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Definizione di “sfera pubblica” e cenni di bibliografia generale sui gabinetti di lettura

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Definizione di “sfera pubblica” e cenni di bibliografia

generale sui gabinetti di lettura

Introduzione

Il 28 settembre 18221 Giovan Pietro Vieusseux scriveva a Giuseppe Bocca2 «Ho ricevuto con vero aggradamento la stimatissima sua circolare del 20 stante che mi annuncia lo stabilimento da voi formato nel proprio nome vostro e nell'augurare ogni prosperità nella vostra intrapresa desidero come voi di vedere attingere tra la vostra casa dei rapporti di reciproco vantaggio»3. Lo “stabilimento” formato da Giuseppe Bocca era un gabinetto di lettura e il “reciproco vantaggio” che si augurava Giovan Pietro è da ascriversi a quella naturale predisposizione per il commercio che conserverà sempre, retaggio della sua formazione giovanile nonché dell’educazione di famiglia. Egli stesso si era definito un triste négociant in una lettera del gennaio 1816 indirizzata a Sismondi4. Della sua esperienza di mercante

1 La ricerca ha come fonte documentaria di base i Copialettere (CV) dell'Archivio Storico Giovan Pietro Vieusseux (ASGV) i quali conservano le trascrizioni della corrispondenza commerciale in uscita del Gabinetto Scientifico Letterario (34 volumi, che coprono l'arco temporale 1822-1863) e dei quali è in corso l'indicizzazione tematica e nominativa della quale mi sono servito utilizzando come chiave di ricerca, dall'indice chiuso dei soggetti, quella di: “Gabinetti di lettura”. A questa si è poi aggiunta la ricerca per singoli luoghi di destinazione o per nome come ampliamento dei risultati ottenuti con la prima ricerca. Le notizie fin qui raccolte hanno dunque come riferimento cronologico quello che va dal primo volume dei Copialettere, 1822, all'ultimo indicizzato per intero, al momento delle mie ricerche, 1839. 2 Bocca Giuseppe, ebbe negozio dapprima a Milano in Corsia de' Servi, piazza S. Paolo, e

successivamente in Corsia del Duomo; poi, venduta la libreria a Luigi Dumolard, passo nel 1829 a Torino. Di idee liberali, si fece presto amico di letterati, filosofi e uomini politici, che nel suo negozio di piazza Castello e poi (dal 1857) in quello di via Carlo Alberto trovarono un fidato luogo d'incontro oltre che un attivo centro di cultura. Notizie tratte da: Dizionario

biografico degli italiani. Roma: Istituto dell'enciclopedia italiana, 1968, vol X, p. 819-821.

3 CV, I, p. 149.

4 La lettera è stata pubblicata in «Antologia Vieusseux», anno XX, n. 76 ott-dic 1984, pp. 193-198.

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Vieusseux erediterà la conoscenza dei canali commerciali sulla quale baserà la riuscita delle sue attività e del Gabinetto in primo luogo, attività commerciali anch’esse ma non solo.

Uno degli elementi che contribuì alla riuscita del Gabinetto scientifico-letterario fu proprio la possibilità di poggiarsi su questa rete già conosciuta e all’interno della quale Giovan Pietro si muoveva con assoluta padronanza5. Sempre nella lettera indirizzata a Sismondi

da Odessa nel 1816 è possibile individuare tutta l’insoddisfazione di Giovan Pietro. Il destino che gli era toccato, fin allora di mercante, non lo soddisfa; sente di voler andare oltre. Eppure scrive animato da uno sconforto che si stenta a riconoscere visto il suo inguaribile attivismo. Non mancheranno, a dire il vero, anche in seguito, altre esternazione di impotenza verso situazioni che ai suoi occhi appaiono immutabili e queste dichiarazioni, di resa quasi, che in altri ci lascerebbero indifferenti, nella biografia di Giovan Pietro sembrano inverosimili proprio perché, al contrario, sempre si distinse per un caparbio e ostinato attivismo, in grado di cambiare non solo il corso della sua vita ma di influenzare una intera epoca. Quando scrive «car, en venant au mond j’ai été destiné à la carrière du commerce, et l’on ne m’a jamais mis la plume à la main que pour me faire copier des factures ou des lettres de change» e qualche rigo dopo «si jamais le Saint Esprit opère un miracle en ma faveur, je ferai un livre pour prouver que trop souvent la destinée de l’homme est en opposition avec sa destination»6 si stenta a credere che siano parole scritte dall’uomo che di li a poco diventerà uno degli animatori della vita

5 Cfr. ALESSANDRO VOLPI, Commercio e circuiti culturali: Giovan Pietro Vieusseux, un

borghese di inizio ottocento. Pisa: Pacini, 2008.

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culturale italiana. Questo moto di insoddisfazione diventerà sempre più grande e le vaghe aspirazioni che lo animano inizieranno a concretizzarsi nel progetto del Gabinetto scientifico-letterario.

Raffaele Ciampini nota che «fra il ’14 e il ’19 qualche cosa sembra che in lui sia cambiata. È morto il commerciante, ed è nato, in contatto con le correnti culturali e politiche d’Europa, il pubblicista»7. Le parole di Ciampini mi sembrano quantomai azzeccate, sia perché lasciano intendere la piena sintonia di Giovan Pietro con la cultura europea, sia perché mostrano la caratteristica più innovativa di Giovan Pietro nella sua capacità comunicativa e in un certo senso nel creare utenza. Vieusseux è infatti uno di quei personaggi di fronte ai quali non si riesce mai a trovare il termine adatto che descriva tutte le sfaccettature della sua attività. Se ne potrà, dunque, parlare in termini di organizzatore culturale, ne farà menzione anche Gramsci che parla di “movimento Vieusseux”8; se ne potrà parlare in termini di editore moderno; di commerciante nel senso più ampio del termine, ma credo che queste ed altre caratteristiche della sua vasta attività siano accomunate da una modernità che spesso non gli si riconosce in pieno e che, a mio parere, consiste proprio in quella capacità di rivolgersi di volta in volta ad un pubblico specifico per il quale utilizzerà canoni linguistici e modalità di comunicazione differenti, così come il marketing moderno si riferisce a fasce di pubblico, target, individuate in precedenza. Quando questo pubblico non esisteva ancora, del resto, mostrerà la capacità, lungimiranza, di crearlo prodigandosi nel gettarne i presupposti anche quando i risultati non sarebbero stati

7 RAFFAELE CIAMPINI, Gian Pietro Vieusseux: i suoi viaggi, i suoi giornali, i suoi amici.

Torino: Einaudi, 1953, p. 66.

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immediatamente percepiti in termini di profitto. Parlare di Giovan Pietro Vieusseux implica dunque la necessità di parlare anche del pubblico o dei pubblici, reali e potenziali, ai quali si riferisce o tenta di riferirsi.

“Pubblico” e “sfera pubblica”: definizione e sviluppo storico

Scriveva Giovan Pietro Vieusseux, parlando dei regnanti toscani, a Gian Domenico Romagnosi nel marzo del 1832: «Suggerimenti non ne vogliono; non vogliono neppure essere lodati»9. Vieusseux aveva ben chiaro quanto le censure del pur moderato governo toscano fossero una cieca difesa di un concetto di potere che non aveva più ragione di esistere. I governi restaurati, scottati dall'esperienza rivoluzionaria, si produssero in un tentativo estremo di arrestare ogni forma di “progresso”, irritati non tanto da quelle idee che potevano direttamente minacciarli quanto dal fatto stesso che un ceto borghese del tutto estraneo ai privilegi del potere si permettesse di addentrarsi in quegli “affari” che erano dello Stato.

La rivoluzione Francese era stata «la fucina nella quale si foggiarono principî destinati a minare una volta per sempre la naturale accettazione dell'autoritas di derivazione divina propria del monarca assoluto», principî che furono fortemente diffusi dalla stampa e dalla nascita di un «nuovo tipo di giornalista intellettuale»10. Ovunque, chi regnava, aveva intuito la potenza che non tanto le idee ma la possibilità che si diffondessero poteva avere per la stabilità dei propri

9 La frase viene citata in RAFFAELE CIAMPINI, Gian Pietro Vieusseux, cit., p. 215.

10 DOMENICO MARIA BRUNI, Introduzione-note su potere, circolazione delle idee e censura, in Potere e circolazione delle idee: stampa, accademie e censura nel Risorgimento italiano, a cura di Domenico Maria Bruni. Milano: Angeli, 2007, p. 17.

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privilegi. Non si voleva impedire soltanto che si esprimessero idee su taluni argomenti quanto impedire un qualsiasi pubblico dibattito. La rivoluzione francese aveva creato una “coscienza” fino ad allora impensabile. Nessuno aveva mai azzardato l'ipotesi di mettere in discussione i principî sui quali si fondava il potere, né la possibilità non solo di esprimere una critica ma anche di avere il diritto di maturarla.

«L'esperienza rivoluzionaria aveva avviato anche in Italia, il processo di politicizzazione di settori più o meno ampi della società, il cui ingresso nell'arena della lotta politica risultava del tutto illegittimo per i governi restaurati. L'espressione di opinioni di privati individui su affari concernenti lo Stato, le sue istituzioni, la sua azione, era giudicata come indebita intromissione in una sfera del tutto riservata all'arbitrio del sovrano e dei suoi ministri»11.

Idea, questa di uno “stato senza pubblico”, propria dell'ancien

regime ma nemmeno la restaurazione più violenta era riuscita ad

impedire che questa presa di coscienza una volta realizzata si diffondesse:

«I diritti dell’impero del medio evo, ed il diritto divino hanno servito da cardini al mondo finchè il mondo ebbe fede in loro: ora questa fede è spenta, e nessun potere umano la può ormai ridestare. Alla antica fede in que’ diritti n’è succeduta una nuova: la

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fede nel diritto comune»12.

Un contributo, a mio parere interessante, proprio perché prodotto con finalità differenti da quelle prettamente sociologiche e storiografiche, è quello di Sartre13. Il filosofo e letterato francese si produce, nel tentativo di rispondere alla domanda “per chi si scrive?” e quindi definendo in un certo senso i potenziali lettori, in una visione del diverso ruolo dell’intellettuale nel XVII e XVIII secolo. Là dove, dice, nel corso del 1600 «delle masse, si parla dunque, senza che loro lo sappiano, senza che uno scritto possa aiutarle a prendere coscienza di se»14 nel 1700 iniziano ad emergere scrittori che provengono dalla classe borghese che scrivono per lettori in numero assai più numeroso che in precedenza, proprio perché anche la borghesia ha cominciato a leggere. Le “classi inferiori” continuano a non rientrare in questa dialettica ma di loro si parla più spesso. Ora lo scrittore si trova a scrivere da un lato, come sempre, per la classe dirigente, dall’altro per un nuovo pubblico che di lì a poco sarà abbastanza ampio da garantirgli l’emancipazione dalla corte.

Mentre a Vienna si disegnavano i nuovi confini dell'Europa di modo che fossero il più possibile simili a quelli antecedenti la rivoluzione e nei regni, così delineati, venivano rimessi sul trono gli stessi regnanti era nei sudditi che la Rivoluzione aveva apportato cambiamenti tanto profondi che non si riuscì più a cancellare. E se la maggioranza della popolazione non era ancora cosciente di questi cambiamenti vi era un ceto intellettuale, aristocratico e borghese, che ne capì subito

12 MASSIMO D'AZEGLIO, Degli ultimi casi di Romagna. Firenze: Tip. Ricci, 1846, p. 75-76 13 Cfr. JEAN-PAUL SARTRE, Che cos’è la letteratura? Lo scrittore e i suoi lettori secondo il

padre dell’esistenzialismo. Milano: Il saggiatore, 2009.

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l'importanza e si produsse affinché anche in Italia si istituisse un pubblico dibattito in grado di promuovere quel progresso che fu una delle basi ideologiche più importanti per il nucleo di intellettuali operanti attorno a Vieusseux.

Si trattava, dunque, di far nascere un pubblico dibattito, nonostante la censura, nonostante il clima di repressione e nonostante, soprattutto, l'arretratezza endogena del popolo italiano. Ma coloro che promossero tale dibattito e che spinsero la società italiana ad accodarsi al resto dell'Europa avevano ben chiara l'importanza di tale compito, e che proprio nella formazione di cittadini coscienti ed istruiti si giocavano le sorti della modernità. D'Azeglio scriveva: «è l'opinione di tutti, e l’opinione, l’abbiamo detto, è la vera dominatrice del mondo»15 ben sapendo gli sforzi necessari affinché un opinione pubblica matura venisse ad aversi in Italia.

Ancora oggi definire il concetto di “pubblico” può essere assai difficoltoso se lo stesso Habermas ci mette in guardia circa l'ambiguità del termine:

«L'uso linguistico di “pubblico” e di “sfera pubblica” tradisce una molteplicità di significati concorrenti. Essi risalgono a diverse fasi storiche e, una volta applicati sincronicamente ai rapporti della società borghese industrialmente avanzata e organizzata nelle forme dello stato sociale, stabiliscono contatti equivoci»16.

15 MASSIMO D'AZEGLIO, Degli ultimi casi di Romagna, cit. p. 76.

16 JÜRGEN HABERMAS, Storia e critica dell'opinione pubblica. Bari-Roma: Laterza, 1988, p. 11.

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Con l'illuminismo si era diffusa l'idea di una lettura che fosse tale solo quando aveva un valore critico; di una lettura che non valeva come mero strumento di emancipazione sociale delle classi subalterne all'interno della civiltà industriale come invece avverrà nel corso dell’ottocento; di libri, che valevano, si, in quanto portatori di idee positive ma solo se fossero parimenti resi accessibili17. Naturalmente si parla ancora e soltanto di circolazione all'interno di élite intellettuali ma da li a pochi anni anche questa concezione sarebbe cambiata e sarebbero nati quei luoghi di lettura, di cui questa ricerca si occupa, visti da un lato come un'esigenza pratica, commerciale, di risposta ad una domanda di mercato ma parimenti come un mezzo per perseguire il fine di quel “progresso” di cui proprio lo stabilimento di Vieusseux sarà un esempio emblematico. Proprio la domanda di un nuovo tipo di lettura proposta da una borghesia vogliosa di testi scientifici da un lato ma anche di notizie in grado di animare il dibattito politico, da cui la grande richiesta di riviste, portò alla nascita di nuove forme di fruizione individuabili per l'appunto nei gabinetti di lettura, dapprima, e in società di lettura e biblioteche circolanti dopo.

Ancora Habermas parla di “sfera pubblica borghese” la quale da un lato è vista, politicamente, come la sfera di privati che si riuniscono in un pubblico che non si sottopone all'influenza dei poteri pubblici e dello Stato, dall'altro lato come la diretta manifestazione dell'ascesa borghese che si oppone all'aristocrazia e allo Stato ma dalla quale ancora esclude il popolo considerandolo subalterno proprio perchè privo di quei mezzi che gli permetterebbero di intervenire nel dibattito

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in maniera critica18. Sarà proprio la “borghesia critica” a individuare questa mancanza di mezzi di un popolo ancora analfabeta e ignorante e ad occuparsi di dotarlo di quegli strumenti necessari a renderlo una componente attiva della società.

Per tutta la prima metà dell'ottocento, almeno in Italia, a godere di questo nuovo spazio pubblico e in un certo senso a crearlo e difenderlo saranno soltanto la borghesia insieme alll'aristocrazia illuminata.

La definizione di “pubblico”, per quanto se ne possano intuire i contorni, meriterebbe una più approfondita riflessione e del resto una visione globale, visto anche le ambiguità a cui si presta. Qui, probabilmente, ci basta sapere che in un dato momento del diciottesimo secolo si vennero a creare delle esigenze, storiche, sociali, politiche, ecc. per cui la borghesia si sentì in dovere di invadere quegli spazi che fino ad allora erano stati feudo della classe dominante e che non potendo ancora accedere direttamente al potere occupò questi spazi al fine di intervenire in maniera indiretta negli “affari” dello Stato. Questo spazio pubblico fu occupato e mantenuto grazie ad alcuni strumenti quali la stampa, sia di libri che, soprattutto, di riviste, ma anche grazie a quei luoghi che si vennero a creare per la fruizione del prodotto editoriale finito in cui venivano espresse idee di aperta opposizione al potere esistente, non fosse altro che per la libertà di esprimerle che si riconoscevano. Foscolo, dall’Inghilterra, riesce a darci l’idea di quanto il fervore europeo agli inizi dell’ottocento fosse tangibile, di quanto le libertà conquistate, idealmente almeno, con la rivoluzione francese avessero cambiato il modo di pensare di ogni

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singolo cittadino o suddito europeo, quando scrive «ai dì nostri l’Europa intera pare un immensa assemblea, nella quale molti espongono la propria opinione, e tutti ascoltano con ardore. Il leggere, il pensare e il ragionare, sono diventati una necessità irresistibile»19. La “sfera del pubblico”, dunque, nasce come polemica alle forme di governo esistenti e «soltanto dopo la formazione di quello stato di diritto borghese e dopo la legalizzazione di una sfera pubblica con funzioni politiche la stampa che dibatte i problemi viene alleviata dal peso della lotta di idee; essa può adesso disfarsi del suo momento polemico e curarsi delle occasioni di profitto come qualsiasi altra impresa commerciale»20 scrive Habermas ed è dunque facile

comprendere come le attività editoriali di un certo valore politico in Italia avessero vita difficile, e perchè anche una rivista come l'«Antologia»21 venisse realizzata da Vieusseux, letteralmente per amor di patria, e non certo per trarne guadagno materiale.

In conclusione, è per rispondere a questa nuova esigenza di intervento nella vita civile dello Stato che si crea una stampa polemica, come s'è visto, e tutta una serie di luoghi e di attività di fruizione della stampa e di aperto dibattito che ha il fine ben preciso di guidare chi governa se non già di sostituirsi, come classe, ad esso. «L'opinione pubblica è il risultato illuminato della riflessione comune

19 UGO FOSCOLO, Opere edite e postume di Ugo Foscolo: saggi di critica storico-letteraria

tradotti dall’inglese, tradotti e ordinati da F. S. Orlandini e da E. Mayer. Firenze: Le Monnier,

1859, Vol I, p. 447. 20 Ibidem, p. 220.

21 Sull'«Antologia» vedi: PAOLO PRUNAS, L'«Antologia» di G.P. Vieusseux: Storia di una

rivista italiana. Roma-Roma: Società editrice Dante Alighieri, 1906; RAFFAELE CIAMPINI,

Gian Pietro Vieusseux: I suoi viaggi, i suoi giornali, i suoi amici, cit.; UMBERTO CARPI, Letteratura e socieyà nella Toscana del Risorgimento: Gli intellettuali dell'«Antologia». Bari:

De Donato, 1974; ANGIOLA FERRARIS, Letteratura e impegno civile nell'«Antologia». Padova: Liviana, 1978; ALESSANDRO GALANTE GARRONE, I giornali della

Restaurazione (1815-1847), in La stampa italiana del Risorgimento, a cura di Valerio

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e pubblica sui fondamenti dell'ordine sociale. Essa ne riassume le leggi naturali, non governa ma il governante illuminato deve seguirne le idee»22.

La nascita del “pubblico” in Italia

In un analisi sul consumo culturale dell’Italia nel ‘700 Renato Pasta dovendo descrivere la situazione italiana alla fine di quel secolo scrive:

«Se permangono gravi limiti all’alfabetizzazione, destinati a durare nell’800, e se poco sappiamo sulla circolazione delle stampe nelle aree rurali, nelle città rintracciamo invece un pubblico in espansione, rinnovato dai processi politici del secolo e dalla formazione di élites miste aristocratico-borghesi. Rara è la diffusione dei gabinetti di lettura; assai ridotta la presenza di società di lettura; poco nota, ma presumibilmente diffusa, la pratica del noleggio di libri e giornali, che rafforza i canali d’accesso ai testi»23.

Anche in Italia è nel settecento che nascono le premesse della sociabilità tipica del secolo successivo. Certamente in maniera assai meno incisiva e appariscente di quanto accadeva in altre nazioni europee, come la Germania o l’Inghilterra. Il pubblico italiano iniziava ad ampliarsi anche se non si può ancora parlare di una lettura

22 JÜRGEN HABERMAS, Storia e critica dell'opinione pubblica, cit., p.119.

23 RENATO PASTA, Appunti sul consumo culturale: pubblico e letture nel ‘700. In «La fabbrica del libro», anno X (2004), n. 2, p. 3.

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popolare; Pasta ci fa notare come in Italia, esclusi casi eccezionali come quello di Pietro Chiari o del successo di Goldoni, non vi fosse nessuno scrittore che si mantenesse del proprio lavoro, né, del resto, un serio riconoscimento sociale dei mestieri del libro24. Si può parlare, comunque, di quella che alcuni storici hanno definito “rivoluzione della lettura” anche per l’Italia; si erano venute a creare, soprattutto negli ultimi decenni del ‘700, nuove occasioni di lettura che non prevedevano necessariamente l’acquisto del libro o dei giornali; parallelamente avveniva che partecipasse a queste nuove occasioni di lettura un pubblico sempre più ampio e che comprendeva settori della società che fin allora non se ne erano mai interessati o che non avevano avuto la possibilità di farlo: in primo luogo il pubblico femminile. Non bisogna, tuttavia dimenticare la situazione delle “classi umili” italiane, la quale non può che portare alla conclusione espressa da Pasta quando dice che «Mancava nonostante gli sforzi dei letterati, il coinvolgimento dei più umili nel rinnovamento del consumo culturale: con esiti che le insorgenze di fine secolo s’incaricheranno di evidenziare»25. L’Italia era un paese in cui la soglia di alfabetizzazione era di molto inferiore a quella del resto d’Europa. Nel periodo della restaurazione raramente superava, al centro-nord, la soglia del 20% e comunque le medie nazionali non danno un idea chiara delle grandi discrepanze che c’erano tra i centri urbani e le zone rurali nonché dei dislivelli esistenti tra nord e sud della penisola26.

24 Cfr. LODOVICA BRAIDA, L’autore assente. Mercato del libro e proprietà letteraria nel

Settecento italiano, in «La fabbrica del libro» anno IX (2003), n. 2.

25 RENATO PASTA, Appunti sul consumo culturale, cit., p. 9.

26 Cfr. LUIGI MASCILLI MIGLIORINI, Lettori e luoghi della lettura, in Storia dell’editoria

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Si afferma, dunque, nel ‘700 una lettura che non riguarda più solamente gli addetti ai lavori. Chi legge non è più necessariamente colui che scrive. Il rinnovarsi e l’ampliarsi dei generi letterari, del resto, testimonia l’espansione del pubblico e della richiesta di lettura. Richiesta che riguarda le donne, che riguarda studenti e docenti universitari, che riguarda anche i funzionari degli apparati amministrativi. Leggere diventa necessario.

Le condizioni italiane però sono assai differenti da quelle del resto d’Europa. Dove, in altre nazioni europee, la stampa era un mezzo acquisito e lo strumento principe usato dalla borghesia per minare i privilegi dell’aristocrazia col fine di sostituirsi ad essa, potendo già contare sulla necessaria autonomia e su libertà fondamentali già conquistate «in Italia si era dunque ancora nella fase in cui i ceti emergenti, i borghesi e i piccolo-borghesi più colti ed economicamente più intraprendenti, con un esigua partecipazione degli artigiani più attivi, e, a fianco della borghesia, anche i nobili più modernamente sensibili al progresso, avevano ancora da lottare per la conquista delle più elementari libertà costituzionali, e si trovano alle prese con governi dispotici, polizie, censure»27.

Se il quadro generale italiano mostra una certa arretratezza sia dei processi politici che dello sviluppo civile della società è ugualmente possibile individuare esempi di quella sociabilità, magari non del tutto borghese e ancora per nulla popolare, che fu la premessa dei processi di democratizzazione già riscontrati in altre nazioni europee.

27 ALESSANDRO GALANTE GARRONE, I giornali della restaurazine (1815-1847), in La

stampa italiana del Risorgimento, [a cura di] Alessandro Galante Garrone, Franco Della Peruta.

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Gabinetti di lettura: cenni di bibliografia generale

Il «Dictionnaire de la conversation et de la lecture» del 1833 propone la voce di cabinets de lecture dove si legge:

«Etablissements où l’on trouve les feuilles publiques du jour et les ouvrages nouveaux […] A une époque où la presse est si féconde, ses produits ne seraient souvent accessibles qu’à certains riches, s’il fallait acheter les livres au lieu de les louer. Ainsi les cabinets de lecture, qui répandent l’instruction à bas prix, la popularisent: quant à leur influence sur les mœurs publiques, elle est incalculable. […] L’atmosphère moral d’une ville se purifie quand les lieux de plaisir diminuent et que les cabinets de lecture augmentent. […] mais enfin ils servent à inspirer le besoin de la lecture a toutes les classes»28.

La descrizione, assai ampia e a tratti romanzata, mostra la fiducia positivistica che si poneva nella lettura e nella possibilità di un progresso legato alla pubblica istruzione. Più stringata la voce del Dizionario della lingua italiana che nella seconda metà dell’ottocento descrive la sottovoce gabinetto di lettura come «luogo dove, pagando un tanto all’anno o al mese o al dì o all’ora, si va a leggere o a dormire, o se ne prendono giornali e libri da leggere o no»29. Molto

28 Dictionnaire de la conversation et de la lecture. Paris: Belin-Mandar, 1833, vol. II, pp. 353-355.

29

Dizionario della lingua italiana nuovamente compilato dai signori Niccolò Tommaseo e cav. Professore Bernardo Bellini con oltre centomila giunte ai precedenti dizionarii raccolte da Nicolò Tommaseo, Gius. Campi, Gius. Meini, Pietro Fanfani e da molti altri distinti filologi e scienziati ; corredato di un discorso preliminare dello stesso Nicolò Tommaseo. Torino: dalla

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semplicisticamente si potrebbe, dunque, definire il gabinetto di lettura come un posto nel quale ci si poteva recare per leggere a pagamento soprattutto riviste e giornali correnti, italiani e non. In taluni si poteva avere il comodo del prestito di libri da portare a casa. Tale definizione del resto non risulterebbe errata, ma di certo superficiale e limitante.

Definire il fenomeno dei gabinetti di lettura ci costringe a prendere in esame esperienze fatte oltre i confini italiani, dove oltretutto si è cercato di realizzare degli studi organici sul fenomeno in questione contrariamente a quanto avvenuto in Italia, dove non ci sono studi che prendono in esame il fenomeno nel suo complesso. Semmai esistono studi, anche molto approfonditi, su singoli gabinetti, i quali però, promuovendo ricerche spesso autoreferenziali, non giungono alla definizione di modelli e tipologie di gabinetti di lettura o ad un analisi complessiva del fenomeno.

Si pone a questo punto l’esigenza di una categorizzazione al fine di trarre, dalle singole esperienze, una nozione il più possibile universale sul fenomeno dei gabinetti di lettura. Nota è la difficoltà di inserirli in uno specifico ambito disciplinare come anche l’inadeguatezza con la quale vengono trattati negli studi dedicati alla storia delle biblioteche. Oltretutto lo studio dei gabinetti di lettura oltre a prestarsi ad una disamina multidisciplinare, ha come fonte tutta una serie di materiali effimeri per natura del quale poco ci resta. Un recente contributo di Chiara De Vecchis30 analizza la problematicità che comporta lo studio dei gabinetti di lettura e basandosi su elementi statistici rilevati nella seconda metà dell’ottocento propone una categorizzazione dei

30 CHIARA DE VECCHIS, Per una mappa dei gabinetti di lettura in Italia, in Una mente

colorata: studî in onore di Attilio Mauro Caproni per i suoi 65 anni, promossi, raccolti,

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gabinetti di lettura censiti individuando quattro tipologie che in parte si rifanno ad altre categorizzazioni come quella proposta da Roger Chartier31. Una prima tipologia viene individuata nel modello di gabinetto di lettura nato come sviluppo dell’attività di libraio-stampatore-editore e che in Italia non aveva avuto grande diffusione e successo. Si tratta del modello anglosassone della circulating libraries o del francese cabinets littéraire dedita alla consultazione o al prestito di libri. Una seconda tipologia viene individuata in quei gabinetti legati a istituzioni di carattere erudito. Nella tradizione anglosassone

Book club o Subscription library, consistenti in associazioni volontarie

dotate di statuti collettivi. In Italia il fenomeno è quantitativamente più rilevante, vista anche la grande presenza di accademie. L’atteggiamento di chiusura tipico dell’Italia restaurata aveva spinto «i sudditi a “inventare” nuove forme di socializzazione[…] anche all’interno di quelle più tradizionali, come per esempio nel mondo delle accademie»32. Una terza e una quarta tipologia nasce come modello ibrido e come sviluppo delle prime due.

Si possono evidentemente proporre diverse tipologie di gabinetti di lettura; altre, più dettagliate, vengono proposte da Françoise Parent-Lardeur che basa la propria ricerca sull’esperienza parigina33. Ma sembra rilevante notare i punti in comune che queste categorizzazioni mostrano di avere tra di loro. Innanzitutto la diversa impostazione che immancabilmente viene a crearsi tra un gabinetto di lettura nato con

31 Cfr. ROGER CHARTIER, Sociétés de lecture et cabinets de lecture en Europe au XVIII siècle:

essai de typologie, in Sociétés de lecture et cabinets de lecture entre lumières et romantisme:

actes du colloque orgasnisé à Genève par la Société de lecture le 20 novembre 1993. Genève:

Société de Lecture, 1995.

32 ANTONIO CHIAVISTELLI, Dallo stato alla nazione: costituzione e sfera pubblica borghese

in Toscana dal 1814 al 1849. Roma: Carocci, 2006, p. 120.

33 FRANCOISE PARENT-LARDEUR, Lire a Paris au temps de Balzac: les cabinets de lecture

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un fine commerciale e quindi senza nessuna limitazione nei confronti di un pubblico potenziale e quella di un gabinetto di lettura nato invece all’interno di istituti o accademie e dunque con finalità e pubblico limitato. Questa categorizzazione che riguarda colui o coloro che promuovono l’attività commerciale-culturale, librai-stampatori-editori nel primo caso o intellettuali e accademici nell’altro è la più evidente ma così facendo si seleziona di conseguenza anche la fascia di utenza, diremmo oggi, o comunque il pubblico al quale si riferiscono. Non a caso in Italia la tipologia più diffusa è quella di gabinetti di lettura nati all’interno di istituti preesistenti. Anche quando nasce per volontà di privati, del resto, e quindi come attività commerciale, si avverte una inconscia volontà di selezione del pubblico ravvisabile nei prezzi, che evidentemente erano legati anche alla particolare situazione del mercato italiano, o nei criteri di associazionismo che di fatto precludono l’accesso delle masse popolari come anche della borghesia più “umile”. L’abbonamento per un mese al Gabinetto Vieusseux era di 20 paoli, circa 12 lire toscane, che corrispondevano all’incirca alla paga di 7 giorni lavorativi di un manovale semplice, o comunque a quella di 3 giorni lavorativi di uno specializzato. Scarsa di conseguenza appare la presenza di gabinetti di lettura tipicamente borghesi e meramente commerciali proprio perché manca, in Italia, il genere di pubblico a cui si riferiscono.

Un’altra categorizzazione comune è quella basata sul tipo di materiale bibliografico messo a disposizione, da qui la labile distinzione tra gabinetto di lettura vero e proprio, nato in origine come luogo di incontro e di lettura di periodici e la biblioteca circolante dove invece era possibile consultare e prendere in prestito materiale

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librario.

Avendo stabilito la diversa natura dei gabinetti di lettura in base a colui/coloro che promuovono l’iniziativa; in base alle finalità commerciali o meno dell’attività; in base anche al pubblico di riferimento; e infine in base al materiale bibliografico proposto; spingerci oltre con le categorizzazioni sarebbe un azzardo visto anche che molti gabinetti di lettura hanno finito con l’inglobare varie caratteristiche di ognuna di queste tipologie creando centri in grado di fornire più servizi, ad esempio riguardo al materiale disponibile (spesso insieme alle riviste si aveva anche materiale librario), come anche una certa ambiguità tra le finalità commerciali e culturali.

Mi pare sufficiente, qui, aver cercato di stabilire, nell’ambiguità del termine e della sua contestualizzazione, che con gabinetto di lettura si intende quel luogo nel quale si espressero le esigenze di sociabilità borghesi dalla fine del ‘700 in avanti e che con il graduale ampliarsi della base di lettori finì con l’avere una molteplicità di forme a seconda anche della classe sociale che prevalentemente ne usufruiva. Per cui quando parleremo di promozione della lettura popolare o della cultura elementare tramite i gabinetti di lettura potremmo riferirci, ambiguamente, sia a quei gabinetti di lettura commerciali, pochi in Italia, attorno ai quali inizieranno a gravitare le classi “umili” ma più spesso ci riferiremo a gabinetti di lettura frequentati da élites borghesi che si interrogano e dibattono sulla promozione della lettura e dell’istruzione popolare.

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I gabinetti di lettura in Italia

Si può facilmente notare come la mancanza di una capitale e di un centro di aggregazione della vita culturale italiana, unito alla mancanza di unità politica e di un sentimento nazionale ampio e condiviso abbia impedito l’accentrarsi di queste esperienze e le abbia private di quelle caratteristiche che in altre nazioni li aveva voluti strumenti di democratizzazione popolare. Una istituzione tipicamente borghese, borghese non solo perché frequentata da borghesi ma anche e soprattutto perché era nei gabinetti di lettura che si formava la nuova coscienza democratica in opposizione ai privilegi dell’ancien regime. In Italia, i gabinetti di lettura, anche quando non sono direttamente legati a istituti o accademie élitarie si caratterizzano per la scarsa accessibilità alle fasce medio-basse della popolazione. Proprio perché ci sono altre forme di sociabilità, come i salotti o i caffè, i gabinetti di lettura anche quando nascono si affermano in maniera assai differente e comunque molto più lenta rispetto al resto d’Europa dove rispondono ad una domanda di partecipazione sociale della borghesia in tutti i suoi livelli. Ben si comprende la lentezza della loro affermazione in Italia dove non esistono ancora le premesse necessarie affinchè un pubblico ampio richieda partecipazione sociale. Mancano le libertà costituzionali di base, non esiste a livello popolare una coscienza nazionale ben definita, vi è una divisione profonda tra i vari stati regionali, il livello di analfabetismo, come si è già detto, in alcune regioni del mezzogiorno sfiora il 90% e chi legge si affida ad istituzioni differenti mentre i gabinetti di lettura assumono le caratteristiche di istituzioni élitarie alle quali prende parte solo una

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parte della borghesia. Manca, in Italia, l’istituto tipico borghese nella sua accezione popolare; si avrà soltanto con le biblioteche circolanti sul finire dell’800. I gabinetti letterari invece si presentano come l’emanazione di una borghesia che fa propri gli atteggiamenti dell’aristocrazia alla quale tende ad assomigliare. Non c’è la volontà di eliminare i privilegi culturali dell’aristocrazia ma solo di usufruirne e sostituirsi ad essa.

Basta notare la scarsa trasversalità di classi sociali fra gli abbonati al Vieusseux per capire quanti sforzi debbano ancora essere fatti per giungere ad una piena coscienza democratica in Italia. Anche i tentativi di istruzione pubblica, del resto, vengono realizzati con spirito aristocratico, come concessione dall’alto.

In un sostrato sociale e politico ben differente anche in Inghilterra la diffusione dell’istruzione veniva perseguita come una concessione della classe dominante e Altick ci fa notare quanto fosse stata determinante la dottrina utilitaristica in una società, quella inglese, che era il prototipo della società industriale moderna: «l’istruzione elementare, impartita in misura ragionevole, formava operai migliori: aumentava la produzione, riduceva lo spreco»34. Da qui la riflessione di Adam Smith sulle società industriali dove le classi lavoratrici, lavorando tutto il giorno ad un solo compito strettamente specializzato tendono a perdere la flessibilità mentale nonché la capacità di giudizio, diventando facili preda della demagogia35. All’opposto, in Italia, in un paese non ancora nazione e che non aveva per nulla prodotto processi di industrializzazione i problemi dell’istruzione

34 RICHARD ALTICK, La democrazia tra le pagine: la lettura di massa nell’Inghilterra

dell’ottocento. Bologna: Il mulino, 1990, p. 162.

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pubblica sono, almeno apparentemente, differenti. Anche qui infatti le esperienze educative proposte, soprattutto quelle dei moderati toscani, promuovono un’istruzione concessa dall’alto che seppure spinta da ideali finalizzati ad un progresso positivistico mostrano ugualmente delle riserve circa una concessione dell’istruzione pubblica che non sia strettamente controllata. Anche qui insomma si propone un'istruzione «impartita in misura ragionevole» e non una libera partecipazione delle classi “umili”.

D’altro canto non si può non essere d’accordo e non condividere le parole di Raffaello Lambruschini quando in una lettera indirizzata a Giovan Pietro, del 12 agosto 1834, scrive:

«a Madrid hanno conosciuto cosa si può aspettare da un popolo ignorante a cui si fa credere tutto quello che si dice. Prima crede i miracoli di Santa Filomena, poi crede alle fontane avvelenate e saccheggia i conventi e trucida i frati. Un popolo come vorremmo Aporti e io, non commetterebbe mai siffatte atrocità, perché sarebbe il popolo che esamina e riflette. Ma da un altro canto non si può avere un tal popolo ed estorcere anelli e orecchini per onorare Santa Filomena e denari per dir messa alle Anime de Purgatorio»36.

Si cerca di diffondere conoscenze “utili” in grado di favorire il progresso e lo sviluppo civile. Un'impostazione per certi versi utilitaristica è quella del Gabinetto scientifico-letterario nella sua

36 RAFFAELLO LAMBRUSCHINI, Carteggio Lambruschini-Vieusseux, con introduzione e a cura di Veronica Gabrielli. Firenze: Le Monnier, 1998, vol I, p. 314.

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forma originaria voluta da Giovan Pietro. Basti ricordare che l’allestimento della biblioteca circolante nasceva solo in un secondo momento e non faceva parte del progetto iniziale; gli si impone probabilmente più come una necessità commerciale che come una vera e propria scelta condivisa. Scopo originale era quello di una sala dove si potessero leggere e commentare le riviste italiane e soprattutto estere, al fine di promuovere il pubblico dibattito. Estranee ne rimanevano le arti e quella letteratura che aveva come unico scopo una lettura di svago.

I gabinetti di lettura fiorentini prima di Vieusseux

Uno dei pochi studi organici sul fenomeno specifico dei gabinetti di lettura in Italia è quello realizzato da Fabia Borroni Salvadori sui primi stabilimenti fiorentini37. La mappa tracciata dalla Salvadori individua una serie di gabinetti di lettura, o meglio di prototipi di gabinetti di lettura, sorti a Firenze a partire dal 1785.

Si tratta senza dubbio di una novità se Giuseppe Pelli nelle sue

Efemeridi38, in data 5 febbraio 1784 annota «Ora Luigi Carlieri libraio

in via Guicciardini ha aperta in Firenze per la prima volta un'associazione per leggere i fogli periodici ch'escono alla giornata, onde io non tralascerò di ricorrer quivi per avere in mano quanto potrà tenermi al fatto delle nuove correnti»39. Da li a poco lo stesso servizio

37 FABIA BORRONI SALVADORI, Riunirsi in crocchio anche per leggere: le origini del

gabinetto di lettura a Firenze, in «Rassegna storica toscana», anno XXVII, n. 1,

gennaio-giugno 1981, pp. 11-33.

38 Le Efemeridi di Giuseppe Pelli Bencivenni sono state completamente digitalizzate a cura

dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze con la direzione scientifica di Mario Mirri, Renato Pasta e Paola Pirolo. (http://www.bncf.firenze.sbn.it/pelli/it/progetto.html).

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sarà offerto anche da Filippo Stecchi40 che nel 1785 “erigerà” il suo “magazzino letterario” in piazza del Gran Duca. Servizi simili saranno offerti anche da Vincenzo Pagani nel 1789, da Alessandro Martini nel 1793, da Giovacchino Pagani nel 1796 ecc. L’offerta della lettura non escludeva neppure i caffè i quali si sentivano in dovere di offrire da leggere qualche gazzetta così come offrivano i loro altri servizi. Nel 1802 viene inaugurato il nuovo caffè del commercio nel quale era possibile consultare gratuitamente i libri di mercatura. Nel 1807 Pietro Ballerini titolare del caffè militare pubblica sulla «Gazzetta toscana» del 7 novembre un annuncio molto dettagliato sui servizi offerti ai quali non dimentica di aggiungere che il caffè «offre ancora il comodo dell’istruzione Pubblica col mezzo de una gratuita lettura di giornali francesi, italiani»41. Un gabinetto di lettura viene istituito anche da Giuseppe Molini che fra i titolari degli stabilimenti fiorentini era quello che possedeva le qualità intellettuali più elevate.

Facendo una breve analisi si può notare come questi gabinetti, o prototipi di gabinetti, di lettura siano diretta emanazione del lavoro di libraio-stampatore-editore dei loro titolari. Sono, probabilmente, delle mere attività commerciali con la quale i librai ottimizzavano il materiale giacente in magazzino ed altresì un mezzo di diffusione delle riviste e del loro carico di informazioni.

A Firenze dunque l’apertura del Gabinetto scientifico-letterario Vieusseux non era una novità ma completamente nuova sarà la maniera moderna di gestione e la progettualità introdotte dal ginevrino. L’annuncio di Luigi Carlieri del 31 gennaio 1784 apparso

40 Per un approfondimento biografico si rimanda a VALENTINO BALDACCI, Filippo Stecchi. Firenze: Olschki, 1989.

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sulla «Gazzetta toscana» mostra la precarietà del progetto quando dice:

«trovandosi sufficentemente assortito di Gazzette, fogli periodici, Giornali ec. sì dell’Italia, che d'oltremonti, di cui ne prese sopra di se le rispettive associazioni, si esibisce di dare il comodo della lettura di essi nel di lui Negozio a chiunque, mediante una giusta ricompensa da fissarsi a proporzione de’ fogli, e Giornali che uno vorrà leggere. Sempre che poi i Dilettanti vogliano favorirlo in sufficiente numero, si propone di completare maggiormente tal raccolta, onde questo comodo che viene apprezzato negli esteri paesi possa riuscire di una medesima soddisfazione anche nella nostra Firenze»42.

Si nota la mancanza di un pubblico certo, di quanti si affacciano alla lettura senza averne avuto mai l’educazione o l’abitudine e che vengono chiamati “dilettanti”. Proprio a questo pubblico di “dilettanti” della lettura si riferisce, fiducioso che, anche in Italia, inizi a crearsi un'esigenza di lettura come già si aveva in altre nazioni europee. Incertezza che si mostra anche con un certo imbarazzo nel tentativo di indicare il prezzo del servizio, servizio che risponde, si, ad un'esigenza ma che ancora non si riusciva bene a quantificare.

Più cosciente sarà Filippo Stecchi quando nel 1789, dopo quattro anni di attività del suo “magazzino letterario”, fissava a 10 paoli l’anno la quota di abbonamento per la lettura dei giornali e a 18 paoli

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per i libri a nolo da portare a casa.

Nonostante emerga l’attività di molti librai e la presenza anche di caffè o altri luoghi nei quali gratuitamente o a pagamento era possibile leggere libri e giornali l’offerta di lettura proposta dalla Firenze d’inizio ottocento doveva essere veramente ridotta, soprattutto per chi aveva esperienza delle ben più fornite sale di lettura d’oltralpe o comunque fosse venuto in contatto con i fermenti che la cultura europea era in grado di proporre. Sempre Giovan Pietro in una lettera datata 1 aprile 1814 indirizzata a Sismondi aveva modo di lamentarsi del fatto che l’Italia fosse un paese dove non si leggesse e che a Firenze non avesse trovato per gabinetto letterario che un miserabile negozio con due gazzette e una dozzina di abbonati.

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