CAPITOLO 2
AVVICINANDOSI ALLA TRADUZIONE DI LIBRI PER BAMBINI:
UNA PRESENTAZIONE DELLE PRINCIPALI SFIDE E SPECIFICITA’
La letteratura per l’infanzia emerse inizialmente nei paesi dell’Europa nord-occidentale intorno alla metà del diciottesimo secolo (O’Sullivan in Millán e Bartrina, 2013:451). Sin dalle sue origini essa ha offerto un terreno fertile per l’attività traduttiva e proprio grazie alle opere derivanti dalle altre lingue e culture si è potuta evolvere ed arricchire. Nonostante ciò, un approccio accademico e un interesse critico per la traduzione della letteratura per l’infanzia si sono manifestati nei tempi relativamente recenti. Uno sguardo analitico ha permesso di capire come tradurre per bambini richieda il saper affrontare certe caratteristiche proprie solo della letteratura per l’infanzia, le quali necessitano di una riflessione critica e metodologica (O’Sullivan in Millán e Bartrina, 2013:451).
2.1 L’essere bambini: un concetto poliprospettico
Alla base di qualsiasi teoria o pratica dell’attività traduttiva della letteratura per bambini si trova la concezione che si ha dell’infanzia. Essa infatti cambia da cultura a cultura, ma anche dall’epoca all’epoca. La visione che abbiamo oggi del bambino e dell’infanzia nel mondo occidentale è fondata sulle idee dell’illuminismo e sui miti romantici:
[…] the children’s literature of Europe can be regarded as a product of the philosophical and poetic constructs of childhood developed during the Enlightenment and the Romantic periods. However, we should not assume that there is such a thing as a constant, ahistorical, European or North American idea of childhood (O’Sullivan, 2005:60).
Anche se tutti siamo stati bambini, il concetto di infanzia non risulta affatto scontato – sostiene l’autrice e tradutrice finlandese Riitta Oittinen: “Although every adult is a former child, childhood has never been a self-evident issue” (Oittinen, 2000:41). Basandosi su fonti diverse, Oittinen dimostra come il modo di concepire l’infanzia non sia affatto univoco. Così, mentre lo storico francese Philippe Ariès afferma che in Europa la nozione di infanzia nacque nel diciasettesimo secolo, la studiosa finlandese Pirjo Hämäläinen-Forslund sottolinea come nel suo paese essa fosse ignorata dai contadini fino al diciannovesimo secolo. Ma anche allora i più poveri non si potevano concedere il lusso di sperimentare l’infanzia e ancora nel 1865 nelle fabbriche un lavoratore su quattro era un bambino (Oittinen, 2000:42).
20
As society’s image of childhood is one important part of the translator’s situation, we need to consider different child concepts in different eras. There is no need, however, to designate the upper age limit of childhood. We are all individuals; some of us remain children for a longer period of time, some of us never lose the child in us, and some of us have lost touch; some of us were children yesterday, some of us are children now (Oittinen, 2000:41).
L’infanzia quindi è un termine estremamente relativo e il traduttore non potrà non tener conto di questo aspetto fondamentale. Spetterà a lui riflettere sull’immagine del bambino dominante nella cultura del suo testo di partenza, su quella presente nella cultura d’arrivo e di decidere come mediare tra le due.
Per dimostrare come la visione dell’infanzia e l’immagine del bambino siano determinate culturalmente e soggette alle condizioni economiche e sociali, O’Sullivan prende in esame l’opera dello studioso francese Paul Hazard intitolata Les livres, les enfants et les hommes (1932). In essa Hazard auspica che i bambini possano godere del diritto di leggere una letteratura che si addica alla loro natura, una letteratura piena di fantasia e di immaginazione, svincolata dalla funzione didattica.
Grazie all’esistenza di tale letteratura, secondo lo studioso, si potrà formare una vera identità infantile. Inoltre, Hazard sottolinea il bisogno di un’educazione letteraria realizzata attraverso la lettura di una serie di classici della letteratura per ragazzi, classici europei, ai quali egli riconosce un’alta qualità letteraria. L’accento di Hazard viene posto sull’importanza della forza immaginativa considerata un bisogno fondamentale del bambino – una visione basata evidentemente sui miti del Romanticismo. Il libro di Hazard ebbe riscosso un successo notevole dopo la seconda guerra mondiale. La sua fama fu dovuta principalmente all’idea che libri per bambini avessero una funzione umanizzante e che fosse necessario creare una repubblica universale dell’infanzia, un’Utopia, in cui regnasse l’armonia internazionale (O’Sullivan, 2005:8). O’Sullivan confuta questa visione ingenua ed eurocentrica affermando che l’immagine di un’infanzia universale è chiaramente un’astrazione romantica. Essa non tiene conto né delle reali condizioni di vita di bambini nei paesi in via di sviluppo né del processo con cui la letteratura per l’infanzia supera (o meno) i confini nazionali.
‘The child’ can’t be spoken about as a singular entity; class, ethnic origin, gender, geopolitical location and economic circumstances are all elements which create differences between real children in real places (O’Sullivan, 2005:8).
Non può esistere dunque un’unica ed universale idea dell’infanzia né un’immagine del bambino valida per tutto il mondo. Il traduttore dovrà essere consapevole di questa realtà. Il pensiero di
Hazard, secondo cui il bambino appare come un innocente salvatore dell’umanità risale a Emilio di Rousseau ma presenta evidenti punti critici:
Children’s literature conceived in this spirit serves as a site on which adult difficulties are addressed and often placated;
it is about promises which the adults’ generations could not keep, amongst them international understanding and world peace (O’Sullivan, 2005:9).
Al di là del suo progetto utopico, il merito di Hazard consiste nell’aver esaminato le differenze esistenti ai suoi tempi tra il Nord e il Sud Europa nel concepire l’infanzia. Secondo l’analisi dello studioso, il concetto di infanzia costituiva un valore in sè nel mondo anglosassone. Nelle aree di lingue romanze invece bambini sarebbero sempre stati considerati come potenziali adulti e, di conseguenza, l’attenzione principale doveva essere volta a farli crescere ed educare.
Hazard dedica anche una sezione del libro al paragone discutibile tra gli sviluppi nella letteratura per l’infanzia sempre tra il Nord e il Sud Europa, sostenendo che quest’ultimo presenta una tradizione povera, dovuta probabilmente al clima. Secondo Hazard, le giornate nordiche, grigie e avvolte nella nebbia scatenerebbero la fantasia e l’immaginazione al contrario della luce diretta del sole che non gioverebbe alla fantasia. Al di là di tale visione criticabile, il contributo di Hazard risulta comunque interessante. L’antropologa americana Martha Wolfenstein fa delle osservazioni molto simili. La sua analisi però riguarda la concezione dell’infanzia dei francesi e quella degli americani (O’Sullivan, 2005:60). Wolfenstein afferma che, mentre in America l’infanzia è vista come un tempo idilliaco, fine a sé stesso, fatto per gioia e divertimento, i francesi la considerano come un periodo per imparare allo scopo di diventare adulti e civilizzati (Wolfenstein, 1955).
Anche Ariel Dorfman (1983) condivide tale distinzione e sostiene che nel Nord America gli adulti guardano al passato con nostalgia e questo diventa particolarmente evidente nei film di Walt Disney, in cui domina “l’infantilizzazione dell’adulto”. O’Sullivan d’altra parte fa notare come parallelamnte all’infantilizzazione dei grandi il processo di maturazione costituisce un tema essenziale dei classici americani (O’Sullivan, 2005:61). Tuttavia esso gioca un ruolo chiave non per gli effetti civilizzanti sugli individui, ma perché permette il raggiungimento dell’indipendenza e dell’auto-determinazione, anche se questo significa opporsi alla società o ai genitori, come nel caso di Le avventure di Huckelberry Finn di Mark Twain. Jerry Griswold sostiene invece che l’infanzia in generale è un concetto molto importante per l’immagine che l’America ha di sé ed è strettamente legato al processo di maturazione. L’infanzia e la maturazione rispecchiano metaforicamente il passato della nazione americana: giovane, capace di ribellarsi contro le autorità e di costruirsi una sua propria identità.
2.1.1 L’esempio dell’Africa nera
Merita un’attenzione particolare lo sviluppo della letteratura per l’infanzia nei paesi africani, dove durante il colonialismo vennero importati i classici europei. I prodotti della società borghese, idustrializzata e basata su un certo modello di famiglia furono imposti ai paesi con delle caratteristiche e dei valori profondamente diversi. La società nord-occidentale dell’Europa presentava infatti:
on the level of the family, the differentiated development of the middle-class childhood, that is to say the separation of family and work and the liberation of children from working life, the emergence of the nuclear family and the growing intimacy of family connections, the perception of childhood as a phase of life differing fundamentally from adult existence and the definition of children as objects of serious responsibility in need of protection and education […]
(O’Sullivan, 2005:54).
La concezione del bambino, dell’infanzia e dei rapporti familiari dei paesi dell’Africa nera presentano invece delle caratteristiche proprie, difficilmente compatibili con il modello occidentale.
In più il loro contesto socio-economico non è ovviamente paragonabile a quello europeo che inevitabilmente viene riflesso anche nella letteratura per l’infanzia. Nelle zone rurali ci si aspetta che i bambini aiutino gli adulti e che partecipino alla loro vita sociale (Laurentin, 1996:802 in O’Sullivan, 2005:56).
In this context, in the rare cases where the book is present, it represents a form of individual and ‘anonymous’
communication which does not fit easily into a culture where the oral tradition is strong and there is a keen sense of collectivity (Laurentin, 1996:802 in O’Sullivan, 2005:56).
Nel periodo postcoloniale le posizioni dei paesi africani riguardo alla letteratura per bambini sono state sostanzialmente di due tipi. Secondo il pensiero più diffuso sarebbe importante pubblicare una letteratura indigena che riflettesse e supportasse la tradizione orale del paese in questione. Dall’altra parte invece c’è chi rigetta l’idea stessa del libro come un concetto importato e auspica un ritorno alla tradizione orale (O’Sullivan, 2005:55).
2.2 Il bambino che c’è in noi
Come abbiamo visto sopra, l’immagine del bambino e dell’infanzia cambia a seconda del paese e del periodo storico, ma, come spiega Oittinen, c’è un’ulteriore variabile a cui tale immagine è strettamente legata.
We do not hegemonically think of translators as human beings with their own child images. Yet translators cannot escape their own ideologies, which here means: their child images (Oittinen, 2000:4).
Una determinata idea del bambino è al contempo sia un prodotto sociale che individuale. Gli editori, autori, illustratori, traduttori nello svolgere i loro rispettivi compiti sono tutti guidati da una visione personale e soggettiva di ciò che significa essere piccoli. Tutti loro hanno vissuto l’infanzia e tutti, in un modo o nell’altro, continuano a portarsi dentro il bambino di una volta (Oittinen, 2000:26). Questo aspetto è particolarmente rilevante per i traduttori, i quali inevitabilmente apportano alla loro traduzione e, ancor prima, alla loro lettura dell’originale delle dimensioni della propria infanzia.
Translators of children’s literature are readers who bring dimensions from childhood to their reading experiences.
Although usually adults, they do not just translate as adults. Every grown-up is a former child who one way or the other carries a child within. When translating for children, translators are holding a discussion with all children: the history of childhood, the child of their time, the former and present child within themselves – the adult’s childhood and how they remember it (Oittinen, 2000:26).
L’immagine del bambino presente nella cultura d’arrivo e l’idea del bambino che il traduttore si porta dietro in quanto frutto della sua storia personale sono entrambi fattori di cruciale importanza.
Sulla base di essi il traduttore immaginerà il suo bambino-lettore ideale e si farà la sua idea riguardo a come dovrebbe essere la letteratura per l’infanzia (O’Sullivan in Millàn e Bartrina, 2013:453).
2.3 Asimmetria dei ruoli e censura
Nel capitolo precedente si è già parlato di come ogni aspetto riguardante la letteratura per l’infanzia, dalla sua ideazione e produzione fino addirittura alla lettura stessa, sia strettamente legato alla presenza degli adulti. Sono loro che scelgono e che approvano o disapprovano un libro, sono loro che leggono ad alta voce per i bambini ancora illiterati, sono loro ad assegnare un’importanza maggiore talvolta alle caratteristiche pedagogiche talvolta a quelle estetiche di un’opera per bambini. Questa assimmetria di potere ha come conseguenza diretta la censura che coinvolge tutti i livelli della letteratura per l’infanzia. Oggi, almeno nei paesi europei, la censura di
libri per bambini dovuta alle ragioni politiche o religiose è sicuramente molto meno frequente di qualche decennio fa (basti pensare agli adattamenti della letteratura sovietica nella Germania dell’Ovest (Tabbert, 2002:335) o alle manipolazioni del regime fascista in Spagna (Pascua-Febles in Di Giovanni, Elefante & Pederzoli, 2010:164). Nonostante ciò, il fenomeno di censura nella letteratura per l’infanzia non ha affatto perso la sua attualità. Gli adulti, guidati dalla loro personale immagine del bambino e dall’immagine del bambino dettato dalla cultura a cui appartengono, fanno una selezione e decidono cosa sia appropriato per i giovanissimi.
[…] it is an adult wish for our children to internalize order and discipline (self-discipline), so they will become easier to control and deal with. As adult parents, authors, illustrators, translators, as adult politicians and decision-makers, we are the authorities over children. We have the power to decide (Oittinen, 2000:52).
E’ interessante l’osservazione di Oittinen secondo la quale lo status dei bambini sarebbe per molti versi simile a quello delle donne in una società patriarchale. La studiosa finlandese sostiene che sia donne che bambini subiscono il controllo e vengono messi a tacere se non parlano la lingua
“ufficiale” (rispettivamente la lingua degli uomini o quella degli adulti) (ibid.). La lingua del resto costituisce uno strumento potentissimo per esprimere l’autorevolezza e per esercitare il controllo.
Questo vale anche per la traduzione. Per mezzo di essa è possibile cambiare i registri linguistici, considerati non appropariati, omettere o adattere il linguaggio colloquiale, eliminare insulti o correggere gli errori di ortografia voluti allo scopo di divertire il giovane pubblico (O’Sullivan, 2000:87, 89).
Un esempio di come i mediatori attivi nell’ambito della letteratura per l’infanzia censurino gli aspetti estranei alle norme della loro immagine del bambino è rappresentato dal grande classico di Astrid Lindgren Pippi Calzelunghe e dalle sue traduzioni in altre lingue. Si tratta di un’opera che oggi appartiene al canone e che all’epoca della sua pubblicazione diede inizio ad una nuova era della letteratura per l’infanzia in molti paesi europei, ma scuscitò delle polemiche in altri (O’Sullivan, 2005:83). Pippi uscì nel 1945 ed in un primo tempo fu accolta positivamente dal pubblico svedese. Successivamente, tuttavia, iniziarono le critiche contro gli aspetti innaturali presenti nella storia e contro il carattere eccessivamente ribelle della protagonista. Anche all’estero il libro fu criticato per le stesse ragioni e, attraverso la traduzione, reso più conferme all’immagine dell’infanzia stabilita dalla cultura d’arrivo. Così, gli aspetti come la mancanza di rispetto per l’autorità dei grandi e la ridicolizzazione delle regole – due punti forti della meravigliosa opera di Lindgren - furono pesantemente censurati. Prendendo in considerazione la versione tedesca di Pippi Calzelunghe fatta da Cӓcilie Heinig nel 1965, O’Sullivan fa la seguente osservazione:
In general, the character of Pippi acts less subversively in the German translation, where the innovative elements of the Swedish source text are toned down for educational ends […] (O’Sullivan, 2005:84).
Un curiosa modifica dell’opera di Lindgren viene fatta nella vesrione francese del 1969 in cui a Pippi non viene concesso di sollevare un cavallo ma solo un pony (ibid.). Nessuna grossa alterazione può essere individuata invece nella versione britannica del 1954. O’Sullivan spiega come, evidentemente, Pippi non sia così lontana dai personaggi della fantasia inglese e quindi non provochi nessun tipo di shock sul pubblico anglofono.
Oggi la Pippi è tornata ribelle e anarchica un po’ dappertutto. In Germania nuove traduzioni dell’opera furono fatte nel 1986 e nel 1987. Questa rivalutazione del personaggio di Lindgren riflette come siano cambiate le norme di accettabilità per i testi tradotti, ma dimostra anche che il libro della scrittrice svedese è ormai un classico della letteratura per l’infanzia. Proprio la venerazione dei classici comporta il rispetto per l’integrità dell’originale. Tuttavia, prima che un libro per bambini raggiunga un tale livello di riconoscimento, esso rimane in balia delle logiche educative e commerciali dei vari mediatori attivi nell’ambito della letteratura per l’infanzia. Tra questi ci sono anche i traduttori i quali possiedono uno strumento efficacissimo di manipolazione e censura, rappresentato proprio dalla lingua. Il destino di Pippi nei vari paesi europei ne è un ottimo esempio:
This example shows how conduct regarded as unacceptable in a source text may be modified in translation, and how after a lapse of time, during which the norms have shifted, it can be brought back closer to the original text (O’Sullivan, 2005:84).
O’Sullivan distingue tra due principali tipi di modifiche fatte dai traduttori: quelle a scopo ideologico, che mirano a trasmettere le norme e i valori della cultura d’arrivo e quelle compiute invece per rendere il testo più comprensibile ai nuovi lettori. Quest’ultima categoria viene giudicata da molti negativamente. O’Sullivan pone l’accento sul fatto che non si può valutare le capacità ricettive dei bambini sulla base della loro età o facendo qualche altra generalizzazione. I traduttori e gli altri mediatori della letteratura per l’infanzia possono fare delle ipotesi sulle abilità dei piccoli, ma ogni bambino è diverso come lo è ogni lettore adulto.
The literary competence of every child depends on his or her individual affective and cognitive development, influenced by factors of the maturing process and his or her social background, education, etc (O’Sullivan, 2005:91).
Anche Oittinen dedica molta attenzione alla questione della censura nella letteratura per l’infanzia e afferma che essa si verifica regolarmente durante la fase di traduzione, durante quella di pubblicazione ma anche durante la lettura ad alta voce da parte dei genitori. La studiosa sottolinea come il desiderio di proteggere i bambini possa trasformarsi in un atteggiamento nocivo per loro.
Ad esempio, censurare i passaggi che provocano paura non costituisce affatto una buona scelta in quanto i bambini hanno il diritto e il bisogno di imparare ad essere spaventati. Inoltre, essi possono sperimentare questa sensazione sentendosi comunque al sicuro grazie alla presenza dell’adulto che legge ad alta voce e che condivide con loro tale avventura (Oittinen, 2000).
In general, it is hard to know where protecting the child ends and censoring begins. Yet many psychoanalysts find censorship and overprotection harmful: when trying to protect our children from painful feelings, we prevent them from experiencing something very useful, something they have every right to experience (Oittinen, 2000:51).
2.3.1 I tabù della letteratura per l’infanzia
La letteratura per l’infanzia è sempre stata caratterizzata da dei tabù più o meno universali che dovevano essere affrontati anche dai traduttori. Uno di questi è sicuramente rappresentato dall’alcool:
In some versions of Little Riding Hood, the wine taken to grandmother is altered into something more appropriate:
“One day her mother packed a basket with cake and fruit” (Oittinen, 2000:86).
In generale, molti oggetti ed eventi descritti nelle strorie dei fratelli Grimm vennero modificati o eliminati del tutto nelle versioni successive. Le scene violente e gli aspetti legati alla malattia o alla morte furono omesse o cambiate. Oittinen spiega come in una collana di libri per bambini finlandese degli anni ’70 la fiaba di Biancaneve avesse subito delle modifiche evidenti in seguito alle quali, ad esempio, l’espressione originale “rossa come il sangue” venne sostituita con una più mite : “rossa come una mela (Oittinen, 2000:87).
Una delle maggiori fonti di ilarità per bambini è costituita da tutto ciò che è legato al corpo e alle sue funzioni (O’Sullivan, 2005:85). Tuttavia, proprio la descrizione della fisicità e delle varie azioni ad essa legata costituisce un altro tema delicato della letteraturà per bambini:
For instance, there is strict censorship in modern American children’s literature of depictions of the naked form – whether of children, adults or even animals (O’Sullivan, 2005:86).
O’Sullivan sostiene che i bambini, dovendo affrontare dei continui cambiamenti fisici, sono affascinati dalle funzioni del corpo e trovano interessante e divertente tutto ciò che le riguarda. Il mondo dell’infanzia ha molto in comune con la cultura carnevalesca, la quale ruota appunto intorno al tema della fisicità.
One of the main themes of carnivalesque literature, according to Mikhail Bakhtin, is death and revival or change and renewal, and the cyclical model of human life is reflected in the life of the grotesque body, the most important events of which are ‘eating, drinking, defecating and other elimination (sweating, blowing of the nose, sneezing), as well as copulation, pregnancy, dismemberment, swallowing up by another body’ (Bakhtin 1984b:317). All these events, leaving aside copulation and pregnancy, are key preoccupations of childhood (O’Sullivan, 2005:85).
Anche Riitta Oittinen, partendo dall’analisi del testo critico di Bakhtin L'opera di Rabelais e la cultura popolare, dimostra come tra la cultura carnevalesca e la cultura creata dai bambini si possano tracciare diversi paralleli. Si tratta infatti dei mondi ai margini della cultura ufficiale, che ruotano intorno a tutto ciò che è grottesco, che ridicolizzano ciò che è spaventoso, che amano il gioco e il ribaltamento dei ruoli e non presentano nessun tipo di autorità. Le norme stabilite dalla cultura dominante vengono sconvolte e non c’è più nulla di fisso e immobile (Oittinen, 2000: 55).
E’ la risata a dominare su tutto con il suo potere liberatorio contro paure, ipocrisie e proibizioni.
Laughter or pantagruelism means the ability to be happy, gay, and benevolent. It also extends to foolishness, even madness. Like Plato, Bakhtin underlines the importance of madness, abnormality, drunkenness, and deviation from ordinary language. This is what happens in children’s culture and children’s language: both Chukovsky and Bakhtin point out that children’s language often deviates from the beaten path. Children’s speech, free as it is from abstract structures and rules, is life itself (Oittinen, 2000:57).
I bambini hanno quindi un loro mondo carnevalesco, una cultura creata da loro stessi che però è totalmente soggeta al potere degli adulti e non sempre trova il posto nella letteratura per l’infanzia creata dai grandi. Oittinen chiede ai traduttori di immergersi nel fantastico carnevale creato dai bambini e di ascoltarli, di imparare da essi piuttosto che voler insegnare a tutti i costi (Oittinen, 2000:58).
2.3.2 Narrazione monologica vs narrazione polifonica
Le esortazioni di Oittinen ci riportano alle teorie di Bakhtin espresse in Dostoevskij. Poetica e stilistica e al suo concetto di dialogismo definito come la presenza di più voci all’interno di un testo
narrativo. Lo studioso distingue tra il romanzo monologico e quello polifonico. Nel romanzo monologico l’autore domina completamente l’opera, ha sempre l’ultima parola e non permette l’esistenza di nessun’altra verità o prospettiva:
This performs a kind of discursive ‘death’ of the other, who, as unheard and unrecognized, is in a state of non-being.
The monological word ‘gravitates towards itself and its referential object’ […].
In a monological novel […] characters exist solely to transmit the author’s ideology, and the author represents only their own idea, not anyone else’s (Robinson, https://ceasefiremagazine.co.uk/in-theory-bakhtin-1/).
Al contrario, in un romanzo polifonico voci diverse possono farsi sentire, senza venire subordinate alla visione dell’autore. Per Bakhtin, le opere di Dostoevskij ne sono un esempio.
The author does not place his own narrative voice between the character and the reader, but rather, allows characters to shock and subvert. It is thus as if the books were written by multiple characters, not a single author’s standpoint. Instead of a single objective world, held together by the author’s voice, there is a plurality of consciousnesses, each with its own world. The reader does not see a single reality presented by the author, but rather, how reality appears to each character (ibid.).
O’Sullivan considera il concetto di polifonia di Bakhtin come una caratteristica fondamentale della traduzione. Ogni testo tradotto, sostiene la studiosa, contiene più voci: le voci dei personaggi, la voce del narratore del testo originale e la voce del traduttorre. Una traduzione dialogica è quella in cui il traduttore non solo fa sì che la sua voce sia ben chiara nel testo, ma che permetta di farsi sentire anche alle voci dell’opera di partenza (O’Sullivan, 2005:81).
Discutibile è invece una traduzione in cui il traduttore domina il testo originale e permette al narratore della traduzione di spiegare ogni singolo dettaglio, eliminando così anche le parti più stimolanti per il lettore (ibid.). Questo rappresenta però solo uno dei tanti tipi di censura che coinvolgono la letteratura per l’infanzia. Censurare le voci degli altri, censurare i passaggi e le immagini non “appropriati” o censurare delle opere intere semplicemente non pubblicandole fa parte del controllo che gli adulti da sempre svolgono sul modo di leggere e di apprendere dei giovanissimi.
2.4 Addomesticazione vs straniamento nella traduzione della letteratura per l’infanzia
Nel suo saggio L'invisibilità del traduttore: una storia della traduzione, Lawrence Venuti prende in esame la storia della traduzione nel mondo angloamericano e dimostra come l’approccio traduttivo che qui ha sempre dominato è stato quello di adattare i testi originali alla lingua e alla
cultura d’arrivo. Una lettura inostacolata, priva di riferimenti alla cultura dell’opera di partenza, rispecchia per Venuti la strategia traduttiva addomesticante ed è la causa dell’invisibilità del traduttore. Ad essa lo studioso contrappone la strategia straniante, la quale, al contrario, vuole conservare gli elementi culturali e il gusto del testo di partenza e permette di vedere chiaro il contributo del traduttore. Venuti sostiene che le traduzioni stranianti combattono la “violenza etnocentrica” del modo di tradurre diventato tradizionale nel mondo angloamericano.
I want to suggest that insofar as foreignizing translation seeks to restrain the ethnocentric violence of translation, it is highly desirable today, a strategic cultural intervention in the current state of world affairs, pitched against the hegemonic English-language nations and the unequal cultural exchanges in which they engage their global others.
Foreignizing translation in English can be a form of resistance against ethnocentrism and racism, cultural narcissism and imperialism, in the interests of democratic geopolitical relations (Venuti, 2004:20).
Completamente diversa è la visione di Riitta Oittinen, la quale non condivide la polarità delle teorie di Venuti. Anche se la studiosa finlandese concorda sul fatto che la traduzione è sempre soggetta al potere e alle norme dominanti ed è influenzata dal periodo storico e dalla società, diversa è la sua posizione riguardo al concetto di addomesticazione (Oittinen, 2000).
The problem of adaptation and (in)visibility comes up within children’s literature, too, where domesticating and foreignizing are very delicate issue. There are several scholars who take a clear stand against adapting: it is denaturing and pedagogizing children’s literature. Another reason for their negative views about adaptations altogether is how they see translation: if we understand translation as producing sameness, we definitely make a clear distinction between translations and adaptations. On the other hand, if we consider translating as rewriting, as I do, it is much more difficult to tell one thing from the other (Oittinen, 2000:75).
Per Oittinen, l’atto stesso di tradurre include in sé una dose di addomesticazione e ogni traduzione è in realtà un’addattamento dell’originale a favore del pubblico d’arrivo. Detto questo, adattare, specialmente nell’ambito della letteratura per l’infanzia, non significa inevitabilmente tradire l’autore originale. Anzi: tradurre per bambini (ed è sull’importanza di questa preposizione che la studiosa insiste maggiormente), adattando il testo ai loro gusti e bisogni vuol dire essere fedeli sia al lettore della cultura d’arrivo che all’autore dell’originale (ibid.).
One question clearly takes precedence when we translate for children: For whom? We translate for the benefit of the future reads of the text – children who will read or listen to the stories, children who will interpret the stories in their own ways. This questions also brings up the issue of authority. If we simply aim at conveying “all” of the original message, at finding some “truth” in the “original”, we forget the purpose and the function of the whole translation
process: the translation needs to function alongside the illustrations and on the aloud-reader’s tongue. However, if we stress the importance of, for instance, the “readability” of the target-language text […], we give the priority to the child as a reader, as someone who understands, as someone who actively participates in the reading event (Oittinen, 2000:5).
Basandosi sulla Skopostheorie di Vermeer, Oittinen afferma che ogni traduzione è guidata da uno scopo e in base ad esso il testo d’arrivo dovrà essere adattato. Le ragioni dell’adattamento possono essere svariate: il testo di partenza potrà essere modificato, ad esempio, per essere capito più facilmente dai piccoli lettori, per attirare anche il pubblico adulto e aumentare le vendite oppure per inserirvi gli elementi educativi e pedagogici (ibid.:77). Adattare è anche l’unico modo per far rivivere i grandi classici come lo è tradurli. In realtà, sostiene la studiosa, non c’è alcuna differenza tra i due processi:
Domestication is a part of translation, and not a parallel process. There is no real methodological difference between the two. What really matters here is how well translations function in real situations, where the “I” of the reader of the translation meets the “you” of the translator, the author, and the illustrator (ibid.:84).
Così come l’autore scrive per un lettore ideale della cultura originale che egli si immagina, così il traduttore traduce e adatta in funzione di un lettore ideale della cultura d’arrivo. Il traduttore, tenendo conto del pubblico d’arrivo, collabora con l’autore e in questo modo gli dimostra la sua lealtà:
Loyalty implies respect for more than a text in words as such, or a certain form or content; it implies respect for an entire story-telling situation where a text is interpreted for new readers, who take the story as it is, who accept and reject, who react and respond (ibid.:84).
Oittinen crede che i traduttori soffrano dell’autorità esercitata dal concetto dell’originale e sostiene che sottomettersi a tale autorità facilmente porta alla ripetizione di ciò che secondo loro è il
“significato originale”. La convinzione che il testo di partenza abbia un significato fisso e intrinseco che deve essere trasmesso in un’altra lingua e non può essere relativizzato causa inevitabilmente una mancanza di rispetto verso l’autrore e verso l’originale stesso (ibid.:164).
Dialogics does not mean submission to the authority of the original but, adding to it, enriching it, […] thus creating fresh new interpretation for the target-language audience. In this sense, disrespect for authorities brings out respect for originals and their authors. In a positive sense, translators always manipulate (ibid.:164).
O’Sulliavan ritiene che le teorie di Oittinen, secondo cui la lealtà verso il pubblico d’arrivo rispecchi automaticamente la lealtà verso l’autore dell’originale, siano troppo generalizzanti e non si soffermino sull’eterogenetà della letteratura per l’infanzia (O’Sullivan, 2005:79):
Distinguishing between types of texts and their functions is a meaningful extension of a functionalist theory of the translation of children’s literature.[…] Translators of ‘literary’ source texts are faithful to the texts or loyal to their authors only if the full aesthetic dimension is conveyed in translation. In such a functionalist approach, for instance, one could and indeed should distinguish between texts with aesthetic claims, texts defined by their degree of linguistic difficulty and their function of promoting literacy […], and texts in which content is more important than form, for instance information books (ibid.:80).
Per quanto riguarda lo straniamento, interessante è la riflessione di O’Sullivan su ciò che in fin dei conti appare davvero estraneo agli occhi di un bambino. Citando Krusche (1985:13), O’Sullivan definisce la condizione di essere estraneo non come una qualità dell’oggetto che osserviamo, ma come una relazione in cui un soggetto si riferisce all’oggetto in questione in termini della esperienza e conoscenza che possiede. Tutto ciò che il bambino non conosce ancora o sperimenta per la prima volta gli appare strano ed estraneo. “This foreigness initially has nothing to do with cultural difference” (O’Sullivan, 2005:93). Secondo la studiosa, i bambini leggono i testi provenienti dalle culture straniere allo stesso modo in cui leggono i testi della loro stessa cultura.
Young readers – like many adult readers – absorb and identify with what they read, and tend to concentrate on such anthropological universals as the cycle of life, sexuality, the expression of emotion, social relationship, religious feelings, etc. (see Mecklenburg 1987:570), that is to say on common factors rather than differences in literature (O’Sullivan, 2005:95).
Dopo aver analizzato brevemente le teorie di alcuni studiosi, risulta chiaro che le opinioni riguado a quale strategia debba essere scelta nel tradurre le opere per bambini – se quella addomesticante o invece la straniante – sono discordanti. E’ di cruciale importanza la posizione di Venuti contro l’egemonia della traduzione anglosassone che tende ad eliminare le differenze e particolarità culturali e chiude gli occhi davanti alla ricchezza e complessità dell’altro. E’ importante offrire ai giovani lettori la possibilità di viaggiare a tutti gli effetti per mezzo della lettura. Nondimeno, la puntualizzazione di Oittinen sul fatto che la traduzione viene fatta per bambini è fondamentale. Il traduttore dovrà quindi trovare quell’equilibrio delicato tra ciò che è familiare e ciò che è invece ancora ignoto, nuovo, diverso. E’ importante trasmettere il gusto e le particolarità culturali del testo originale senza piegarli alla cultura d’arrivo. Tuttavia, è altrettanto importante che la traduzione sia
comprensibile e scorrevole nella lingua d’arrivo e che sia una fonte di gioia e piacere per il nuovo pubblico. D’ispirazione può essere la descrizione che Gisella Maiello fa della concezione dell’atto traduttivo di Berman:
Lungi dal possedere una visione “riduzionista” dell’atto traduttivo, Berman concepisce la traduzione come esperienza dello Straniero, che deve essere accolto in quanto Altro, e dunque non deve essere naturalizzato. La traduzione assume così un valore e una finalità etica che implicano la fedeltà alla lettera, la quale non significa traduzione servile, puro letteralismo parola-per-parola, ma rivelazione, manifestazione della totalità di un mondo che è rappresentato da un’opera in lingua straniera (Berman, 2000:11).
2.5 Alcuni componenti-chiave di un testo per bambini 2.5.1 Illustrazioni
Le parole, in qualsiasi lingua esse siano, rappresentano solo una componente del meraviglioso mondo della letteratura per l’infanzia. L’altro ingrediente importantissimo è costituito dalle immagini. Un testo illustrato rappresenta una vera sfida per il traduttore, in quanto non è pensabile tradurre un libro per bambini ignorando le immagini che lo accompagnano. Questo è particolarmente vero quando il testo originale contiene delle poesie o dei giochi di parole illustrati.
In tal caso il traduttore si troverà di fronte a dei vincoli di tipo paratestuale (Nasi, 2004 e 2015). In generale, al di là dei giochi fonetici e dei cosidetti pun, le illustrazioni contribuiscono, insieme alla parte verbale, a creare il messaggio del testo. È errato il pensiero secondo cui le illustrazioni si limiterebbero solo a riflettere ciò che viene già detto con le parole. Le illustrazioni aggiungono delle informazioni o le rinforzano e, se ignorate, sono causa di confusione e incoeranza nel testo d’arrivo.
Tuttavia, anche se una buona traduzione presuppone una perfetta sintonia tra il testo e l’immagine, non tutti i libri per bambini sono illustrati. Quando le illustrazioni sono presenti, esse possono giocare un ruolo fondamentale nell’opera, concorrendo insieme al testo scritto a creare il senso della narrazione (Pederzoli, 2012:51). La funzione delle illustrazioni, però, può anche essere secondaria e consistere nel “fotografare” ciò che viene espresso con le parole. In questo caso è il testo scritto ad avere nella narrazione un’importanza nettamente maggiore. Normalmente le immagini giocano un ruolo chiave nelle opere destinate ai bambini più piccoli, di età prescolare, mentre i più grandi necessitano di un supporto visivo minore.
Toutefois, le panorama éditorial offre une grande variété d’ouvrages très hétérogènes: on peut donc trouver des albums sophistiqués, basées sur l’interaction texte-image, adressés aux préadolescents, voire aux adolescents (notamment en
France), mais aussi des livrets pour les petits où les images jouent un rôle purement décoratif et ne concourent pas à déterminer le sens de l’histoire (Pederzoli, 2012:51).
Nel suo saggio Luca, la luna e il latte: i vincoli del tradurre un poema pittorico Annalisa Sezzi riflette sulla difficoltà di tradurre gli albi illustrati, detti anche picture book (Sezzi in Palumbo, 2010:83). La studiosa sottolinea come la convinzione secondo la quale tradurre questo tipo di libri sarebbe semplice a causa della presenza di numerose immagini e poche parole sia errata.
Nonostante la presenza delle immagini a tutta pagina e dei testi brevissimi si tratta di veri poemi pittorici, la cui traduzione richiede molta bravura. A questo proposito Oittinen sostiene addirittura che la traduzione dei picture book dovrebbe essere insegnata nelle scuole di traduzione, in quanto essa costituisce un campo di sapere molto specifico (Oittinen, 2000:165).
Si definisce albo illustrato una determinata produzione editoriale rivolta a bambini in età prescolare, dalla struttura relativamente fissa. […] Questo genere è contraddistinto […] dalla presenza di due diversi codici semiotici: quello verbale e quello visivo. La tensione narrativa è data dalla loro interazione; l’illustrazione infatti non ha mai una mera funzione ornamentale o puramente esplicativa nei cinfronti del testo verbale, ma il materiale verbale e quello pittorico collaborano in pari misura per creare significato (Sezzi, 2010:83-84).
A proposito della presenza di varietà diverse all’interno dei libri per bambini, Oittinen ricorre al termine bakhtiniano “eteroglossia” e considera le illustrazioni come parte dell’interazione dialogica tra il testo e gli uomini. Di conseguenza le illustrazioni non possono essere ignorate nel processo traduttivo (Oittinen, 2000:100).
I also aim to show in practice how important it is for translators to translate more than texts in words. Translators of picture books translate whole situations including the words, the illustrations, and the whole (imagined) reading-aloud situation. Illustration is a many-faceted phenomenon in translation: on the one hand, illustrations go along with translations and their originals; on the other hand, illustration can be understood as a form of translation as such (Oittinen, 2000:75).
Per la studiosa finlandese i traduttori non solo devono saper leggere e scrivere in una lingua straniera, ma anche aver sviluppato le competenze necessarie per leggere le immagini. Anzi, trattandosi di un’interazione dialogica il compito del traduttore è quello di tener conto dell’interpretazione dell’illustratore:
I find my similarities between translation (into words) and illustration (translation into pictures) as forms of interpretation. Imagine how it would be if translations in words always appeared side by side with the original work, just the way illustrations appear with the originals. While the production technique may be different, both words and
illustrations are interpretations of a story from a certain point of view: like illustrators, translators need to concentrate on what they understand to be the main points of the story (Oittinen, 2000:106-107).
Quando un libro o un albo illustrato viene tradotto senza aver a disposizione le immagini o senza prenderle in considerazione consapevolmente, il risulato finale non potrà che essere deludente.
O’Sullivan cita il caso in cui il traduttore adotti la strategia addomesticante nel testo d’arrivo, il quale però andrà accompagnato con le illustrazioni dell’opera originale. La versione finale che deriverà da una tale combinazione presenterà nella parte figurativa le caratteristiche della cultura di partenza, mentre nella parte verbale saranno presenti dei riferimanti alla cultura d’arrivo (O’Sullivan, 2005:99).
Le cose si complicano quando le illustrazioni contengono anche degli elementi tipografici come nomi delle vie o dei negozi, insegne stradali, titoli di libri o giornali, pubblicità, etichette e così via.
Foreign written material that forms part of a picture is usually translated and placed over the original, sometimes spoiling the artistic impression, since it may be in print instead of the illustrator’s original script. Alternatively, pictures containing writing may be used untranslated to save money and trouble; inconsistent mixtures may include some writing that is translated and some that is not (O’Sullivan, 2005:99).
E’ altrettanto vero però che un traduttore consapevole può decidere di non tradurre alcuni elementi delle illustrazioni, affinchè essi evochino la cultura d’origine e diano un gusto locale al testo d’arrivo (O’Sullivan, 2005:100).
Purtroppo, nel trattare la questione delle illustrazioni, non si può escludere il lato economico.
O’Sullivan spiega come le incongruenze di tipo culturale potrebbero sparire dagli albi e dai libri illustrati proprio a causa dei costi elevati necessari per la produzione di questo tipo di letteratura.
Per far fronte a tali costi gli editori cercano di assicurararsi la cooperazione internazionale. Una conseguenza della cooperazione tra i paesi diversi è proprio il livellamento delle immagini sul piano culturale. La studiosa riassume le logiche che stanno dietro a questo tipo di processi editoriali nel modo seguente:
The ever-rising costs of production, storage, advertising and distribution make the publishing of ambitious picture books, lavishly illustrated books and extensively illustrated non-fiction books almost impossible without international cooperation, which means shared costs and amalgamated markets. Parts of books with coloured illustrations are produced for several countries at once, with the running text printed on a separate black plate. Every change in the pictures means additional expense, so they are devised with an eye to international exploitation from the first. As a result, culture-specific features and the diversity that they entail disappear. Publishers prefer something non provocative, unlikely to offend, and adaptable in streamlined form to the requirements of the international market […].
This can lead to pre-censorship on the part of publishing houses economically dependent on international partners (O’Sullivan, 2005:101).
Come risultato di queste nuove strategie internazionali le illustrazioni non presentano elementi culturali specifici. Edifici, vestiti, oggetti di vita quotidiana vengono raffigurati nella maniera più generica ed aspecifica possibile in modo da non apparire estranei a nessuno. Eppure, la presunta assenza di qualsiasi cultura particolare significa in fin dei conti che “no culture other than the dominant Anglo-American one is present (O’Sullivan, 2005:102).
2.5.2 La componente teatrale
Oittinen traccia un parallelo tra la forma artistica rappresentata da albi o libri illustrati e il teatro o o il cinema. Le illustrazioni sono per la studiosa finlandese simili alle scenografie. Così come le scenografie su un palco scenico provocano un certo effetto sul pubblico, allo stesso modo le illustrazioni provocano un effetto sui piccoli lettori. Anzi, i destinatari di albi illustrati non leggono, perché troppo piccoli, ma assistono alla performance degli adulti. In questo modo tradurre un testo illustrato è complesso come lo è tradurre per il teatro o per il cinema, in cui la parte verbale è solo una componente della totalità del discorso (Oittinen, 2000:111). Inoltre, esistono altri due punti di contatto tra queste forme artistiche, all’apparenza così lontane: l’importanza dei movimenti e quella dei suoni (ibid.).
2.5.3 La leggibilità
Tradurre per bambini, specialmente molto piccoli, significa prestare molta attenzione all’aspetto della leggibilità e del ritmo del testo originale e quello d’arrivo. Non solo la traduzione deve risultare scorrevole, ma addirittura cantabile, considerato che la lettura dei picture book è una lettura ad alta voce che prevede una vera performance da parte degli adulti. Proprio grazie a tale performance il bambino illiterato è in grado di accedere al mondo della letteratura (Oittinen, 2000:111).
The translator translating for children should […] remember that a child under school age listens to texts read aloud, which means that the text should live, roll, taste good on the reading adult’s tongue. The translator of a fairy tale, a novel, a poem, or a play for children must take into consideration which senses she/he is translating for (Oittinen, 2000:32).
Sta proprio al traduttore far sì che la lettura del suo testo risulti più piacevole possible. A tale scopo, citando sempre le parole di Oittinen, egli può anche servirsi in maniera non consueta dei segni di interpunzione per rendere il testo ritmico “sia all’occhio che all’orecchio”.
Ma, come spiega Gillian Lathey, qualunque sia la modalità di lettura di un testo per l’infanzia, esso deve in ogni caso presentare una chiara linea narrativa e prestare la massima attenzione al ritmo e all’aspetto sonoro in generale (Lathey in Baker e Saldanha, 2009:32). Gli elementi come ripetizioni, onomatopee, giochi di parole, nonsense, neologismi e rappresentazioni delle voci degli animali sono caratteristiche comuni a molte opere per bambini e richedono al traduttore un altissimo grado di creatività e competenza (ibid.).
2.5.4 Antroponimi
E’ impensabile l’esistenza di una letteratura per l’infanzia che non presenti una buona dose di creatività linguistica. Per Roberta Pederzoli tale aspetto creativo delle opere per bambini riflette il loro legame gioioso e ludico con lingua madre (Pederzoli, 2012:114). Uno degli elementi costitutivi di tale legame è rappresentato dai nomi di persone. Che si tratti di nomi “reali” e tipici della cultura a cui appartengono o dei cosidedetti nomi “parlanti”, che contengono dei significati e delle connotazioni precise, in entrambi i casi ci si può trovare ad affrontare una sfida impegnativa.
Les anthroponymes […] tissent un dense réseau d’effets linguistiques et littéraires qui, tout en ancrant un ouvrage à un contexte socioculturel déterminé, evoquent des sonorités et des réalités chargées des sens pour le lecteur. Au traducteur incombe alors la tâche délicate d’essayer de rendre, dans une autre langue et pour un lecteur defférent, ce réseau de significations et d’évocations (Pederzoli, 2012:114).
Nei casi in cui il testo originale presenta dei nomi “veri” che non hanno nessun altro tipo di significato, il traduttore potrà scegliere se lasciarli inalterati nella lingua d’arrivo, sostituirli o combinare in modo bilanciato entrambe le possibilità. Tuttavia, Pederzoli dimostra come spesso anche la scelta dei nomi “reali” da parte dell’autore non sia affatto casuale. Sostituendo tali nomi si corre il rischio di sconvolgere e di appiattitre la narrazione. La studiosa cita l’esempio del romanzo Das doppelte Lottchen del grande scrittore tedesco per bambini Erich Kӓstner:
[…] Kӓstner semble choisir avec soin les noms des protagonistes de son roman: les parents, Ludwig et Luisette, les filles, Luise et Lotte. Tous le noms commencent avec “l”, ce qui évoque un univers familial très compact, au sein duquel les filles, deux jumelles, représent une sorte de “dédoublement” de la mère, dont chacune porte une partie du nom (Pederzoli, 2012:115).
2.5.5 Toponimi
Insieme agli antroponimi, i toponimi sono fondamentali per inserimento dell’opera in un contesto geografico e socioculturale. Pederzoli riferisce che secondo la tendenza degli ultimi anni i nomi di luoghi, così come i nomi di persone vengono tradotti laddove esista una traduzione attestata.
Quando questa manca invece, il toponimo viene semplicemente trascritto nella lingua d’arrivo. Ciò nonostante, non mancano gli esempi in cui i nomi propri vengano adattati alla cultura ospitante.
Nel caso dei tiponimi che portano un significato o che sono necessari per ulteriori giochi di parole è possibile, come anche nel caso degli antroponimi “parlanti”, di ricorrere ad una spiegazione aggiuntiva dentro al testo o in una nota (Pederzoli, 2012:126).
2.5.6 Intertestualità
Nonostante la letteratura per l’infanzia sia spesso considerata come “minore” rispetto a quella per adulti e nonostante la difficoltà di tradurre libri per bambini sia sottovalutata, la realtà dimostra come i testi per i piccoli possono rappresentare delle complesse opere d’arte che richiedono una vasta cultura e conoscenza da parte del traduttore. Una delle tante sfide che i testi per l’infanzia spesso presentano è costituita dai rimandi intertestuali.
[…] le réseau complexe de renvois et d’allusions intertextuelles, qu’elles soient littérairaires, folkloriques ou cinématographiques, crée bien évidemment un problème pour le traducteur, car “une traduction instisfasante de l’intertextualité en littérature pour la jeunesse débouche sur un échec de l’acculturation par la traduction” (Douglas 2006:116). […] la traduction des références intertextuelles impliques alolrs une ample varieté de stratégies en fonction de la typologie, de la quantité et du rôle de ces alussions mais de la conception qu’a le traducteur de l’enfent et de la littérature de jeunesse (Pederzoli, 2012:129).
Pederzoli condivide la posizione di Douglas secondo cui la rete di rimandi intertestuali non deve per forza essere intesa come un insieme prestabilito e immutabile. Anzi, il traduttore può arricchire e modificare le ramificazioni intertestuali in funzione della sua cultura nazionale e personale.
Il primo tipo di rimandi intertestuali, che Pederzoli prende in considerazione è costituito dai riferimenti ai personaggi del folclore. Analizzando l’opera di Gianni Rodari La freccia azzurra, la studiosa riflette su come il personaggio di Befana sia stato reso nella versione francese e in quella tedesca. Nonostante alcune differenze, entrambe le versioni presentano sostanzialmente la stessa strategia traduttiva che consiste nell’aggiunta di un prologo. E’ molto raro incontrare tale elemento paratestuale nella letteratura per l’infanzia, ma in questo caso i traduttori se ne servono per spiegare
ai bambini della cultura d’arrivo chi è Befana e assicurano in questo modo la comprensione dell’opera al nuovo pubblico (Pederzoli, 2012:131). L’altra strategia poteva essere quella di adattare il testo alla cultura d’arrivo rimpiazzando i personaggi del folclore italiano con quelli del folclore nazionale. Alla base di qualsiasi approccio traduttivo sta sempre l’immagine che il traduttore ha del bambino e l’idea dell’infanzia dettata dalla sua società. Sempre sulla base di questi due fattori la traduzione tenderà verso l’addomesticazione o verso la straniazione.
Frequenti nella letteratura per bambini sono anche i riferimenti letterari e cinematografici. Anche in questo caso le strategie potranno essere svariate, a seconda della visione generale del traduttore.
Nel decidere se lasciare i riferimenti del testo originale, se accompagnarli a qulche spiegazione ulteriore o se sostituirli del tutto bisognerà considerare quanto sono conosciuti al livello internazionale.
Parfois, le traducteur peut décider de remplacer une référence littéraire per une autre référence qui peut être soit
“international” soit caractéristique de la culture d’arrivée (Pederzoli, 2012:134).
Infine, anche le vere e proprie citazioni si possono trovare all’interno di un testo per bambini.
Nella letteratura per adulti nelle situazioni di questo tipo si ricorre alla traduzione attestata nella lingua d’arrivo oppure, quando questa manca, il traduttore dovrà offire la sua versione della citazione. In entrambi i casi il traduttore dovrà specificare chi è l’autore della traduzione. Tale precisione e trasparenza invece non rappresentano ancora la regola nella letteratura per l’infanzia (Pederzoli, 2012:136).