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Piante selvatiche d'uso popolare nei territori di Alcara Li Fusi e Militello Rosmarino (Messina, N-E Sicilia)

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Academic year: 2021

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Quad. Bot. Amb. Appl., 18 (2007): 103-144.

Piante selvatiche d'uso popolare nei territori di Alcara Li Fusi e Militello Rosmarino (Messina, N-E Sicilia)

S. ARCIDIACO

o

2, M. NAPOLI1, G. 0DD03, P. PAVO E1

1 Dipartimento di Botanica, Università degli Studi di Catania, Via A. Longo, 19 - 95125 Catania

2 Socio onorario ANIS Catania.

3 Biologo, Libero professionista

ABSTRACT. -Popular uses of wild p/ants from Alcara Li Fusi and Milite/lo Rosmarino (Messina, N-E Sicily). -The Authors present a study concerning popular uses of 115 species of wild plants from an area of particular etnobotanical interest, in the territories of Alcara Li Fusi and Militello Rosmarino (Messina, -E Sicily).

Of each pecies, botanica! family, scièntific, popular and vernacular names, as well the biologica( fonn, are given.

As concerns popular uses, alimentary, agricultural, officina( dealing with, both, popular and veterinary medicine, sheep- farming, domestic and religious aspects were, particularly, pointed out.

Key words: wild plants, popular uses Alcara Li Fusi, Militello Rosmarino, N-E Sicily.

INTRODUZIONE

Il rinnovato interesse per la stretta connessione tra studi botanici ed etnobotanici, ha reso indispensabile un ulterio- re contributo alle conoscenze etnobotaniche in Sicilia, che questo lavoro si propone di dare.

In pas ato, da ogni materia "viva" del territorio era necessario saper trarre risorse e strumenti utili per fare fron- te, concretamente, ai bisogni quotidiani; ciò creava uno stretto legame tra gli abitanti e il loro territorio, legame che si esplicitava, fra l'altro, in un'ampia conoscenza e in un polivalente utilizzo delle piante selvatiche. Queste, effetti- vamente, ricoprivano un ruolo fondamentale in campo ali- mentare, medico, veterinario e artigianale. Dalle piante, infatti, si ricavavano verdure eduli, fibre, legname da costruzione, foraggio per gli animali, coloranti, veleni per la pesca di frodo, medicamenti d'ogni genere e materiale combustibile; i vegetali, inoltre, erano utilizzati nel corso di feste, riti religiosi e manifestazioni ludiche e, spesso, erano ricordati nelle credenze, nei proverbi e nei motti popolari.

Lo spopolamento della campagna e l'abbandono delle pratiche tradizionali di agricoltura e di allevamento hanno portato ad un lento e graduale declino delle conoscenze empiriche legate alle piante, oggi custodite da pochi anzia- ni, contadini, pastori e casalinghe, che le tramandavano oralmente di generazione in generazione.

Per intraprendere la presente indagine si sono resi necessari due atteggiamenti antitetici: da un lato il discerni- mento e il rigore scientifico, dall'altro, la comprensione e l'accettazione di una certa approssimazione e della "pitto- resca" immaginazione, proprie delle culture popolari.

Le ricerche condotte hanno permesso di evidenziare le conoscenze concernenti l'uso tradizionale delle piante pra- ticato nelle comunità rurali, conoscenze che rischiano di andare perdute insieme alla memoria delle persone che ne sono depositarie.

L'etnobotanica, intesa come studio riguardante la valu- tazione e la manipolazione umana delle materie vegetali, è attualmente rivalutata, soprattutto per due suoi aspetti fon- damentali: la fitoalimurgia (uso alimentare di piante selva- tiche) e l'etnofannacologia (studio delle pratiche terapeuti- che popolari).

Per quanto riguarda il primo aspetto, è da ricordare che in Sicilia, in un tempo non molto remoto, le verdure selva- tiche rappresentavano una fondamentale risorsa alimentare sia per gli abitanti delle campagne che per quelli delle città, stante la cronica indigenza delle classi meno abbienti e le frequenti carestie. ei nostri giorni, benché la fitoalimurgia non svolga più la sua originaria funzione, un numero sem- pre maggiore di persone, abitualmente o occasionalmente, ha nuovamente cominciato ad "andare per verdure" (iri a- vvidduri) non solo per riscoprire e rivalutare "sapori perdu- ti", ma anche per dedicar i ad un aiutare ed istruttivo rap- porto con la natura.

Per quel che concerne l'etnofannacologia, è da eviden- ziare che l'uomo ha sempre cercato, nell'ambiente circo- stante, rimedi immediati per lenire le sue sofferenze. li numero di per one che in tutto il mondo si affida a terapie di tipo naturale è molto alto: circa 1'80% dei cinesi fa ricor- so all'etnofannacologia, piuttosto che alla biomedicina occidentale; nel sud-est asiatico, le percentuali toccano addirittura il 90%. Anche nelle nostre farmacie, più del 60%

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dei prodotti in commercio deriva proprio da produzioni di tipo fitofarn1acologico. L'Occidente ricco e industrializzato, dunque, rivolge particolare attenzione alle tradizioni popo- lari, e non per un ritorno alla natura, a volte frainteso, ma per un'effettiva valutazione dei successi raggiunti dalle pra- tiche e terapie mediche e farn1acologiche d'origine vegeta- le.

Ritornando alla finalità della presente ricerca, è da evi- denziare che l'etnobotanica esige un rapporto diretto con i soggetti e gli oggetti che riguardano le indagini e non si avvale, esclusivamente, di procedure scientifiche. Essa è, anzitutto, incontro con l'uomo - prima ancora che cono- scenza delle sue tradizioni -ed è momento di comunicazio- ne e arricchimento personale sia per lo studioso che per i suoi interlocutori, prima ancora che esperienza scientifica ed etno-antropologica.

IL TERRJTORIO

Generalità

L'area d'indagine è rappresentata dal territorio di due piccoli centri del Messinese: Militello Rosmarino e Alcara Li Fusi. Tale area è collocata a ridosso del complesso mon- tuoso nebrodense delle "Rocche del Crasto" ed è attraversa- ta dalla fiumara del Rosmarino, un corso d'acqua tempora- neo che sfocia sulla costa tirrenica della Sicilia.

La scelta dei luoghi è stata suggerita dalla loro posizio- ne geografica che, in genere, è determinante nelle ricerche etnobotaniche,. Il territorio in oggetto, infatti, è, per così dire, ancora poco "contaminato"; non è attraversato da gran- di vie di comunicazione e le strade che conducono ad Alcara Li Fusi, non hanno vie di sbocco. Tali caratteristiche creano le condizioni per il persistere di tradizioni che, in altri ambienti, non riescono a sopravvivere e sono stravolte e cancellate dalla quotidianità e dai ritmi di vita contempora- nei. Nell'area in esame, invece, le antiche tradizioni per- mangono, prevalentemente, in campo agricolo-pastorale, ma anche nell'ambito folkcloristico e, in genere, nel corso di ricorrenze e festività, sia a carattere religioso, sia laico.

Per meglio comprendere i caratteri fisico-antropologici del territorio oggetto di studio, si fornirà una descrizione che tornerà utile, soprattutto con riferimento a quanto premesso, riguardo al tipo di rapporto che s'instaura fra il ricercatore e l'oggetto della propria indagine. Come s'è detto, chi intra- prende uno studio etnobotanico non fa uso, esclusivamente, di procedure scientifiche, bensì "concretizza" uno stretto rapporto con gli abitanti dell'area indagata e, di conseguen- za, con le loro attività socio-economiche, con le abitudini alimentari, con le pratiche terapeutiche e, non ultimo, con i riti, le credenze e, dove esistano, anche con le superstizioni e gli atteggiamenti magico-mistici locali. Solo instaurando- si tale polivalente corrispondenza culturale, si può realizza- re una concreta esperienza umana e scientifica che assume un valore botanico ed etno-antropologico degno di rilievo.

Aspetti geografici.

Il territorio oggetto della ricerca si trova nell'entroterra della costa tirrenica e fa parte della catena montuosa dei Monti Nebrodi; l'altitudine si aggira sui 400-500 m s.1.m. e, in alcune aree, raggiunge i 700-800 m s.l.m.

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l due territori si aprono sulla valle del fiume Rosmarino, un corso d'acqua a carattere di fiumara che resta asciutto per gran parte dell'anno e con portata massima durante la sta- gione delle piogge. Si tratta, in ogni caso, di un corso d'ac- qua importante, per la regione, sia per la sua lunghezza che tocca i 20 Km, sia per l'estensione del suo bacino idrografi- co che attinge su significativi rilievi montuosi, quali Pizzo Maulazzo, Monte Soro, Serra del Re e Pizzo di Mangalaviti.

E' da rilevare che, la denominazione "Militello Rosmarino"

deriva proprio dall'importanza che le acque del fiume Rosmarino hanno sempre assunta per gli abitanti del picco- lo centro nebrodense di Militello. E' da precisare, inoltre, che proprio un affluente del Rosmarino, il Vallone Rantù, che si continua nel torrente Ferre, segna la linea di confine tra i due territori suddetti.

l rilievi che ricadono nell'area di Militello, sono: Cozzo Ricasi (58lm), Serra Liotta (736 m), Monte Scurzi (494 m) e Monte Cottonaro (559 m). A ridosso di Alcara Li Fusi si ergono cime ben più imponenti, come la Rocca Traùra (I 005 m), il Pizzo Aglio e le impervie Rocche del Crasto (1315m).

Per quel che concerne la vegetazione, a Militello, essa è essenzialmente di tipo agricolo, mentre ad Alcara Li Fusi è di tipo agricolo-pascolativo, essendo presenti nel territorio vaste superfici destinate al pascolo.

La geomorfologia del territorio di Alcara, in parte è con- dizionata dal lento scorrere del fiume Rosmarino, in parte è dominata dalla maestosa Rocca Traùra e dalle vicine cime della dorsale dei Monti Nebrodi che contornano un maesto- so paesaggio in cui è possibile osservare le maggiori vette nebrodensi: Monte Soro (1948 m), Serra del Re (1754) e Pizzo Mangalaviti ( 1659), Rocche del Crasto ( 1315 m), queste ultime aspre formazioni rocciose calcaree, dalle pro- fonde fessurazioni, comprese tra i comuni di Alcara Li Fusi, Longi e San Marco d' Alunzio ricadenti nella Provincia di Messina.

Lo sfruttamento del territorio da parte dell'uomo, in seguito all'insediament0 di alcune cave per l'estrazione di materiali d'uso edile hanno modificato, parzialmente, l'ori- ginaria morfologia della .zona.

Geologia

Dal punto di vista geologico, i comuni di Alcara Li Fusi e di Militello Rosmarino ricadono in un'area che, fino a poco tempo fa, era riferita alla Catena Appenninico- Maghrebide, cioè all'omonima unità comprendente il Complesso Sicilide, il quale, per definizione originaria, rag- gruppava le successioni di bacino profondo in posizione strutturale più elevata e di deformazione precoce, immedia- tamente sottostante i terreni cristallini del Complesso Calabri de.

In genere, anche oggi, tale interpretazione dal punto di vista strutturale, è mantenuta inalterata, benchè siano stati aggiunti nuovi territori e nuove suddivisioni stratigrafico- strutturali.

Attualmente, nel Complesso Sicilide sono comprese sequenze sedimentarie che vanno dal Cretaceo inferiore (130 Milioni di anni fa) al Miocene inferiore (20 Milioni di anni fa).

ln particolare, il Comune di Alcara Li Fusi giace sulla falda di Cesarò, oggi definita Unità di Monte Soro, a causa

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della parziale sovrapposizione stratigrafica tra la successio- ne del Flysch di Monte Soro e le argille varicolori. Tale Unità è separata dalla successione Sicilide di Troina ed è considerata un'unità di derivazione ancora più interna, anche se riferita allo stesso paleobacino di sedimentazione.

L'Unità di Monte Soro è sviluppata soprattutto nella dorsa- le dei ebrodi e si riduce, verso Nord, ad uno spessore di poche decine di metri. La successione tipo del Flysch di Monte Soro è caratterizzata da regolari monoclinali di quar- zareniti, associati, verso il basso, a livelli di argilliti nera tre e poggianti sulle Unità di Monte Salici e Monte Castelli.

Inoltre, il contatto tettonico di accavallamento del Flysch di Monte Soro e delle sovrastanti "Argille Scagliose Superiori" sul! 'unità di Troina, è un sovrascorrimento recente.

Il quadro geologico del Comune di Militello Rosmarino si riferisce, invece, ali 'unità di Longi-Taormina; infatti, il ricoprimento tettonico sull'unità di Capo Sant' Andrea pog- gia su di essa ed affiora, estesamente, nel versante tirrenico, lungo tutto il bordo meridionale dei Monti Peloritani, da Sant' Agata Militello-Alcara Li Fusi-Longi, e, nel versante ionico, fino a Taormina-Giardini.

Dal punto di vista lito-stratigrafico i due territori esami- nati giacciono su formazioni d'origine diversa. Quello di Alcara Li Fusi che, come s'è detto, ricade nell'unità Appenninico-Maghrebide, complesso Sicilide, in particola- re nell'Unità di Monte Soro (Flysch di Monte Soro), è costi- tuito da unafacies argillosa prevalente, alla base e al tetto della successione, e da unafacies mediana quarzarenitica- argillosa. La base è caratterizzata da argille semplici e argil- le marnose grigiastre, finemente laminate, alternate a calca- ri marnosi di color avana, grigi al taglio, a fratturazione pri- smatica, in strati di I 0-50 cm ed a marne argillose grigie, a frattura concoide. Quest'intervallo evolve, gradualmente, a torbiditi argilloso-arenacee, costituite da argille-scagliettate grigie e nere in fitta alternanza, con livelli centimetrici di quarzareniti verdastre a grana fine. Verso l'alto, prevalgono quarzareniti feldspatiche grigio-giallastre in banchi fino ad alcuni metri. Quest'altro intervallo evolve gradualmente a quello argilloso sommitale, costituito da argilliti grigio- avana con subordinati livelletti quarzarenitici. Le analisi in sezione sottili dei calcari marnosi hanno rivelato che si trat- ta di biocriptomicriti composte, essenzialmente, da nanofos- sili. Sono presenti Radiolari, spicole di Spugna ed altri orga-

Alcara LI Fu•I (ME) 400 B. Rosmarino A.0.P 56

300 p 998.4 T 16.J

P(mm) T("C)

G

-

144.9 G 8.9

200

F 118.2 F 9.3

M = 105.4 M = li.O

A 76.1 A = 13.6

M 49.3 M = 17.4

G 31.S G = 21.6

L 17.3 L = 24.5

A 28.8 A = 24.8

s = 64.9 s = 22.0

o 100.8 o 17.8

20 N 121.S N 13.9

D 139.8 D = 10.4

10

o a ' dlLIA j O IN

Fig. I- Diagramma termoudometrico di Alcara Li Fusi

nismi. L'età di tale fonnazione è da attribuire al Cretaceo inferiore.

Di tutt'altra composizione appare, invece, la visione lito- logica del territorio di Militello Rosmarino, facente parte del! 'unità di Longi-Taormina; tale unità è dominata dalla presenza di calcari e dolomie: calcari detritici-grigiastri, biocalcareniti algali ed oospatiti grigio-biancastre talora dolomizzanti, da massivi a stratificati in grossi banchi, costituiti da biopelmicriti grigio-nerastre con rare lenti di selce, in strati di 10-13 cm (Longi). Tale fonnazione litolo- gica è da attribuire al Liassico inferiore.

Il territorio di Militello è caratterizzato anche da un'altra formazione ad Arenarie e Conglomerati ro i in facies di

"Verrucano": cioè arenarie quarzose rosse o giallastre in grossi banchi alr_emati a sottili intercalazioni siltose rosse, talora grossolane, fino a passare a conglomerati, ad elemen- ti centimetrici quarzosi e metamorfici ben arrotondati.

Anche tale fonnazione è da attribuire al periodo del Liassico inferiore, in particolare, del piano Hettangiano.

E' da evidenziare che entrambi i comuni presentano un terreno carico di detriti e sono separati dal torrente Rosmarino; quest'ultimo dal punto di vista litologico, è composto da ghiaie e sabbie limose presenti nei greti delle principali aste fluviali, dove lo spessore può superare le decine di metri, e da depositi litorali, costituiti da sabbie e grnaie poligeniche di varia dimensione. li periodo della sua formazione è da attribuire all'Olocene.

Clima

Per la caratterizzazione climatica si è fatto riferimento alle stazioni pluviometriche di Alcara Li Fusi e Militello Rosmarino. Per i dati termometrici, mancando specifiche stazioni metereologiche, si sono invece utilizzati i dati otte- nuti mediante retta di correlazione tra temperature medie e altitudine (Zampino et al, 1997). Ad Alcara Li Fusi si regi- strano 998 mm di precipitazioni annui concentrati soprattut- to nei mesi invernali di dicembre e gennaio, mentre la tem- peratura media annua è stimata in 16,3 °C. Analoghe condi- zioni si registrano a Militello Rosmarino, le precipitazioni si attestano su 999 mm annui mentre la temperatura media annua è stimata in 15,4 °C. L'analisi dei diagrammi termo- pluviometrici (Figg. 1, 2) evidenzia come l'andamento cli- matico delle due stazioni sia similare. Le variazioni mensili

Militello Rosm.rino (ME) 560•

B. Rosmarino A.O. P 60

300 p 999.J T 15.4

P(mm) T('C)

200 G = 140.8 G = 7.7

F = 114.0 F

-

8.2

M = 109.6 M = IO.O

A = 75.3 A

-

12.8

M = 51.4 M

.

16.7

G 33.2 G = 21.1

L 18.2 L = 24 o

28.2 A

.

24.2

62.0 s

-

21.2

107.5 o

-

16.8

127.1 N

-

12.8

132.0 D

-

9.2

20

Fig. 2- Diagramma termoudometrico di Militello Rosmarino.

105

(4)

delle precipitazioni e delle temperature sono quelle tipiche del clima mediterraneo con un periodo di aridità estiva di circa tre mesi e un surplus idrico nei mesi invernali. È però da evidenziare che l'aridità estiva è, almeno in parte mitiga- ta, dai fenomeni di precipitazione occulte che si verificano in tutta la fa eia collinare dei ebrodi che guardano verso il mare Tirreno.

Per quanto riguarda la eia sificazione bioclimatica, in accordo con RIVAS-MART!NEZ & al. ( 1999), il bioclima del-

! 'area oggetto di tudio è di tipo mediterraneo pluviostagio- nale oceanico ed è compre o tra le fasce termomediterranea

subumida e quello mesomediterraneo umido (BRULLO &

al., 1996).

Caratteri socio-economici

otto il profilo socio-economico, il territorio dei comuni presi in esame è abbastanza omogeneo. A Militello Rosmarino, infatti, vi è un'economia di tipo agricolo pasto- rale: si produce olio d'oliva e frutta (in particolare fichi e ciliegie), mentre la pastorizia offre, sul mercato, capretti, ca trato e formaggi ovini e bovini, sia freschi, sia stagiona- ti. Ad Alcara Li Fusi, le risorse economiche, oltrechè all'a- gricoltura e alla pastorizia, sono legate anche all'attività artigianale. el territorio si coltivano cereali, legumi, olive, frutta, agrumi e nocciole. Importante è la presenza di alle- vamenti bovini, caprini, suini ed equini. Per quel che con- cerne le attività artigianali, è da sottolineare la pregevole produzione di prodotti d'intreccio, ottenuti da canne e giun- chi che, alcuni anziani del luogo lavorano, per fabbricare, in particolare, fi celle per la ricotta e per i formaggi.

Un elemento importante che caratterizza le comunità, in pecial modo rurali, è la pratica di particolari riti laici o reli- gio i. Tra que t'ultimi, sono da ricordare le seguenti mani- fe tazioni: a Militello, il 3 febbraio ed il 24 ago to, in onore del patrono San Biagio, si organizza una fiaccolata erale, nel corso della quale avviene il lancio dei panotti (forme di pane piccole e rotonde) tra il pubblico. Suggestiva è anche la cosiddetta Sciara, una processione del quadro del Santo che, snodandosi per le vie del paese, giunge nelle campagne circostanti, ove si svolge la benedizione dei campi. Durante la sfilata, i fedeli invocano il Santo pregandolo di ridere (San Vrasi, riri!) e toccano la sua effigie, con i fazzoletti, utilizzati, poi, come amuleti.

Ad Alcara Li Fusi è da ricordare, invece la singolare e noti ima Festa du Muzzuni, la cui denominazione trae ori- gine dall'antico nome della brocca dal collo tagliato che, la sera del 23 giugno, è addobbata con collane e pighe di grano e posta sui piccoli altari dei quartieri del pae e.

Da menzionare, infine, la "Sagra della provola e del pane caldo", una manifestazione laica che si svolge, nel me e di maggio, in un borgo situato a sud-est dell'abitato di Militello.

Finalità dell'indagine

Scopo della ricerca è esaminare le relazioni intercorren- ti, in passato e, ancora, ai nostri giorni, fra le piante ponta- nee e gli abitanti dell'area indagata. La re trizione dell'e a- me alle sole specie selvatiche è dettata dal fatto che, in que- ta ede, come già evidenziato in altre ricerche dalle mede- sime tematiche (ARCIDIACO o & al., 1999) non è embrato 106

opportuno affrontare gli eventuali a petti agronomico-coltu- rali che sarebbero insorti, effettuando anche la trattazione delle piante coltivate.

el cor o dell'indagine è stato evidenziato che, nel ter- ritorio, le utilizzazioni delle piante elvatiche i riferi cono.

prevalentemente, ai seguenti settori etnobotanici: agricolo- pa tarale, artigianale-industriale, dome tico, fitoalimurgico.

ludico-ricreativo, medico-veterinario popolare e religioso- folklorico-rituale.

In particolare, è emerso che i sopraccennati impieghi sono più evidenti nei settori della fitoalimurgia, dell'agri- coltura e della pastorizia; infatti, numerosi utensili e mate- riali adoperati nelle pratiche della cultura cerealicola e delle leguminose e nella produzione dei latticini, sono legate alla pre enza di pecie vegetali che crescono in loco.

Per quanto riguarda il diffuso utilizzo delle piante nel ettore fitoalimurgico e domestico, esso è dovuto, ancora una volta, ali' elevato interesse per le piante selvatiche da de tinare all'alimentazione e alla costruzione d'oggeni d'uso ca alingo, tipico delle popolazioni che stringono stret- ti rapporti con l'ambiente naturale.

Per quanto concerne l'uso dei vegetali nell'industria e nell'artigianato, è da precisare che e so, molto diffuso in pa ato, è, al giorno d'oggi, in netto declino; infatti, diverse materie prime che, un tempo, provenivano dal mondo vege- tale, adesso sono d'origine sintetica.

Un di coro a parte merita l'utilizzo delle piante sponta- nee per fini terapeutici. A tal riguardo, infatti, si è preferito riferire queste correlazioni, rispettivamente, alla medicina e alla veterinaria popolari, piuttosto che alla fitoterapia. In primo luogo, perché non sono stati effettuati riscontri biblio- grafici riguardanti l'eventuale efficacia dei fitofarmaci riportati nella presente indagine; in secondo luogo, perché, in vari casi, questi rapporti, più che nell'ambito terapeutico, ricadono in quello magico-rituale. E' da ricordare, inoltre, che l'elevato e tradizionale utilizzo di piante elvatiche nel- l'ambito della veterinaria popolare, deriva, sia dalla voca- zione pastorale dell'area in esame, sia dall'uso di cavalcatu- re che, fino a non molti anni addietro, erano ampiamente uti- lizzati a causa dell'impervietà dei luoghi.

Metodi della ricerca

I dati della pre ente ricerca sono stati raccolti mediante dialoghi ed interviste con informatori locali, con i quali é tato pos ibile realizzare anche numerose e cur ioni nei luo- ghi dell'indagine, dove vegetano e sono utilizzate le piante oggetto di studio, delle quali sono stati raccolti e determina- ti alcuni campioni.

Le persone contattate hanno fornito dati riguardanti il nome dialettale e le diverse utilizzazioni in campo etnobo- tanico; inoltre, hanno mostrato i materiali o gli attrezzi da esse ricavati. Le informazioni sono tate ritenute valide e confermate, almeno, da tre diversi infonnatori.

Di ciascuna pianta degna d'interesse, perché legata alle pratiche tradizionali locali, e di molti dei prodotti da essa derivati, sono state realizzati numerosi disegni e fotografie, i più significativi dei quali (23 foto e 11 di egni) corredano la presente pubblicazione. Le informazioni riguardanti le feste religiose sono state fomite dai devoti, nel cor o delle svolgimento delle cerimoni stesse.

Si è ritenuto opportuno realizzare anche una ricerca

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bibliografica riguardante i risultati di studi etnobotanici compiuti in altri territori, limitando però l'indagine alla sola Sicilia, per effettuare una più immediata comparazione e consentire la futura elaborazione di tabelle sinottiche che possano fornire un quadro esaustivo delle conoscenze etno- botaniche siciliane.

Per la determinazione, la nomenclatura e l'ordinamento sistematico dei taxa di seguito riportati, si è fatto riferi- mento a PTG ATTI ( 1982), al quale si rinvia per ulteriori noti- zie morfologiche e bio-ecologiche.

I taxa esaminati, riportati in ordine alfabetico, sono stati corredati da una scheda riportante il nome scientifico, vol- gare e dialettale, (quest'ultimo riferito ai due comuni ogget- to d'indagine), la famiglia d'appartenenza, la forma biologi- ca e gli impieghi tradizionali locali nei diversi settori, con- trassegnati, rispettivamente dalle sigle sottoelencate:

[A] usi agricolo/pastorizi [D) usi domestici [E] usi alimentari [G) usi ludici

[I) usi industriali/artigianali [M]usi medici popolari [S] usi religiosi/simbolico-rituali [V) usi veterinari popolari

I disegni sono di Antonio Torresi e Salvatore Arcidiacono

SCHEDE DEI TAXA Acer campestre L.

Famiglia: Aceraceae

Nome volgare: Acero oppio, Loppio, Chioppo, Testuccio Nome dialettale Spannimu (Alcara Li Fusi), Occhiu

(Militello Rosmarino)

Forma biologica: fanerofita arborea/fanerofita cespugliosa [I] Dal legno di questa pianta si ricavano:

1) Collari per i campanacci degli ovini e dei bovini, con una procedura che è descritta nella scheda del Bagolaro (vedi Celtis australis).

2) Robuste cerniere (palummedde) per i grandi cancelli (sàini) che interrompono le carrarecce montane.

Siffatti cancelli sono ottenuti dal legno di Castagno, che però può andare incontro a fessurazioni se sottopo- sto a continue e forti sollecitazioni meccaniche. Di conseguenza le giunzioni che consentano la rotazione di questi varchi devono esser costruite da un materiale più resistente all'usura, qual è il legno dell'albero in questione.

3) Stegole (arati); cioè una parte lignea che serviva a governare l'aratro classico a trazione animale Comparazioni

Il decotto della corteccia curerebbe le irregolarità mestruali e la dismenorrea [BARBAGALLO & al., 2004]

Acer obtusatum W. et K.

Famiglia: Aceraceae

Nome volgare: Acero di Ungheria, Loppo.

Nome dialettale Occhiu (Alcara Li Fusi) larginu (Militello Rosmarino)

Forma biologica: fanerofita arborea

[I) Benchè, nel comprensorio di Alcara, la specie sia molto meno rappresentata della precedente, gli artigia- ni locali ne adoperano il legno, in sostituzione di quel- lo di A. campestre. Di contro nel territorio di Militello Rosmarino le due specie sono egualmente rappresenta- te, tuttavia qui il legno di A. obtusatum è ritenuto ini- doneo per lavori artigianali, essendo più tenace e meno lavorabile del precedente.

Comparazioni

Il decotto della corteccia curerebbe le irregolarità mestruali e la dismenorrea [BARBAGALLO & al., 2004].

Achillea ligustica Ali.

Famiglia: Asteraceae

Nome volgare: Millefoglio ligure, Camomilla selvatica Nome dialettale Canfuridda (Alcara Li Fusi, Militello

Rosmarino)

Forma biologica: emicriptofita scapola

(M] Le foglie fresche sono usate come vermifugo, per ina- lazione diretta, oppure, dopo averle riposte, chiuse in un sacchetto di stoffa, sotto il guanciale del soggetto affetto da elmintiasi. Tale pratica trova riscontro in una credenza popolare, secondo la quale gli ossiuri (i vermi) che, spontaneamente, tenderebbero a risalire l'apparato digerente, percependo gli effluvi emanati dalla pianta, "invertirebbero" il loro cammino, poten- do, così, essere espulsi.

Comparazioni

L'uso officinale trova riscontro nella comunità rurale di Mezzojuso (PA) [!LARDI & al., 1992].

Agave americana L.

Famiglia: Agavaceae

Nome volgare: Agave, Pitta, Zammara, Zabbara Nome dialettale: Pizzicaculu (Alcara Li Fusi), Zzammara

(Militello Rosmarino)

Forma biologica: fanerofita cespugliosa

[A] Durante l'inverno, la pianta era utilizzata quale forag- gio per mucche e capre; a tal fine, le foglie dovevano essere private degli aculei e ridotte in pezzi.

[I] Dall'Agave, tramite laboriosa manipolazione, si posso- no ricavare fibre da intreccio (zzammara) che, un tempo erano assai ricercate, poiché avevano utilizzazioni varie.

Gli abitanti del territorio indagato però preferivano acquistare dette fibre, già lavorate ed avvolte in matasse, in altri paesi siciliani, in quanto che la pianta è scarsa- mente presente nel territorio indagato (qualche soggetto si trova vicino al cimitero di Militello e a Monte Scurzi).

Comparazioni

In diverse aree della Sicilia la pianta ha impieghi fitote- rapici, artigianali, agricoli e veterinari. Per quel che riguar- da la medicina popolare, nella Piana di Catania essa è con- siderata diuretica ed espettorante [ATIAGUILE & al., 1978;

BARBAGALLO & al., 1967, 2004]; a Mazara del Vallo (TP), spasmolitica per la sciatica [CATANZARO, 1970] e utile per la maturazione di foruncoli [LENTINI & al., 1988]; ad Erice 107

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(TP), blandamente purgativa [LENTINI & al., 1991]; a Caltanissetta, lenitiva delle infiammazioni intestinali [BARBAGALLO & al., 1970]; a Bronte (CT), antiecchimotica [ARCIDIACONO & al., 1999]. Allo Zingaro (TP) la spina delle foglie avrebbe la prerogativa di combattere gli effetti del morso delle vipere [~IMO DO & al., 1998].Nell'ambito della medicina veterinaria popolare, a Mazara del Vallo, le infiorescenze incrementerebbero la portata lattea nei bovini [LENTINI & al., 1988].

Per quel che concerne gli impieghi artigianali e agricoli, a Caltagirone (CT), allo Zingaro e a Mazara del Vallo (TP) dalle foglie si ricava una fibra (zzammara) usata per fabbri- care corde [~!MONDO & al., 1998].

Agrimonia eupatoria L.

Famiglia: Rosaceae

Nome volgare: Agrimonia comune, Eupatoria.

Nome dialettale: non rilevato (Alcara Li Fusi), Armonica (Militello Rosmarino).

Forma biologica: emicriptofita scaposa

[M] La pianta è utilizzata per preparare un decotto contro i calcoli renali, insieme alla Piantaggine maggiore (Centunervi; vedi Plantago major), alla Cedracca comune (Spaccapetri; vedi Ceterach officinarum) ed alla "pala vergine" (mai fruttificata e priva di altre pale sviluppatesi su di essa) del Ficodindia (vedi Opuntia ficus-indica). Detto decotto si prepara facendo bollire, a lungo, in un litro d'acqua, 12 grammi di ciascuno dei suddetti componenti, tagliati a pezzetti. Quando il miscuglio si riduce a Y2 litro, si fa raffreddare rapida- mente in un bagno d'acqua fredda e si filtra. Per quel che concerne la posologia, se ne utilizzano circa 125 ml (un quarto del preparato) al giorno, per una settima- na nell'arco del mese, fino alla scomparsa dei sintomi.

Comparazioni

Nella medicina popolare, la pianta è utilizzata per l'a- zione colagoga, anticatarrale, antiflogistica, stomatica e vul- neraria [BARBAGALLO & al., 1967]; nella veterinaria popola- re, per la terapia dell'orchite e delle epididimiti [CATANZARO, 1970].

Amaranthus retrojlexus L.

Famiglia: Amaranthaceae

Nome volgare: Amaranto comune, Blito

Nome dialettale: Abbritti (Alcara Li Fusi), non rilevato (Militello Rosmarino)

Forma biologica: terofita scaposa

[E] Si raccolgono le cime e le parti tenere e si consumano a-mminestra o soffritte, quale condimento per le fritta- te.

[M) Essendo un'erba amara, il suo uso era consigliato alle persone diabetiche.

Comparazioni

In varie parti dell'Isola, per fini eduli, si utilizzano le foglie e le radici che si consumano previa cottura [BRANCA,

Ampelodesmos mauritanicus (Poir.) Durand et Schinz Famiglia: Poaceae

Nome volgare: Tagliamani, Saracchi

Nome dialettale: Ddisi, Arisi (Alcara Li Fusi), Ddisi, Rrisi (Militello Rosmarino)

Forma biologica: emicriptofita cespitosa

IA1l Le lunghe foglie lineari, tenaci e con i bordi taglienti, venivano utilizzate:

I) Come legacci (liami) per affastellare i mannelli (iem- mita o mazzuneddi) del frumento, oppure per attaccare i tralci della vite ai pali di legno (pali i vigna) o ancora per legare i rami degli ortaggi ai tutori di canna. Per questi ultimi due scopi si utilizzavano 6-7 foglie poste l'una accanto all'altra, ritorte e annodate in modo opportuno, formando così un legamento autobloccante ( catinazzu ).

2) Per intrecciare corde di uso pastorizio (es. pastoie, dette pasturi).

3) Per fare i legacci con i quali si legavano i covoni (gre- gni). Questi legacci si componevano stendendo sul ter- reno un doppio fascio di foglie le cui parti apicali erano legate con un nodo particolare. Su questo fascio si dis- ponevano 8-9 mannelli di grano che poi si raccoglieva- no nel covone con un altro doppio fascio di foglie, legandole fra loro con un ulteriore caratteristico nodo.

4) Per costruire morbidi scopini (lavaturi), impiegati dai pastori per pulire il pentolone (quarara) in cui si pro- ducono il formaggio e la ricotta (Foto I).

IA2l I culmi con le infiorescenze (cannizzoli ccu giummu), trovavano impiego nella torchiatura delle olive: con essi infatti si raccoglieva l'olio che, man mano galleg- giava (assumava) al di sopra della morchia.

[A3] L'intera pianta è usata anche come foraggio, soprattut- to per gli asini, ma anche per i bovini, nella stagione in cui c'è deficienza di mangime.

[D) In ambito domestico troviamo adoperate sia le foglie che i culmi.

Le prime per i seguenti scopi:

1) allestire ramazze d'uso rurale (dette scupi o scupuni) adatte a ripulire i rustici pavimenti di terracotta (Foto 2);

2) intrecciare cordicelle adoperate per legare i vari fascet- ti dello stesso tagliamani, quando le foglie di questa pianta si pongono ad essiccare;

3) ottenere le camicie per i bottiglioni (mpagghiata o mpagghiatura );

I secondi (ci.oè i culmi detti cannizzoli), per fabbricare un particolare tipo di contenitore casalingo per la frut-

1991; BARBAGALLO & al., 2004]. Foto I- Scopino (lavaturi) per la pulizia del pentolone della ricotta.

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ta (detto cinnìgghiu, a Militello e cirnìgghiu, ad Alcara Li Fusi) (Foto 3), nel quale le basse pareti laterali sono formate da culmi affastellati e giustapposti e il fondo è costituito da gli stessi culmi, lassamente affiancati fra loro.

Il cinnìgghiu era utilizzato anche durante le feste di paese, dai venditori ambulanti (caliàra) per contenere i ceci arrostiti (càlia).

[LI Ancora con le foglie, opportunamente intrecciate, si rea- lizzavano robuste corde usate come funi per l'altalena (vòsica). Tali corde potevano essere riutilizzate per diversi annj; però, per renderle più resistenti, ogni anno, bisognava aver cura di tenerle a bagno, per un giorno intero.

[S] I culmi legati in fascetti sono usati, a mo' di fiaccole, durante la festa di San Biagio, patrono di Militello Rosmarino.

Comparazioni

L'uso delle foglie per ottenere legacci e oggetti di intrec- cio, evidenziato in questa sede, trova riscontro nelle Madonie [LENTTNI & al., 1990] e a S. Ange.!o Muxaro (AG) (LENTTNI, 1999).

Anagallis arvensis L.

Famiglia: Primulaceae

Nome volgare: Centonchio dei campi, Mordigallina, Bellichina

Foto 2- Foglie manipolate per ottenere ramazze casalinghe.

Nome dialettale: Erba i l'occhi (Alcara Li Fusi) Ebba /'occhi (Militello Rosmarino)

Forma biologica: terofita reptante

[V] La pianta è utilizzata per la cura della cataratta (panna) del bestiame. A tal fine, con un ago, si incide la cata- ratta e su di essa si versa il succo ottenuto tritando le sue foglie fresche. Secondo un altro informatore non occorre incidere il velo della cataratta, ma bisogna ver- sarvi sopra direttamente il succo, dopo aver applicato una polvere abrasiva ricavata da un osso di seppia. Tale operazione deve essere mirata, perciò la polvere va versata usando un piccolo cono di carta. Secondo quan- to riferito, ambedue le terapie presenterebbero un potenziale pericolo: qualora, inavvertitamente, sull 'oc- chio malato fosse versato il succo, senza praticare l'in- cisione o utilizzare la polvere, l'animale, anzicchè gua- rire, potrebbe, addirittura, accecare!

Comparazioni

La pianta trova numerose applicazioni nella medicina popolare: alla Piana di Catania [ATTAGUILE & al., 1978], a Caltagirone e a Caltanissetta [BARBAGALLO & al., 1967, 1970]. Nell'ambito veterinario popolare, sono segnalati usi diversi da quelli riportati nel presente lavoro: a Pantelleria [CATANZARO, 1968] e nel territorio etneo [BARBAGALLO &

al., 1979].

Anchusa azurea Mili.

Famiglia: Boraginaceae Nome volgare: Buglossa azzurra

Nome dialettale: Lingua i cani (Militello Rosmarino); non rilevato ad Alcara Li Fusi.

Forma biologica: emicriptofita scaposa

[MJ Gli informatori contattati nell'area della ricerca hanno riferito che l'erba è utilizzata per favorire la maturazio- ne dei foruncoli (craùnchia). A tal fine, basta poggiare le sue foglie fresche sulla parte interessata e fasciarla opportunamente.

Comparazioni

L'infuso delle delle foglie avrebbe azione diuretica,

Foto 3 - Contenitore (cirnnigghiu) per la frutta.

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mentre l'impiastro mostrerebbe potere antinfiammatorio [BARBAGALLO & al., 2004].

Apium nodijlorum (L.) Lag.

Famiglia: Apiaceae

Nome volgare: Sedano d'acqua, Erba cannella, Crescione Nome dialettale: Scafuni (Alcara Li Fusi), Scafuna

(Militello Rosmarino)

Forma biologica: emicriptofita scaposa/idrofita radicante [E) I piccioli e le basi fogliari di questa pianta idrofila

sono consumati crudi, in insalata.

[M) Consumandola nel modo suddetto, la pianta esercite- rebbe un'azione officinale, incrementando la diuresi.

Comparazioni

Usi alimentari, diversi da quelli riportati in questa sede, sono noti nell'area madonita [LENTINJ & al., 1990]. Mentre usi officinali si riscontrano nel Catanese [Barbagallo & al., 2004].

Arbutus unedo L.

Famiglia: Ericaceae

Nome volgare: Corbezzolo, Albatro, Arbuto, Rossetto, Suorvo, Cocomero

Nome dialettale: Cinobisera (albero), cinòbisu (frutto) (Alcara Li Fusi), Zzummarera (albero); zzommera (frutto) (Militello Rosmarino)

Forma biologica: fanerofita cespitosa o arborea

[E) Il frutto è commestibile; prevalentemente, si consuma fresco; più raramente, per confezionare marmellate.

Comparazioni

In Sicilia, la commestibilità dei frutti del corbezzolo si riscontra a Pantelleria [CATANZARO, 1968]; sulle Madonie [RAIMONDO & al., 1990] e nelle Isole Eolie [LENTINl & al., 1995].

Ai frutti e ad altre parti della pianta sono attribuite pro- prietà officinali, a Caltagirone (CT) [BARBAGALLO & al., 1967]; nelle Isole Eolie [LENTINI & al., 1995] e sulle Madonie (PA), ove, durante le ricorrenze natalizie, della pianta si utilizzano, come addobbi, anche i rami e i frutti [RAIMONDO & al., 1990].

Artemisia arborescens L.

Famiglia: Asteraceae

Nome volgare: Assenzio arbustivo

Nome dialettale: Ebba di scecchi (Alcara Li Fusi, Militello Rosmarino)

Forma biologica: nano fanerofita/fanerofita cespugliosa [M] Le foglie sono usate come vermifugo; a tal fine, si rac-

colgono e si inalano intensamente, quando sono anco- ra molto fresche.

[D] La pianta verde, legata a mazzetti e posta in cima ad una lunga canna, era usata per spegnere le candele in chie- sa; tale scelta, a detta degli informatori, trarrebbe ori- gine dalla resistenza alla combustione dell'Artemisia.

Comparazioni

allo Zingaro (TP) [RAIMONDO & al., 1990, 1998]; a Erice (TP) [LENTINI & al., 1991] e a Caltanissetta [BARBAGALLO &

al., 1970]. Altre proprietà officinali sono riportate da RAIMONDO & al. (1990), LE TINI & al., (1988, 1990, 1996), BARBAGALLO & al. (1979), ARCID!ACO o & al. (1999).

L'utilizzo nella veterinaria popolare è segnalato da RAIMONDO & al. (1990, 1998) e da CUSUMANO (1993).

Arundo donax L.

Famiglia: Poaceae

Nome volgare: Canna domestica, Canna gentile.

Nome dialettale: Canna (Alcara Li Fusi, Militello Rosmarino)

Forma biologica: geofita rizomatosa

ell'area indagata, come in tutti i paesi mediterranei, il culmo della Canna ha avuto, e parzialmente ancora ha, sva- riati impieghi. Esso ha rappresentato uno dei materiali di base per fabbricare attrezzi agricoli ed artigianali, oggetti d'uso domestico e, persino, manufatti per scopi ludici.Tutto ciò fin quando l'avvento della plastica l'ha escluso quasi del tutto dalla vita quotidiana.

[A] Nel settore agricolo, il culmo si utilizza per costruire:

1) I tutori per le viti (canni-ppi mpalari), tagliati a scal- pello ad un'estremità.

2) Gli assi traversi (tramenzi) da porre fra i pali delle per- gole rurali.

3) I cosiddetti canna/a; sorta di ditali usati per proteggere le dita dei contadini (Foto 4), in particolare il mignolo, durante la mietitura.

4) Una serie d'oggetti, frutto dell'arte dell'intreccio (Foto 5), quali panieri (panara) (Foto 6), cofani (cufina) (Foto 7) e camicie per i bottiglioni (mpagghiata o mpagghiatura) (Foto 8). In tutti i casi misto a verghe di Salice rosso, Salice bianco, Olmo e Olivastro.

[I] Nel settore artigianale, con la canna si fabbricavano: 1) Diverse parti mobili del classico telaio di legno.

2) Un particolare tipo di fiscella (fascedda) per la ricotta, realizzata con listelli di canna lunghi una ventina di centimetri ed assemblati, a cilindro, attorno ad una base circolare di J.egno di Quercia o d'Olivastro.

3) Un altro tipo di fiscella (cavagna) per la ricotta, otte- nuta anch'essa con listelli di canna, ma riuniti fra loro su un apice, in modo da assumere forma ogivale (Foto

L'azione antielmintica è confermata nelle Madonie (PA), Foto 4 -Ditali di Canna, protettivi nella mietitura.

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9) ed avente sezione ellissoidale per occupare meno spazio nelle bisacce;

4) Il soffitto incannicciato (ncannatu) che si costruiva nel seguente modo: dal colmo del tetto (lignu i culmu) si partivano delle traverse lignee (trava) che poggiavano sui muri perimetrali.Sopra di essi si posavano, per tra- verso fasci di canne che dapprima, erano state ben ripulite dai residui delle foglie e tagliate a misura e,in seguito, venivano disposte "a testa-coda" (na cima e nu zuccu) legandole fra loro con spago o fil di ferro. Su tale copertura si stendeva uno strato di calce e, su di esso,si poggiavano le tegole.

[D] In campo domestico si realizzavano:

1) L'aspo (matassaru) per raccogliere il filato di lana o di lino (Foto 1 O).

2) Il cannello per dare forma alla cialda (scoccia) che riveste il contenuto del ben noto dolce siciliano, il cui nome -cannolu -deriva proprio dalla Canna.

3) Il graticcio (cannizzu) che serviva (ed è ancora utiliz- zato) per essiccare, fichi, pomodori, mostarda, coto- gnata (Foto 11) e che, inoltre, costituiva un ottimo sup- porto per sorreggere la carcassa del maiale scannato, sulla quale si versava abbondante acqua bollente. Per realizzare la struttura del cannizzu, si selezionavano fusti particolarmente alti, con gli internodi ben distan- ziati. Con la lama di un falcetto, si praticava, da un solo lato, una fenditura per tutta la lunghezza della canna che poi era battuta su una superficie piana, con un'ap- posita mazza di legno. In tal modo, ciascuna canna,

Foto 5 - Mastro intrecciatore.

Foto 6 - Paniere

spaccandosi, diveniva un'unica fascia larga. La tessitu- ra era effettuata in uno spiazzo all'aperto, sufficiente- mente ampio per consentire di ammucchiare, stendere e spostare le canne senza ostacoli. Queste erano leg- germente inumidite e poi selezionate, a seconda che fossero destinate a formare l'ordito o la trama. Le prime, decisamente più lunghe, definivano l'altezza del graticcio, le seconde, la larghezza. Ultimato il lavoro, sul terreno, prendeva forma un ampio rettangolo fitta- mente intrecciato.

4) La forcella (scocca) per appendere e conservare parti- colari tipi di frutti (pomodori, sorbe, pere ecc.) che vengono raccolti ancora acerbi e fatti maturare lenta-

Foto 7- Cofano

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Foto 8- Camicia per un bottiglione.

Foto 9 - Fiscelle (cavagne) a forma ogivale.

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Foto I O- Aspo (matassaru), utensile per raccogliere il filato.

Foto 11-Graticcio (cannizzu) sul quale si fanno e siccare fichi, pomodori, mostarda e cotognata.

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Foto 12- Forcella (scocca) in cui sono alloggiati grappoli di pomodori.

mente in un posto ombroso (Foto 12). Per fabbricare detta forcella si ricavi un segmento (di circa 60 cm) da un culmo di Canna, robusto e di notevole diametro. In particolare si faccia in modo che una delle sue estremi- tà venga tagliata rasente ad un nodo. Dopo che, dalla estremità opposta, con l'accorto uso di un coltello, si stacchino due stretti listelli simmetrici, ricavandoli lungo le generatrici del cilindro, fino ad incontrare il suddetto nodo. In tal modo resatano sul posto i due lun- ghi rebbi della forcella; sulla punta dei quali si prati-

Foto 13 -Confezione a stella (cori) contenente fichi secchi (pas- suluna).

chino due fori coassiali attraverso cui si fa passare rafia o zzammara per consentire di tenere sospeso il tutto.

Occorre precisare come il termine dialettale scocca, oltre che per l'aggeggio appena citato, che è un manu- fatto, indica una condizione naturale: un grappolo di frutti sviluppatesi spontaneamente sullo stesso ramo.

5) Attrezzo (campanaru) a più strati, adatto ad appendere frutta (pomodori, uva, melograni) a maturazione inver- nale. Si ottiene fendendo longitudinalmente una canna in quattro parti ed avendo l'accortezza di lasciare inte- ra una delle due estremità; dopo che si collocano fra dette canne fesse alcuni cerchi dello stesso materiale in modo da distanziale fra loro; il che impartisce al tutto l'aspetto campanifonne.

6) In passato, nel territorio indagato, i fichi secchi interi (passuluna) o tagliati a metà ma tenuti insieme per il peduncolo (chiappe) erano oggetto di un fruttuoso commercio. Per rendere più allettante l'acquisto dei passuluna, venivano confezionati in originali telai di canne fesse: a fonna di stella (cori) (Foto 13) oppure nella cosiddetta "signurina" (Foto 14); quest'ultima a forma di X e sormontata da una testa di ragazza, rita- gliata da qualche rivista.

7) Il manicotto rigido destinato ad avvolgere il salume di carne magra (supprissata).

ILI Nel settore ludico-ricreativo la Canna serviva a costrui- re diversi oggetti adoperati come passatempi o come giocattoli.

I) Lo zufolo (jìscalettu o friscalettu) che si costruiva con un segmento di canna, lungo circa 30 cm, avente un'e-

Foto 14-Confezione a bambola ( "signurina ") contenente fichi secchi (passuluna).

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stremità tagliata a becco di flauto. Sul corpo della canna, vicino all'imboccatura, si praticava, con un col- tello, una finestrella rettangolare e, un po' oltre, con un ferro rovente, sei fori circolari, utilizzati per tasteggia- re sullo strumento. L'ancia dello zufolo, realizzata con il fusto della Ferula, era un cilindretto, tagliato anch'esso a becco di flauto, che veniva introdotto nella canna, a perfetta tenuta, eccetto che per una stretta banda superiore. Oggi, gli zufoli di canna sono prodot- ti in notevole quantità, non tanto per essere utilizzati quali strumenti musicali, bensì per essere venduti, nelle aree turistiche, come souvenirs.

2) Un altro strumento a fiato ottenuto dalla Canna era una sorta di trombetta (trummitta); la quale differisce dal zufolo perché composta da due elementi:l'uno somi- gliante al citato friscalettu, in quanto costituito da un cilindro cavo, opportunamente bucato per consentirne il tasteggio, e l'altro, dal diametro minore ed inserito, a perfetta tenuta, nel precedente per ottenere la modula- zione dei suoni. Su quest'ultima parte dello strumento, realizzata con un internodio chiuso nella parte prossi- male, si praticava una linguetta, con il taglio verso l'imboccatura dell'arnese. La trummitta aveva una maggiore estensione di suoni rispetto alfriscalettu.

3) La raganella (cicala) era un aggeggio che emetteva un suono monocorde (Fig. 3). Si realizzava da un interno- dio di canna aperto alle due estremità, una delle quali veniva tappata con un pezzo di vescica animale, secca, saldamente legata. Sul "tappo" si praticavano due buchi attraverso i quali si faceva passare una cordicel- la, ottenuta col pelo intrecciato della coda di mucca. La funicella si legava ad un bastoncino; impugnando que- st'ultimo e facendo ruotare velocemente la canna tap- pata, si generava un rumore che, in passato, era motivo di divertimento per i ragazzini.

4) L'aquilone (stidda); il classico giocattolo che un tempo si costruiva in casa, con la carta velina colorata, l'ami- do e due stecche di canna; delle quali, una, era lo sba- dacchio (quello incurvato ad arco per mezzo di un filo da cucito) e l'altra, il longherone (quello su cui si lega- va lo spago per manovrare il balocco). Oggi gli aquilo- ni sono venduti già bell'e fatti e sono in plastica.

5) La cerbottana (cannolu) per fare le battaglie con i nòc- cioli (ossa) del Bagolaro (Celtis australis). In autunno

Fig. 3 - Raganella (cicala), un aggeggio che emette un suono monocorde, ricavato da un internodo di canna

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questa pianta produce piccoli frutti neri avente nòccio- lo (endocarpo) durissimo e perfettamente sferico. In passato, i ragazzini ingaggiavano fra loro "violente bat- taglie" usando come proiettili i nuclei di questi frutti che espellevano per mezzo di una cerbottana ricavata da un lungo internodio di canna. La bravura nella costruzione della cerbottana consisteva nel trovare un internodio che avesse il lume perfettamente corrispon- dente al diametro del nòcciolo.

6) Con un segmento di culmo di Canna, lungo circa 60 cm, si realizzava un banalissimo giocattolo, chiamato scupittedda (schioppettino). Sulla canna si praticavano tre aperture: una circolare, le altre due (di circa 5 cm) di forma rettangolare e simmetriche rispetto all'asse del culmo (Fig. 4). Poi si preparavano due accessori; la molla ed il proiettile: la prima, ottenuta da un listello sottile di canna, il secondo dal rametto di una pianta qualsiasi. Un'estremità della molla si conficcava nel foro circolare, l'altra nelle due fessure giustapposte; un pezzetto d'essa sporgeva in fuori, costituendo il grillet- to. Per fare funzionare "l'arma" si metteva il proiettile nella porzione di canna fra le fessure e la molla, si por- tava il grilletto verso l'impugnatura e poi si faceva scattare la molla. Il proiettile partiva "a razzo".

[M] Per quanto strano possa sembrare, la Canna ha impie- ghi anche nella medicina popolare. Tagliando trasver- salmente una canna all'altezza dei nodi, si trova una leggera membrana bianca (velu); questa, in caso di necessità, si può usare per fare coagulare il sangue (stagghiari u sangu) poggiandola sulla ferita.

Comparazioni

L'uso artigianale e domestico è riportato a Mazara del Vallo (TP), nelle Madonie (PA), a Ustica e nelle Isole Egadi [LENTINI & al., 1988, 1990, 1994, 1997]. L'uso officinale: a Caltagirone, nel territorio etneo [BARBAGALLO & al., 1967, 1979 2004; ARCIDIACONO & al., 1999]; a Erice (TP), a Ustica e nelle Isole Egadi (LENTINI & al., 1991, 1994, 1997).

In diverse zone dell'Isola è segnalato anche l'uso ludico [NAPOLI, 2001], [ARCIDIACONO, 2001]

Asparagus acutifolius L.

Famiglia: Liliaceae

Fig. 4 - Lo schioppettino (scupittedda), un ingenuo giocattolo ottenuto dal culmo della Canna.

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Nome volgare: A parago pungente

Nome dialettale: Sparicera (pianta); sparaci, sparaci- bboni, sparaci manzi (turioni) (Alcara Li Fusi), Sparicera (pianta); sparaci (turioni) (Militello Rosmarino)

Forma biologica: geofita rizomatosa/nano fanerofita [El Le cime dei turioni, dapprima si sbollentano, poi si uti-

lizzano come condimento per le frittate. Esse sono par- ticolarmente gradite alla popolazione locale e frequen- temente commerciate.

[SI I) I lunghi tralci ervivano per ornare il presepe (prese- piu) dove erano po ti, a mo'di volta celeste, per deli- mitare l'intera cenografia. La scelta dell'Asparago pungente era dovuto al fatto che i suoi tralci hanno cla- dòdi che persistono a lungo, anche da secchi, e che conservano un bel colore verde. el presepe, sulla Sparicera, si mettevano dei batuffoli di cotone idrofilo, per simulare la neve.

2) Con gli stessi tralci, ma notevolmente ammassati, si realizzava un intricato supporto, sul quale infilare i fiori da porre alla ba e delle statue dei Santi.

Comparazioni

L'uso alimentare è noto nelle Madonie, ad Erice, a Ustica, nelle Isole Pelagie e Egadi [LENTINI & al., 1990, 1991, 1994, 1996, 1997]; allo Zingaro [RAIMONDO & al., 1998] e nel territorio etneo [ARCIDIACO o & al., 1994,2003). [ARCIDIACO O, 1998, 2004)

Usi officinali sono citati a Mistretta, Erice, Ustica, nelle Egadi [LE TrNJ & al., 1990, 1991, 1994, 1997], allo Zingaro [RAIMO DO & al., 1998] a Caltanissetta e sull'Etna [BARBAGALLO & al., 1970, 1979, 2004]. Un uso rituale, diverso da quello riportato in questa sede è stato riscontrato allo Zingaro [RAlMo DO & al., 1998].

Asphodeline lutea (L.) Rchb.

Famiglia: Liliaceae

Nome volgare: Asfodelo giallo

Nome dialettale: Làpiri (Alcara Li Fusi), non rilevato (Militello Rosmarino)

Forma biologica: geofita rizomatosa

[El Questa liliacea montana, produce dei getti (stadi inizia- li degli scapi fioriferi) che hanno impiego culinario, dopo e ser stati accuratamente desquamati dalle foglie avvolgenti. Essi si consumano arrostiti, oppure sbol- lentati per essere poi usati come condimento per le frit- tate.

Comparazioni

L'impiego alimentare è confermato nel palermitano [!LARDI & al., 1992], allo Zingaro [CusUMANO, 1993; RAIMO DO & al., 1998], nelle Madonie, nelle Pelagie [LENTINI & al. 1990, 1996] e nel territorio etneo (ARCJDLACO O, 1998; 2004, ARCIDLACO O & al., 1994, 1995, 2003]. Inoltre viene riportato un inusitato u o industriale (GATTO, 2004)

Asphodelus ramosus L.

Famiglia: Liliaceae

Nome volgare: Asfodelo, Porraccio

Nome dialettale: Purrazzu (Alcara Li Fusi), Purrazza (Militello Rosmarino)

Forma biologica: geofita rizomatosa

(E] ln pa ato, anche se poco diffusamente, la radice veni- va raccolta, ripulita, bollita a lungo e utilizzata in sosti- tuzione delle patate.

[V] Le radici tuberizzate sono utilizzate dai pastori come terapia improvvisata per le ferite che il bestiame, acci- dentalmente, si procura. A tal fine, sono ripulite, schiacciate fra due sassi e applicate sulla parte lesa, della quale determinerebbero la disinfezione e la cica- trizzazione.

(DI Lo capo fiorifero (jìllicedda) era adoperato per rica- vare i tappi per gli otri di pelle di capra (utri do vinu) che dovevano contenere il mosto.

[Al Le foglie essiccate erano usate come foraggio inverna- le per bovini ed ovini.

Comparazioni

L'azione disinfettante e cicatrizzante ulle ferite degli armenti è confermata allo Zingaro [CUSUMANO, 1993;

RAIMONDO & al., 1998], a Mistretta, a Ustica, nelle Isole Pelagie [LENTINI & al., 1990, 1995, 1996], a Caltanissetta [BARBAGALLO & al., 1970] e nel Catane e [BARBAGALLO &

al.,2004].

Atractylis gummifera L.

Famiglia: Asteraceae

Nome volgare: Masticogna laticifera

Nome dialettale: Masticogna (Alcara Li Fusi, Militello Ro marino)

Forma biologica: emicriptofita rosulata

[E) L'infiorescenza (un gro so capolino) si consuma, anche se raramente, cruda o bollita come quella del carciofo.

Siffatte notizie sulla edibilità della pianta, raccolte in loco, non ché un dato bilbliografico [LENTINI & al., 1990], contrastano con quanto riportato da diversi trat- tati di farmacologia; secondo i quali l'atractilina, pro- dotta dalla pianta, risulterebbe tossica per l 'uorno [CERUTI, 1993; GASTA DO, 1987).

[DI La resina presente fra le squame del capolino, era usata per sigillare i contenitori d'acqua che venivano a con- tatto con il fuoco. Tale resina, dopo essere stata prele- vata con un cucchiaino, era me a sopra una fiamma e portata alla fusione.

[L[ 1n passato, con la legnosa radice tuberizzata, opportu- namente agomata, venivano realizzati:

I) Una caratteristica trottola (strummula) molto in voga tra i giochi infantili di un tempo. Questa trottola pote- va es ere co truita anche col legno del Bagolaro (vedi Celtis australis) che, però, essendo duro, doveva esse- re faticosamente lavorato al tornio. A strummula di Masticogna era, quindi, più semplice da realizzare, ma si usurava molto più velocemente di quella di Bagolaro.

2) Scherzo i pupazzi scolpiti.

[Il Inoltre, dalla suddetta radice tuberizzata, si ricavavano grossolani bicchieri e, quando il suo diametro lo con- sentiva, anche piccole ciotole per gli alimenti.

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Comparazioni

Un uso topico del decotto della radice è noto allo Zingaro [CUSVMA o, 1993, RAIMONDO & al., 1998] a Mazara del Vallo e a Mistretta [LENTINI & al., 1988, 1990].

Notizie riguardanti un uso officinale per l'uomo, si hanno alla Piana di Catania [ATTAGUILE & al., 1978], a Caltagirone [BARBAGALLO & al., 1967], a Caltanissetta [BARBAGALLO &

al., 1970] e nel Catanese [BARBAGALLO & al., 2004].

La pianta, nel Palermitano, è adoperata per realizzare un attrezzo usato nella preparazione della ricotta [ILARDI & al., 1992] e come pània per uccelli, nel Calatino (CT) [BARBAGALLO & al., 1967).

Avena fatua L.

Famiglia: Poaceae

Nome volgare: Avena selvatica

Nome dialettale: Aina (Alcara Li Fusi, Militello Rosmarino)

Forma biologica: terofita scaposa

Ili Dopo esser stata falciata, l'intera pianta (foglie e scapi fioriferi) era posta ad essiccare, dopodichè si trebbiava (pisava) per ricavarne la paglia (crapu), adoperata per imbottire materassi, al posto del crine (clinu o crinu) della Palma nana (Zzammara). Quest'ultimo, infatti, era più costoso, non essendo prodotto in loco, ma acquistato, in matasse provenienti dalle zone in cui la pianta abbondava. E' da ricordare che, per imbottire i materassi si utilizzava anche a linazza, scarto della lavorazione del Lino (Linum usitatissimum).

ILI Con il culmo di questa pianta, i bambini realizzavano un crudele passatempo e un elementare strumento musicale:

I) Nel primo caso abbiamo il cosiddetto chiaccu, median- te il quale venivano catturate le inermi lucertole (lig- getti). Il "chiaccu" si otteneva e si usava nel seguente modo: eliminate le spighette, rimanva l'asse centrale della spiga; si manipolava allora la sua estremità più sottile in modo da ottenere un nodo scorsoio, realiz- zando così un attrezzo a cappio che andava impugnato nella estremità opposta del detto capestro. Fatto ciò si applicava un po' di saliva sull'arco di quest'ultimo (le lucertole ne sono ghiotte) e si poneva questa esca davanti ad un buco, dove s'era visto entrare l'animale;

quando esso sporgeva la testa per leccare la saliva, si tirava l'attrezzo e zac! La povera lucertola era presa.

2) Nel secondo caso si tagliava un internodio al di fuori dei nodi (membrana internodale inclusa) ottenendone un cilindretto cavo, ma con le estremità o-truite; su tale oggetto si praticava un taglio parziale (circa 2 cm) in lunghezza e si ricava così una sorta di pivetta (sampu- gna), la quale, portata in bocca, e soffiandovi dentro emetteva un suono monocorde. Una variante di questo strumento musicale si otteneva con lo stesso tipo di internodio, ma tagliandovi una semplice linguetta sulla superficie; questa variante è chiamata trummetta.

li termine dialettale sopra citato -"sampugna"- non può essere traslato con "zampogna"; che è tutt'altro stru- mento, e che, in vernacolo siciliano, è detto ciaramed- da.

[A1) Con i culmi, si realizzavano i legacci (liami) per lega- re i fascetti di fieno (frenu); questi legacci però erano 116

meno resistenti di quelli ottenuti dall 'Ampelodesmo (vedi Ampelodesmos mauritanicus).

[A2] La congenere A. barbata costituisce un ottimo foraggio (vena) per i ruminanti; la pianta viene anche falciata, dopodichè la paglia (poco nutriente) è separata dalle spighe che sono date in pasto ai cavalli.

Comparazioni

Allo Zingaro [RAIMONDO & al., 1998] e a Caltanissetta [BARBAGALLO & al., 1970] la pianta ha impieghi officinali.

La costruzione e l'uso di elementari strumenti a fiato si riscontra in altre parti dell'Isola [NAPOLI, 2001].

Beta vulgaris L.

Famiglia: Chenopodiaceae

Nome volgare: Bietola comune, Barba, Barbabietola Nome dialettale: Ggera menza-sarvaggia (Alcara Li Fusi),

Ggera (Militello Rosmarino)

Forma biologica: emicriptofita scaposa/terofita scapola [E] Nel territorio, la Bietola selvatica è considerata un'ot-

tima verdura commestibile: le sue foglie si lessano e si condiscono con olio e limone, oppure si utilizzano per insaporire le crispelle (spinci), al posto della ricotta o delle acciughe.

Comparazioni

Il noto uso alimentare è confermato a Sant' Angelo Muxaro (AG) [LENTINI, 1999], a Mistretta, a Ustica, nelle Isole Pelagie e Egadi, [LENTINI & al., 1990, 1994, 1996, 1997], allo Zingaro [RArMONDO & al., 1998], nel territorio etneo [ARCIDIACONO & al., 1994; ARCIDIACONO, 1998] e le Palermitano [GATTO, 2004]. Applicazioni medicinali si riscontrano alla Piana di Catania [ATTAGUILE & al., 1978]

nelle Isole Egadi [LENTINI & al., 1997] e allo Zingaro [RAIMONDO & al., 1998).

Borago officinalis L.

Famiglia: Boraginaceae Nome volgare: Borragine comune

Nome dialettale: Urraina, Bburraina (Alcara Li Fusi), Urraina (Militello Rosmarino)

Forma biologica: terofita scaposa

[E) Ha un largo uso alimentare, sia cotta, che cruda; nel primo caso si consuma dopo cottura in poca acqua; nel secondo, in insalata, condita con succo di limone che, al pari della cottura, ammoscia le setole rigide e pun- genti che rendono ispida la pianta.

[M) All'uso alimentare si associa una funzione officinale;

quella lenitiva per l'apparato digerente.

Comparazioni

Le proprietà alimentare e officinali sono note nella Piana di Catania [ATTAGUILE & al., 1978] a Caltagirone, a Caltanissetta [BARBAGALLO & al., 1967, 1970] a Mistretta, Erice, Ustica, nelle Isole Eolie, Pelagie ed Egadi [LENTINI &

al., 1990, 1991, 1994, 1995, 1996, 1997], a Pantelleria e a Bivona (AG) [CATANZARO, 1968, 1970], allo Zingaro [RAIMONDO & al., 1998] e nel territorio etneo [ARCIDIACONO

& al., 1994; 1999; ARCIDIACONO, 1998), [BARBAGALLO &

al., 2004].

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