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Franchising in the distribution landscape The case of the MU ice cream parlour Il franchising nel panorama distributivo Il caso della gelateria MU UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE E AZIENDALI

“MARCO FANNO”

CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA INTERNAZIONALE

L-33 Classe delle lauree in SCIENZE ECONOMICHE

Tesi di laurea

Il franchising nel panorama distributivo

Il caso della gelateria MU

Franchising in the distribution landscape

The case of the MU ice cream parlour

Relatore:

Prof. DI MARIA ELEONORA

Laureando/a: CINEL CLAUDIA

Matricola N. 1016713

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INDICE

INTRODUZIONE ... 7

CAPITOLO PRIMO ... 9

I CANALI DISTRIBUTIVI ... 9

Funzione dei canali distributivi ... 9

Classificazione dei canali distributivi ... 10

Classificazione in base ai mercati coinvolti ... 10

Classificazione in base alle caratteristiche ... 11

La lunghezza del canale ... 11

L’intensità dei canali ... 13

La composizione del canale ... 14

Strategie di comunicazione nei canali di distribuzione... 15

Strategia pull ... 15

Strategia push ... 15

Strategia mista ... 15

Gli intermediari dei canali indiretti ... 16

Il Grossista... 16

Gli agenti di vendita ... 17

I broker ... 17

I dettaglianti... 18

Classificazione dei dettaglianti ... 18

I dettaglianti ambulanti ... 18

I Punti Vendita Fissi: Tipologie di Format ... 19

La superette o minimarket ... 19

Il Supermercato ... 20

Il discount ... 21

L’ipermercato ... 21

Il grande magazzino ... 22

La grande superficie specializzata ... 22

I centri commerciali ... 23

I parchi commerciali ... 23

I Factory Outlet Center ... 24

Vendite speciali ... 24

Le tecniche di vendite preesistenti... 25

La vendita per corrispondenza ... 25

Vendite a domicilio o vendita diretta ... 25

I distributori automatici ... 26

Le nuove tecniche di vendita ... 27

E-commerce o vendita al dettaglio on line (on line retailing) ... 27

Televendita ... 27

Il punto vendita ... 28

Il punto vendita da luogo d’acquisto a luogo relazionale–esperienziale ... 30

CAPITOLO SECONDO ... 33

IL FRANCHISING ... 33

Cenni storici ... 33

I tre leader della storia del franchising moderno ... 34

Storia del franchising in Italia ... 35

(4)

4

Definizione giuridica ... 36

Definizione della FIF ... 36

Definizione di Assofranchising ... 37

Definizione dal punto di vista del marketing ... 37

Le tipologie di franchising ... 38

Franchising di distribuzione ... 38

Franchising industriale ... 38

Franchising dei servizi ... 39

Franchising Internazionale ... 39

Know-how ... 41

Il Brand ... 41

I soggetti nel Franchising ... 43

Il Franchisor ... 43

Definizione ... 43

Sviluppo di una rete in Franchising ... 43

Fase dell’analisi ... 43

Fase della pianificazione ... 44

I punti vendita pilota ... 44

Fase dell’attuazione ... 45

Fase del controllo ... 47

Vantaggi per il Franchisor ... 47

Svantaggi per il franchisor ... 47

Il Franchisee ... 48

Definizione ... 48

Vantaggi per il franchisee ... 48

Svantaggi per il franchisee ... 48

Percorsi di scelta del franchisee... 49

Le strategie nel franchising ... 51

Dati statistici ... 53

Le reti attive (franchisor)... 53

Distribuzione dei franchisor con sede legale in Italia ... 56

Suddivisione per regione delle reti (franchisor) ... 57

PVF per regione Italia ... 58

Suddivisione per settori dei Franchisor ... 59

Gli elementi che caratterizzano le reti di franchising ... 60

CAPITOLO TERZO ... 63

PANORAMA DELLE GELATERIE IN ITALIA ... 63

IL CASO DELLA GELATERIA MU ... 65

STORIA ... 65

PERCORSO PER DIVENTARE FRANCHISEE MU ... 68

La fase della richiesta di informazioni all’azienda ... 68

Fase della valutazione della Location ... 68

Fase del sopraluogo tecnico ... 68

Fase della definizione del contratto ... 68

Fase della realizzazione del punto vendita ... 69

Fase della Formazione ... 69

IL COMMUNICATION MIX ... 70

IL PUNTO VENDITA GELATERIE MU ... 72

(5)

5

I CONCORRENTI ... 74

CONCLUSIONI ... 75

BIBLIOGRAFIA ... 77

(6)
(7)

7

INTRODUZIONE

L’indagine di questa ricerca è di analizzare le tappe del percorso evolutivo delle reti di imprese di natura contrattuale note come sistema del franchising dal punto dei due soggetti coinvolti: il franchisor e il franchisee.

A tal fine saranno analizzate nel primo capitolo le varie tipologie della rete distributiva presenti in Italia dal punto di vista della superfice di vendita, della localizzazione, della gamma merceologica, dei prodotti venduti, ma anche dei soggetti imprenditoriali coinvolti. In questo capitolo verranno esaminati anche quegli elementi che definiscono l’immagine del punto vendita e che hanno il preciso scopo di suscitare interesse, curiosità nel consumatore al fine di condurlo non solo all’acquisto ma a vivere un’esperienza positiva ed emozionante. Nel terzo capitolo verrà esaminato il caso dell’azienda “Magic MU” di Conegliano Veneto ideatrice della “Gelateria, fai da te, MU” che ha saputo coniugare, attraverso la formula del

(8)
(9)

9

CAPITOLO PRIMO

I CANALI DISTRIBUTIVI

I canali distributivi detti anche canali commerciali o di marketing sono “un sistema di

organizzazioni interdipendenti che aiutano a rendere un prodotto o servizio disponibile per il suo uso o consumo da parte di utilizzatori privati o industriali”. (Kotler P., et al., 2019,

p.327)

Altri autori definiscono i canale distributivo” … un insieme di organizzazioni [imprese, consorzi, soggetti no profit, enti pubblici ecc.] che svolgono il complesso di funzione ( attività

generatrici di valore ) necessarie per trasferire determinati beni e il relativo diritto di proprietà dal produttore al consumatore”. (Grandinetti R., a cura di, 2015, p.323)

Funzione dei canali distributivi

Nel canale distributivo diventa di fondamentale importanza la specializzazione e l’autonomia proprietaria dei suoi attori in quanto comporta una maggior efficienza nello svolgimento delle funzioni distributive in quanto permette un risparmio delle risorse che sono necessarie per trasferire i prodotti e/o servizi dalla produzione al consumo “vista la frammentazione delle

attività di produzione e ancor più quelle di consumo”. (Grandinetti R., a cura di, 2015, p.

324) e perciò di ridurre il divario spazio-tempo-proprietà. Inoltre permette una composizione dei lotti di assortimento che rende superabile la “disomogeneità tra la varietà limitata e i

volumi elevati dei produttori e la varietà elevate e i volumi limitati” (ivi, 2015 p.324) richiesti

dai clienti/ consumatori.

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Classificazione dei canali distributivi

I canali distributivi possono essere classificati in base ai mercati coinvolti o alle loro caratteristiche.

CLASSIFICAZIONE IN BASE AI MERCATI COINVOLTI

Nella classificazione in base ai mercati coinvolti a seconda delle imprese o dei consumatori finali e avremmo:

 B2B Business to Business riguarda le transazioni realizzate tra imprese (Fig.1.1);  B2C Business to Consumer riguarda le transazioni che coinvolgono le imprese e i

consumatori finali;

 C2C Consumer to Consumer riguarda le transazioni che avvengono fra consumatori finali.

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CLASSIFICAZIONE IN BASE ALLE CARATTERISTICHE

I canali distributivi possono essere classificati sulla base di tre caratteristiche: la lunghezza, l'intensità, la composizione.( Grandinetti R., a cura di, 2015)

La lunghezza del canale

Per lunghezza del canale si intende il numero di stadi o livelli che separano il produttore dal consumatore finale. Sulla base di tale caratteristica distinguiamo le seguenti tipologie: il

canale diretto, il canale indiretto che a sua volta si suddivise in c. breve e c. indiretto lungo.

 Il canale diretto

Il canale diretto (produttore-consumatore) è formato da due soli stadi o livelli non esistendo alcun intermediario commerciale fra il produttore e l’acquirente/utilizzatore. Tale tipologia richiede per la sua realizzazione investimenti rilevanti per la maggior incidenza dei costi fissi rispetto al canale indiretto e viene utilizzato preferibilmente nei casi in cui: i clienti hanno una forte necessità di essere ben informati e ricevere un’assistenza pre-vendita; il prodotto e/o servizio si presta ad un elevato grado di personalizzazione; il cliente deve essere certo della qualità del prodotto come ad esempio nei beni strumentali; la logistica è importante al fine di evitare problemi di coordinamento fra le attività produttive e le attività di distribuzione. Può essere utilizzata nei negozi monomarca, nelle vendite per corrispondenza o on-line.

 Il canale indiretto

Si suddivide in: canale indiretto breve e canale indiretto lungo.  Il canale indiretto breve

Caratteristica di tale canale è rappresentata dalla presenza di un solo stadio fra produttore e cliente/consumatore finale, ovvero vi è la presenza di un solo intermedio (produttore-dettagliante-consumatore). Un particolare canale breve è rappresentato dai punti di vendita in

franchising attivati dal un produttore.

 Il canale indiretto lungo

Può essere formato da vari stadi o livelli frapposti fra produttore e consumatore finale (vedi Fig.1.2):

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E’ un canale di lunga tradizione ed è utilizzando spesso nella distribuzione di prodotti di largo consumo (convenient good) per i quali vi sia la necessità di un vasto assortimento e una disponibilità in tempi brevi.

.

Sia nel canale indiretto breve o lungo a seconda del tipo di relazione–cooperazione che si instaura tra i vari stadi si possono avere le seguenti tipologie di “integrazione verticale di

canale” (Pride W.M., Ferrell O.C., 2005):

 convenzionali nelle quali ogni componente del canale si comporta in modo indipendente cercando di ottenere le migliori condizioni di acquisto e di vendita, questo alla lunga può portare all’emergere di conflitti;

 contrattuali dove il coordinamento fra le imprese indipendenti viene stabilito e ottenuto sulla base di contratti nei quali si definiscono i reciproci diritti e doveri (esempio reti di franchising, gruppi di acquisto, unioni volontarie);

 controllate nelle quali vi è un leader che organizza e controllo il canale (channel

leader) poiché possiede la capacità di influenzare il comportamento degli altri

membri.

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L’intensità dei canali

Per intensità dei canali si intende il “numero di unità di intermediazione utilizzate dal

produttore ad ogni stadio” o livello, riguarda perciò i canali indiretti che prevedono la

presenza di intermediari. Il produttore può scegliere fra tre alternative di distribuzione:

intensiva, selettiva, esclusiva. (Grandinetti R., a cura di, 2015)

 La distribuzione estensiva

Con la vendita estensiva l’azienda cerca di collocare i propri prodotti presso il maggior numero di intermediari siano essi grossisti, agenti o dettaglianti. Questo al fine di ottenere una diffusione capillare dei prodotti e al tempo stesso il massimo livello di copertura del mercato. Viene utilizzata per prodotti a basso valore aggiunto, con alte frequenza di acquisto e in piccole quantità (convenient good) a basso coinvolgimento psicologico nell’acquisto e che non richiedono sforzi in termini di comparazione.

 La distribuzione selettiva

Con tale tipologia di distribuzione il produttore effettua una preventiva selezione “…degli

intermediari ritenuti idonei alla commercializzazione dei beni” (Grandinetti R., a cura di,

2015 p.333) e/o servizio. Gli intermediari selezionati devono possedere determinati requisiti specifici che possono essere rappresentati dalla competenza ad integrare il prodotto tangibile con determinati servizi, dall’ubicazione dei negozi in determinate zone di facile accessibilità, di prestigio, dalla particolare immagine di cui godono da tempo, capacità di attrarre clientela e di vendita. Il produttore quindi utilizza solo gli intermediate ritenuti migliori in una certa area geografica e persegue una bassa copertura del mercato distributivo al fine di mantenere la gestione delle leve del marketing. Viene utilizzata per i prodotti shopping o ad acquisto ragionato ove i clienti/consumatori confrontano i beni sulla base non solo dei prezzi ma anche delle caratteristiche /attributi.

 La distribuzione esclusiva

Nella distribuzione esclusiva, il produttore si concentra nella scelta di un unico, o di un numero molto limitato, di intermediari per una specifica area geografica. Questo dà luogo a forme contrattuali in cui si definiscono precisi e reciproci impegni fra il produttore e il dettagliante; il

primo “si impegna a non effettuare vendite in concorrenza con il dettagliante nel mercato di

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distribuzione viene utilizzata per quei prodotti ricercati (speciality goods) per i quali i consumatori sono molto coinvolti dal punto di vista psicologico e dedicano tempo, impegno sia nella ricerca che nella scelta.

La composizione del canale

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Strategie di comunicazione nei canali di distribuzione

Nei canali distributivi le strategie di comunicazione verso i pubblici di riferimento possono essere le seguenti: pull, push e mista.

STRATEGIA PULL

Viene utilizzata prevalentemente nella distribuzione intensiva e con essa l’impresa cerca di ottenere il convincimento del consumatore in modo che sia questo a richiede il prodotto al dettagliante. (Castaldo S., 2013) Può essere definita anche consumer marketing del produttore o del dettagliante, poiché può essere adottata anche da questi. L’impresa persegue tale obiettivo investendo in pubblicità o nella promozione delle vendite.

STRATEGIA PUSH

Viene utilizzata, prevalentemente, nelle distribuzioni selettive ed esclusive dove l’azienda assegna un ruolo importante agli intermediari affinché siano questi a suggerire il prodotto al cliente/consumatore. L’azienda concentra le proprie strategie di comunicazione sugli intermediari attraverso: premi sull’acquisto delle merci, consigli su layout dei prodotti all’interno dei punti vendita o nell’allestimento delle vetrine, informazione sugli attributi fisico- funzionali dei prodotti. Tale strategia rientra nel “… trade marketing che […] può

essere definito come l’insieme di tutte quelle attività di natura strategica ed operativa che, basate sul trinomio prodotto/cliente/canale, si prefiggono di pianificare/organizzare/gestire le relazioni verticali di filiera con il duplice obiettivo di soddisfare i bisogni dei distributori e dei consumatori”. (Fornari D., 2018, p.8) Questo è in linea con le tendenze delle imprese di

produzione di passare da un orientamento sell-in a un orientamento sell-out. Nel primo

(sell-in) il produttore considera venduto il prodotto nel momento in cui entra nel magazzino o nel

negozio del dettagliante trascurando quello che avviene dopo; nel sell-out le imprese produttrici sono portate a preoccuparsi anche di quanto accade ai loro prodotti all’interno dei magazzini o negozi. (Castaldo S., et al., 2013)

STRATEGIA MISTA

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Gli intermediari dei canali indiretti

I principali intermediari dei canali indiretti sono rappresentati dai seguenti soggetti: i

grossisti, gli agenti, i broker, i dettaglianti.

IL GROSSISTA

I grossisti (Fig. 1.3) sono quelle figure che acquistano e gestiscono in grandi quantità i beni prodotti (grocery e non–grocery) dalle aziende produttrici, depositandoli nei propri magazzini per rivenderli a dettaglianti; vengono perciò esclusi gli scambi con i consumatori finali. I grossisti forniscono servizi importanti sia per i produttori che per i dettaglianti poiché si impegnano in molte attività della supply change management fra le quali possiamo ricordare lo stoccaggio, la spedizione, l’assunzione del rischio, la movimentazione e il finanziamento dei prodotti, la gestione di sistemi informatici e l’elaborazione dei dati. Vi sono vari criteri per classificarli a seconda se acquisiscono o no il titolo di proprietà dei beni trattati, o in base alla gamma dei servizi forniti. Nel caso primo caso avremmo i “grossisti indipendenti” che trattano prodotti dei quali hanno acquisito il titolo di proprietà assumendone anche il rischio e che rivendono ad altri grossisti o a dettaglianti. Se non acquistano il titolo di proprietà dei beni avremmo i “grossisti dei produttori (manufacturer’ wholesaler)” ovvero degli intermediari di proprietà del produttore che oltre a vendere prodotti forniscono fondamentali servizi di supporto (es. le “filiali vendita” e gli “uffici vendita”). Sono ubicate nelle zone dove la domanda è più alta o dove si concentrano i clienti più importanti, a volte anche molto lontano dai siti di produzione. Nella classificazione in base alla gamma dei servizi forniti rientrano i “grossisti a servizio completo” e i “grossisti a servizio limitato”. I primi sono imprese indipendenti ai quali

i clienti si rivolgono poiché coprono la gamma più ampia di funzioni all’ingrosso che vanno dalla disponibilità di prodotti e di assortimenti appropriati, all’adattamento quantitativo e/o qualitativo dei prodotti, all’informazione all’assistenza finanziaria, al trasporto e allo stoccaggio. I

FIGURA1.3 IGROSSISTI

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FIGURA 1.4INSEGNA “GROSMARKET”

Fonte: <https://www.fingiaco.it/2019/07/15/apre-a-dalmine-il-gros-market-sogegross-e-il-post-lombardini/>

grossisti a servizio limitato pur essendo imprese indipendenti che acquistano il diritto di proprietà delle merci non

concedono alcuni servizi quali: la concessione di crediti, lo stoccaggio delle scorte la pianificazione, la loro consegna, la fornitura di informazioni di marketing. (Pride W. M., Ferrell O.C. ,2005).

Fra i grossisti a servizio limitato va annoverato il cash and carry sorto grazie alla componente più dinamica e attiva dei grossisti che ha reagito alle mutate condizioni competitive e alla concorrenza verticale o alla meglio nota come “crisi del grossista” attraverso nuove forme aziendali e distributive. (Grandinetti R., a cura di,2015)

Il cash and carry, che letteralmente significa paga e porta via, è un esercizio all’ingrosso di limitate dimensioni organizzati a libero servizio, ovvero self-service, “con superficie di

vendita superiore a 400 m2”, localizzati nelle aree periferiche delle città e riservati esclusivamente ai dettaglianti (utilizzatori professionali) che devono essere titolari di partita IVA e possedere di un tesserino di riconoscimento. I clienti, che ad essi afferiscono,

“provvedono al pagamento in contanti, contro emissioni immediata di fattura, e al trasporto diretto della merce” (Lugli,1981, in Grandinetti R.,a cura di, 2015 p. 345).

Nel 1964 venne aperto a Dalmine (vedi Fig. 1.4) il primo cash and

carry italiano con l’insegna Gros

Market.1

GLI AGENTI DI VENDITA

Rappresentano solitamente il venditore ma talvolta anche l’acquirente e hanno la funzione di negoziare gli acquisti e/o facilitare le vendite ma non acquisiscono il titolo di proprietà dei prodotti; vendono, perciò, denominati anche “intermediari funzionali”. Svolgono un numero limitato di servizi in cambio di una provvigione e sono solitamente specializzati in prodotti particolari o per tipi di clienti. (Pride W. M., Ferrell O.C. ,2005).

I BROKER

Pongono su base temporanea in contatto acquirenti e venditori. Il loro campo di azione spazia dai generi alimentari agli immobili al mercato delle assicurazioni. (Pride W. M., Ferrell O.C. ,2005)

1 Bonaccorsi A., 27 Novembre 2018. Disponibile su:

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I DETTAGLIANTI

“Un dettagliante è un’impresa i cui ricavi derivano principalmente dalla vendita al dettaglio.

La distribuzione al dettaglio include tutte le attività relative alle vendita di beni o servizi direttamente ai consumatori finali per un uso personale non commerciale. Ogni organizzazione che vende al consumatore finale opera al dettaglio indipendentemente da come vende (di persona, per posta, per telefono, tramite distributori automatico via internet) e dove (in negozio, per strada, presso l’abitazione del consumatore “. (Kotler P., et al., 2007,

p. 612).

Classificazione dei dettaglianti

Possiamo classificare i dettaglianti secondo il luogo di vendita ovvero in punti ambulanti e fissi.

I DETTAGLIANTI AMBULANTI

Il commercio ambulante (Fig.1.52) viene definito commercio al dettaglio su area pubblica e può essere svolto su postazione fissa o in forma itinerante. Si concentra, generalmente, nei mercati giornalieri o settimanali e nelle manifestazioni fieristiche. In Italia, secondo Unioncamere, sulla base dei dati del Registro delle Imprese delle Camere di Commercio vi sono oltre 183 mila operatori del settore commercio itinerante che rappresentano il 22% delle imprese commerciali del Paese3. “…si tratta nella maggior parte dei casi di imprese

individuali, spesso legate al territorio di origine (78% nella provincia di nascita), soprattutto nel Mezzogiorno (Bari, Palermo, Napoli)”. “Per quanto riguarda i settori di attività, in prima posizione spicca l’abbigliamento, seguita da “altri prodotti” e alimentare”4. E’ una realtà

florida che smentisce le previsioni di alcuni anni fa in cui gli esperti davano per spacciato questo tipo di forma di distribuzione.

2 Disponibile

su:<https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12/19/mercatini-movimento-ambulanti-contro-hobbisti-lavorano-in-nero-e-ci-danneggiano/820545/>

3 ANON. Data Pubblicazione 21.08.2019. Disponibile

su:<http://www.unioncamere.gov.it/Risultati-ricerca/P46O0/commercio+ambulante>

4 Redazione PMI.It, scritto il 31Agosto2018.Disponibile su:

<https://www.pmi.it/economia/mercati/276234/commercio-boom-di-ambulanti-in-italia.html>

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I PUNTI VENDITA FISSI: TIPOLOGIE DI FORMAT

Nei tempi moderni i punti vendita fissi si sono sviluppati secondo particolari tipologie di

format ovvero seguendo dei modelli commerciali di riferimento che presentano ciascuno delle

caratteristiche omogenee per quanto riguarda: le dimensioni, la localizzazione, i prodotti commercializzati (grocery o non–grocery), la clientela servita, la modalità di vendita (assistita o libera self- service), l’organizzazione interna. (Castaldo S., et al., 2013)

LA SUPERETTE O MINIMARKET

“Forma distributiva a libero esercizio di dimensioni limitate, dai 200 ai 400m2con un ridotto

assortimento di beni di largo consumo prevalentemente alimentare…. È la prima forma di riconversione del commercio tradizionale alimentare.” (Di Bernardo B., et al., 2009, p. 418)

IL SUPERMERCATO

Il Supermercato è un punto di vendita al dettaglio con una superficie di vendita “compresa tra

i 400 e i 2500 m2”. (Di Bernardo B., et al., 2009, p. 418) Presenta un vasto assortimento di

prodotti alimentari di largo consumo in massima parte preconfezionati. Nasce intorno agli anni trenta negli Stati Uniti, il primo fu fondato a Cincinnati dalla King Kullen (Fig. 1.6), ed è considerato il volano della rivoluzione commerciale poiché ha introdotto svariate novità: dalla tecnica di vendita a libero esercizio (self-service5),dai prodotti di marca, ai prezzi bassi.(Vitale E.6) Dopo la Seconda Guerra Mondiale fanno il loro ingresso in Europa su iniziativa delle insegne che gestivano i magazzini popolari e che hanno inserito all’interno dei propri inaugurato nel 1957 a Milano (Fig. 1.7) con il nome di Supermarket.7

5 Con il termine self-service viene indicato “…un punto vendita…in cui l’acquirente si serve da se prendendo

direttamente la merce a scelta senza avvalersi dell’opera di addetti, cameriere o commessi”. Fonte: disponibile su: <http://www.treccani.it/vocabolario/self-service/>.

” Il concetto di “negozio self service” fu brevettato da Saunders nel 1917. I clienti di Piggly Wiggly entravano nel negozio attraverso un tornello e camminavano attraverso corsie per visionare i 605 prodotti del negozio, venduti impacchettati e organizzati in dipartimenti. I clienti selezionavano la merce mentre camminavano tra i corridoi, fino ad arrivare alle casse.” Fonte: disponibile su: <https://www.ilditonellocchio.it/6-settembre-1916-a-memphis-nel-tennessee-apre-piggly-wiggly-primo-vero-supermercato-della-storia/>

Nel 1917 l’ufficio dei brevetti degli Stati Uniti assegnò a Clarence Saunders un brevetto per un negozio self-service. “Sanders autorizzò l’uso di questa metodologia commerciale ad altri negozi indipendenti.” Fonte: disponibile su: <https://it.wikipedia.org/wiki/Self-service>

6 Vitale E., ”Storia del Supermercato”. Disponibile su:

<https://www.dudemag.it/attualita/storia-del-supermercato/>

7 “Sarà merito del designer svizzero Max Huber che si occupò della grafica dell’insegna con la caratteristica S

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FIGURA 1.7SUPERMARKET ESSELUNGA

Fonte: <https://Www.Dudemag.It/Attualita/Storia-Del-Supermercato/> FIGURA1.6 KING KULLEN

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21 IL DISCOUNT

E’ un punto di vendita al dettaglio a libero esercizio operante quasi esclusivamente nel campo alimentare. Vende prodotti solitamente non di marca, o con marche alle quali sono stati dati i più svariati nomi di fantasia, collocati in allestimenti spartani (i prodotti vengono lasciati nei cartoni di imballaggio), ha un assortimento poco profondo con poche varianti. Distinguiamo due tipologie di discount: hard e il soft. Il format hard ha origine in Germania, nel 1960, con il brand ALDI’. (Castaldo S., et al., 2013) “Oggi ALDI’ ha due divisioni (ALDI North e ALDI

South) e 9000 negozi in 18 paesi”. ( Kotler P. et al., 2019, p.364) Nel mercato italiano i

discount compaiono negli anni 90 con il format soft. Tra i più noti e diffusi ricordiamo il

brand Lidl che “nasce in Germania negli anni '30” ed “è presente in Italia dal 1992”8, questa tipologia dopo l’ultimo rinnovo strutturale e il lancio di un nuovo format avvenuto all’inizio del decennio scorso, presenta un allestimento più curato, un’offerta più ricca di prodotti (non solo alimentari) con l’inserimento di prodotti freschi, di marca che sono proposti a prezzi convenienti.

L’IPERMERCATO

E’ un esercizio di vendita al dettaglio con superficie maggiore o uguale a 2500 m2 organizzato

prevalentemente a self-service. È solitamente diviso in due macro aree: reparto alimentare e il reparto non alimentare con pagamento all’uscita. Sono localizzati in aree extraurbane, hanno un ’ampio parcheggio, orari di apertura continuativi e più lunghi nell’arco della giornata, la presenza di laboratori interni per la preparazione del cibo, di banchi per prodotti freschi (che vanno dalla panetteria alla macelleria, ai salumi). Offrono una grande quantità e varietà di prodotti di marca a prezzi competitivi e si caratterizzano, inoltre, per un elevato utilizzo delle promozioni. In Europa si sono sviluppati agli inizi del 1960 dapprima in Francia (Castaldo S.,

et al., 2013) grazie agli ipermercati E. Leclerc9.( Fig. 1.8)

8 Fonte: disponibile su:<https://corporate.lidl.it/chi-siamo/la-nostra-storia>

9 “E.Leclerc è una catena di ipermercati e supermercati francesi fondata nel 1949 da Édouard Leclerc con

l'apertura del primo punto vendita a Parigi”. Disponibile su: <https://it.wikipedia.org/wiki/E.Leclerc>

FIGURA 1.8 INSEGNA IPERMERCATI E. LECLERC

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22 IL GRANDE MAGAZZINO

Si tratta di un esercizio commerciale al dettaglio con una superficie di vendita superiore 400 m2 dove sono presenti almeno 5 reparti distinti appartenenti a settori merceologici diversi e di largo consumo (Pellegrini L., Zanderighi L., 2013) compreso eventualmente, il reparto alimentare. La vendita e solitamente assistita e il reparto abbigliamento è quello più importante. Sono localizzati (o meglio erano) nelle aree di maggiore pregio commerciale delle grandi città e sono perciò sprovvisti, spesso, di parcheggio. Nati con lo scopo di “… offrire

tutto sotto lo stesso tetto” [in tempi moderni, al fine di affrontare la concorrenza, hanno

perseguito la strada della ristrutturazione] puntando…attraverso un trading up sulle marche

in assortimento [e] aumentando il peso delle griffe [hanno] trasformato il grande magazzino in un contenitore di corner monomarca, una sorta di mini centro commerciale”.(Pellegrini L.,

Zanderighi L., 2013, p.111-112). Ne sono un esempio i magazzini Coin (Fig. 1.9)

LA GRANDE SUPERFICIE SPECIALIZZATA

E’ un esercizio commerciale operante nel comparto non alimentare e presenta molti punti vendita distribuiti sul territorio nazionale ed estero che hanno una “superficie di vendita non

inferiore ai 1500 m2”.( Pellegrini L., Zanderighi L., 2013) In questo tipo di format è

dominante la specializzazione su una determinata e a volte unica categoria di prodotti e per questo motivo sono “definiti addirittura category killer (Kotler P., 2019, p.371) con offerte di assortimento molto profondo e vario ed elevati volumi e a prezzi contenuti. La vendita è a libero esercizio anche se il cliente può essere assistito da un personale con un elevato livello di competenza. In questa tipologia di format annoveriamo alcuni dei seguenti negozi: di articoli sportivi (es. Cisalfa, Decathlon ecc.), dell’elettronica di consumo (es.Euronics, Mediaword ecc.), dell’abbigliamento (es.Zara, Mango, H&M ecc.) dell’arredamento (es. IKEA, Mondo Convenienza ecc.), delle calzature (es. Bata, Pittarosso ecc.).Solitamente sono localizzati nei centri cittadini ma anche in periferia, nei centri o parchi commerciali. (Castaldo S.,et al.,2013)

FIGURA 1.9IMAGAZZINI COIN DI MILANO

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23 I CENTRI COMMERCIALI

Sono progettati promossi e gestiti (Kotler P., et al., 2019) da una società che concede a terzi l’utilizzo di parti dello spazio per esercizio della propria attività, comprendono perciò più esercizi commerciali e/o direzionali. Possiamo definirli delle gallerie espositive (Fig. 1.10). Dispongono di importanti infrastrutture quali ampi parcheggi, servizi comuni, offerta integrata con attività di servizio quali bar, ristorante solitamente raggruppate in un piano nei format dei centri commerciali di terza generazione oltre a sportelli bancomat, banche, uffici postali agenzie di intermediazione immobiliare e non. Nei Centri commerciali ubicati nelle zone limitrofe a grandi centri urbani possono essere presenti: sala convegni, cinema, teatri. In essi vengono spesso organizzati eventi e manifestazioni allo scopo di colorare la galleria e attirare persone provenienti dalle zone limitrofe, come le iniziative per i bambini e per le associazioni di volontariato. Nascono negli Stati Uniti intorno agli anni trenta approdando in Europa alla fine degli anni sessanta (Castaldo S., et al., 2013 ) e “in Italia agli inizi degli anni

settanta10” dove sono ubicati prevalentemente al nord e nelle aree suburbane.

I PARCHI COMMERCIALI

Sono “…un'aggregazione di negozi di medie-grandi dimensioni (ipermercati, mercatoni,

mobilifici, casalinghi, outlet, grandi magazzini, centri bricolage, ...) ciascuno con entrata indipendente (è quindi assente una galleria coperta) localizzata in aree extraurbane”11.

10 ANON. Disponibile su: <https://it.wikipedia.org/wiki/Centro_commerciale> 11 Idem.

FIGURA 1.10INTERNO DI UN CENTRO COMMERCIALE

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FIGURA 1.11FACTORY OUTLET VILLAGE

Fonte:<http://www.outlet-village.it/noventadipiave/ I FACTORY OUTLET CENTER

Sono progettati e gestiti da società immobiliari di grandi dimensioni, vengono localizzati in zone extraurbane solitamente nelle vicinanze di importanti arterie stradali (tangenziali, autostrade) per attrarre un elevato numero di clientela. Hanno un aspetto architettonico che richiama quelli dei piccoli borghi cittadini con strade, piazze, fontane. Operano, prevalentemente, nel campo dell’abbigliamento e degli accessori con negozi monomarca che offrono prodotti, marchi, collezioni degli anni precedenti a prezzi scontati tutto l’anno. (Castaldo S., et al., 2013) Una variante è rappresentata dai “Factory Outlet Village”( Fig. 1.11) che si estendono su una “superficie ai 10000 m2”12.

VENDITE SPECIALI

Oggi sia i produttori che dettaglianti operano in un ambiente difficile nel quale le “minacce” aumentano, ma grazie alla loro continua evoluzione hanno saputo sfruttare le nuove opportunità messe a disposizione dalla tecnologia con l’adattamento in chiave moderna di preesistenti tecniche di vendita ritenute obsolete (vendite per corrispondenza, vendite a domicilio ecc.) e l’affiancamento e/o integrazione alle tecniche di vendita in sede fissa.

12Fonte: Il fenomeno degli outlet l’impatto sul tessuto economico locale derivante dal loro insediamento.

Quaderno di lavoro di Confcommercio. Aprile 2007 Disponibile su:

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Le tecniche di vendite preesistenti

LA VENDITA PER CORRISPONDENZA

Nasce nel 1872 negli Stati Uniti da un'idea di Aaron Montgomery Ward, uomo d'affari e commerciante in Chicago la cui società si sviluppo rapidamente “arrivando negli anni

ottanta” dell’ottocento “ad operare su scala nazionale” che per sopperire alle difficoltà

di approvvigionamento e alle carenze del sistema distributivo mise in atto “l’invio a centinaia

di migliaia di corrispondenti di due cataloghi annuali, che in circa 500-550 pagine illustravano più di ventimila

articoli.”(Roverato G.,2010, p.

91-92) Questa tipologia di vendita arrivò in Italia solo negli anni sessanta del secolo scorso con i cataloghi della

Postal Market (vedi Fig. 1.12)

della Vestro.(vedi Fig. 1.13) (RoveratoG.,2010)

Oggi la vendita su catalogo cartaceo avendo caratteristiche di rigidità e potendo fornire solo servizi limitati è stata sostituita e/o affiancata dalla vendita on line su siti web che ospitano “cataloghi virtuali” ai quali anche note aziende vi hanno fatto ricorso già da diversi anni, fra queste ricordiamo IKEA la quale, però, non ha abbandonare il catalogo cartaceo che, pur non essendo più inviato via posta, può essere ritirato presso i punti vendita. (Pride W.M., Ferrell O.C., 2005)

VENDITE A DOMICILIO O VENDITA DIRETTA

È il marketing di prodotti che viene messo in atto con dimostrazioni dirette a casa dell’acquirente, ed è più conosciuto “come vendita porta a porta (door-to-door selling)”.

(Pride W.M., Ferrell O.C., 2005, p.330) In tale tipo di vendita viene spesso utilizzato il “party

plan” ovvero una riunione fra alcune persone a casa del cliente/consumatore in quanto si

ritiene che l’ambiente famigliare contribuisca a far vincere la diffidenza e predisponga i

partecipanti all’acquisto. (Pride W.M., Ferrell O.C., 2005)

FIGURA 1.12 CATALOGO POSTAL MARKET Fonte: https://www.pinterest.it/pin/85 5050679237017262/?d=t&mt= signup

FIGURA 1.13CATALOGO VESTRO

Fonte:

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I DISTRIBUTORI AUTOMATICI

Sono apparecchi installati (Fig. 1.14) presso attività commerciali già in esercizio o attraverso l'allestimento di spazi appositamente dedicati: si tratta per lo più di macchine hot drinks. “L’Italia è il paese europeo col maggior numero di distributori automatici installati, ce n’è

uno ogni 73 abitanti contro una media Ue di 1 ogni 190 e il parco macchine è cresciuto di

oltre 12 mila macchine nel 2018 (+1,4%)”13.

13 Disponibile su:<https://www.manageritalia.it/it/economia/distributori-automatici-in-italia>

FIGURA 1.14DISTRIBUTORE AUTOMATICO

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Le nuove tecniche di vendita

E-COMMERCE O VENDITA AL DETTAGLIO ON LINE (ON LINE RETAILING)

Il canale elettronico si colloca nel quadro delle evoluzione dovute all’evento dell’ICT14 e delle

reti di internet e dà al cliente “la possibilità di realizzare transazione attraverso

Internet.”(Chiarvesio M., Di Maria E.,2013, p.67) [e può essere definito] “come un insieme di scambi, mediati dalla tecnologia, tra soggetti (individui, organizzazioni o individui e organizzazioni) e delle attività intra o interorganizzative a base elettronica che li facilitano”.

(Rayport, Jaworsky,2002, p.3 in Chiarvesio M., Di Maria E.,2013, p.67). Nell’e-commerce annoveriamo tre tipologie. [La prima,] “e-commerce mediato…riguarda le imprese che

realizzano vendite on line ma attraverso una struttura di intermediazione virtuale, che gestisce il rapporto con il cliente, come nel caso dei malls (centri commerciali virtuali) “.

[Nella seconda], “e-commerce diretto differenziato, [le imprese] sviluppano attività di

vendita on line, ma differenziando l’offerta rispetto al canale distributivo tradizionale per non entrare in conflitto con questo.

[Nella terza troviamo], “e-commerce completo e diretto” [dove l’azienda affianca al canale di vendita diretto il canale online, in questo modo] “pone le basi per la scomparsa del dettaglio

tradizionale”. (Chiarvesio C., Di Maria E., 2013, p. 78-79)

TELEVENDITA

È la presentazione, attraverso dimostrazioni, di prodotti ai telespettatori che possono essere ordinati telefonicamente contattando i numeri che appaiono in sovraimpressione nel corso delle trasmissioni. Ideata in Florida dalla “Home Shopping Network”.

((Pride W.M., Ferrell

O.C., 2005)

Alcune aziende la stanno adottando attraverso una rivisitazione in chiave moderna fra queste Amazon, leader delle vendite e-commerce (Fig. 1.15), che ha creato

“Amazon Live, un canale video in streaming che trasmette dal vivo vendite di singoli e anche

di marchi con tanto di dimostrazioni di prodotti che si possono acquistare su Amazon.”15

14Information and Communications Technology

15Fonte: ANSA |11-02-2019. Disponibile su:

<https://tecnologia.libero.it/amazon-lancia-canale-per-le-televendite-25722>

FIGURA 1.15 MAGAZZINO AMAZON

FONTE:HTTPS://IMAGES.WIRED.IT/WP

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Il punto vendita16

È uno dei luoghi nel quale domanda e offerta si incontrano e per le aziende di distribuzione rappresenta un importante strumento per perseguire una strategia di marketing, per creare un’immagine forte, un’identità; diventando un vero e proprio palcoscenico ove “mettere in

scena una rappresentazione tangibile ed esperienziale” (Rizzuto A. 2012, p.110) dei propri

prodotti. Questo ha portato nel corso degli anni a far sì che la sua progettazione e realizzazione abbia richiesto e subito profonde trasformazioni strutturali tali da portare all’affermarsi di una figura ibrida il retail designer che, Luca Besana e Savina Nicolini17,

definiscono un “esperto di ingegneria emotiva “. (Castaldo S., Mauri C., 2017, p. 128) Il

retail designer nella progettazione del punto vendita riunisce le competenze di: architettura,

designer, marketing e comunicazione. Essendo l’obiettivo principale del punto vendita quello di attirare l’attenzione del consumatore e di influenzarne, secondo Kotler (1973) “le decisioni

di acquisto in modo talvolta più efficace del prodotto stesso” (ivi, p. 173) si deve agire sul

sistema sensoriale ovvero: sulla “vista”, sull’udito”, sul “tatto” e sull’” olfatto”. (ivi, p.173) Per far ciò è necessario che il punto vendita sia caratterizzato da una certa “atmosfera”. Il termine concetto è stato introdotto da Kotler P. che lo definisce “silens language”.(ivi, p.173) Al fine di creare l’atmosfera del e nel punto vendita è necessario agire sul “visual

merchandising” che viene “definito come il marketing del punto vendita nel punto vendita “

intendendo con ciò l’insieme “delle tecniche di comunicazione visiva che ottimizzano”(ivi, p. 176) sia la customer satisfaction sia la redditività della superficie espositiva e queste, oltre allo scopo di vendere il prodotto e/o il servizio, hanno anche la funzione di suggestionare, informare, proporre, persuadere il cliente.

Il visual merchandising comunica attraverso i seguenti “codici”: il design esterno, il design interno, il display.

Il design esterno

Viene anche definito “design dell’interfaccia” (ivi, p. 181) e i suoi elementi qualificanti sono: la location, l’insegna, l’ingresso, le vetrine.

16 Castaldo S., Mauri C., a cura di, Store Management. Il punto vendita come luogo di customer experience,

Milano, FrancoAngeli, 2017.

17 Luca Besana e Savina Nicolini sono architetti che lavorano a Milano e si occupano retail designer

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La location

È il contesto spazio-ambientale nel quale il punto vendita sorge ed essendo le coordinate spaziali a definirlo possiamo distinguere “tre categorie” di location: il negozio isolato; l’area

commerciale spontanea; l’area commerciale pianificata.” (Castaldo S., Mauri C., 2017, p.

79) Il negozio isolato è collocato in un’area lontana rispetto ad altri negozi; questo al fine di disporre di grandi spazi oppure per rispondere a particolari esigenze (un esempio è dato dalle aree di servizio della rete autostradale). L'area commerciale spontanea, ad esempio i centri cittadini, nella quale nel corso degli anni si sono localizzati attività, negozi, servizi, anche molto dissimili fra di loro, “…senza un’iniziale pianificazione.” (ivi, p. 80) L’area commerciale pianificata con questo termine intendiamo un’area pianificata, progettata e costruita con la finalità di raggruppare negozi o altre strutture nelle quali i clienti possono beneficiare del cosiddetto one only shop. Rientrano in tale gruppo i centri commerciali, i parchi commerciali, i Factory Outlet Center, ecc.

L’insegna

Se le regole per la loro progettazione e realizzazione devono sottostare a vincoli architettonici e paesaggistici, nella scelta del carattere grafico, dei colori, dei materiali, delle dimensioni concorrono quei fattori che assegnano a tali “segni distintivi” la funzione di creare “una

comunicazione di tipo prettamente suggestivo”. (ivi, p.183)

L'ingresso

Rappresenta una vera e propria barriera fra “lo spazio urbano e lo spazio commerciale “. (ivi, p. 184) Generalmente l’ingresso del cliente deve essere agevolato al fine di invitarlo al piacere di visitare il punto vendita poiché tale esperienza sarà appagante e positiva. Se, invece, l'esercizio commerciale si rivolge ad un target selezionato di clientela l'ingresso può rappresentare una sorta di barriera psicologica rendendo difficile la decisione di accedervi. La vetrina

Possiamo definirlo uno “spazio di relazioni prossemiche tra il punto vendita e pubblico (ivi, p.185) e in quanto tale deve attrarre l’attenzione del passante al fine di stimolarne la curiosità, di indurlo a decide di entrare immediatamente oppure di pianificare un eventuale visita futura. Poiché è uno strumento di comunicazione sintetica del format del punto vendita nel suo allestimento è opportuno mediare tra esigenze commerciali ed estetiche. Una vetrina allestita in modo efficace deve rispettare i seguenti criteri di: “visibilità, coerenza, semplicità,

originalità, varietà e pulizia”. (ivi, p.191) Essa va, inoltre, “intesa come uno spazio geometrico dotato di un punto focale dove si concentra l’attenzione del cliente. “(ivi, p.189)

(30)

30 Il design interno

A definirlo oltre all’arredamento, alla pavimentazione, ai sistemi di illuminazione, alla soffittatura concorrono il layout che deve mettere in contatto il massimo numero di prodotti con il massimo numero di clienti e il punto display. Il layout si suddivide in “layout delle

attrezzature” [e]“layout merceologico”. (ivi, p.192)

Il layout delle attrezzature

E’ la disposizione delle attrezzature espositive nello spazio del negozio al fine di creare dei percorsi obbligati per i clienti e indurli all’acquisto. I modelli posso a essere i seguenti a

“griglia organizzando percorsi a corridoi rettilinei; [circolari] con un anello centrale che ricorda la piazza del mercato, a isole [quando l’esposizione avviene in modo asimmetrico]; a boutique” [in alcune aree separate dal resto dell’esposizione vengono raggruppati prodotti

merceologici con caratteristiche omogenee]. (ivi, p. 196)

Il layout merceologico

Comprende le attività di raggruppamento e/o aggregazione merceologico, la definizione dei reparti il loro dimensionamento e collocamento all’interno dello spazio espositivo. I criteri di aggregazione utilizzati possono essere per affinità merceologica (facilitano l’individuazione dei prodotti) o per categorie complementari.

Il punto display

È la “vetrina interna” ovvero “la rappresentazione scenografica con cui si organizzano e si

espongono i prodotti secondo i criteri di aggregazione definiti dalle scelte di layout”. (ivi,

p.207) La sua funzione è quella di attrarre l’attenzione del cliente ed indurlo all’acquisto. Distinguiamo il display “di impostazioni, di presentazione, stagionale, di promozione”. (ivi, p.207)

IL PUNTO VENDITA DA LUOGO D’ACQUISTO A LUOGO RELAZIONALE– ESPERIENZIALE

Oggi si assiste sempre più alla tendenza delle imprese commerciali a investire nello sviluppo dell’ambiente del punto vendita in quanto i clienti-consumatori esprimono sempre più una domanda “time sensitive” (Castaldo S., Mauri C., 2018 p. 24), ovvero cercano di guadagnare tempo per destinarlo ad altri usi fra i quali il tempo libero.

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d’acquisto stimolanti, divertenti, suggestive e dove l’attività di shopping stessa diventi una modalità di utilizzo del tempo libero creativa e innovativa.

Questo è avvenuto grazie agli studi di psicologia ambientale secondo i quali gli stimoli ambientali agiscono sull’acquirente determinando un atteggiamento positivo (approuch) oppure un atteggiamento negativo (avoidance). Nel 1974 Mehrabian e Russell, hanno svilupparono un modello (denominato PAD) che “…analizza la relazione causale tra gli

stimoli dell’ambiente esterno [esterno rispetto all’individuo], la struttura affettiva dell’individuo e il suo comportamento. A livello affettivo vengono individuate tre dimensioni: Pleasure (P), Arousal (A) e Dominance (D)” 18. (Donvito R., 2012 p. 92). Tale modello permette di comprendere l’impatto, ma anche la relazione causale, che gli stimoli ambientali (informativi, ma anche quelli provenienti dall’atmosfera) presenti nel punto vendita esercitano sulla sfera emotiva, affettiva dei consumatori e sul loro comportamento. L’interazione tra l’individuo e l’ambiente è caratterizzata da determinismo reciproco: l’ambiente influenza le risposte dell’individuo ma, a sua volta l’ambiente è stato influenzato o meglio determinato dalle risposte dell’individuo consumatore. L’elemento centrale nella relazione bidirezionale, tra l’individuo e l’ambiente è rappresentato dal coinvolgimento dell’individuo stesso.

Il coinvolgimento del consumatore va inteso con riferimento non solo al prodotto e alla sua esperienza di acquisto e di consumo; ma anche al consumo di servizi commerciali.

Questo ha portato a spostare l’enfasi dai prodotti ai punti vendita, ai luoghi ove questi ultimi sono inseriti (il riferimento va ai centri commerciali, ai parci commerciali, alle isole pedonali ove sono inseriti punti vendita). Il punto vendita non è più solo un luogo di semplice approvvigionamento di prodotti. Questo è nato dalla considerazione che la soddisfazione del cliente (costumer satisfaction) deriva, non solo, dal prodotto acquistato ma anche dalle fasi che precedono l’acquisto all’interno del centro vendita e perciò dalla soddisfazione ottenuta nel consumo dei servizi “altri”; in taluni casi la scelta del punto vendita non solo precede la scelta del prodotto ma può divenire molto più importante e significativa per il consumatore. I punti vendita fanno vivere al consumatore, un’esperienza d’acquisto stimolante, emozionante, coinvolgente, appagante, ricreativa.

Questo porta ad analizzare il concetto di shopping esperienziale.

Viene considerata prima la dimensione ricreativa dello shopping questo avviene a partire dagli anni settanta quando l’acquirente non è più visto come un soggetto razionale che nelle proprie scelte massimizza l’efficienza, ma come un soggetto che rispetto a un’attività

18(P) riguarda le emozioni legate al piacere, felicità e soddisfazione(A) quelle relative a eccitazione, mentre

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d’acquisto adotta due atteggiamenti: economico nel quale lo shopping viene considerato un mero strumento per approvvigionarsi dei beni e quello ricreativo in questo caso allo shopping viene assegnato, da parte dell’individuo, “una valenza autonoma rispetto all’acquisto,

interpretandola come un momento di svago e di intrattenimento. Nelle situazioni estreme, ma assai frequenti, lo shopping può divenire una modalità di impiego del tempo libero fine a se stessa, che prescinde dall’atto di acquisto.” (Castaldo S., Mauri C., 2018, p. 24)

Questi atteggiamenti sono stati utilizzati come criteri di segmentazione distinguendo quindi l’acquirente ricreativo (ricreational shopper) da quello economico (economic shopper). Per gli acquirenti ricreativi i benefici derivano dalla dimensione ludica connessa all’attività di

shopping e all’acquisizione di informazioni che ne derivano da tale attività però non si

comportano in modo meno razionale di quelli economici.

Gli acquirenti ricreativi risultano “attratti dagli aspetti del punto vendita che possono rendere

l’attività di acquisto piacevole e divertente: la creatività e l’originalità dell’ambiente e dello store design, gli stimoli sensoriali, le attività ludiche e i momenti di aggregazione sociale.”

(ivi, p. 24). Sono soggetti che investono più tempo nello shopping e continuano tale attività anche dopo aver effettuato l’acquisto programmato; sono maggiormente coinvolti nel passaparola; sono attivi information-seekers, considerano lo shopping come un’attività che contribuisce a migliorare il benessere e la qualità della loro vita.

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CAPITOLO SECONDO

IL FRANCHISING

Cenni storici

Il termine franchising deriva dalla parola francese “franchise” che significa franchigia e nel

“medioevo indicava la concessione di un privilegio da parte di un sovrano, con il quale si rendevano autonomi sia gli Stati sia i cittadini” (Rizzuto A.,2012, p. 17). Oggi con tale

termine indichiamo una sorta di esonero da pagamenti di vario genere, il termine è inoltre usato, prevalentemente, nel campo assicurativo. Esistono due teorie sull’origine del

franchising.

 Per gli autori della prima teoria il franchising è nato negli USA intorno agli anni ’20 quando alcuni produttori di automobili volendo distribuire i loro prodotti su larga scala e non disponendo di capitali sufficienti per realizzare le reti di distribuzione, al fine di raggirare la legge antitrust (che impediva gli accordi verticali tra imprese di costruzione e imprese di vendita), misero in atto “un contratto che associava un modo

più liberale i rivenditori di auto con la casa madre.” (Rizzuto A., 2012, p. 18)

 Per altri autori il franchising è sorto, sempre, intorno agli anni ’20 però contemporaneamente in Francia e negli Stati Uniti. “In Francia presso il Lanificio

Roubaix [dove il titolare] Jean Prouvost aveva incaricato [un suo dipendente] di dare vita alla prima grande catena di magazzini specializzati nella vendita di lane da lavorare a maglia: “Le Laines du Pingouin “. (Fig. 2.1) Questi associò un certo numero di dettaglianti indipendenti al produttore mediante un contratto che garantiva loro l’esclusività del marchio…in una zona territoriale ben definita e ben delimitata. Tale contratto, a quell’epoca non si chiamava ancora contratto di franchising, ma… ne aveva già le

caratteristiche e lo spirito”. (Rizzuto A.,2012, p. 17)

FIGURA 2.1POSTER “LE LAINES DU PINGOUIN”

Fonte:

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FIGURA 2.2 I.M.SINGER

FIGURA 2.3HENRY FORD

FIGURA 2.4RAY KROC

I TRE LEADER DELLA STORIA DEL FRANCHISING MODERNO19

Issac Merritt Singer (Fig. 2.2) Insieme ai suoi partner trovò nel

“pagamento rateale” il sistema per permettere l’acquisto del prodotto e intensificare e accelerare la produzione delle sue macchine da cucire; mentre con “il sistema di licenze”, [che portò ad un miglioramento della distribuzione], “fu precursore

del sistema di franchising che conosciamo oggi”.

Henry Ford (Fig. 2.3) “giocò un ruolo importante nella progettazione del modello del franchising” [perfezionando il

sistema distributivo e la creazione di] “una rete di concessionari

franchisee in tutto il paese”.

Ray Kroc (Fig. 2.4) è stato il fondatore della McDonald Corporation e il suo “contributo… al franchising ha a che fare con l’uniformità e la pulizia. [La sua tesi era che] “un McDonald a Beaufort, sud Carolina”, [doveva avere] “lo stesso menù” [e

doveva essere probabilmente] “pulito tanto quanto un McDonald

di Portland, Oregon”.

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STORIA DEL FRANCHISING IN ITALIA

La formula dell’affiliazione commerciale o franchising in senso moderno, in Italia, può essere datata 18 settembre 1970 “con l’inaugurazione a Fiorenzuola D’Arda …del primo” [dei 55 punti vendita] affiliato Gamma…azienda della grande distribuzione che in seguito verrà poi

assorbita dalla Standa” (Fig. 2.5). (Caufin G., Savoldi C.,2010, p.4). All’affiliato venivano

richiesti la disponibilità di una superficie di vendita uguale o superiore a 350 m2, un investimento di 25-30 milioni di lire, una licenza di magazzino a prezzo unico.

A fronte di ciò venivano offerti servizi per la progettazione, l’assistenza tecnica, l’allestimento, la gestione del magazzino e degli spazi commerciali, oltre a corsi per la formazione e l’aggiornamento del personale direttivo e di vendita, ma anche supporto per l’apertura e l’inaugurazione. Se la diffusione della nuova formula riguardò dapprima la grande distribuzione e ad adottarla per prime “sono state le imprese operanti nel settore del

tessile…es. Bassetti… e Benetton nel settore della maglieria prima e dell’abbigliamento poi”

(Caufin G., Savoldi C., 2010, p.5) venne poi seguita anche da altre aziende industriali e di servizi. La lenta diffusione della forma del franchising nel nostro paese è da ricercare negli ostacoli sia culturali che legislativi.

FIGURA 2.5

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Definizioni di franchising DEFINIZIONE GIURIDICA

La legge n. 129 del 6/05/2004 “Norme per la disciplina dell’affiliazione commerciale”

all’art. 1 definisce il franchising: ”…il contratto, comunque denominato, fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all'altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l'affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi”.20

Nel nostro ordinamento prima della legge n.129 del 2004 si faceva riferimento alla norma 1322 del c.c. che sanciva in termini generali la libertà contrattuale dei privati di avvalersi anche di tipologie contrattuali diverse ed ulteriori rispetto a quelli disciplinate dalla legge per regolamentare i propri interessi economici e giuridici.

Oltre alla definizione giuridica ve ne sono altre, di seguito riportate, che considerano il

franchising una forma di collaborazione contrattuale che avviene fra soggetti imprenditoriali,

il franchisor e il franchisee, giuridicamente ed economicamente indipendenti al fine di distribuire beni o servizi.

DEFINIZIONE DELLA FIF21

Secondo la FIF: ”…il franchising è quella formula commerciale per la quale il detentore

d’affermati prodotti e/o servizi sceglie, come propria strategia di sviluppo, di allargare la sua attività attraverso la cessione ad altri del suo know-how, dei suoi prodotti e del suo metodo di distribuzione e rifornimenti dietro compensi determinati dall’entità dei ritorni economici e d’immagine”.22

18 Disponibile su: <https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2004/05/24/004G0161/sg>

21 FIF= Federazione Italiana del Franchising, “… costituita nel 1987 con il nome di Promofranchising

all’interno di Confesercenti Nazionale, nasce con la consapevolezza che il sistema dell’affiliazione è un sistema unitario il cui successo è garanzia solo se entrambi i partner sono soddisfatti della reciproca collaborazione. La configurazione che vede insieme franchisor (affiliante) e franchisee (affiliato) fa di Federfranchising una realtà unica nel panorama associativo, a coronamento di un processo avviato negli anni ’80.” Disponibile su:

<https://www.federfranchising.it/chi-siamo/>

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DEFINIZIONE DI ASSOFRANCHISING23

Secondo ASSOFRANCHISING, (Fig.2.6) “l'affiliazione commerciale ("franchising") è il

contratto che viene stipulato fra franchisor e franchisee. In base a questo contratto il franchisor mette a disposizione del franchisee il know-how in un determinato settore (industriale, commerciale, di servizi), i diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a

marchi, insegne, know-how, brevetti, fornendo, inoltre assistenza e formazione.”24

DEFINIZIONE DAL PUNTO DI VISTA DEL MARKETING

Secondo Kotler F. il franchising rientra nei “…sistemi di marketing verticale (SMV) [tale sistema] è costituito da un produttore, uno o più grossisti e uno o più dettaglianti che

agiscono in modo coordinato. Un operatore del canale, detto channel captain, detiene la proprietà degli altri o li gestisce in franchising e riesce a esercitare un potere tale da farli collaborare”. (Kotler F., et al., 2007, p. 592)

21Assofranchising = Associazione Italiana del Franchising (vedi Figura 10)

24 Fonte: ABC Franchising. Disponibile su:<https://www.assofranchising.it/il-franchising.html

FIGURA 2.6LOGO DI ASSOFRANCHISING

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Le tipologie di franchising

FRANCHISING DI DISTRIBUZIONE

In questa tipologia l’oggetto dell’attività è la distribuzione di un bene o di un servizio; il

franchisor trasmette al franchisee prodotti, “… tecniche e metodi commerciali sperimentati

che costituiscono il know how”25. I beni possono essere prodotti direttamente dal franchisor

oppure essere una selezione, un mix, di prodotti di terzi. Il punto vendita in franchising può essere: monomarca, plurimarca, oppure un corner, ovvero uno spazio ben delimitato di piccole metrature all’interno di un negozio o di un ipermercato.

Questa tipologia essendo più facilmente standardizzabile ne ha consentito lo sviluppo e la diffusione in modo più ampio e prima delle altre tipologie. Può ricorrere fra: produttore e grossista, produttore e dettagliante, grossista e dettagliante.

FRANCHISING INDUSTRIALE

In questa tipologia la relazione contrattuale o meglio l’alleanza strategica formale avviene tra due imprese industriali. Il franchisor che concede al franchisee “… la licenza dei propri

brevetti di fabbricazione ed il marchio, gli trasmette la sua tecnologia, gli fornisce assistenza tecnica.” [Il franchisee realizza i prodotti nei propri stabilimenti e] “li commercializza in una determinata area geografica”26 mettendo in atto i metodi organizzativi e gestionale e le

tecniche di vendita stabilite dal franchisor. In questa categoria può essere inserito il Lifreding. [Il termine deriva dall’unione per sintesi di] “Licensing, franchising, export and development

mix”. [E’ caratterizzato dai seguenti quattro elementi]:

a) “la licenza di un brevetto di fabbricazione o di un know-how suscettibile di protezione

giuridica;

b) il franchising di un insieme di tecniche non brevettabile e di sistemi operativi, gestionali. di marketing pubblicitari, nonché di un marchio o di un’insegna depositati;

c) l’esportazione dì prodotti, di invenzioni, di sistemi d’informatica e di gestione, di intere aziende, di creazioni e veicoli pubblicitari

d) lo sviluppo delle tecniche di fabbricazione, dei sistemi di gestione, dei metodi di marketing, di una rete di distribuzione, della notorietà di un marchio, dell’innovazione — infine — in

campo tecnico e manageriale.”27

25 Fonte: ABC Franchising. Disponibile su:<https://www.assofranchising.it/il-franchising.html> 26 Idem.

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FRANCHISING DEI SERVIZI

È questa la tipologia nella quale il franchisee non offre prodotti, beni, ma la prestazione di servizi inventati, messi appunto, sperimentati dal franchisor. Il franchisor trasmette il suo

know how, le sue conoscenze le sue esperienze nel campo di attività oggetto del contratto al franchisee. Il campo dell’attività è ampio e comprende le attività: di ristorazione bar,

ristorante, pizzeria, gelateria; attività del tempo libero, servizi alla persona, attività di tipo bancario, assicurativo, servizi di riparazione.

FRANCHISING INTERNAZIONALE

Il sistema internazionale non si differenzia, quanto a tipologie da quelle realizzate a livello nazionale. Rileviamo pertanto la presenza di: franchising di distribuzione, franchising dei servizi, franchising industriale o di produzione. Il franchising internazionale può differire da quello nazionale nei modelli organizzativi a causa di difficoltà di ingresso e/o di permanenza nei mercati stessi. Possiamo riscontrare due opzioni di ingresso e/o di permanenza.

 Il franchising diretto: prevede la stipulazione di un contratto di affiliazione commerciale tra il franchisor e i franchisee locali; in questa tipologia la gestione della rete internazionale può avvenire "direttamente dal mercato domestico …oppure

attraverso una unità commerciale (subsidiary company) localizzata nel paese estero”.

(Bertoli G., Valdani E., 2018, p. 266)

 Il franchising indiretto: [vi ricorre l'impresa che] "reputa di non conoscere a

sufficienza il paese estero” [e per essere presente in quel mercato deve] "coinvolgere un'entità terza (fisica o giuridica) che oltre all'apporto di capitale, sia in grado di assumersi la responsabilità e i rischi dell'intera opera nel suo territorio". (ivi, p.266).

[Per gli imprenditori che optano per il franchising indiretto si presentano due soluzioni: o] ” area development agreement, tramite la quale il franchisor accorda a

un soggetto, denominato area developer, il diritto di aprire e gestire un certo numero di attività di vendita; o il master franchising , mediante il quale l’affilante […]accorda in via esclusiva a un altro soggetto giuridico, denominato master franchisee[…] tutti i diritti inerenti allo sviluppo del sistema entro una determinata area territoriale.” (ivi, p.266).

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E se i progressi nel campo dei trasporti e della ICT hanno permesso di mettere in contatto, a volte anche solo virtualmente, le persone; il diffondersi, integrarsi delle culture e degli stili di vita, sono divenuti un vero e proprio impulso nelle decisioni strategiche delle imprese per sviluppare la propria crescita anche nei mercati internazionali (e non solo nazionali) attraverso lo strumento dei contratti di franchising internazionale. Al riguardo può essere utile richiamare il modello della catena del valore di Porter del 1987. In tale modello viene analizzato il modo in cui le attività che compongono l’impresa, singolarmente o in relazione fra loro, contribuiscono a determinare il valore complessivo. Con riferimento alle strategie di internalizzazione Porter distinzione fra attività a monte e attività valle: le prime possono essere svolte anche lontano dai mercati di destinazione, mentre le attività a valle (vendita, marketing, logistiche, assistenza) richiedono di essere realizzate in prossimità di tali mercati. (Di Bernardo B. et al.,2009) Se in questi mercanti consideriamo i soggetti esterni quali i fornitori, i canali distributivi, ed includiamo anche i clienti finali a valle, avremmo reti in

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