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(1)

SISTEMA STATISTICO NAZIONALE

ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA

Settore

Popolazione

T

Ta

av

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p

po

op

po

olla

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ne

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na

a

Regioni, province e grandi comuni

Anno 2000

(2)

Settore

Popolazione

Tavole di mortalità della

popolazione italiana

Regioni, province e grandi comuni

Anno 2000

SISTEMA STATISTICO NAZIONALE

(3)

A cura di: Marco Marsili e Marco Battaglini

Per chiarimenti sul contenuto della pubblicazione rivolgersi a:

Istat Servizio Popolazione Istruzione e Cultura

Tel 06 46737353

e-mail: marsili@istat.it

Tavole di mortalità della popolazione italiana

Regioni, province e grandi comuni

Anno 2000

Informazioni n. 28 - 2004

Istituto nazionale di statistica

Via Cesare Balbo, 16 - Roma

Coordinamento:

Servizio produzione editoriale

Via Tuscolana, 1788 - Roma

Realizzazione del volume

(4)

Indice

PART E PRIMA – ANALISI DEI RISULT ATI

1. Evoluzione della speranza di vita alla nascita ………..……….. Pag.

7

2. Caratteristiche per età della sopravvivenza ………. ………..

″ 8

3. Caratteristiche territoriali della sopravvivenza ………...………..

″ 11

4. Glossario delle funzioni biometriche presenti nelle tavole statistiche ……...………..

″ 13

PART E SECONDA – TAVOLE ST ATIST ICHE

Tavola 1 - Tavola di mortalità nazionale ………..………..

″ 18

Tavola 2 - Tavole di mortalità per ripartizione geografica ….………..

″ 20

Tavola 3 - Tavole di mortalità per regione ………..

″ 34

Tavola 4 - Tavole di mortalità per provincia ………..

″ 70

(5)
(6)

Tavole di mortalità della popolazione italiana

Regioni, Province e Grandi Comuni - Anno 2000

1. Evoluzione della speranza di vita alla nascita

La riduzione dei rischi di morte a tutte le età della vita è un processo che ha caratterizzato l’Italia in tutto il

secolo scorso, e che continua anche nei primi anni del nuovo millennio. Nel 2000 la speranza di vita alla nascita

per un uomo è di 76,5 anni, mentre per una donna di 82,5 anni. A livello europeo l’Italia ha una delle

popolazioni più longeve. Aspettative di vita migliori si registrano solo in Svezia (77,4) e in Svizzera (76,9)

limitatamente agli uomini, e in Francia (82,7) e in Svizzera (82,6) per quanto riguarda le donne.

Analizzando l’evoluzione dei livelli di sopravvivenza dai primi anni Settanta risultano evidenti i continui

incrementi che hanno fatto sì che nel 2000 un neonato di sesso maschile possa contare su una speranza di vita

superiore di circa sette anni rispetto ad un suo coetaneo del 1975, mentre per un neonato di sesso femminile il

vantaggio è di 6,8 anni (Figura 1.1).

Figura 1.1 – Speranza di vita alla nascita 1975, 2000 e variazione 1975-2000 per ripartizione geografica e sesso

Analizzando il fenomeno a livello territoriale risulta che la ripartizione geografica che ha usufruito di un

maggior guadagno in termini di sopravvivenza è quella del Nord con aspettative di vita che rispetto al 1975

aumentano di circa otto anni per gli uomini e di circa sette per le donne. Nel Centro e nel Mezzogiorno gli

uomini hanno registrato incrementi di oltre un anno più bassi, rispettivamente 6,2 anni e 6,3 anni. Le donne,

residenti nel Mezzogiorno, invece, presentano lo stesso incremento registrato nel Nord, circa sette anni, mentre

le donne residenti nel Centro hanno avuto una variazione della speranza di vita alla nascita tra il 1975 ed il 2000

inferiore ai sei anni.

Le differenze in termini di sopravvivenza tra le varie aree geografiche hanno subito una progressiva riduzione

grazie ai maggiori guadagni conseguiti da quelle regioni che nei primi anni Settanta riscontravano valori della

(7)

Discorso analogo per le donne. Nel 1975 le residenti nelle regioni con una maggior speranza di vita alla

nascita, Umbria e Marche (77,5), potevano contare su un vantaggio maggiore di quattro anni rispetto alle

residenti nella regione meno favorita, la Campania (73,2). Nel 2000 il campo di variazione si riduce a meno di

tre anni, infatti una neonata residente nelle Marche può contare su una speranza di vita alla nascita di 83,6 anni

contro una di 80,8 anni di una sua coetanea della Campania.

La sopravvivenza è sempre più vantaggiosa per le donne in quanto sottoposte ad un’eliminazione per morte

inferiore a quella degli uomini in tutte le età della vita. La ricerca delle cause esplicative di questo fenomeno è

da ricondurre nell’ambito dell’individuazione delle cause di morte che maggiormente contribuiscono al divario

di sopravvivenza tra i sessi. Ad esempio, è nei confronti della mortalità per malattie cronico-degenerative

(tumori e malattie cardiovascolari) e per cause accidentali che le donne risultano maggiormente protette rispetto

agli uomini. Si tratta quasi sempre di cause di morte da ricondurre al ruolo particolarmente importante svolto dai

comportamenti individuali e delle abitudini di vita ma, anche dalla diversa esposizione ai rischi connessi

all’attività lavorativa. Esistono profonde differenze tra donne e uomini per quanto riguarda l’adesione a stili di

vita salutari, come ad esempio il tabagismo e l’abuso di alcool, ma ne esistono anche perché, ancora oggi, gli

uomini sono portati ad occuparsi in mestieri relativamente più usuranti.

Figura 1.2 – Differenza tra la speranza di vita alla nascita maschile e femminile in Italia – Anni 1975-2000

Il divario di genere ha tuttavia subito negli ultimi 25 anni un percorso non lineare (Figura 1.2). Negli anni

Settanta esso è andato aumentando fino a sfiorare i sette anni di differenza nel 1979. Gli anni Ottanta invece

sono caratterizzati da una differenza tra la speranza di vita alla nascita dei maschi e delle femmine in leggera

diminuzione. Negli anni Novanta, dopo una breve parentesi di ricrescita dei differenziali di genere, culminata

nel 1992 con un picco di 6,8 anni, ha inizio un sostanziale recupero da parte degli uomini che si protrae fino al

2000, anno nel quale il divario, sebbene ancora elevato, si riduce a soli sei anni.

2. Caratteristiche per età della sopravvivenza

Osservando l’andamento della mortalità negli ultimi 25 anni si rileva che i guadagni in termini di

sopravvivenza sono risultati regolari nel tempo, interessando ogni età. Infatti, confrontando l’andamento della

mortalità del 1975 con quello del 2000, la probabilità di morire nel primo anno di vita si è abbattuta di ben cinque

volte, scendendo dal 26,2 per mille al 5,2 per mille per un bambino, e dal 20,8 per mille al 4,5 per mille per una

bambina (Figura 2.1). Proseguendo con l’età, a 40 anni un uomo aveva una probabilità di morire del 2,4 per mille

(8)

che ha interessato principalmente le età anziane: ad esempio, a 65 anni la mortalità si è all’incirca dimezzata,

passando dal 28,7 per mille al 16,1 per mille per un uomo, e dal 13,6 per mille al 7,4 per mille per una donna.

Figura 2.1 – Curva delle probabilità di morte (

q

x

) in Italia – Anni 1975 e 2000

Questi semplici confronti aiutano, tuttavia, a comprendere le dimensioni di un fenomeno che, anno dopo

anno, ha fatto sì che aumentasse il numero di individui cui è permesso di raggiungere le età più avanzate

dell’esistenza (Figura 2.2). È possibile valutare, nella misura dell’84 per cento e del 92 per cento,

rispettivamente per uomini e donne, la quota di individui che oggi sono in grado di raggiungere i 65 anni di vita

(nel 1975, 72 per cento e 84 per cento). Analogamente, ben il 30 per cento degli uomini e oltre il 50 per cento

delle donne raggiunge oggi la significativa soglia degli 85 anni di vita (nel 1975, 14 per cento e 29 per cento).

Alla luce di questi importanti cambiamenti che hanno caratterizzato l’evoluzione della mortalità nel Paese è

molto interessante - anche ai fini delle future prospettive - valutare in quali classi di età la riduzione dei rischi di

morte abbia contribuito maggiormente all’incremento della speranza di vita alla nascita (Prospetto 2.1)

Figura 2.2 – Curve di sopravvivenza (

l

x

) in Italia – Anni 1975 e 2000

(9)

Da questo punto di vista, la riduzione consistente della mortalità infantile negli ultimi 25 anni ha contribuito alla

dinamica della sopravvivenza nella misura di 1,5 anni in più per gli uomini e di 1,2 anni in più per le donne. Più

modesto, e inferiore all’anno, il contributo proveniente dalla riduzione della mortalità alle età comprese tra 1 e 44

anni di vita, in conseguenza dei già bassissimi livelli di mortalità precedentemente conseguiti. Al contrario, assai

significativo è stato il contributo delle classi di età anziane. Dei 7,1 anni di aumento della speranza di vita alla

nascita conseguiti negli ultimi venticinque dagli uomini, ben 2,7 anni, pari al 38 per cento del guadagno

complessivo, sono stati dovuti alla riduzione della mortalità dopo i 65 anni di vita. Tra le donne, nella stessa fascia

di età, è stato conseguito un contributo ancora maggiore, 3,8 anni di guadagno su complessivi 6,8 anni, pari al 56

per cento del totale. È stato nelle età adulte, tra i 45 e i 64 anni, che gli uomini (+2,1) hanno guadagnato più delle

donne (+1,2). Questo fattore non va visto tuttavia sotto una luce negativa per le donne, semmai testimonia che per

gli uomini ci sia stata nel periodo in esame la possibilità di conseguire ulteriori vantaggi, che per le seconde erano

stati già parzialmente conseguiti prima del 1975. Appare, infatti, ormai abbastanza evidente che futuri incrementi

della durata media della vita potranno conseguirsi soltanto a prezzo di un’ulteriore riduzione della mortalità alle età

anziane, tanto per gli uomini, dove esiste ancora ampio margine, che per le donne.

A interessanti conclusioni si giunge introducendo anche la variabile territoriale nello studio della dinamica della

speranza di vita alla nascita. Ad esempio, nonostante i profili per età dei guadagni appaiano piuttosto simili tra le

tre ripartizioni geografiche, talune significative differenze possono essere colte distinguendo ciò che si è verificato

nel Centro-nord da quanto è avvenuto nel Mezzogiorno. Nel Nord gli uomini hanno guadagnato 3,1 anni (39 per

cento) dalla riduzione della mortalità dopo i 65 anni di vita, nel Centro un po’ meno, 2,6 anni, misura tuttavia

percentualmente superiore (42 per cento). Per quanto riguarda le donne nella stessa fascia di età, i guadagni sono

stati ancora più consistenti: quasi 4 anni per il Nord (57 per cento) e 3,4 anni per il Centro (59 per cento). Buono,

ma inferiore a quello medio nazionale, il guadagno conseguito grazie alla riduzione della mortalità infantile sia nel

Nord che nel Centro. Se si vanno a valutare gli analoghi profili per il Mezzogiorno si scopre che si vive più a lungo

grazie ad una riduzione della mortalità infantile più elevata della media nazionale e che, soprattutto, i guadagni,

pur positivi, conseguiti nelle età anziane - rispettivamente 2,2 anni e 3,4 anni per uomini e donne - incidono

percentualmente meno sul guadagno complessivo (36 e 51 per cento).

In sintesi, nel Centro-nord i guadagni assoluti e percentuali sono stati maggiori a quelli del Mezzogiorno per

quanto riguarda le età anziane, minori per la mortalità nel primo anno di vita. Anche il Mezzogiorno, pertanto,

sembra avere avviato un percorso positivo che, tuttavia, è partito in modo posticipato rispetto a quello avviato

dal Centro-nord.

Diventa quindi interessante domandarsi se quello che si è verificato in questi anni possa ripetersi nei prossimi,

sull’onda di comportamenti imitativi da parte dei soggetti più svantaggiati - gli uomini - dal punto di vista del

genere, e le zone del Mezzogiorno sotto il profilo del contesto territoriale.

Prospetto 2.1 – Contributi in anni alla dinamica della speranza di vita alla nascita per classi di età - Confronto 1975-

2000 - Italia sesso e ripartizione geografica

Maschi Femmine Maschi Femmine

(10)

3. Caratteristiche territoriali della sopravvivenza

Il dato nazionale racchiude in sé la sintesi di una realtà piuttosto eterogenea a livello territoriale. Come

anticipato nei precedenti paragrafi emergono sostanziali differenze territoriali già a livello di grandi ripartizioni

geografiche. Per quanto riguarda gli uomini sono ben otto le regioni dove nel 2000 è stata superata la soglia dei

77 anni di vita media (Prospetto 3.1). Di queste, le prime tre si trovano nel Centro (Umbria, Marche e Toscana),

le successive quattro nel Mezzogiorno (Abruzzo-Molise, Basilicata, Calabria e Puglia), mentre soltanto una,

l’Emilia-Romagna, è una regione settentrionale. Il Nord, in particolare, è caratterizzato da due realtà abbastanza

differenti che contraddistinguono il Nord-est dal Nord-ovest: le regioni occidentali del triangolo Piemonte

(76,3), Liguria (76,4), Lombardia (76,2) presentano valori di sopravvivenza più bassi di quelli delle regioni

orientali del Veneto (76,7) e del Trentino-Alto Adige (76,9) oltre che della già citata Emilia-Romagna. Da

questo quadro emerso negli ultimi anni non fa eccezione il Friuli-Venezia Giulia dove, a fronte di una speranza

di vita alla nascita di 76,3 anni, si è registrato nell’ultimo triennio il più forte incremento pari a 1,3 anni in più.

Per le donne la situazione è parzialmente differente. Nelle prime sette regioni ad aver oltrepassato nel 2000

la soglia degli 83 anni di vita media ve ne figurano tre del Centro (Marche, Umbria e Toscana), tre del Nord-est

(Trentino-Alto Adige, Veneto ed Emilia-Romagna) e soltanto una del Mezzogiorno (Sardegna). Le altre regioni

meridionali, ad eccezione dell’Abruzzo-Molise (82,8), presentano livelli generali di sopravvivenza inferiori alla

media nazionale (82,5), con situazioni meno favorevoli soprattutto in Campania (80,8) e Sicilia (81,3).

Prospetto 3.1 – Speranza di vita alla nascita per sesso e ripartizione geografica – Anni 1998-2000

(11)

A livello sub-regionale, aumentando così il dettaglio territoriale, aumenta il grado di eterogeneità per la

compresenza di livelli di mortalità molto differenziati da provincia a provincia. Si presentano diversi casi in cui

province appartenenti alla stessa regione hanno livelli di mortalità differenti: ad esempio nel Friuli-Venezia

Giulia le donne possono contare su livelli di vita media differenti a seconda che risiedano nella provincia di

Trieste (81,1) o di Pordenone (83,7). Discorso analogo per gli uomini residenti in Lombardia dove la speranza

di vita alla nascita a Lodi (74,1), la più bassa nel Paese, è inferiore di oltre due anni e mezzo rispetto a quella di

Varese (76,8). Aldilà di queste situazioni limite, dipendenti dal diverso contesto epidemiologico e ambientale

nel quale risiedono gli individui, la rappresentazione cartografica della speranza di vita alla nascita nelle

province consente una generale quanto immediata visione delle aree più o meno favorevoli per la

sopravvivenza. Anche in questo caso, dal momento che non sempre esiste un legame univoco tra condizioni di

sopravvivenza, genere e territorio è opportuno distinguere l’analisi per gli uomini da quella relativa alle donne.

Tra gli uomini sono sei le province che nel 2000 hanno raggiunto un livello di vita media superiore ai 78

anni. In testa alle province che hanno superato questo ragguardevole traguardo ci sono Macerata e Rimini

(78,2), seguite da Firenze e Prato (78,1), quindi da Perugia, Ascoli Piceno e Siena (78). A seguire vi sono

perlopiù province ancora del Centro, come Ancona (77,8), Arezzo e Pisa (77,6), o del Nord-est – soprattutto

dell’Emilia-Romagna – tra le quali è possibile menzionare Forlì-Cesena (77,6), Ravenna (77,4), Modena (77,3)

Reggio nell’Emilia e Padova (77,2). Anche in alcune aree del Mezzogiorno gli uomini possono contare su una

longevità ottimale: tra queste in particolar modo le piccole realtà delle province di Chieti (77,7), Vibo Valentia

(77,6), e Matera (77,4) ma anche due realtà dall’importante dimensione demografica come le province di Bari e

Cosenza (77,3).

Guardando, viceversa, alla coda della distribuzione provinciale secondo il livello di sopravvivenza degli

uomini, si riscontrano solo quattro province nelle quali non si raggiungono i 75 anni di vita media, e

precisamente Aosta e Lodi (74,1), Napoli (74,2) e, un pò staccata, Caserta (74,6). Oltre a queste due ultime

province, nel Mezzogiorno la durata media della vita è meno favorevole nelle province siciliane di Caltanissetta

(75,3), Palermo (75,7) e Siracusa (75,8). Tuttavia, a parte questi ultimi casi, anche su base provinciale è ben

visibile il gradiente tra Nord e Mezzogiorno, mediamente meno favorevole al primo. Con diversi decimi di

punto sotto la media nazionale si ritrovano molte province del Nord-ovest, in particolar modo piemontesi –

Vercelli (75,1), Biella (75,2), Verbano-Cusio-Ossola (75,6) – e lombarde – Sondrio (75,1), Pavia (75,2),

Bergamo e Cremona (75,5). Assolutamente marginale, infine, la presenza di province del Nord-est con mortalità

relativamente più alta rispetto alla media, a parte Belluno (75,1), Gorizia (75,5) e Rovigo (75,7), e praticamente

assenti le province del Centro nella coda della graduatoria, a parte Latina (75,8).

Se per gli uomini le differenze territoriali possono essere sinteticamente ordinate attraverso l’individuazione

di un doppio asse che contrappone Centro/Nord-est da un lato e Mezzogiorno/Nord-ovest dall’altro, la geografia

della mortalità femminile si presenta leggermente diversa, con un asse Nord-est/Centro contrapposto a quello

Nord-ovest/Mezzogiorno. Si conferma, infatti, che come per gli uomini le ripartizioni del Centro e del Nord-est,

salvo qualche eccezione, appaiono decisamente più favorevoli per la sopravvivenza rispetto a quelle del

Nord-ovest e del Mezzogiorno. Tra queste ultime due, tuttavia, diversamente da quanto si verifica per gli uomini, le

donne che mediamente possono avvalersi di una maggiore longevità sono quelle residenti nell’area

nord-occidentale.

Nel 2000 l’area del Paese nella quale si è riscontrata la massima durata media della vita per le donne,

avvicinando la soglia degli 84 anni, è stata la provincia di Ancona (83,9), seguita da quelle di Forlì-Cesena e

Reggio nell’Emilia (83,8). A seguire sono molte le province del Nord-est con livelli di speranza di vita alla

nascita abbondantemente superiori agli 83 anni: Pordenone, Trento e Modena (83,7); Rimini, Parma e Verona

(83,6), Treviso e Vicenza (83,5). Per le province del Centro, oltre alla già citata Ancona, vanno menzionate

prevalentemente province toscane e marchigiane, tra cui Siena (83,7), Macerata (83,6), Ascoli Piceno e Firenze

(83,5). La provincia del Mezzogiorno più favorevole alle donne è Oristano (83,6), seguita da Teramo (83,3),

mentre per il Nord-ovest è Varese (83,4).

(12)

Situazioni, tuttavia, meno favorevoli non mancano anche nel Nord-ovest; in particolare quella di Lodi in

Lombardia (81,2), quelle di Alessandria (81,6), Biella (81,8) e Cuneo (82) in Piemonte. Per quanto riguarda la

ripartizione del Nord-est, omogeneamente posizionata su livelli di sopravvivenza femminile molto elevati,

costituiscono delle eccezioni la provincia di Ferrara (81,9) e, soprattutto, quella di Trieste (81,1). Lo stesso

dicasi per il Centro, dove le province meno favorevoli per le donne sono quelle di Rieti e Roma (82,2), a pochi

decimi di punto dalla media nazionale.

In conclusione, dal quadro descritto emergono situazioni abbastanza differenti dal punto di vista del

contesto territoriale. D’altra parte se ad oggi tali differenze ancora permangono, non va tuttavia dimenticato,

come già si è ricordato nell’introduzione, che il nostro Paese può vantare al pari di pochissimi altri paesi una

situazione di eccellenza a livello europeo. Anche nelle situazioni locali apparentemente di minor vantaggio per

la durata della vita, le condizioni di sopravvivenza sono prossime, e a volte persino migliori, di quelle che si

riscontrano mediamente in importanti paesi occidentali come il Regno Unito, i Paesi Bassi, la Finlandia,

l’Irlanda, il Portogallo o la Grecia. Per quanto riguarda l’Italia, negli ultimi trenta anni si è assistito ad una

progressiva riduzione dei differenziali di sopravvivenza che ha accompagnato un processo di crescita

generalizzato in termini di anni di vita guadagnati, ma che è stato più accentuato per le province un tempo meno

avvantaggiate. È il caso, ad esempio, più volte citato, delle province nord-orientali. Ragionare in termini di

diversità quindi, aldilà del mero esercizio classificatorio, è di ausilio alla comprensione degli aspetti che

interessano i legami esistenti tra la sopravvivenza degli individui e alcuni fattori di rischio derivanti da

particolari condizioni ambientali presenti sul territorio.

4.

Glossario delle funzioni biometriche presenti nelle tavole statistiche

1

Probabilità di morte – (q

x

)

Esprime il rischio che una persona di età x muoia prima del compimento del compleanno x+1. Se si tratta di

un probabilità quinquennale (

5

q

x

) esprime il rischio che una persona di età x muoia prima del compimento del

compleanno x+5.

Sopravviventi – (l

x

)

Sono coloro che, provenienti dalla generazione iniziale fittizia di 100.000 nati, sopravvivono ai vari

compleanni. I sopravviventi sono legati alle probabilità di morte dalla seguente relazione:

(

x

)

x 1 x

l

1

q

l

+

=

Decessi – (d

x

)

Sono coloro che muoiono tra il compleanno x e il compleanno x+1; pertanto

x

x

x

l

q

d

=

(13)

esprime il numero di decessi tra le età precise x e x+5.

Anni vissuti – (L

x

)

Numero di individui in età x (in anni compiuti); esprime anche il numero di individui della ipotetica

popolazione "stazionaria" associata alla tavola di mortalità; per tutte le età superiori o uguali a un anno la sua

espressione è data da

(

x x 1

)

x

2

1

l

l

L

=

+

+

in corrispondenza dell'età zero si utilizza invece l'espressione

(

)

0 1

0

1

h

l

hl

L

=

+

nella quale il coefficiente “h” rappresenta l'aliquota dei decessi nei primi sei mesi di vita rispetto al totale dei

decessi nel primo anno

il valore riepilogativo

4 x 1 x x x 5

L

=

L

+

L

+

+

...

+

L

+

rappresenta l'ammontare della classe di età x, x+4 della popolazione stazionaria.

Speranza di vita – (e

x

)

Rappresenta il numero medio di anni che restano da vivere ai sopravviventi all'età x; la sua espressione è

data da

x 1 1 x x x

l

L

L

L

e

=

+

+

+

...

+

ω−

dove il simbolo

ω

sta a rappresentare l'ultima età considerata, e cioè 125 anni.

Probabilità prospettiva di sopravvivenza – (P

x

)

È la probabilità che un individuo di età x (in anni compiuti alla data del 1 gennaio dell’anno), appartenente

alla popolazione stazionaria associata, sopravviva un anno; pertanto

x 1 x x

L

L

P

=

+

la probabilità prospettiva di sopravvivenza quinquennale è invece data da

x 5 5 x 5 x 5

L

L

P

=

+

(14)
(15)

TA

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(19)
(20)
(21)
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(23)
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(30)
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(39)
(40)
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(81)
(82)
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(85)
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