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La vegetazione nelle aree archeologiche di Roma e della Campagna Romana

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Academic year: 2021

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Prefazione di Erika Pignatti

Roma entro e fuori le mura possiede una straordinaria e unica ricchezza di aree archeologiche di tempi remoti, che offrono un campo sterminato alla scienza e alla storia millenaria, senza trascurare le loro piante che riescono a crescere tra le rovine e i ruderi, formando nuclei di vegetazione del tutto peculiari. Le superfici sono vaste e gli itinerari da esplorare sono tanti. Ne abbiamo percorsi molti, cominciando nel lontano 1987 (il primissimo rilievo è stato scritto addirittura nel 1978!), con interruzioni, ripresi più volte fino al 2012, a Roma e nei dintorni, e ripensandoci, ora, ho quasi la sensazione di aver fatto un lungo pellegrinaggio attraverso spazi e tempi, dai Fori Imperiali al Palatino, al Quad. Bot. Amb. Appl., 20-2 (2009): 3-89.

La vegetazione nelle aree archeologiche di Roma e della Campagna Romana

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¹ Univ. Roma Tre, Dipartimento di Scienze, via G. Marconi 446 – 00146 Roma, fernando.lucchese@uniroma3.it

² Via Virgilio 17/1, 34134 Trieste, epignatti@gmail.com

abstract – Plant life within the archaeological areas of Rome and Campagna Romana (Roman countryside) – The study area

comprises urban and suburban parts of Rome and extends to the surrounding area, historically defined as Campagna Romana (Roman countryside), where a total of 52 archaeological areas have been identified. The archaeological areas occupy 642 hectares, taking into account the fact that parks and gardens throughout the city take up roughly 82,000 hectares, making Rome one of the greenest cities in Europe. As far as Rome’s environmental system is concerned (which includes parks and urban reserves), the archaeological areas provide protection or pockets of green, with semi-natural traces of plants and flora closely connected in an ecological network system, which also represents a significant element of environmental diversity. The research was carried out using an urban ecology approach, with reference to ecological network issues, the globalization and simplification of vegetation, and protection.

The surveys were carried out using the Braun-Blanquet phytosociological method, which made it possible to distin- guish the four main types of vegetation growing on the substratum base, the anthropic impact and the physiognomy:

1) ruderal nitrophilous vegetation: fields, overgrown and abandoned areas (e.g. Vulpio-Dasypyretum and Silybo-Ur- ticetum); 2) vegetation that is likely to be trampled on: floors, paths and roads (e.g. Bryo-Saginetum); 3) herbaceous vegetation growing on walls: vertical wall faces, dry or damp, and on the tops of walls (e.g. Conocephalo-Adiantetum, Cymbalario-Parietarietum, Teucrio-Micromerietum); 4) shrubby and arboreal vegetation: arboreal nuclei and small shrubs growing in peri-urban areas and on masonry that has not been cleaned (e.g. settlements in Quercus ilex, Lau- rus nobilis with occasional elements of Mediterranean scrub).

All the vegetation has been described using phytosociological tables with 25 different types of vegetation (248 exam- ples), including eight local communities and two new associations which have been recorded for the first time, whose relative syntaxonomic system is reported.

.

Key words: vegetation, archaeological areas, biodiversity, urban ecology.

Colosseo, alla Domus Aurea, alle Terme di Caracalla, al Circo Massimo, agli Acquedotti, lungo le Mura Aureliane e Porta Maggiore, alle Ville Imperiali e Patrizie, dalla Via Appia a Ostia Antica, al Tuscolo, al Torraccio, alla fonte della Ninfa Egeria, alla Caffarella, nella Campagna Romana.

Ad ogni passo mi sembrava che i miei piedi toccassero la storia di millenni, ripercorrendo il cammino di generazioni che lì erano nate, vissute e passate … e avevo l’impressione di sfiorare un terreno sacro, impregnato di tanta storia, di tante vite umane. Passi e pensieri si muovevano con grande reverenza nei luoghi dove si è svolta la storia della Città Eterna.

„ Das Alte stürzt, es ändert sich die Zeit und neues Leben spriesst aus den Ruinen.”

Friedrich Schiller in „Wilhelm Tell“

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Lo scopo principale degli autori era di vedere come le piante riescono ad insediarsi a partire da stadi iniziali puntiformi fino a formare un insieme di specie inquadrabili in associazioni vegetali o frammenti di esse. I risultati furono per noi sorprendenti e ancora una volta è emersa l’eccezionale biodiversità in un contesto urbano ed extraurbano, dove l’uomo da millenni ha costruito, demolito e costruito ancora, plasmando il volto odierno di Roma.

In questo ambiente la vita delle piante è sottoposta al ritmo alterno di costruzioni e demolizioni secondo le necessità dell‘uomo, il cui scopo è stato, principalmente, sfruttare lo spazio disponibile, spesso senza rispetto per l’equilibrio naturale. Ma le piante, anche quando viene distrutto il loro habitat naturale, sovente riescono di nuovo a germogliare e crescere appena si presenta il terreno adatto per un seme o dove un muro si sgretola formando un minimo di detrito.

In genere, le piante nelle zone archeologiche sono ospiti indesiderati e quindi periodicamente vengono usati mezzi meccanici e chimici per eliminarle ed evitare danneggiamenti ulteriori ai ruderi da conservare. Ciononostante e per fortuna, a soddisfare lo sguardo ci sono vaste zone archeologiche il cui grande fascino e la bellezza estetica consistono anche nel connubio tra monumenti storici e vegetazione. Ostia Antica ne è un esempio luminoso dove in un intreccio tra costruzioni antiche, mosaici e statue si entra dall’affollato Decumanus Maximus in una serie di vialetti e meandri a destra e sinistra delineati da piccoli arbusti e alberi e ci si trova in un´atmosfera di ristoro e pace, tra muretti ricoperti dal fitto fogliame sempreverde dell´edera.

Le nostre escursioni e peregrinazioni hanno preso in considerazione i vari aspetti delle aree archeologiche, quali Ville Imperiali e Patrizie, Terme e Grandi Monumenti, Acquedotti, Mura storiche, Parchi archeologici, dove abbiamo avuto il modo di osservare una grande eterogeneità floristica e vegetazionale sotto forma di aggruppamenti, frammenti di comunità, ma anche vere e proprie comunità, associazioni vegetali relativamente stabili.

La storia dei siti archeologici spazia dall’Età Etrusca a quella Romana e Medioevale. Essa è descritta in tante opere di antiquaria che servono come riferimento: non é certo questo il luogo per dilungarci sulla storia di templi, terme, strade, palazzi e necropoli. Anche alle tipologie, all’architettura ed ai materiali sui quali le piante si inseriscono e crescono, si può fare solo un rapido cenno, perché esistono opere autorevoli che trattano la provenienza di mattoni, marmi, laterizi, tufi e malte, pozzolane, basalti e graniti.

Lo sguardo sulla flora e vegetazione invita l’osservatore attento a ripercorrere con il cuore e la mente i nostri itinerari archeologico-botanici, a gioire dei boschetti di alloro e altre specie mediterranee, di piccole piante che tollerano il calpestio, a immaginare che altre prossimamente saranno invece destinate a essere distrutte da diserbanti, da falci e zappe, ma anche in questi casi la vita vegetale tornerà a germogliare nuovamente attorno e sopra le rovine nell’eterno dinamismo tra morte e vita delle piante.

Invito il lettore ad aprire il libro di Michael ende

(1972) e a leggere l’inizio della storia di Momo, una piccola orfanella che viveva proprio tra i ruderi e rovi di un antico anfiteatro alla periferia di una grande città, come ad es.

Roma e l´anfiteatro di Tuscolo sopra Frascati. Infatti, il Tuscolano era l´area dove nel tardo periodo repubblicano le grandi famiglie romane edificavano ville splendide perché qui si godeva una stupenda posizione e un clima migliore

di quello di Roma. Basta pensare a Cicerone che solo qui si sentiva felice e che proprio da Tuscolo fece il suo tentativo di fuga in extremis quando, abbandonato da Ottaviano, capì che per lui era finita. Ecco il primo paragrafo di “Momo”:

“Tanto, tanto tempo fa, quando gli uomini parlavano ancora in lingue molto diverse, nei paesi con climi più caldi c´erano già citta´ grandi e meravigliose. Là sorgevano palazzi di re e di imperatori, c´ erano strade larghe, vicoli stretti e calli tortuose, c´erano templi magnifici con statue di dei d´oro e di marmo, c´erano mercati variopinti dove si vendevano merci provenienti da tutti i paesi del mondo, e piazze ampie e belle, dove la gente si riuniva per discutere le ultime novità e per fare o ascoltare discorsi. E soprattutto c´erano grandi teatri ….” (traduzione di Laura Pignatti).

Il brano dello scrittore tedesco dipinge con parole eloquenti il quadro della Città di Roma, come si presentava duemila anni fa, un quadro immaginario e vivo nella nostra mente, del quale rimangono soltanto le zone archeologiche da noi percorse e nelle quali continua il tentativo, da parte delle piante di tornare a impadronirsi di spazi e tracce di terriccio lasciati liberi.

1. INTRODuzIONE

L’idea di esplorare le zone archeologiche nasce da un grande interesse degli autori sia per il fascino che esercitano questi ambienti particolari dal punto di vista storico sotto l’influenza di una cultura classica vissuta fin dalla scuola per il primo autore (F. L.), vissuto nella Città Eterna, ancora prima di essere preso dalla botanica; non meno intenso l’interesse della coautrice (E.P.) che viene da un paese di lingua tedesca e viene in contatto con la Roma archeologica appena da adulta, ben conscia dei tanti visitatori famosi, storici, scrittori e poeti (Goethe, Shelley, Chateaubriand, Stendhal, Gregorovius, etc.) partiti da paesi nordici quasi per un ritorno alle origini della cultura europea che pervadono in profondità questi ambienti impregnati di storia millenaria.

un bel giorno, tornati da una lunga spedizione nell’outback australiano, decidemmo di continuare a collaborare e, su un suggerimento del marito Sandro Pignatti che fu accolto subito con grande entusiasmo, pensammo di esplorare le zone archeologiche, per conoscere le piante che in esse crescono o meglio riescono a crescere, senza trascurare anzi cogliendo l’occasione di approfondire la storia di questi luoghi affascinanti. Dagli anni precedenti vari laureandi di Sandro Pignatti si erano occupati con tesi e gruppi di lavoro del verde e delle piante di Roma; con particolare interesse E. P. accompagnò varie volte una sua laureanda durante lo svolgimento della sua tesi a Ostia Antica (GioMi Visentin &

PiGnatti, 1989). Da una di queste escursioni viene riportato un rilievo del lontano 1978. Dal 1987 in poi cominciano i pellegrinaggi di esplorazione dei due autori di questa pubblicazione, “cum tempore”, perché l’insegnamento a Trieste allontanava E. P. da Roma. Incoraggiati da Sandro Pignatti, approfittammo di ogni mattina libera per uscire e scoprimmo così ogni volta il fascino particolare che le aree archeologiche di Roma emanano sul visitatore, anche su di noi, avendo ora un particolare sguardo sulla vegetazione.

Ci interessavano non tanto le singole specie incontrate, che si ripetevano del resto spesso in maniera monotona, quanto soprattutto le strategie ecologiche con cui esse si raggruppano e forse, cosa che scoprimmo ben presto, come

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si associano, formando addirittura comunità vere e proprie.

Le nostre peregrinazioni si sono svolte durante un arco lungo, talvolta con lunghe interruzioni, per una ventina di anni, poi seguì una fase quiescente durante la quale tutto rimase in un cassetto, appunti e rilievi. Intanto anche altri avevano cominciato ad interessarsi a questi problemi come Fanelli e Caneva e in seguito ci decidemmo (anche per rendere fruibile il frutto del nostro lavoro) a riprendere ed elaborare il materiale e pubblicarlo. Nel frattempo erano già estese le ricerche floristiche di F. L. su tutta la zona di Roma e varie province del Lazio e Italia meridionale, ma senza mai trascurare la biodiversità e ricchezza della flora di Roma non meno affascinante di tanti territori selvaggi dell’Appennino.

Con le ultime escursioni più recenti il lavoro si è arricchito e si è completato con rilievi e una documentazione fotografica, non solo dei grandi monumenti presi da lontano con il grandangolo, ma anche di tanti particolari che si rivelavano di volta in volta vere sorprese. Nel frattempo, anche il progresso delle tecniche di analisi statistica e delle possibilità cartografiche mediante GIS, a cui ci si è dovuti sempre aggiornare, ha permesso di affrontare una elaborazione scientifica di dati e approfondimenti per quello che riguarda il clima, la geologia, il substrato, i materiali lapidei e la flora.

Presentiamo qui al lettore in primis la vegetazione di 52 aree archeologiche sia con uno sguardo spaziale dal centro alla perferia sia con quello temporale diacronico tra il passato e il presente durante gli ultimi 30 anni. Ma come si suol dire che una vita non basta per conoscere a fondo la Città Eterna, forse non bastano nemmeno 30 anni per le 52 aree esplorate, consci dell’eterno mutare e dei pericoli a cui le loro piante sono esposte da parte dell’uomo. A questo ciclo che governa la vita delle piante sui monumenti si addicono molto bene le parole di Friedrich Schiller: “ quello che è vecchio cade, il tempo cambia e vita nuova germoglia dalle rovine”.

Fin dall’inizio del lavoro gli autori vogliono ringraziare sinceramente Sandro Pignatti per la lettura critica dei testi, lo svolgimento della parte editoriale e il costante incoraggiamento durante i nostri lavori.

2. AREA DI STUDIO ilterritorio

La città di Roma, come unità amministrativa comunale, ha una superficie di 1.285 km² di cui 1050 km² pertinenti alla campagna con una popolazione di 2.770.000 ab. e costituisce una delle più grandi unità urbanistiche d’Europa;

come suddivisione toponomastica, l’abitato è suddiviso in 22 rioni compresi entro le Mura Aureliane (perimetro 19 km) e al di fuori di queste in 35 quartieri e 6 suburbi, oltre a 53 zone dell’Agro Romano. Rispetto al Grande Raccordo Anulare (GRA) che si sviluppa con un perimetro di 68 km l’area romana può essere distinta in una parte interna e una parte esterna periferica, in cui vengono comprese le nuove periferie urbane di recente costruzione (spesso si tratta delle cosiddette “borgate”). Rispetto alle Mura Aureliane si può distinguere una parte centrale interna, il “centro storico”, corrispondente all’antico centro latino-rinascimentale, da una parte più periferica corrispondente all’espansione urbanistica di fine ‘800 (Roma “Umbertina”) e dei seguenti anni fino a circa il 1960, il periodo della grande cementificazione.

Le aree archeologiche romane si situano in questi tre settori (centro storico, area esterna, area periferica) utilizzati come riferimento cartografico, con una concentrazione nella parte centrale, mentre verso la periferia si distribuiscono lungo alcune direzioni viarie principali: la via Tuscolana per Tuscolo, la via Tiburtina per Villa Adriana, la via Flaminia per la Villa di Livia, la via Tiberina per Lucus Feroniae, la via Ostiense per Ostia Antica; in corrispondenza di queste aree si ritrovano resti archeologici più isolati come l’area di Gabii (via Prenestina), la Villa di Quintilio Varo (via Tiburtina), il Torraccio (via Tuscolana) e numerosi altri.

Rispetto alla distanza dal centro dell’antica area delimitata dalle Mura Serviane (perimetro di 11 km), posta nel Velabro (Foto 1) e alla successive perimetrazioni, si sono distinte 16 aree interne alle Mura Aureliane (IN), 17 aree esterne a queste ultime (EX) e 19 aree periferiche (EXT) al di fuori del GRA (Fig. 1; Tab. 1).

un ulteriore criterio di distinzione è stato quello di considerare la presenza di una più o meno grande superficie estesa attorno ai monumenti e ai ruderi; sono state così distinte 25 aree (M= “Monumenti”) in cui l’area circostante risulta molto ridotta o inesistente (ad es. Colosseo, Castel S.

Angelo) e 27 aree (V= “Verdi”) in cui al contrario attorno ai monumenti si estende una vasta area in genere occupata da prati e vegetazione di vario tipo (ad es. Villa Adriana, Ostia Antica). Anche nelle aree “Verdi” più estese i rilevamenti della flora e della vegetazione sono stati effettuati sempre nelle zone limitrofe ai ruderi, escludendo le parti più lontane non interessate dalla presenza dei ruderi stessi; per questo motivo non è stato possibile misurare l’esatta area rilevata e si è evitato di considerare la semplice superficie totale delimitata dalla recinzione, così come viene riportata nelle mappe ufficiali; esempi di questi casi sono Villa Adriana (Foto 2), Lucus Feroniae, Ostia Antica, etc.. Anche nel caso dell’Appia Antica e delle rovine di Tuscolo, la Villa di Quintilio Varo, Mausoleo di Celsa (Foto 3), il Tempio di Giunone Sospita, così come per le Mura Aureliane, non è stato possibile calcolare una estensione precisa della superficie effettivamente esplorata. Anche per i singoli monumenti più grandi, quali Colosseo, Castel S. Angelo, etc., ma anche per quelli più piccoli, si è ritenuto insufficiente tener conto della sola estensione orizzontale per edifici che si sviluppano significativamente anche in altezza.

Complessivamente, il numero delle aree archeologiche indagate ammonta a 52 aree; sono state escluse quelle aree che sono risultate, al momento dello studio, prive o quasi di vegetazione per vari motivi (ad es. obelischi, Colonna Traiana, Pantheon, area sacra di Torre Argentina); per quanto riguarda il Foro Romano e i Fori Imperiali, sono stati considerati entrambi come un’unica area, vista la loro stretta contiguità, e indicati come Fori Romani Imperiali o per brevità “Fori”. Anche per la stretta vicinanza con l’area dei Fori non si è tenuto conto del Circo Massimo, del resto ormai occupato per la maggior parte da un prato che non ha nulla a che vedere con i pochi resti rimasti.

areearcheoloGiche, PaesaGGioedecoloGiaurbana L’interesse per lo studio della flora e della vegetazione delle aree archeologiche può essere inquadrato nell’ambito più generale della ecologia urbana, che ormai da circa trent’anni vanta in Italia numerose ricerche condotte in

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Tab. 1. Numerazione (1-52), tipologie ambientali (V,M), localizzazione (IN,EX, EXT) delle aree archeologiche e loro distanze (km) dal centro del Velabro.

LOCALITA’ A B km LOCALITA’ A B km

1. Caffarella I (Vaccareccia, Via Appia) V EX 4.3 27. Villa dei Sette Bassi (Via Appia) V EX 9.3 2. Castel S. Angelo M IN 2.1 28. Villa di Livia (Via Flaminia) V EXT 12.4 3. Castello di Giulio II (Ostia Antica) M EXT 21.0 29. Monte Testaccio (Ostiense) V EX 1.6

4. Maus. di Cecilia Metella M EX 5.2 30. Piramide M IN 1.4

5. Circo di Massenzio V EX 5.1 31. Torraccio di Via Appia Nuova M EXT 18.3 6. Colosseo M IN 0.9 32. Via Appia Antica (Casal Rotondo) V EX 9.7 7. Domus Aurea V IN 1.3 33. Tempio della Tosse (Tivoli) M EXT 26.7 8. Fori Romani Imperiali V IN 0.6 34. Sepolcro dei Plauzi (Tivoli) M EXT 24.3 9. Tempio di Giunone (Gabii) V EXT 19.4 35. Sepolcri di S. Paolo (Ostiense) V EX 3.2 10. Lucus Feroniae (Via Tiberina) V EXT 28.2 36. Acquedotto Alessandrino V EX 5.2 11. Mausoleo d'Augusto M IN 1.9 37. Villa di Quintilio Varo (Tivoli) V EXT 27.2 12. Monte del Grano (Porta Furba) V EX 6.2 38. Mausoleo di S. Elena (Via Casilina) M EX 5.7 13. Mura Aureliane (P. S. Sebastiano) M IN 2.4 39. Torre Spaccata (Via Casilina) M EX 7.6 14. Caffarella II (Ninfeo d'Egeria) V EX 4.8 40. Villa di Faonte (Bufalotta) M EX 8.4 15. Ostia Antica V EXT 22.2 41. Maus. Elio Callisto (Nomentano) M EX 5.5

16. Palatino V IN 0.4 42. Maus. presso Ponte Nomentano M EX 6.7

17. Parco degli Acquedotti V EX 7.2 43. Maus. Lucilio Peto (Via Salaria) M EX 3.1 18. Porta Maggiore M IN 2.8 44. Tempio Giunone Sospita (Lanuvio) V EXT 29.6 19. Terme di Caracalla V IN 1.4 45. Necropoli di Porto (Fiumicino) V EXT 22.5 20. Tombe Latine (Via Latina) V EX 5.3 46. Porto di Traiano (Fiumicino) V EXT 22.0 21. Torrione Prenestino M EX 4.0 47. Torre Boacciana (Fiumicino) M EXT 22.8 22. Tuscolo (Frascati, Castelli Romani) V EXT 21.5 48. Torre S. Michele (Fiumicino) V EXT 25.0 23. Villa Adriana (Tivoli) V EXT 25.0 49. Torre S. Biagio (Mentana) M EXT 17.7 24. Villa Celimontana (Clivus Scauri) V IN 1.2 50. Maus. Torricella (Mentana) M EXT 18.1 25. Villa dei Gordiani V EX 6.2 51. Acquedotto Anio Novus (Tivoli) M EXT 30.6 26. Villa dei Quintili V EX 9.0 52. Mausoleo di Celsa (Via Flaminia) V EX 11.7

Fig. 1. Localizzazione delle aree archeologiche rispetto alle Mura Aureliane e Grande Raccordo Anulare (GRA). Le aree protette sono in verde; la numerazione segue quella riportata nella tab. 1.

M - Monumenti; V - Aree “Verdi”; IN - Aree entro le Mura Aureliane; EX - Area urbana tra Mura Aureliane e GRA;

EXT - Aree suburbane (Campagna Romana).

Tab. 1. Numerazione (1-52), tipologie ambientali (V,M), localizzazione (IN,EX, EXT) delle aree archeologiche e loro distanze (km) dal centro del Velabro. M - Monumenti; V - Aree “Verdi”; IN - Aree entro le Mura Aureliane; EX - Area urbana tra Mura Aureliane e GRA; EXT - Aree suburbane (Campagna Romana).

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diverse città italiane, tra cui soprattutto Roma (ciGnini &

al., 1995). E’ stato merito di S. Pignatti di aver introdotto questo tema in Italia fin dal 1982 (PiGnatti & federici, 1992), quando già in Germania essa si era affermata nei vari livelli scientifici ed amministrativi (sukoPP & al., 1973;

sukoPP & Werner, 1983; Gödde & al., 1982-’83; aey, 1990;

brandes, 1995; kühn & klotz, 2006; Pyśek, 1993; sukoPP, 2002, 2003; WittiG, 1989, 2004; Muraret & al., 2008).

In particolare, per Roma l’interesse per le aree ruderali e archeologiche romane risale a molti anni fa (cortesi & senni, 1896; cacciato, 1956), mentre per altre città ricordiamo gli esempi più recenti di Camerino (hruska, 1982; hruska, 1985) e Cagliari (bocchieri & Mulas, 1983).

In epoca preistorica il territorio dove attualmente si estende la città di Roma era in gran parte coperto da vegetazione boschiva, con prevalenza di sempreverdi (leccio, alloro) o altrimenti di querce caducifoglie.

un intenso disboscamento inizia già in epoca repubblicana, allo scopo di permettere lo sfruttamento agrario

dei fertilissimi suoli forestali (Incedunt arbusta per alta, securibus caedunt, percellunt magnas quercus, exciditur ilex, fraxinus frangitur atque abies consternitur alta, pinus proceras pervortunt: omne sonabat / arbustum fremitu silvai frondosai, Macrob. Sat. 6, 2, 27). Successivamente, si estende il latifondo in mano alla classe senatoriale per l’allevamento del bestiame (Cedes coemptis saltibus et domo

… Horat. Carm. II, 3: 17) e la Campagna Romana durante il periodo imperiale si spopola: alla lunga ciò porterà ad una intensa erosione che favorirà tra l’altro l’insabbiamento del porto di Ostia e causerà l’impoverimento della campagna.

All’inizio Roma poteva contare sullo sfruttamento delle risorse locali, più tardi invece sarà dipendente dalle importazioni dalle aree dell’Impero, sia per le materie prime che per i rifornimenti alimentari, e questo solleverà problemi sociali a causa del progressivo aumento della popolazione. Con la decadenza dell’Impero inizia anche una fase di riutilizzazione e trasformazione dei materiali edilizi (anche per colpa dei ripetuti crolli, vendite e incendi che Foto 1. Arco quadrifronte di Giano al Velabro, area ricca di paludi presso cui, sulla riva del Tevere,

secondo la tradizione, si fermò la cesta con Romolo e Remo. “Qua Velabra suo stagnabant flumine, quaque/Nauta per urbanas velificabat aquas”. Prop., Eleg. IV, 9: 5.

Foto 2. Villa Adriana e con il Serapeo e il Canopo. Foto 3. Mausoleo di Celsa quasi a precipizio sulla via Flaminia.

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affliggono la Roma antica, come racconta Strabone, Libro V: 7: “chi compra le case le demolisce per ricostruirle”) che continueranno ancora più intense nella Roma dei Papi, anche per una deliberata volontà di cancellare i segni dell’epoca pagana (Paolo III distruggerà i preziosi Fasti e Sisto V demolirà lo spettacolare Septizodium per riutilizzarne i materiali). Questa continua attività di distruzione e riutilizzazione porta alla formazione dei suoli delle aree archeologiche che appaiono come un accumulo continuo di discariche e di materiali di riporto per colmare, spianare o rialzare le superfici dove costruire nuovi edifici. Ad esempio, la Domus Traianea si sviluppa su quella Neroniana oppure i Mercati di Traiano sono costruiti tagliando il colle del Quirinale, come si legge sulla Colonna Traiana (ad declarandam quantae altitudinis mons et locus tantis operibus sit egestu), mentre già Nerone aveva profondamente mutato l’area tra il Colle Oppio e il Palatino per costruire la Domus Aurea. In tempi molto più recenti basta ricordare la demolizione della Velia tra Oppio e Palatino per il discusso ampliamento della Via dei Fori Imperiali. Per concludere, si potrebbe dire che Roma sia cresciuta nel corso dei secoli mediante un continuo accumulo di materiali di scarto. Tale attività di colmata che perdura fino ai nostri giorni è oggi documentata dalla posizione al di sotto del piano stradale di famosi monumenti, quali la Piramide Cestia (Foto 4) o la Colonna Traiana.

un esempio famoso relativo all’attività di trasformazione del suolo è dato dal Monte Testaccio (Foto 5), luogo di raccolta dei cocci (testa) delle anfore olearie provenienti dalla Spagna, mentre meno nota è l’origine simile per un altro accumulo di discariche che diventerà Monte Citorio (Mons Acceptorius).

Queste trasformazioni attualmente si sono spostate dal centro verso la periferia, dove hanno cambiato l’aspetto di quella Campagna Romana, ormai condannata alla cementificazione (celesti & fanelli, 1993), di cui fra poco rimarrà solo l’eco dei viaggiatori del Grand Tour: “Niente è paragonabile per bellezza alle linee dell’orizzonte romano, al dolce declivio dei piani ai contorni soavi e fuggenti dei monti che lo compiono. Spesso le valli nella campagna prendono forma di un’arena, d’un circo, d’un ippodromo; i poggi sono tagliati a terrapieni come se la mano possente dei romani avesse sconvolto tutta questa terra” (Chateaubriand, Lettre à M. de Fontanes sur la campagne romaine, 1804);

saranno anche un ricordo i quadri dei pittori della Scuola Pittorica Romana di Campagna, che ci hanno lasciato anche

la testimonianza delle sofferenze della povera gente in un ambiente ostile. Per rendersi conto più realisticamente di quella che era la Campagna Romana agli inizi del 1900 si possono leggere le descrizioni sullo sfondo dei monumenti che ne fa il lanciani (1901a-b, 1909), testimone anche di quella distruzione delle ville romane, il cui lucro tra l’altro portò alla costruzione del quartiere Ludovisi (“auri sacra fames” cfr. T. Ashby). A questo punto non possiamo non accennare al significato che possono avere le rovine nel vasto paesaggio della Campagna Romana o nel contesto urbano di Roma, anche rispetto alla presenza delle piante e della vegetazione.

Le rovine hanno suscitato nelle varie epoche sentimenti e riflessioni diverse, dal giudizio morale sulla fragilità e vanità delle cose umane (già espresso nel Petrarca), alla tensione umana verso l’eternità, al senso estetico del pittoresco come percezione del paesaggio, alla poetica delle rovine di Diderot che vede le rovine stesse come una trasformazione del tempo simile a quella della natura, alla estetica del sublime (lo smarrimento dello spirito nella natura), all’estetica del Pittoresco che vede nelle rovine l’irregolarità delle linee rivestite da edera e muschio, ai sentimenti tra loro sovrapposti della nostalgia, della melanconia, della perdita irrimediabile del tempo come della sua eternità, della rovina come metafora di una coscienza morale perduta (in Proust e nell’Espressionismo), attraverso la letteratura e l’arte del Cinquecento (Rinascimento, percezione delle rovine come rinascita della grandezza di Roma), del Seicento (paesaggi idilliaci dell’Arcadia), del Settecento (Neoclassicismo) e dell’Ottocento (Foscolo e il Romanticismo) fino a vedere in tempi recenti nella rovina l’espressione della lotta tra la cultura umana (l’edificio e il progetto) e la natura rispetto alle quali la rovina assume un nuovo significato, ovvero diviene opera della natura (siMMel, 1911).

Per spiegare meglio il significato dato da Simmel alla rovina e il rapporto di questa con il paesaggio, riportiamo quanto detto da sPeroni (2002): “Ora la rovina è il compimento del progetto architettonico proprio perché consente di vedere l’artificialità della sua apparente naturalezza e nello stesso tempo consente di sperimentare l’estrema naturalezza dell’artificio costituito dall’impatto di architettura e natura:

“… la rovina” – scrive Simmel – “si inserisce in maniera unitaria nel paesaggio circostante, aderendovi come l’albero e il sasso, mentre il palazzo, la villa e financo la casa colonica, anche dove meglio si adeguino all’atmosfera del loro paesaggio, discendono sempre da un altro ordine di

Foto 4. Piramide Cestia a Porta San Paolo, attualmente la base del

mausoleo si trova a 5 metri al di sotto del piano stradale. Foto 5. Monte Testaccio, la collina formata dall’accumulo di cocci e colonizzata nel tempo da una interessante vegetazione.

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cose e si accordano con quello della natura soltanto come a posteriori”.

Se di fronte alle rovine di Roma pensiamo di vedere le piante come una presenza superflua, un tale atteggiamento, come sottolineato da caniGlia (2005-’06), viene capovolto nell’Adonais di Percy Bysshe Shelley, in cui le piante sono il grande scenario che abbraccia le rovine: “Su, vai a Roma che è insieme il paradiso, la tomba, la città e il deserto; e passa dove le rovine s’ergono come montagne frantumate, e le gramigne fiorenti e le piccole selve profumate vestono l’ossa nude della desolazione, finché lo spirito del luogo guiderà i tuoi passi a un declivio il cui accesso è verdeggiante, dove come il sorriso di un bambino fra l’erba sopra i morti si distende una luce di fiori sorridenti…”

Rispetto al substrato geologico e litologico le aree archeologiche qui studiate si possono riunire in tre gruppi:

a) siti su depositi vulcanici (tutti i siti dell’area romana, Lanuvio, Via Appia Antica, Tuscolo, Villa Adriana);

b) siti su depositi alluvionali sabbiosi (area ostiense e Ostia Antica, Castel Sant’Angelo, Lucus Feroniae);

c) siti su substrati calcarei (Villa di Quintilio Varo e Tempio della Tosse presso Tivoli).

Tale classificazione risulta importante solo per le aree più vaste (aree definite “Verdi”, V), dove la vegetazione ha un effettivo rapporto con il suolo, mentre per i grandi monumenti come il Colosseo o Castel Sant’Angelo (aree definite “Monumenti”, M) il suolo su cui essi giacciono è praticamente ininfluente; in tutti i casi è molto più importante la composizione delle rocce, ovvero l’origine dei materiali lapidei di cui sono fatti i ruderi, che influenza soprattutto il pH. Così avremo specie acidofile più legate ai suoli vulcanici (lave e pozzolane) e specie basifile più legate ai suoli carbonatici (calcari e travertini), ma tale relazione può essere meno importante rispetto alla presenza della malta, il cui pH elevato in genere favorisce le specie basifile. Infine, non è da trascurare l’importanza della geologia e litologia dei suoli dell’area romana per la formazione di falde freatiche, da cui tramite capillarità l’umidità risale lungo le murature verso le parti più elevate. Per questo, è interessante sottolineare la concentrazione di grandi aree archeologiche proprio in

corrispondenza di una falda freatica molto ricca, quali Ostia Antica presso la foce del Tevere, il Colosseo e i Fori dove si ricorda la palude Curzia non lontana dai rostra (Iuxta Curtii lacum trepidatione ferentium Galba proiectus… Tac., Hist.

I: 41, 5) e il suo drenaggio grazie alla Cloaca Maxima, il Circo Massimo sull’umida valle Murcia, la stessa Via Sacra come strada di fondovalle, Castel Sant’Angelo a ridosso del Tevere; in tutte queste aree si osservano a pochi metri di profondità pozzi e canali pieni di acqua dove potevano penetrare addirittura pesci dal Tevere (…aut glacie aspersus maculis Tiberinus et ipse / vernula riparum, pinguis torrente cloaca / et solitus mediae cryptam penetrare Suburae”, Giov. 5, 104-106) e, al proposito, come curiosità poco nota, riportiamo la presenza attuale di una abbondante colonia di granchi d’acqua dolce proprio in queste cavità sotto il Foro di Traiano, oggetto anche di recenti studi (si racconta come durante l’ultima guerra questi crostacei abbiano anche aiutato qualcuno a integrare la dieta).

Di fronte all’avanzata urbanizzazione e consumo di territorio nelle città, le zone archeologiche rappresentano fortunatamente aree di protezione per i vincoli posti sopra di esse da parte dello Stato tramite le Sovrintendenze Archeologiche, ma, nonostante le finalità di queste istituzioni non siano indirizzate direttamente alla protezione della vegetazione, si registra comunque negli ultimi tempi una maggiore presa di coscienza verso i problemi del paesaggio e del verde compatibile per queste aree. D’altra parte anche le Sovrintendenze hanno i loro problemi, come risulta dalle cronache sempre attuali riguardo alle minacce di lottizzazione attorno ai siti archeologici (aviditas aedificandi, cfr. A. La Regina), come Veio, Villa di Livia e Villa Adriana, mentre altre aree sono state private di qualsiasi zona limitrofa di rispetto paesistico e sono ormai circondate dall’edilizia più scadente (Foto 6, 7).

I siti archeologici possono essere distinti in due tipologie:

1) “area archeologica” come definita dal T.U. 490/1991 (art.

99, comma 2 lett. b) in quanto “sito su cui insistono i resti di un insieme edilizio orginariamente concluso per funzione e destinazione d’uso complessiva”; 2) “parco archeologico”

come definito dal T.U. 490/1991 (art. 99 comma 2 lett. c) in quanto “un ambito territoriale caratterizzato da importanti Foto 6. Il cosiddetto Torrione Prenestino, un grande mausoleo di

età augustea stretto tra la via Prenestina e gli abitati del quartiere. Foto 7. Il mausoleo dei Plauzi presso Ponte Lucano sull’Aniene, circondato dal degrado, tra i 100 monumenti al mondo a rischio di scomparsa. “Febbre, m’ascolta. Gli uomini novelli / quinci respingi e lor picciole cose.” (Carducci, Odi Barbare, Dinanzi alle Terme di Caracalla).

(8)

evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, attrezzato come museo all’aperto in modo da facilitarne la lettura attraverso itinerari ragionati e sussidi didattici”.

I siti archeologici si inseriscono in un sistema organizzato ambientale della città di Roma che si estende per circa il 64% di tutto il territorio e comprende aree agricole, riserve naturali, ville storiche, parchi, giardini pubblici e verde urbano; di questo sistema possiamo riportare qui di seguito alcuni dati statistici in base alle fonti ufficiali del Servizio Giardini (giugno 2004). Il verde pubblico nel Comune di Roma viene ripartito tra le seguenti sezioni:

a) Parchi e Riserve Naturali gestiti da Enti autonomi (comprendono parchi gestiti dalla Regione, quali Parco di Veio e Parco dell’Appia Antica, etc. e altre aree gestite dall’ente Roma Natura per 14.000 ha), tot. 41.000 ha;

b) Aree agricole dell’Agro Romano, tot. 37.073 ha;

c) Verde urbano (gestito da Servizio Giardini) comprendente parchi urbani, ville storiche, giardini, aiuole per un totale di 1.230 aree, tot. 3.345 ha;

d) Verde urbano da acquisire, tot. 582 ha.

Il totale di questa estensione è pari a 82.000 ha. In questo contesto, il verde storico archeologico è pari a 642 ha e comprende sia le ville storiche urbane che le aree archeologiche.

Tutto il sistema del verde di Roma è quindi inserito in una “rete ecologica” in cui le aree archeologiche risultano vere e proprie “isole verdi” o residui di vegetazione in ambiente urbano (fornal-Pienak, 2010; anGold & al., 2006;

anzalone, 1953; fanelli & al., 2006) e in cui il patrimonio storico archeologico è strettamente legato a quello naturale per quanto riguarda sia la flora e vegetazione che la fauna.

Le aree archeologiche possono anche identificarsi con la definizione di “residuo” espresso nel concetto di Terzo paesaggio (cléMent, 2005), luogo in cui possiamo ritrovare i suoi elementi più caratteristici, quali “incolti, confini di siepi, margini, bordi di strade, marciapiedi, aiuole, terreni abbandonati, suoli di risulta .. luoghi che si cerca di ridurre o sopprimere”, ma che comunque sono fondamentali come rifugio di biodiversità. Il discorso sulla connessione di una rete ecologica tra le aree verdi di Roma riporta anche in discussione quello sulla saldatura tra le stesse aree archeologiche, quali il Circo Massimo, il Palatino, il Foro Romano e i Fori Imperiali entro l’area archeologica centrale o i monumenti della Via Appia Antica e del Parco degli Acquedotti, come già suggerito da La Regina. un tentativo negli ultimi tempi per rimediare a questa situazione compromessa è stata la pianificazione che ha portato all’individuazione di grandi aree come Parchi Archeologici (Parco delle Tombe Latine, Parco di Villa di Livia, Parco di Tor di Quinto, etc.), che, secondo Pisani Sartorio, sono però “salvataggi in extremis”, considerando anche che il Parco degli Acquedotti comprende solo circa un chilometro sui 90 km totali.

Ricordando le grandi aree naturali della città di Roma rappresentate da habitat importanti, quali le rive del Tevere e dell’Aniene, i rilievi da Monte Mario ai Monti Parioli, sviluppati soprattutto nel settore occidentale (Valle Aurelia, Pineto, Insugherata, Acquatraversa, etc.), la valle della Caffarella, l’Appia Antica, la pineta di Castelfusano, il Circo Massimo, Villa Pamphili, il bosco della Massimina, la Marcigliana, risulta che il territorio romano mostra uno spiccato carattere di eterogeneità ambientale per

diversificazione di substrato, clima e uso del suolo che rappresenta il principale fattore della sua elevata biodiversità floristica e vegetazionale.

Possiamo citare due importanti lavori recenti che evidenziano tale eccezionalità, il primo è l’Atlante Floristico realizzato con rilevamento sistematico su griglia predefinita (celesti & al., 1995), il secondo è la sintesi fitosociologica sulla vegetazione romana (fanelli, 2002), mentre a livello cartografico citiamo il lavoro su Cdrom di attorre & al.

(1999).

Per le aree archeologiche romane, si possono contare finora numerosi studi di carattere floristico-vegetazionale condotti in gran parte dalle Università “La Sapienza” e

“Roma Tre” (anzalone, 1951; ceschin & al., 2006 a-b;

celesti & al., 2011; celesti & al., 1993-΄94; caneVa & al.

2002; lucchese & PiGnatti E., 1995).

In conclusione, l’ambiente naturale ha avuto un ruolo importante nel condizionare lo sviluppo urbano di Roma, già dall’epoca repubblicana, però in seguito i monumenti hanno spesso assunto anche un effetto di conservare aree verdi, protette dall’intenso sviluppo urbano degli ultimi due secoli; queste aree verdi (in particolare i grandi parchi delle ville patrizie) si saldano al corso del Tevere e quindi al cuneo archeologico che si sviluppa dai Fori Romani all’Appia. In questo modo, tutta la città è attraversata da una fascia verde che permette scambi faunistici (ad es. per i mammiferi) ed anche scambi floristici. All’interno della città si mantiene una sorta di rete ecologica urbana, fatto insolito nelle grandi città dell’Europa e del Mediterraneo, che ha un importante punto di snodo proprio nelle aree archeologiche.

3. IL CLIMA DI ROMA

Sul clima della città di Roma e dell’area circostante esiste un’ampia letteratura che non è il caso di riportare in questo capitolo di carattere generale. In un lavoro successivo (lucchese, 2013) si daranno informazioni più approfondite sulle caratteristiche climatiche dell’area di Roma, per quanto riguarda la vita delle piante ed in particolare delle piante che crescono nei siti archeologici. Trattandosi di una zona ampia che va dalla costa tirrenica fino ai primi rilievi collinari, si ha una grande varietà di condizioni. In quest’area sono attive numerose stazioni meteorologiche, tuttavia per ottenere un quadro di valore generale le più importanti che rappresentano ambienti e paesaggi abbastanza tipici per le aree archeologiche sono le seguenti:

Roma Monte Mario - rappresenta le condizioni delle aree periferiche con ampie superfici verdi, in ambiente collinare.

Fiumicino - la stazione meteorologica è situata vicino all’aeroporto, quindi in ambiente piano, aperto, in prossimità della costa; corrisponde bene alle condizioni di Ostia Antica.

Roma Collegio Romano - nel centro cittadino in area densamente costruita e con pochi spazi verdi.

Le tre stazioni considerate si trovano a poca distanza l’una dall’altra (circa 20 km tra due estremi) ed a livelli poco differenti e tuttavia si possono rilevare differenze significative (cfr. Tab. 1). Le temperature sono costantemente più basse a Monte Mario e Fiumicino, mentre risultano sensibilmente più elevate nel centro cittadino. Quanto alle precipitazioni esse, se intese come media annua, sono quasi identiche da Monte Mario al centro cittadino, mentre a Fiumicino i valori sono nettamente inferiori.

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In particolare, le medie annue delle temperature sono di 15.2°C a Monte Mario, salgono a 15.6°C a Fiumicino e 15.9°C nel centro cittadino. Per quanto riguarda le temperature, si possono notare due cose: raffrontando le medie di Monte Mario e Fiumicino, i valori di questa seconda stazione sono nettamente più bassi che nella prima per tutto il periodo da aprile a luglio, invece sono più alti da agosto a febbraio. Si può ipotizzare che si tratti di un effetto dovuto alla vicinanza della costa, cioè di una azione refrigerante nell’ambiente costiero, a Fiumicino in primavera e fino all’inizio dell’estate, mentre al contrario in autunno ed inverno il mare cede calore provocando l’effetto opposto. I valori del centro cittadino (Collegio Romano) sono decisamente più elevati, soprattutto nei mesi estivi fino a settembre e questo sembra dovuto alle ampie superfici costruite oppure alle strade con pavimentazione in pietra o asfalto, che tendono a surriscaldarsi nei mesi estivi. Per quanto riguarda le precipitazioni va rilevato che Fiumicino si distacca nettamente rispetto a Monte Mario e Collegio Romano e questo per due motivi: la scarsità di piogge in giugno-luglio (34 mm invece di 48-54 mm) e una piovosità più elevata nella stagione umida (novembre). La differenza nella distribuzione delle precipitazioni diviene più evidente se confrontiamo i dati stagionali: le precipitazioni estive a Monte Mario raggiungono il 12% del totale annuo, scendono a 9% nel centro cittadino ed all’8% a Fiumicino;

in altri termini, a Fiumicino la piovosità estiva è soltanto 2/3 di quella (già scarsa) registrata a Monte Mario.

Dai dati sopraindicati si ricava l’impressione che Roma si trovi in una situazione di transizione tra il clima mediterraneo (temperato-caldo con siccità estiva) ed il clima temperato abbastanza provvisto di precipitazioni durante tutto l’anno.

Dal punto di vista termico le tre stazioni rientrerebbero nel clima mediterraneo, che in Italia è caratterizzato da medie superiori ai 14 gradi, però la siccità estiva si fa sentire soprattutto a Fiumicino, mentre nelle stazioni più interne soltanto il mese di luglio si può considerare in media realmente siccitoso. Nella vegetazione naturale le differenze sono cospicue: nella fascia mediterranea prevale la vegetazione di tipo mediterraneo con prevalenza di specie sempreverdi tra le piante legnose e specie annuali tra quelle erbacee. Nella fascia più interna invece il bosco naturale è composto da querce caducifoglie (soprattutto Quercus pubescens, Q. cerris e Q. frainetto) e nella vegetazione erbacea prevalgono le specie perenni.

A questa situazione generale (mediterraneismo nella fascia costiera che progressivamente si attenua all’interno) si sovrappone l’effetto microclimatico delle aree archeologiche, provocata dai muri, blocchi di marmo, selciato, etc. che in generale si surriscaldano al sole creando condizioni di elevate temperature e bassa umidità atmosferica. Pertanto, le specie mediterranee tendono ad invadere anche le zone dove il carattere mediterraneo del clima è molto ridotto. Tuttavia, nella fascia francamente mediterranea (Fiumicino) abbiamo notato una elevata disponibilità di acqua durante la stagione piovosa, ma questo effetto non si ripete nelle aree archeologiche dell’interno.

In conclusione, le aree archeologiche della fascia costiera (prima di tutto Ostia Antica) offrono un ambiente adatto per la flora mediterranea. All’interno la vocazione sarebbe per una flora di caducifoglie, alla quale però si sovrappongono favorite dal microclima anche specie mediterranee, non tutte ma solamente quelle che sono in grado di tollerare

le temperature più basse durante l’inverno e la maggiore continentalità del clima.

un discorso analogo si può ripetere anche per le piante erbacee. Nelle aree archeologiche, al livello del suolo, in generale, prevalgono le specie perenni che sono nel loro habitat caratteristico nella fascia interna; nella fascia costiera vengono invece favorite mediante irrigazione artificiale (così ad es. ad Ostia Antica). Invece, alla sommità dei muri, oppure su terreno detritico o sabbioso, si hanno spesso nicchie microclimatiche caratterizzate da elevata irradiazione solare, alte temperature e bassa umidità e qui si insediano le specie annuali caratteristiche nella flora mediterranea che trovano in questo ambiente, a volte su superfici larghe appena pochi decimetri, un habitat simile a quello dei pascoli aridi della zona mediterranea vera e propria.

I dati climatici attuali risultano dunque importanti per comprendere l’attuale struttura della flora e della vegetazione che hanno vocazione verso il tipo mediterraneo nella fascia costiera e progressivamente continentale all’interno. Queste condizioni però riflettono anche l’origine della flora, i cui componenti risalgono ad eventi molto lontani nel tempo, cioè al periodo postglaciale (almeno 10.000 anni orsono).

Infatti, gli alberi caducifogli e la flora erbacea di specie perenni sono legati all’elemento eurasiatico che ha il suo centro nell’Asia orientale e si è allargato in Europa nel Pliocene; dopo i periodi freddi del Quaternario questa flora è venuta a costituire un componente importante della flora appenninica a bassa quota. Gli arbusti sempreverdi e le erbe annuali sono invece caratteristiche della flora mediterranea: esse sono dunque autoctone ed hanno passato il periodo freddo in oasi di rifugio (ad es., il Circeo ed il sistema Aurunci-Ausoni) per poi espandersi nuovamente durante il riscaldamento climatico. La costruzione di strade ed edifici in epoca romana e la successiva degradazione di questi habitat durante il Medioevo hanno infine offerto alle specie mediterranee più resistenti una nuova occasione per espandersi verso l’interno.

un elemento ulteriore è costituito dalle specie strettamente legate all’habitat umano e che nell’ambiente naturale mancano, almeno da noi. Queste, come vedremo, sono specie con ampia valenza ecologica, adattabili ai substrati più poveri e probabilmente si sono formate nell’immediato contatto dell’habitat umano (specie sinantropiche): esse sono tra le specie più diffuse nelle aree archeologiche. L’origine di questa flora è molto recente, probabilmente contemporanea alla formazione dei primi centri abitati. Nel giro di pochi millenni esse sono state in grado di diffondersi in tutti centri abitati nell’area mediterranea e nella zona temperata e, dopo le scoperte geografiche, anche negli altri continenti:

oggi tendono verso una distribuzione cosmopolita. In linea generale, queste specie non sono strettamente legate ad un clima particolare, però nell’ambiente romano esse mostrano grande vitalità e plasticità ecologica.

In conclusione, l’area romana si trova climaticamente in una fascia di transizione fra la zona mediterranea e quella a clima centroeuropeo, i cui componenti sono rappresentati nella vegetazione, ma gli elementi termofili risultano avvantaggiati dal particolare microclima delle aree archeologiche. una più ampia trattazione del clima di Roma rispetto alla distribuzione delle piante è riportata nel lavoro successivo.

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4. L’AMBIENTE GEOLOGICO GeoloGiaeGeoMorfoloGia

Roma ha secondo la tradizione le sue origini sui rilievi (i Sette Colli) che fiancheggiano la sponda sinistra del Tevere e che, come si osserva presso la Rupe Tarpea (Foto 8) del Campidoglio, sono formati da un nucleo di Tufo lionato compatto, prodotto della coltre dei depositi piroclastici del Vulcano Laziale; questi, a loro volta, poggiano sui sedimenti marini Pliocenici, depositati sul fondo del mare (argille e sabbie del Monte Vaticano, 3.40-1.80 Ma).

Durante un periodo nel quale si alternano oscillazioni dei livelli marini, anche in relazione al succedersi delle glaciazioni, il Tevere inizia la sua attività di deposito fluvio- lacustre con ghiaie e sabbie (PaleoTevere, formazione di Ponte Galeria) e il suo percorso diretto verso sud-est subisce uno spostamento verso Monte Mario (Foto 9) in seguito alle eruzioni dei vulcani Sabatini (Tufo giallo della via Tiberina, Foto 10) e Albani (Tufi granulari), che provocano anche uno sbarramento con fenomeni lacustri (Conglomerato giallo di San Paolo fuori le Mura, Foto 11).

Successivamente l’attività vulcanica albana ha deposto le

“Pozzolane nere” a nord e sud-est ed infine il “Tufo lionato”

(Foto 12), che con la sua potenza e le sue pareti intagliate

da valli e cave dà l’attuale aspetto del paesaggio della Campagna Romana. una ricapitolazione di queste fasi si può osservare, fermandosi nella piazza della Consolazione, sulla parete tufacea della Rupe Tarpea del versante meridionale del Campidoglio.

Tutte queste eruzioni finiscono col deporre una spessa coltre di lave e piroclastiti su cui l’erosione agisce immediatamente, spianando e scavando; anche oggi possiamo osservare il grande e complesso sviluppo del reticolo idrografico percorrendo il Grande Raccordo Anulare che risulta molto più accentuato nella parte sud-ovest (Aurelia-Cassia-Flaminia) rispetto a quella est (Tiburtina- Prenestina-Appia); ciò determina una differenziazione tra un paesaggio boschivo (cerro e sughera) da una parte e un paesaggio agrario con campi di grano e pascolo dall’altra. I solchi che hanno eroso gli strati di questa coltre piroclastica convergono verso la parte più bassa (Suburra, Cloaca Massima), dove oggi si estendono il Foro e il Colosseo e che nei primi tempi costituiva una zona alquanto malsana (questa depressione fu utilizzata nei primi tempi come necropoli), ma molto importante dal punto di vista strategico in quanto vicina al Tevere. E’ questa la posizione che ha reso favorevole lo sviluppo dei primi nuclei per la sua più facile difesa dai nemici posti sui rilievi appenninici circostanti

Foto 10. Tufo “giallo della via Flaminia presso il Mausoleo di

Celsa. Foto 11. Rupe ricca di vegetazione mediterranea antistante la

Basilica di San Paolo fuori le Mura lungo la Via Ostiense.

Foto 8. Parete a fianco della via di Monte Tarpeo (vista da piazza della Consolazione) con stratificazioni successive degli ultimi 600.000 anni. Alla base, il tufo pisolitico grigio a cui seguono il tufo lionato color mattone e nella parte più alta depositi fluviali del Tevere con sabbie e ghiaie più chiare.

Foto 9. Fiume Tevere da Ponte Milvio verso la collina di Monte Mario sullo sfondo.

“Huic deus ipse loci fluvio Tiberinus amoeno/populeas inter senior se attollere frondes/visus: …” (Virg., Eneide, 8, 31).

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Foto 12. Particolare della Foto 8 con la sovrapposizione del

“tufo lionato” su quello pisolitico chiaro. L’alternanza di strati di diversa origine giustificano la presenza di sorgenti, come nei versi:

“Tarpeium nemus et Tarpeiae turpe sepulcrum/fabor et antiqui limina capta Iovis./Lucus erat felix hederoso conditus antro, multaque nativis obstrepit arbor aquis,”. (Prop., Eleg. IV, 4: 1).

Foto 13. Cava di estrazione e lavorazione di travertino (Tivoli, via Tiburtina), da cui nei pressi (cava del Barco) proviene il travertino del Colosseo.

e nello stesso tempo per una facile comunicazione con il mare. Il Tevere ha rappresentato anche la possibilità di convogliare un sistema fognario efficiente quale quello della Cloaca Massima (Strabone, V, 8: “i Greci hanno ritenuto importanti la bellezza, la sicurezza, le risorse, i Romani hanno pensato invece alle strade, alle fogne, all’acqua”

…. “i Romani hanno trascurato la bellezza a favore delle cose utili”), indispensabile man mano che la città cresceva e il pericolo di epidemie aumentava; favorevole al sistema igienico della città è stata anche la possibilità di utilizzare numerose sorgenti provenienti dai ricchi acquiferi nei tufi e nelle sabbie, tamponati dalla base argillosa impermeabile, come sotto il Gianicolo. La maggiore abbondanza di questo acquifero sui depositi del Vulcano Laziale posti alla sinistra del Tevere rispetto all’acquifero meno ricco e più discontinuo dei rilievi incisi della sponda destra (depositi Sabatini e rilievi del Vaticano e Monte Mario, Gianicolo) ha probabilmente avuto una importanza notevole nella scelta del sito attorno al Palatino. Anche la viabilità risultava più difficile sulla destra del Tevere con rilievi più rialzati e interrotti (Vaticano, Gianicolo, Monteverde) rispetto ai rilievi della sinistra del fiume.

Se si considera la posizione del Tevere tra il Gianicolo (insediamento etrusco), l’isola Tiberina, il ponte Sublicio (zona del guado) e il Campidoglio (insediamento latino), si comprende come Roma abbia avuto origine dal suo fiume che ne segnerà per secoli anche la storia e lo sviluppo urbano; si potrebbe anche dire che Roma trae le sue origini e il suo sviluppo proprio da un rapporto primigenio tra l’acqua (Giano e il Foro Boario) e la pietra (Saturno e il Campidoglio), argomento eccellente di un recente libro (Manieri elia, 2009) che già coarelli (1974) aveva così anticipato:

“L’importanza della posizione geografica di Roma, collocata nel punto ove si incrociano la via fluviale e la via di terra che collega, tramite il guado a valle dell’Isola Tiberina, l’Etruria con il Lazio e la Campania, è troppo evidente …. Questa linea di forza, fossilizzata all’interno della città moderna, ne costituisce in ultima analisi l’elemento genetico, la ragione prima di esistenza”; la scoperta di ceramiche micenee nel Foro Boario testimonierebbe la preesistenza

di questo nucleo primitivo antecedente alla nuova città di Romolo. Per maggiori informazioni sulla storia geologica di Roma si rimanda soprattutto alla consultazione di alcuni lavori specifici (VentriGlia, 1971; funiciello & al., 1995) e soprattutto del recente libro (funiciello & al., 2009), fondamentale nel fornire un panorama geologico attraente e chiaro dell’antica Roma e di quella attuale.

condizioniGeoloGicheesViluPPourbano

La facilità di reperire in vicinanza abbondanti materiali lapidei è stata indubbiamente un fattore favorevole allo sviluppo della città. Il materiale tufaceo utilizzato nei primi tempi si osserva nelle mura Serviane (Foto 19, Cap. 4), con resti sparsi qua e là (stazione Termini, piazza Albania, etc.), costituiti da blocchi di tufo di colore grigio (tufo basale) proveniente dalle cave di Grotta Oscura (Veio), di scarse qualità tecniche. In seguito, materiali con caratteristiche migliori furono ricavati dai depositi di tufo (lapis Gabinus e Albanus), travertini (Tivoli), pozzolane e lave. Il travertino, una roccia sedimentaria formata per deposizione del carbonato di calcio, ha il suo più grande giacimento presso Tivoli, dove si trovano anche numerose sorgenti solfuree e dalla cui cava del Barco i Romani estraevano i blocchi (Foto 13) per poi trasportarli a Roma attraverso l’Aniene (Strabone, V: 11); è la pietra più famosa e importante per l’uso esteso che ne hanno fatto i Romani, soprattutto laddove gli edifici richiedevano una elevata resistenza come nel monumento più famoso, il Colosseo (Foto 14).

Si può pensare che l’abbondanza di sabbie e ghiaie nei depositi alluvionali del Tevere insieme alle argille grige del Vaticano, utilizzate per la cottura del materiale murario (nelle fornaci del fosso dell’Acquafredda), abbiano sicuramente facilitato lo sviluppo edilizio soprattutto dopo il II sec.

d.C. Come malta cementizia i romani hanno utilizzato la miscela di calce e pozzolana (malta pozzolanica), di elevate caratteristiche tecniche capace di fare presa sott’acqua, che ne hanno prolungato l’uso fino ai nostri giorni (Foto 15), mentre la mescolanza tra sabbia e calce risultava meno resistente.

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In conclusione, si può sottolineare, anche in questo contesto geologico, la posizione della città in una fascia di transizione non solo tra i due edifici vulcanici (Sabatini e Albani), ma anche rispetto alla transizione tra il mare e la pianura vulcanica verso l’Appennino calcareo, territori che i romani potevano osservare dal Gianicolo tanto lontani, ma anche abbastanza vicini da immaginare future conquiste.

una risorsa importante per lo sviluppo urbano è stata l’abbondanza di acqua localizzata in numerose sorgenti sparse che purtroppo ai nostri giorni sono spesso scomparse (la più famosa potrebbe essere indicata con la Meta Sudans presso il Colosseo); con lo sviluppo demografico tale risorsa locale non sarà più sufficiente e i romani la porteranno dalle sorgenti più lontane attraverso gli imponenti acquedotti che serviranno una popolazione che durante il periodo imperiale ha raggiunto un massimo (stimato) superiore al milione di abitanti.

Lo sviluppo di Roma si avvantaggia dunque delle risorse fornite dalla sua natura geologica, come pure dal clima e dalla vegetazione; tali condizioni favoriscono l’agricoltura e il pascolo che si sviluppano su suoli fertilissimi, ricchi di potassio e alluminio provenienti dai minerali vulcanici, quali quelli della lava della colata di Capo di Bove (Foto

16) presso il mausoleo di Cecilia Metella, che per questo prende il nome di “cecilite” particolarmente ricca di leucite (feldspato di potassio e alluminio); i grandi blocchi del basolato della via Appia Antica (Foto 17) e delle principali vie consolari hanno origine proprio da queste lave, le cui cave sono diffuse soprattutto tra la Via Casilina (Foto 18) e la Via Appia.

Foto 17. Basolato con lava leucititica sulla Via Appia Antica. Si notano i solchi evidenti del passaggio dei carri. “Appia, dic quaeso, quantum te teste triumphum/egerit effusis per tua saxa rotis” (Prop.

Eleg. IV, 8: 17).

Foto 18. Grande cava di leucitite su M. Falcone presso Colonna (via Casilina); altre cave di questo tipo utilizzate in tempi antichi si trovano lungo la via Appia Antica e Vallerano.

Foto 16. Lava leucititica (ben visibile un fenocristallo di leucite) presso la Tomba di Cecilia Metella da cui prende il nome di

“cecilite”.

Foto 15. Particolare della malta cementizia su un muro della Via Appia Antica. Si osservano frammenti di pozzolana e di lava, oltre l’abbondanza di cristalli vitrei di leucite propria dei prodotti vulcanici albani.

Foto 14. Il Colosseo con le sue imponenti arcate e colonne di travertino, iniziato da Vespasiano sul luogo dove Nerone aveva creato un suo lago personale. (“…ibidem et gladiatores atque uno die quinque milia omne genus ferarum”. (Svet., Tit. 7).

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5. I MATERIALI LAPIDEI

I primi nuclei abitativi si possono riconoscere sul Palatino e risalgono all’età del Ferro (900-830 a.C.). Si trattava di capanne con pali e coperture di canne, come ancora oggi si vedono in qualche raro e isolato caso nel sud del Lazio, con la base fatta di un muro di pietre a secco legate con fango (opus craticium) o un muro di fango e paglia. un fuoco al centro assicurava il focolare domestico e il fumo evitava anche che il tetto di paglia potesse marcire; così possiamo immaginare la vita di una famiglia rustica sul Palatino alla fine del III sec. a.C. (Fictilibus crevere deis haec aurea templa / Nec fuit obproprio facta sine arte casa. Prop. Eleg. IV: 5).

Per i grandi edifici e strutture murarie si ricorreva a blocchi di pietra squadrati (opus quadratum) e posti sempre a secco (spesso con spine di rinforzo interne di ferro), di cui un esempio sono le mura Serviane (IV sec. a.C.) costruite con blocchi di tufo (Foto 19) provenienti dalle cave di Grotta Oscura, disposti alternativamente di taglio e testa su file sovrapposte; con queste tecniche si continuò a costruire

acquedotti e ponti, dove i blocchi venivano rinforzati con fori e cavità riempite di malta o ferro. Altri esempi sono il Tempio di Cesare (Foto 20) in tufo e la base del Tempio di Saturno in travertino al Foro (Foto 21), il Teatro Marcello, il nucleo della Mole Adriana (Foto 22), dove oltre al peperino vengono usati blocchi di travertino messi di taglio, e lo stesso Colosseo; una tecnica simile è usata tutte le volte che alla costruzione viene richiesta una elevata resistenza, come negli acquedotti (Foto 23) e nei ponti (Ponte di Nona).

Sempre dal III sec. a.C. si cominciò a utilizzare la pozzolana (tufo vulcanico rosso proveniente da cave o scavi sottorrenaei) insieme alla calce (ottenuta dal calcare), che mescolati formavano la malta cementizia (opus caementitium, Foto 24, 25), una specie di calcestruzzo a presa idraulica (Contracta pisces aequora sentiunt / iactis in altum molibus:

huc frequens / caementa demittit redemptor / cum famulis dominusque terrae / fastidiosus. Horat. Carm, III, 1: 33), usato per fondamenta di ponti, moli portuali e murature che venivano poi ricoperte da paramenti di mattoni o marmi; la stessa calce mescolata a sabbia era stata utilizzata nei primi

Foto 21. Foro Romano, base del Tempio di Saturno in blocchi di travertino (opus quadratum). Nel tempio veniva conservato il tesoro di Stato.

Foto 19. Mura Serviane presso Piazza Albania. “Montes tres, Quirinalem, Viminalem, Esquilinum, urbi adiunxit: fossa circum murum duxit”. Eutropio, Breviarum ab urbe condita.

Foto 20. Opus quadratum del Tempio di Cesare (Foro Romano).

Foto 22. Castel Sant’Angelo. Nucleo originale del Mausoleo Adrianeo con blocchi di tufo e di travertino (“animula vagula, blandula/hospes comesque corporis/quae nunc abibis in loca/

pallidula, rigidula, nudula/nec, ut soles, dabis iocos” (Scriptores Hist. Augustae).

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Foto 27. Villa Adriana, opus reticulatum a disposizione alquanto irregolare.

Foto 25. Villa dei Quintili (Via Appia), opus caementitium della

grande cisterna. Si nota la mancanza quasi assoluta di piante. Foto 26. Villa dei Quintili (sullo sfondo i Colli Albani) con muro massiccio di opus incertum.

Foto 28. Villa Adriana, muro perimetrale del Pecile con opus mixtum

tempi e non aveva una presa tanto resistente. Analisi da noi condotte su materiali provenienti da alcuni siti ha rivelato un pH elevato (9.3 ± 0.5) che, confrontato con una malta fresca attuale (pH = 12), mostra una diminuzione di pH dovuta alla lunga percolazione di acqua e co2.

Tra il II e il I sec. a.C. i muri cominciavano ad essere rivestiti con paramenti disposti in maniera irregolare (opus incertum, Foto 26), ad es. nel tempio della Magna Mater e Porticus Aemiliae.

In seguito, venivano rivestiti con blocchetti a piramide quadrata (cubilia) inclinati di 90°, prima in forma più o meno regolare (opus quasi reticulatum), man mano sempre più in file regolari infissi con la punta nella malta ancora fresca (opus reticulatum, Foto 27), ad es. nel Teatro di Pompeo (60 a.C.).

La struttura dell’opus reticulatum si rivelò soggetta a fessurazioni lungo linee oblique, per cui si cercò di rinforzare la costruzione con una tecnica più raffinata (opus mixtum) che si affermò alla fine del I sec. d.C. sovrapponendo all’opus reticulatum file di mattoni in laterizio per rendere più solida la struttura; la disposizione di ammorsature laterali con cornici di mattoni venne introdotta sia per aumentare la resistenza del muro, ma anche per migliorare l’effetto estetico (Foto 28, 29, 30, 31).

I mattoni venivano fatti essiccare al sole o cotti nelle fornaci e sulle mura potevano rimanere a vista (Mercati Traianei); per aumentare l’effetto estetico potevano impiegarsi mattoni policromi (rossi e verdi) il cui colore dipendeva dalla temperatura di cottura, ad es. nel Tempio Giunone Sospita a Lavinio (Foto 32).

Foto 23. L’imponente Acquedotto Claudio nel Parco degli Acquedotti (Cinecittà) con la struttura dell’opus quadratum a blocchi di peperino.(” .. Fontisque aquarum Simbruinis collibus deductos urbi intulit“. Tac., Ann. XIII, 2-3).

Foto 24. Opus caementitium delle fondazioni del Portico Neroniano (Fori).

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Foto 29. Sepolcri con muri ad opus mixtum diffusi nella Necropoli

di Porto (Fiumicino). Foto 30. Villa Adriana, Piazza d’Oro, opus mixtum con alterazione del tufo nella parte basale.

Foto 31. Muro con opus mixtum nella Necropoli di Porto (Fiumicino). Si nota lo sviluppo di salinizzazione sia nel tufo che nei mattoni (più resistenti).

Foto 32. Il Tempio di Giunone Sospita (Salvatrice) a Lanuvio in una mescolanza policroma di materiali (laterizi, tufi e lava). “Lanuvium annosi vetus est tutela draconis/……huc mea detonsis avecta est Cynthia mannis :/causa fuit Iuno, sed mage causa Venus.” Prop., Eleg. IV, 8: 1-17, oppure ancora “Appia cur totiens te via Lanuvium

?”. (Prop., Eleg. IV, 2, 32: 6).

Foto 33. Ostia Antica, muro policromo tipo opus mixtum, con alternanza di blocchetti neri di lava (opus reticulatum) e fila di mattoni.

Foto 34. Ostia Antica, alternanza di mattoni e blocchetti di lava.

Oltre ai blocchetti di tufo, nell’opus reticulatum potevano essere impiegati raramente anche blocchetti quadrati di lava, con un effetto policromo molto bello, come ad Ostia Antica, dove si osservano anche blocchetti rettangolari di lava posti in file orizzontali intervallate da file di mattoni, con un voluto contrasto di colore (Foto 33, 34).

L’uso di mattoni (opus latericium o testaceum) si afferma

completamente in alcuni edifici come nei Castra Pretoria costruiti sotto Tiberio o nella Villa dei Quintili (Foto 35, 36, 37) e si va diffondendo con l’aumentare della popolazione, in quanto i mattoni potevano essere prodotti in grande quantità e con più facilità.

Successivamente dal IV sec. d.C. si passò all’opera listata (opus vittatum, Foto 38, 39, 40, 41, 42), in cui si alternavano

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