come modificato da d.lgs. 80/1998, art. 13

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al Governo di «dotarsi di un apparato dirigenziale fiduciario e, soprattutto, strumentale all’azione politica»25.

Sul reclutamento si stabilisce anche che un 70% dei posti dirigenziali deve essere assegnato tramite concorso, mentre un 30% attraverso il corso-concorso della Scuola Superiore della PA. È possibile anche un terzo dei dirigenti generali siano stati prima dirigenti di seconda fascia del ruolo unico, derogando così le differenze di fascia e competenze.

Con questi cambiamenti, rientrati poi tutti nel d.lgs. 165/2001 considerato il Testo Unico del pubblico impiego, la dirigenza pubblica ha cambiato rotta e si è spostata verso la precarizzazione e la politicizzazione. Questi fenomeni negli anni successivi sono incrementati invece che diminuire poiché l'obiettivo era quello di riportare la dirigenza all'interno delle suddivisioni imposte dal d.lgs. 29/1993. Difatti la legge 145/2002 stabilisce addirittura che gli incarichi di dirigenti generali sono tutti da riassegnare, mentre quelli di dirigenti di seconda fascia sono confermati se non assegnati ad altri entro novanta giorni dall'entrata in vigore della legge. Inoltre la legge riduce la durata degli incarichi: tre anni per i dirigenti generali e cinque anni per quelli non generali. Viene poi data ampia possibilità di nomina alla politica che può scegliere ora un 10% dei dirigenti di prima fascia tra personale esterno alla PA e un 8% nei casi di dirigenti di seconda fascia, mentre per ben il 50% dei dirigenti di seconda fascia c'è la possibilità di diventare dirigenti generali.

Col DL 262/2006 si stabilisce inoltre che i dirigenti possono provenire anche da un'altra amministrazione, mentre ad ogni cambio amministrativo il dirigente deve ottenere una conferma entro sessanta giorni: norme che vorrebbero celare la componente politica dello spoil system e che la legislazione costituzionale poi tratterà approfonditamente.

Nonostante lo spoil system, con queste leggi, sia entrato a pieno titolo nella gestione della dirigenza pubblica, non si dimentichi che nell'ordinamento italiano esso era presente già prima del 1998 in tre settori specifici.

Nell'ambito del ruolo, anomalo rispetto al classico organico, del segretario comunale e provinciale infatti la legge 142/1990 sancisce all'articolo 51 che i segretari sono

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nominati dal Sindaco e dal Presidente della Provincia e rimangono in carica quanto il mandato di chi li ha nominati. Ciò ovviamente ha aperto diversi contenziosi che però il legislatore non ha cercato di risolvere. Anzi, nella legge 75/1999 si stabilisce che il segretario non si deve aspettare né un procedimento di conferma né di revoca: continua a svolgere il suo lavoro finché non arriva la nomina di un altro segretario. È chiaro quindi che quanto contemplato nella legge 141/1990 è confluito pienamente nel “Testo Unico sugli Enti locali” (legge 267/2000) e quindi non è stato cancellato il livello di fiduciarietà che deve intercorrere tra segretario e Sindaco o Presidente. Nella legge 400/1988 invece si stabilisce che i capi dei dipartimenti della Presidenza del Consiglio debbano cambiare ad ogni cambio di Governo. All'articolo 31 della stessa legge si dice anche che i consiglieri e gli esperti hanno contratti che, se non confermati, cessano entro tre mesi dal giuramento del nuovo Governo. Questa norma però è comprensibile in quanto riguarda l'organo più importante del potere esecutivo. Da ultimo, il d.lgs. 139/2000 ha riformato la carriera prefettizia confermando il legame fiduciario tra funzionari e alti dirigenti del Governo. Lo spoil system nei confronti dei prefetti e degli ambasciatori infatti si diffuse fin dagli anni '90 ed è forse, agli occhi dell'opinione pubblica, l'esempio più classico. Per Corona26 l'unico modo per fronteggiare i fenomeni più esagerati dello spoil system in quest'ambito, dove è ragionevole vederlo applicato, è avere una dirigenza compatta che difende le proprie funzioni.

5.2.3. La giurisprudenza più rilevante sul tema dello spoil system

Sul tema si è aperto dal 1999 un notevole dibattito nella giustizia amministrativa, con giudici che ritenevano corrette le disposizioni della legge Frattini (la 145/2002) e molti altri che ponevano dubbi di costituzionalità sulle riforme della dirigenza pubblica. Non è l'obiettivo di questa trattazione quello di presentare le differenti opinioni, che sono state raccolte egregiamente da studiosi di diritto: ritengo però importante riassumere come uno degli organi più importanti della legislazione italiana, la Corte Costituzionale, ha affrontato l'argomento in seguito alle controversie sorte nei tribunali amministrativi.

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Nel 2006 il Consiglio dei Ministri propose alla Corte di esaminare l'illegittimità costituzionale di alcune leggi regionali di Calabria e Abruzzo che riguardavano le nomine di dirigenti apicali degli Enti regionali. Nella sentenza 233 del 16 giugno 2006 la Corte non ravvisa però nessuna forma di incostituzionalità: i giudici ritengono corretto che le nomine di vertice delle Regioni siano influenzate all'intuitu

personae, ovvero da valutazioni personali legate all'indirizzo politico, in quanto

permette agli organi politici di scegliere soggetti idonei a garantire «l’efficienza e il buon andamento dell’azione della nuova giunta, per evitare che essa risulti condizionata dalle nomine effettuate nella parte finale della legislatura precedente»27. Da questa valutazione rimangono però estranei i dirigenti che non hanno ruoli apicali nell'amministrazione: su questo la Corte chiarisce che né la normativa nazionale né quella regionale consente di applicare lo spoil system anche a posizioni dirigenziali non generali.

Leggermente diversa è la sua opinione nella valutazione sulla legge regionale dell'Abruzzo, che prevede la decadenza di tutti i direttori amministrativi e sanitari in seguito alla nomina dei direttori generali delle Aziende Ospedaliere e delle ASL: in tali casi non si potrebbe avere infatti un'ipotesi di spoil system in senso tecnico in quanto queste non sono posizioni legate alla vita politica dell'Ente bensì all'organizzazione della struttura amministrativa, nella quale deve essere garantita una consonanza di impostazione gestionale tra direttore generale e dirigenti da lui nominati. Nel punto in cui però la norma si estende anche ai responsabili dei dipartimenti e distretti sanitari, divenendo così automatica e generalizzata, la Corte la considera incostituzionale poiché pregiudica il buon andamento dell'amministrazione e viola l'articolo 97 della Costituzione.

È difatti proprio su quest'ultimo punto che i commentatori giuridici si sono divisi in due scuole di pensiero: chi, come Battini28, ha visto in questa sentenza la morte del principio di distinzione tra politica e amministrazione, e chi invece l'ha letta come un'apertura allo spoil system ma chiarendone bene i confini. Per Biancalana29 infatti

27 Sentenza Corte Cost. n. 233/2006

28S. Battini, In morte del principio di distinzione fra politica e amministrazione, in

Giornale di diritto amministrativo, 8, 2006

29 F. Biancalana, Spoil system e pubblica amministrazione reperibile su <http://www.iss.promopa.it/articolo.php?id=13>

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la sentenza dice chiaramente che è solo per le posizioni apicali è autorizzato lo spoil system, al fine di permettere a chi ha vinto le elezioni di poter avere al suo servizio una macchina amministrativa efficiente. Inoltre la Corte si oppone a interpretare ogni ambito della PA come collegabile alla politica: da questa sentenza si evince che i settori non generali e meno specifici possono e devono continuare a rimanere autonomi. Infine è doveroso osservare che la Corte, a conoscenza dell'ampio dibattito sul tema, non voleva giungere a proposizioni di ordine generale o relative all'impianto statale quanto piuttosto valutare le situazioni che le erano state sottoposte.

Merloni30 invece, pur facendo parte di coloro che non interpretano come estremamente negativo lo scenario proposto da questa sentenza, non è convinto sulla distinzione tra area fiduciaria e professionale: per la Corte le attività di indirizzo sarebbero di fiducia, mentre le questioni di gestione e amministrative sarebbero professionali. Per l'autore questa distinzione è troppo ambigua in quanto ai primi corrisponderebbero le posizioni apicali e agli altri quelle non generali, quando invece spesso non è così: ci sono uffici che necessitano di un'imparzialità di gestione che però si trovano a livelli apicali e ci sono uffici non generali con ampi poteri d'indirizzo (come è il caso dell'Agenzia Comunicazione). Stessa critica propone nella valutazione del giudizio dei giudici costituzionali nei casi di spoil system nelle ASL in quanto per cui la Corte «trascura del tutto la ormai acquisita natura privatistica delle aziende e della loro organizzazione, natura che è stata loro attribuita proprio al fine di liberarle dal peso dei vincoli pubblicistici e di conseguire in modo più efficiente gli obiettivi che sono loro assegnati»31.

È stato però corretto citare questa sentenza perché è a partire da essa che la Corte si è concentrata sul tema dello spoil system, affrontandolo ampiamente nelle sentenze 103 e 104 del 2007.

La 103 del 19 marzo 2007 arriva a seguito di ben sette ordinanze del Tribunale di Roma relative ai comma 1 e 7 dell'articolo 3 della legge 145/2002.

A riguardo del comma 7, che revoca i dirigenti entro sessanta giorni dall'entrata in

30 F. Merloni, Distinzione tra politica e amministrazione e spoil system, reperibile su

<http://www.unipg.it/~scipol/tutor/uploads/merloni.doc>, p.15

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vigore della legge, la Corte afferma che è incostituzionale. Esaminando i motivi che hanno riformato negli ultimi anni la dirigenze pubblica, la Corte infatti evince che fin dal d.lgs. 29/1993 l'obiettivo era quello di separare l'organo politico da quello della dirigenza amministrativa. Le riforme del 1997-1998 avrebbero contribuito verso questa direzione, accentuando le distinzioni funzionali e estendendo il regime privatistico anche ai dirigenti generali. Quindi, con l'ampliamento delle competenze, l'esercizio dirigenziale deve esser valutato in base all'attività amministrativa e di gestione, attraverso un «sistema valutativo in relazione agli obiettivi programmati»32. Bisogna poi garantire la continuità amministrativa in modo che il dirigente svolga «la propria attività - in conformità ai principi di imparzialità e di buon andamento dell’azione amministrativa – con la previsione di adeguate garanzie procedurali nella valutazione dei risultati; con eventuale adozione di provvedimento di revoca dell’incarico per accertata responsabilità dirigenziale»33.

È infatti da queste valutazioni sulla disciplina giuridica dello spoil system che la Corte arriva a considerare il comma 7 incostituzionale poiché, col suo meccanismo automatico e generalizzato di cessazione degli incarichi dirigenziali, viola gli articoli 97 e 98 della Costituzione, riportati in cornice per la loro importanza.

Inoltre viene meno anche il rispetto del giusto procedimento: manca infatti la fase valutativa, all'interessato non è offerta possibilità di replica o contraddittorio e così non gli viene formalizzata la procedura di revoca come invece prevede la legge

32 Sentenza Corte Cost. n. 103/2007 33 Ibidem

Sezione II del Titolo III, parte seconda, della Costituzione La Pubblica Amministrazione

Art. 97

I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.

Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.

Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.

Art. 98

I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione.

Se sono membri del Parlamento, non possono conseguire promozioni se non per anzianità. Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all'estero.

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241/1990 sul procedimento amministrativo. Permettere alla PA di contestare al dirigente i risultati in base ad obiettivi prestabiliti e garantirgli la possibilità di difendersi sarebbe una garanzia per entrambi. Si noti che ciò già fu ribadito dalla Corte nella sentenza 193/2002, dove si afferma che si può sanzionare con la rimozione un dirigente ma solo dietro precise garanzie procedurali.

Quindi la previsione di una anticipata cessazione ex lege del rapporto in corso – in assenza di una accertata responsabilità dirigenziale – impedisce che l’attività del dirigente possa svolgersi tranquillamente e secondo le nuove regole della PA che vorrebbero misurare l'efficienza «alla luce dei risultati che il dirigente deve perseguire, nel rispetto degli indirizzi posti dal vertice politico, avendo a disposizione un periodo di tempo adeguato, modulato in ragione della peculiarità della singola posizione dirigenziale e del contesto complessivo in cui la stessa è inserita»34.

La Corte quindi non esclude il diritto della politica, come previsto dal d.lgs. 29/1993, di revocare degli incarichi apicali ma a seguito di comprovate inadempienze e non di giudizi sulle opinioni. Serve quindi sempre una valutazione e una giustificazione, che sono legittime nei casi in cui cambino gli obiettivi dell'amministrazione.

La sentenza 104/2007 invece valuta la normativa della Regione Lazio e della Regione Sicilia sulla decadenza automatica di dirigenti amministrativi. In particolare la Regione Lazio prevedeva che i suoi dirigenti decadessero automaticamente entro novanta giorni dalla prima seduta del Consiglio regionale, come anche i direttori generali di ASL e di aziende ospedaliere. In tal caso la Corte cambia l'opinione del 2006, ritenendo le norme illegittime per l'articolo 97 della Costituzione. La decadenza automatica dei direttori generali in quanto svolgono «compiti di natura essenzialmente tecnica, quali aziende pubbliche dotate di autonomia imprenditoriale: in tal senso i direttori generali sono nominati fra soggetti in possesso di particolari requisiti culturali e professionali e perciò sottoposti a continue verifiche dei risultati conseguiti ed individuati a seguito di una procedura complessa di valutazione a cui partecipano tre esperti in direzione aziendale. Si tratta quindi di figure tecnico-professionali gravate da una obbligazione di risultato»35. Ad essi al contrario bisogna

34 Sentenza Corte Cost. n. 103/2007 35 Sentenza Corte Cost. n. 104/2007

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garantire il «profilo dell'imparzialità e del buon andamento dell'amministrazione»36. La Corte per argomentare la sua posizione sottolinea che quest'ultimo concetto è presente anche negli articoli 5137 e 98 della Costituzione, i quali mirano a rendere l'amministrazione e i dipendenti pubblici liberi dai condizionamenti politici. Nella sentenza vengono poi riprese anche le parole del relatore della seconda sottocomissione dell'Assemblea Costituente, che a proposito dell'articolo 97 diceva: «la necessità di includere nella Costituzione alcune norme riguardanti la pubblica amministrazione si riporta, fra l’altro, all’esigenza di assicurare ai funzionari alcune garanzie per sottrarli alle influenze dei partiti politici. Lo sforzo di una Costituzione democratica oggi che al potere si alternano i partiti, deve tendere a garantire una certa indipendenza ai funzionari dello Stato, per avere un’amministrazione obiettiva della cosa pubblica e non un’amministrazione dei partiti»38.

Inoltre, proprio alla luce di questi articoli, le persone idonee alla funzione pubblica devono essere scelte in modo neutrale, valutando solo le capacità e la preparazione dei candidati, come previsto anche dalla disciplina privatistica. Secondo quest'ultima e per la legge 241/1990, il dirigente deve esser avvisato quando si avvia un procedimento nei suoi confronti, deve essergli data la possibilità di difesa e di un provvedimento motivato in quanto «Il dirigente è sottoposto alle direttive del vertice politico e al suo giudizio, ed in seguito a questo può essere allontanato. Ma non può essere messo in condizioni di precarietà che consentano la decadenza senza la garanzia del giusto procedimento»39.

Come è stato detto sopra, nel frattempo però la legislazione ha lavorato a ipotesi alternative pur di poter applicare lo spoil system, come quella prospettata dalla legge 262/2006. Essa prevedeva la possibilità di assumere dirigenti da altre amministrazioni, i quali dovevano comunque cessare i loro incarichi, se non confermati, sessanta giorni dopo l'entrata in vigore della legge.

La Corte con la sentenza 161/2008 stabilisce che anche il caso della dirigenza esterna non cambia la validità dei principi di imparzialità, efficienza e giusto procedimento.

36 Ibidem

37 Al comma 3 si dice infatti che «Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro»

38 Citato nella Sentenza Corte Cost. n. 104/2007 39 Ibidem

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Anche per loro deve esser privilegiata la continuità amministrativa e una chiara distinzione tra politica e dirigenza.

Con la sentenza 81/2010 poi ribadisce che non è possibile introdurre una decadenza automatica degli incarichi di dirigenti pubblici, di qualsiasi fascia e provenienti da altre amministrazioni, prima della scadenza del loro contratto. La corte ribadì questa sua opinione in seguito alle norme contenute nella finanziaria 2007, dove il Governo tentò di reintrodurre lo spoil system con una disposizione che contemplava la cancellazione degli incarichi assegnati a non dirigenti entro novanta giorni dalla formazione del Governo e la cessazione automatica per i contratti stipulati dal precedente governo (inserendo una data precedente alle elezioni). Anche qui i giudici costituzionali ritengono la norma incostituzionale in quanto non permette il buon andamento e l'imparzialità della PA imposti dalla Costituzione. Inoltre così si rispettano nemmeno i meccanismi del giusto procedimento, che in questo caso sarebbero maggiormente doverosi in quanto i contratti con qualifica di dirigente assegnati a personale non dirigenziale sono stipulati in base a specifici criteri. La riforma del pubblico impiego, il d.lgs. 150/2009, infatti ritiene che essi devono avere una comprovata qualificazione professionale, il che escluderebbe la possibilità di nominarli attraverso un meccanismo di clientelismo politico.

5.2.4. L'Agenzia Comunicazione e lo spoil system

Le precedenti pagine di presentazione della storia e della normativa dello spoil system sono state inserite in questa mia trattazione per riuscire a capire se all'interno dell'Agenzia Comunicazione è stato applicato o meno.

Come è stato chiarito sopra infatti, durante il mio tirocinio, ho assistito ad una fase di stallo e poi ad una di cambiamento, intercorse all'interno dell'ufficio a seguito della decadenza dei contratti del Dirigente e dell'Addetto Stampa.

Per esaminare se questa procedura rientra nello spoil system, ho ritenuto che il modo migliore fosse quello di sottoporre il tema alla riflessione dei diretti interessati e quindi, in particolare, dell'ex-Dirigente dell'Agenzia Comunicazione, il Dott. Cremaschi. Con lui infatti ho svolto un'intervista ad ampio raggio sui temi trattati in questo lavoro (che è interamente riportata nell'Appendice A), iniziando proprio dallo

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spoil system.

La prima domanda dell'intervista gliel'ho posta volutamente in termini equivoci per comprendere la sua posizione riguardo alla cessazione del suo incarico presso il Comune di Bergamo. In essa parlavo di “dimissione obbligate”, che il Dott. Cremaschi ha subito ribadito non essere tali: mi ha spiegato, infatti, che lui non si è sentito in obbligo di dimettersi in seguito al cambio di Amministrazione, bensì il suo contratto è scaduto in quanto era legato alla longevità dell'Amministrazione che lo aveva assunto.

Ha ribadito inoltre che lui faceva parte di quella categoria di dirigenti che provengono da un altro ente pubblico, essendo un lavoratore della Regione Lombardia. Quando gli fu proposto il contratto di Dirigente dell'Agenzia Comunicazione del Comune di Bergamo chiese alla propria sede un periodo di aspettativa, che sapeva aver una chiara e precisa durata: cinque anni o, comunque, finché il Sindaco rimaneva in carica.

Nella sua risposta inoltre afferma che la sua decadenza rientrava chiaramente nello spoil system, ma anche che lui era cosciente che ciò poteva avvenire. Considera poi molto positiva l'esistenza di questo meccanismo, in quanto permette ad un «un amministratore pubblico di avere dei collaboratori che lavorano per il suo programma». Suggerisce addirittura di estendere questa possibilità ad altri ruoli dirigenziali, per permettere alla macchina amministrativa di lavorare al meglio.

Sull'argomento siamo poi ritornati con la domanda relativa a come la politica si deve inserire all'interno della comunicazione pubblica. A suo parere, nella precedente Amministrazione la distinzione tra comunicazione politica e istituzionale era stata ben definita: alla prima era incaricato un portavoce, come previsto dalla legge 150/2000, mentre alla seconda era preposto lui che afferma di aver lavorato per far conoscere i servizi dell'Amministrazione, secondo la logica per cui «se un servizio non lo comunichi non esiste».

A fronte di questa valutazione sul suo operato ho chiesto un ulteriore chiarimento sul turn-over da lui ritenuto legittimo nell'ambito della dirigenza dell'Agenzia Comunicazione che, in quella parte dell'intervista, era stata interpretata come l'ufficio che diffondeva le informazioni essenziali sulla città e i suoi servizi. Dietro questa

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osservazione, la sua posizione si è ammorbidita, ritenendo possibile che chi gestisce la comunicazione non decada automaticamente insieme al Sindaco. Ciò però gli sembra più una linea di principio, un'astrazione teorica che difficilmente è applicabile in quanto “quando un Sindaco viene eletto ha il diritto-dovere di portar avanti il suo programma. Non può avere una macchina comunale che gli rema contro perché non è democratico: che quindi possa avere delle persone che lavorano con lui sul suo progetto mi pare legittimo. In America se cambia il Presidente vanno via cinque mila persone, da noi siamo andati via in sette o otto”.

Ho riportato interamente questo passaggio perché è profondamente interessante. Innanzitutto considera implicitamente lo spoil system un diritto dell'amministrazione, al fine di governare seguendo il programma concordato coi cittadini attraverso il voto. Inoltre qui viene richiamata la patria dove è nato lo spoil system, valutando indirettamente come faraonico e forse esagerato il cambio di dirigenti che avviene dopo la nomina di un nuovo Presidente degli Stati Uniti, anche se ora la situazione è cambiata: come abbiamo brevemente visto sopra, ora si calcola che solo un 10% dei dirigenti cambino o perdano il loro incarico a seguito di nuovo elezioni presidenziali. Ad ogni modo, il Dott. Cremaschi ha sottolineato il caso americano per fare un paragone con la realtà di Bergamo e mostrare come qui il fenomeno dello spoil system abbia interessato poche persone: solo quelle che facevano parte dello staff del Sindaco.

Cercando quindi di fare una somma delle osservazioni iniziali sullo spoil system e della valutazione di indipendenza della comunicazione prodotta dall'Agenzia Comunicazione dalla politica, lui stesso dice che non è sempre necessario cambiare il Dirigente che la gestisce, anche se considera allo stesso tempo necessaria una sintonia politica per un buon operato anche nella comunicazione di servizio. A questo proposito cita, come già fatto in precedenza nell'intervista, la sua scelta di non chiedere alla nuova Amministrazione di proseguire il suo operato con loro poiché avrebbe faticato a comunicare e diffondere iniziative lontane politicamente dal suo pensiero.

Infine parlando del personale, afferma che la rotazione dei dipendenti pubblici è necessaria per conferire loro nuove conoscenze e attitudini di lavoro, prevedendo in

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alcuni casi anche uno scambio di conoscenze, se non anche di risorse umane, tra amministrazioni.

Da queste interessanti risposte si evince che l'opinione del Dott. Cremaschi è molto vicina a quella dell'On. Bassanini che fu tra i primi ad introdurre lo spoil system in Italia: entrambi guardavano al modello americano, nel quale il ricambio dirigenziale possibile ad ogni rinnovo elettorale garantiva efficienza ed impedire la sedimentazione dei ruoli, la quale farebbe perdere produttività alla PA.

Il Dott. Cremaschi, toccato personalmente dallo spoil system, lo ritiene quindi ragionevole e doveroso per un'amministrazione che vuol lavorare liberamente sul proprio programma. Arriva addirittura ad auspicare una maggiore estensione del fenomeno, per rendere l'azione del partito vincitore più veloce ed efficiente. Propone però quest'idea con prudenza, senza arrivare a definire gli ambiti di estensione dello spoil system. Di certo lo ritiene valido anche nella comunicazione istituzionale da lui curata, in quanto pur trattando dei servizi dell'Ente è di diretto contatto coi cittadini e quindi andrebbe gestita con un'attenzione di tipo politico.

Sebbene la sua opinione sullo spoil system sia motivata da delle valutazioni legate all'organizzazione, si mostra debole di fronte a quelle importanti fonti (non solo giuridiche) che affermano la necessità di autonomia della comunicazione formale dell'Ente. Lui stesso ammette che l'ambito istituzionale, se distinto bene, si può staccare da quello della comunicazione politica.

Quest'osservazione, ad ogni modo, non vuol essere una critica al Dott. Cremaschi che, anzi, ha rappresentato correttamente una commistione tra i due tipi di comunicazione, le quali sono divisibili solo attraverso sottili linee di demarcazione. Testimonia però la difficile convivenza tra il concetto di pubblico e politica all'interno della comunicazione della PA. Ritengo che a volte effettivamente scelte anche di tipo istituzionale siano inevitabilmente di parte, in base ai giudizi e ai gusti di chi le svolge. Esse però dovrebbero esser isolate e fatte rientrare all'interno delle funzioni politiche e amministrative dell'ente, lasciando alla comunicazione istituzionale spazi autonomi sia di organizzazione che di gestione.

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5.2.5. Una valutazione dello spoil system

Alla luce quindi del significato del termine e dei valori ad esso associati, si può effettuare una valutazione ampia dello spoil system, che vada oltre i termini giuridici. Dal punto di vista politico, Sabino Cassene40 ritiene che il fenomeno dello spoil system sia una conseguenza della stabilizzazione offerta del sistema elettorale maggioritario, il quale avrebbe reso i governi certi per tutta la legislatura e quindi i partiti vogliosi di conquistare posizioni. Essendone rimaste poche a causa delle riforme e delle privatizzazioni degli anni '90, i gruppi politici sarebbero così approdati negli enti pubblici. «Dunque, il ricambio per nomina politica e la precarizzazione non rispondono ad esigenze funzionali della gestione dello Stato, bensì a esigenze interno di un corpo politico, come quello italiano, che ha sempre avuto fame di posti per sistemare propri clienti e che vuole per questa strada assicurarsi la fedeltà politica della burocrazia»41.

Rientrando nell'ambito della comunicazione, il fenomeno dello spoil system è da ritenersi scorretto in quanto è dotato di poca comunicazione: al dipendente interessato spesso, infatti, non viene comunicata la decadenza del suo contratto in maniera formale, ma glielo si lascia intuire.

La comunicazione organizzativa, che qui è stata presentata sotto varie vesti, è il caposaldo di un'efficienza delle risorse: se ad un dipendente o ad un ufficio è chiara la sua posizione all'interno dell'organico, sa quali sono i suoi ruoli e c'è condivisione attiva di intenti, ci si ritrova nella condizione migliore per far funzionare egregiamente il sistema. In carenza di alcuni di questi elementi si perde innanzitutto chiarezza e conseguentemente velocità delle azioni.

Non comunicare la cessazione di un incarico quindi, al di là che sia scorretto nei termini procedurali della legge sul giusto procedimento, è una carenza di comunicazione che non permette una buona e limpida gestione della cosa pubblica. Quindi non solo lo spoil system non è un fenomeno chiaro per i diretti interessati, ma è una pratica che è lontana dal concetto di trasparenza, come è stato già proposto in questa trattazione. Informare su quanto guadagnano i dirigenti, senza permettere di

40 Nel suo articolo reperibile su <http://www.lavoce.info/articoli/pagina169.html> 41 Ibidem

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conoscere le procedure che portano alla loro selezione porta la trasparenza allo stadio zero.

Critici potrebbero affermare che quando un dirigente stipula il contratto è chiaro che il suo lavoro ha una durata limitata nel tempo: ciò però è eticamente sufficiente per motivare una negata comunicazione di fine contratto?

Inoltre se il dirigente è a conoscenza ovviamente dei termini del suo contratto di lavoro, lo stesso vale per i cittadini? Non sempre accade che essi sappiano chi sono i dirigenti legati al mandato dell'amministrazione. Quindi si potrebbero trovare spiazzati non ritrovandolo al suo posto, manifestando nella maniera più concreta il disagio della mancanza di comunicazione e continuità dell'operato, come stabilito dall'articolo 97 della Costituzione. Ritengo quindi che sarebbe più corretto un passaggio di consegne, se proprio si vuol mantenere lo spoil system, e non attendersi che l'opinione pubblica introietti l'idea secondo cui con una nuova amministrazione i cambi di dirigenza sono inevitabili, se addirittura automatici.

Ciò infatti, anche per il legislatore costituzionale, non è pratica normale e accettabile. Entrando poi nello specifico del tema, credo che la distinzione tra gli incarichi verso i quali applicare lo spoil system e quelli che ne dovrebbero rimanere immuni non dovrebbe venir effettuata in base alla posizione gerarchica del dirigente. A dare autorevolezza a quest'opinione c'è la valutazione citata sopra del giurista Merloni, che ritiene approssimativa la considerazione secondo cui solo nei ruoli apicali risiederebbero le attività più vicine alle scelte politiche. Per questo credo che, se proprio si vuol applicare lo spoil system, sarebbe corretto imporlo solo a quelle persone che durante una gestione amministrativa hanno rappresentato una parte politica, ovvero tutti coloro che sono entrati nell'Ente grazie all'elezione del Sindaco o di quel Ministro. Il Dott. Cremaschi ritiene che essi siano coloro che fanno parte dello staff del Sindaco, in quanto lo coadiuvano nelle attività e lo consigliano, oltre ovviamente i componenti della Giunta comunale. Ad ogni modo, la discrimine tra ruoli vicinissimi politicamente al Sindaco e ruoli più marginali è difficile da definire. Se però l'organigramma di un ente è chiaro e ugualmente lo sono le competenze di ogni ufficio non credo sia impossibile valutare quali sono le strutture che lavorano più per il soddisfacimento dell'interesse di coloro che hanno vinto le elezioni o per la

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difesa dell'essenzialità, fatta di valori e servizi imprescindibili, dell'amministrazione. Ad ogni modo, credo che la maniera migliore per comportarsi correttamente nei confronti dei dirigenti, siano essi vicini alla politica o meno, sia quella di valutare i risultati che hanno realizzato per l'ente. Se, cioè, una persona con chiare connotazioni politiche ha svolto in maniera professionale e sufficientemente imparziale il proprio lavoro non vedo perché non premiare questo suo impegno. Il merito, termine tanto adoperato per definire il cambio organizzativo anche nella PA, deve davvero valere e poter anche essere dimostrato. Serve quindi una cultura che lo accetti pienamente e che lavori per scovarlo dove è presente: quindi test di valutazione, esamina dei risultati di ogni ufficio da parte di funzionari super partes e annullamento di progressioni di carriera automatiche sono i caratteri minimi per avere una PA efficiente e trasparente. In questo modo inoltre si incentiverebbe l'acquisizione di competenze da parte di una dirigenza che sa di poter far carriera in base al merito42. Alessandro Soncino, nel suo articolo per la Voce.info43, racconta come lo spoil system è stato evitato in Inghilterra: dal 1995 è attivo il Commissario per le Nomine pubbliche, scelto dalla Regina non tra funzionari statali, il quale si avvalora di una squadra di otto persone. Il suo ruolo è quello di controllare che gli organi esterni allo Stato nominino i vertici delle loro strutture «sulla base del merito, dopo un corretto, trasparente e aperto processo di scelta e comunque garantendo i principi di efficacia, efficienza e uguaglianza di opportunità»44. Più nello specifico, il suo compito viene svolto affidandosi a questi principi: la responsabilità delle nomine è del Ministro competente; il merito; lo scrutinio indipendente delle candidature; le pari opportunità; la proibità; la trasparenza del processo di nomina; la rispondenza del candidato alle qualità richieste.

Il commissario poi può svolgere indagini a sorpresa sulle procedure di nomina e chiunque può presentargli un reclamo a fronte ad una nomina sospetta: in quel caso il commissario sollecita il dipartimento interessato e se non è soddisfatto degli accertamenti convoca le parti. In caso di inadempienza lui non può annullare la

42 Come sostenuto da Daniele Checchi e Pietro Garibaldi in un articolo reperibile su <http://www.lavoce.info/articoli/pagina170-351.html>

43 Reperibile su <http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001339-351.html> 44 Ibidem

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carica attribuita al dipendenti, ma nella sua relazione annuale al Parlamento dichiara che quell'ente è scorretto nelle procedure di nomina dei dirigenti. Da una valutazione statistica, questo meccanismo sembra funzionare in quanto pochissimi sono stati i reclami, anche se Soncino ammette che «ha anche dei lati negativi, come i costi necessari a sostenerlo, i tempi fisiologicamente più lunghi per la scelta delle persone da nominare e un certo livello di burocratizzazione delle procedure»45.

Questo ovviamente è solo un esempio, in parte anche settoriale in quanto tratta di istituzioni esterne controllate dallo Stato, ma è utile per capire che un differente meccanismo di scelta dei dirigenti è possibile.

Tornando al caso dell'Agenzia Comunicazione, trovo che sarebbe possibile avere sia un Dirigente che un Addetto Stampa non politicizzati, lasciando la comunicazione di parte al portavoce che andrebbe così anche a potenziarsi, purché in loro ci sia davvero spirito volto a difendere informativamente l'Ente all'esterno, con obiettivi chiari sugli aspetti dell'innovazione e del soddisfacimento dei cittadini.

5.3. La situazione dell'ufficio dopo il cambio d'amministrazione

Nel paragrafo precedente si sono esaminate attentamente le caratteristiche dello spoil system in Italia e se esso è entrato all'interno dell'Agenzia Comunicazione: come affermavo, ritengo che questo fenomeno abbia pienamente attraversato l'ufficio nel periodo in cui io svolsi il tirocinio. È di quest'idea anche l'ex-Dirigente dell'Agenzia Comunicazione, nell'intervista presente all'Appendice A, anche se lui dà a questo fenomeno una connotazione più positiva di quanto non facciano i commentatori e le leggi.

Il cambiamento intercorso all'interno dell'ufficio dopo l'avvento di una nuova Amministrazione non ha però condizionato soltanto la posizione dirigenziale, ma anche altri tre aspetti: i contratti di altri dipendenti, i rapporti interpersonali ed infine i progetti.

Esaminiamo meglio ora ognuno di essi, per comprendere appieno la situazione di criticità e di scarsa comunicazione generatasi nei mesi del cambio amministrativo.

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5.3.1. I contratti di altri dipendenti

A questo proposito, si ricordi l'organigramma dell'ufficio proposto all'inizio del capitolo 4. Durante la mia permanenza presso l'Agenzia Comunicazione ho assistito solo ad una situazione in cui un contratto di lavoro è scaduto e al posto di quella persona ne è stata fatta subentrare un'altra.

Ciò potrebbe non stupisce, se nonché anche in quest'ambito c'è stata carenza di comunicazione e di valutazione.

Il contratto a tempo determinato di Floriana terminò infatti a metà luglio. Nei giorni prima lei, come tutti gli altri colleghi, era in tensione e curiosa di avere una risposta da parte dell'Amministrazione sul suo futuro lavorativo all'interno dell'Ente. Ha ricordato alla Dirigente degli Affari Istituzionali la vicina scadenza del suo contratto, la quale promise di avvalorare il suo rinnovo in quanto avrebbe permesso la continuità del suo lavoro. In seguito però Floriana non ottenere risposte né di diniego né di riconoscenza. Il suo contratto quindi è arrivato alla sua conclusione naturale senza nessun tipo di comunicazione formale e quindi lei ha concluso la sua prestazione nei termini previsti, senza nessun rinnovo di contratto.

Trovo che questa pratica non sia stata del tutto corretta da un punto di vista comunicativo perché invece di sfruttare le potenzialità insite in un dialogo organizzativo chiaro e diretto, si è preferita la strada di mezze frasi o affermazioni poco chiare che nel gruppo di lavoro hanno lasciato confusione e destabilizzazione. Se nel caso del Dirigente, studiosi più autorevoli di me e le stesse normative affermavano che nei confronti di un dipendente pubblico a cui si interrompe il contratto sarebbe corretto comunicarglielo secondo le regole previste dalla legge 241/1990 sul giusto procedimento e dargli nel caso anche la possibilità di replicare e difendere la propria attività, trovo che nel caso dei dipendenti questo a volte venga ancora meno: non è garantito quindi un processo d'uscita ben comunicato, chiaro e non destabilizzante né per l'interessato né per i colleghi. Nella mia esperienza presso l'ufficio m'ha stupito notare che persino in un'amministrazione pubblica ci siano, a proposito dei contratti di lavoro, logiche imprenditoriali lontane ed indifferenti ai dipendenti. Sicuramente l'ente pubblico deve modernizzarsi, attuare strategie

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