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I corpi celesti

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Academic year: 2021

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cosmologia

astrofisica

29.1 Distanze astronomiche

Quando studiamo gli oggetti celesti il concetto di distanza, così come lo raffigu- riamo mentalmente in relazione alla vita di tutti i giorni, non è molto efficace se vogliamo cercare di farci un’idea anche solo approssimativa di che cosa significhi lo spazio che separa la Terra dal Sole o il nostro sistema solare dalle stelle più vici- ne o, ancora, la Via Lattea (la galassia a cui appartiene il sistema solare) dalle altre galassie. Per non parlare del tentati- vo di provare a immaginare gli estremi confini dell’Universo...

In particolare qui intendiamo occuparci delle tematiche principali che riguar- dano la cosmologia e l’astrofisica.

La cosmologia è lo studio dell’Universo, considerato nel suo complesso, con par- ticolare attenzione alle caratteristiche generali, alla struttura e all’evoluzione dall’origine ai giorni nostri fino alle ipotesi sullo sviluppo futuro.

L’astrofisica applica le leggi fisiche (a partire da quelle della fisica classica per arrivare alla relatività einsteiniana e alla meccanica quantistica) allo stu- dio dei corpi celesti.

Andando dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, mai come in questi ultimi anni i due settori della fisica delle particelle e della ricerca astronomica si sono intrecciati in modo tanto stretto, grazie soprattutto allo sviluppo di stru- menti di indagine estremamente potenti come i collisori CDF del Fermilab di Chi- cago e l’LHC (foto a sinistra) del Cern di Ginevra, con cui si possono simulare le condizioni subito dopo il Big Bang, o i telescopi Hubble (satellite, foto a destra) e ALMA in Cile, grazie ai quali possiamo scandagliare lo spazio più profondo.

I corpi celesti

29

UNITÀ

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parsec Vediamo innanzi tutto quali sono gli ordini di grandezza con cui abbiamo a che

fare in ambito astronomico. Ovviamente, trattandosi di distanze incredibilmen- te più grandi di quelle solite, vengono introdotte unità di misura più adatte.

Unità di misura Simbolo Definizione Fattore di conversione unità

astronomica ua distanza media della Terra

dal Sole 1,496 ◊ 1011m

anno luce al distanza percorsa dalla luce

in un anno 9,461 ◊ 1015m

parsec pc

distanza dal Sole

corrispondente a un angolo di parallasse pari a 1”

3,086 ◊ 1016m Tabella 1

Il parsec (termine che sta per parallasse di un secondo d’arco) trae la sua definizione da un metodo puramente geometrico di misurazione della distan- za delle stelle che sfrutta lo spostamento apparente della posizione – parallas- se, appunto – di un oggetto celeste rispetto alla sfondo delle stelle fisse.

r = 1 ua

T 1 T 2

2p

D S S2 S1

p S

Durante il moto periodico della Terra attorno al Sole, una stella vicina risulta occupare apparentemente posizioni diverse S1ed S2a seconda del periodo del - l’anno nei confronti delle stelle fisse che, essendo mol - to più lontane, appaiono immobili le une rispetto alle altre. Di conseguenza, se indichiamo con r il raggio dell’orbita terrestre, con p l’angolo di parallasse (che può essere misurato con buona precisione), si vede che la distanza D della stella dal Sole può essere espres sa come:

Dato che l’angolo di parallasse p è molto piccolo, si può porre tan p≅ p.

Quindi:

L’angolo di parallasse viene misurato in radianti.

D r

= p

D r

= p tan

Il parsec (pc), quindi, può essere definito come la distanza D corrispondente a p= 1″, cioè:

Riportando il valore di r= 1 ua, si ottiene:

Per capire a quanto corrisponda il pc, basta considerare che 1″ = 4,848 ⋅ 10−6rad, per cui si trova:

1 1

4 848 10 6 2 063 105

pc ua

rad ua

= ⋅ = ⋅

, ,

1 1

pc 1ua

= ′′

1pc=1

′′

r

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distanza misurata tramite la parallasse Moltiplicando per 1,496⋅ 1011m/ua, ritroviamo il dato in tabella del parsec

espresso in metri:

A questo punto possiamo esprimere la distanza stellare D direttamente in pc, essendo:

p è l’angolo di parallasse (p≅ tan p).

Tale metodo di misurazione richiede una valutazione estremamente accurata di p. Con osservazioni effettuate al suolo sul nostro pianeta, a causa delle per- turbazioni dell’atmosfera normalmente non è possibile avere valori del - l’angolo di parallasse più precisi di 0,001″. Tuttavia, grazie alle rilevazioni tra- mite il satellite Hipparcos, posto in orbita nel 1989, già si è potuto scendere a una precisione di 0,001″; mentre con il satellite Gaia, lanciato nel 2012, si è raggiunta una sensibilità di 2⋅ 10−4secondi di arco.

Questo significa che mentre da Terra si possono misurare al massimo corpi distanti 30 pc (circa 100 anni luce), grazie ai dispositivi satellitari si arriva alcune decine di volte più lontano.

Il problema della stima delle distanze in astronomia è un aspetto assai impor- tante, se non addirittura fondamentale. Per questa ragione, considerato che anche le galassie a noi più vicine hanno distanze molto maggiori di quelle rile- vabili tramite la parallasse, sono stati studiati sistemi indiretti e piuttosto complessi per determinarle.

Un’unità di misura a cui si fa spesso riferimento per le distanze cosmiche è l’anno luce (al). Dalla tabella 1 si ricava il rapporto tra pc e al. Infatti, dato che 1 pc = 3,086 ⋅ 1016m e 1 al = 9,461 ⋅ 1015m, si trova:

Vediamo ora dove si trovano alcuni degli oggetti celesti più conosciuti (tabel- la 2). Ovviamente per corpi molto lontani si può fare indifferentemente riferi- mento al nostro pianeta o al Sole.

La distanza da Plutone (uno dei corpi più esterni del sistema solare, pur non essendo ormai classificato come pianeta), corrispondente approssimativa- mente a 5,85⋅ 109km, ci può dare un’idea delle dimensioni del sistema solare, mentre la Via Lattea ha all’incirca un diametro di 100 000 al (invece il suo spessore medio è di... appena 5000 al).

1 3 086 10

9 461 10 1 3 262

16

pc= ⋅ 15 al pc al

⋅ ⇒ =

,

, ,

D= ′′1p pc

1 1 1 1

pc= pc pc

′′ ⇒ = ′′ ⇒ = = ′′

r r D r

p p

1pc 2 063 105ua 1 496 1011 m 3 086 1016

ua m

= , ⋅ ⋅ , ⋅ = , ⋅

Corpo celeste Distanza dalla Terra

Luna 1,28 secondi luce

Sole 8,3 minuti luce

Plutone 0,23 giorni luce Proxima Centauri 4,3 anni luce centro della Via

Lattea 2,6 ◊ 104anni luce Andromeda 2,4 ◊ 106anni luce Tabella 2

La galassia a noi più prossima è sol- tanto a 25 000 anni luce. Andromeda è la più grande tra le galassie vicine: si trova a 2,4 milioni di anni luce e il suo diametro è più del doppio di quello della Via Lattea.

Ma se vogliamo spingerci fino ai li - miti dell’Universo, allora dobbiamo provare a immaginare una distanza migliaia di volte maggiore, vale a dire dell’ordine di 1010al!

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29.2 Stelle e galassie

Parlando dei corpi che popolano l’Universo, è chiaro che da sempre i più noti sono quelli che emettono radiazione elettromagnetica nel campo del visibile, cioè luce: prima di tutto il Sole, quindi le stelle e, per finire, le galassie. Sappia- mo che esistono molti altri tipi di oggetti astronomici e che, addirittura, molto probabilmente la maggior parte della materia esistente non solo non emette luce, ma sembra sfuggire a qualunque indagine. In ogni caso, indubbiamente la stella costituisce l’elemento fondamentale, sia quando la consideriamo per se stessa sia quando la esaminiamo come elemento di ammassi più o meno estesi.

Il Sole è la stella a noi più vicina e da cui la Terra in particolare, ma in gene- rale tutto il sistema solare, ricava la maggior parte dell’energia. L’enorme quantità da esso diffusa nello spazio sotto forma di radiazione (3,9⋅ 1026W) è dovuta alle reazioni di fusione nu - cleare che avvengono al suo interno.

Il Sole ha raggiunto all’incirca la metà della sua esistenza (5⋅ 109anni) grazie al fatto che il ritmo con cui viene bru- ciato l’idro geno è tale per cui non si consuma né troppo rapidamente né troppo lentamente; di conseguenza, la nostra stella si trova in una situazione di relativo equilibrio.

Le stelle possono essere raggruppate in vari modi.

Vi possono essere sistemi binari (stel - le doppie), formati da due stelle legate tra loro gravitazionalmente, o sistemi multipli con più di due stelle. Un siste- ma binario assai conosciuto è quello di Sirio, a 8,6 anni luce da noi, di cui Sirio α è la stella più brillante per quanto riguarda la luminosità appa- rente, cioè così come la vediamo noi nel cielo notturno indipendentemente dalla sua distanza. Nella foto, Sirio β, la sua compagna, è il puntino verso il basso a sinistra.

Si parla di ammassi stellari quando i costituenti sono molto più numero- si, raggiungendo anche l’ordine del milione.

Nella foto è riprodotto l’M80 (NGC 6093), uno dei più densi localizzato a 28 000 anni luce dalla Terra, con cen- tinaia di migliaia di stelle della stessa età e piuttosto anziane (15 miliardi di anni).

The Hubble Heritage Team (AURA/STScl/ NASA/ESA).

NASA, H.E. Bond and E. Nelan (STScI); M. Bars tow and M. Burleigh (University of Leicester, U.K.); and J.B. Holberg (University of Arizona).

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Le stelle non sono mai isolate, ma fanno parte di sistemi detti galassie. Quel- la nella quale ci troviamo noi è chiamata Via Lattea. Non possiamo averne un’immagine dall’esterno, tuttavia quello che è possibile osservare dall’interno è la scia biancastra visibile di notte. Essa contiene centinaia di migliaia di milioni di stelle (vale a dire intorno a 1011) di grandezza variabile da un deci- mo di quella del Sole fino a varie decine di volte.

Gli esopianeti

Da quando sono entrati in azione i telescopi ad alta risoluzione, come il VLT (Very Large Telesco- pe, costruito nel deserto Atacama in Cile, a cui recentemente si è aggiunto l’ALMA) o il telescopio spaziale Hubble (posto addirittura in orbita), per la prima volta è stato possibile avere la conferma dell’esistenza degli esopianeti, cioè pianeti che orbitano attorno ad altre stelle al di fuori del siste- ma solare. Da quando poi nel 2009 è iniziata la missione Kepler (NASA) con lo scopo specifico di individuare e studiare i sistemi planetari esterni, le notizie di nuove scoperte sono divenute molto frequenti nei mass-media.

In numerosi casi si tratta di osservazioni indiret- te, in cui la presenza del pianeta viene rilevata attraverso cambiamenti davvero minimi nella luminosità o nella posizione della sua stella, oppure – come nel caso della foto del VLT, relati- vo a Beta Pictoris – ne è stato rilevato diretta- mente lo spostamento nel corso del tempo (dal 2003 al 2009).

In alcuni casi dai calcoli si riesce a risalire non solo all’ampiezza dell’orbita, alle dimensioni o alla massa del pianeta, ma persino alla composi- zione chimica.

Forse non con troppa sorpresa da parte degli astronomi, però con indubbia eccitazione, sareb- bero stati rilevati esopianeti con temperature adatte alla vita così come la conosciamo e con la probabile presenza di acqua.

Al momento Kepler da solo ha rintracciato con sicurezza più di un centinaio di pianeti, mentre i candidati sono quasi tremila. Un fatto di rilievo è che tali corpi appartengono sia a stelle singole sia a sistemi binari o di più stelle.

FLASH

Nella foto a sinistra è riportata la Via Lattea come la possiamo vedere dalla prospettiva terrestre.

A destra invece è riprodotta la galassia NGC 1232 che, essendo simile alla nostra, ci può dare un’idea di come potrebbe essere la Via Lattea vista dall’alto:

un nucleo centrale con i bracci delle spirali che si avvolgono tutt’attorno. Si noti che nella foto, a sinistra un po’ spostata verso il basso, si vede una piccola galassia satellite attratta dal campo gravitazionale della NGC 1232.

ESO ESO/A.-M. Lagrange.

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Le galassie a loro volta possono formare dei gruppi; la Via Lattea, insieme ad Andromeda, alle Nubi di Magellano e a una cinquantina di altre galassie, fa parte del Gruppo Locale. La più vicina e simile alla Via Lattea è Andromeda, che si trova a 2,4⋅ 106anni luce.

Negli anni ’90 del secolo scorso ne è stata individuata una a una distanza sol- tanto cinque volte maggiore, la Dwingeloo 1, fino ad allora rimasta nascosta a causa della luminosità del nostro nucleo galattico.

Più recentemente, a metà della distanza da quella che era ritenuta la più pros- sima, cioè la galassia nana del Sagittario, a 42 000 anni luce dal centro della Via Lattea in direzione della costellazione del Cane Maggiore ne è stata sco- perta, grazie all’analisi agli infrarossi, una nuova, nascosta da una nube di polvere, che nel giro di qualche miliardo di anni sarà completamente risuc- chiata dalla nostra.

I gruppi di galassie hanno dimensioni dell’ordine di alcuni megaparsec cubi (1 Mpc = 106pc).

Questa unità di misura per le distanze astronomiche è tra le preferite dai cosmologi in quanto 1 Mpc è appunto approssimativamente lo spazio che separa le galassie tra loro adiacenti.

Illustriamo le caratteristiche principali della nostra galassia. Possiede un nucleo centrale di raggio pari a circa 12,5⋅ 103pc e il nucleo ha uno spessore medio di circa 1000 pc. Le stelle ruotano attorno al centro con velocità che diminuiscono andando verso l’esterno; il Sole impiega 200 milioni di anni per una rotazione completa.

La galassia è inoltre circondata da un alone di ammassi stellari con una distri- buzione abbastanza simmetrica rispetto al nucleo, che probabilmente costitui- sce quello che resta della materia da cui si è formata.

Le stelle presentano a loro volta proprietà differenti, per quanto riguarda sia la composizione chimica sia l’età.

Quelle più giovani si trovano nella parte esterna sottile del disco galattico, mentre quelle più vecchie sono più vicine al nucleo. A dimostrazione del fatto che la Via Lattea ai giorni nostri sia in fase di evoluzione, sono state rilevate grandi masse di gas in caduta verso il centro, mentre altre ne vengono espulse.

alone

nucleo

Sole

30 · 103 pc 8,5 · 10

3 pc ammassi globulari

centro galattico

1 pc = 3,086 ⋅ 1016m = 3,262 al per cui:

1 Mpc = 3,086⋅ 1022m = 3,262 ⋅ 106al

Ricorda ...

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Su scala maggiore, superiore ai 100 Mpc, le galassie si possono trovare rag- gruppate in ammassi, che arrivano fino al migliaio di componenti: nell’im - magine a sinistra è illustrato l’ammasso Abell 1689 in direzione della costella- zione della Vergine.

Ma esistono anche i superammassi, cioè insiemi di ammassi come nella foto- grafia a destra relativa ad Abell 901/902, a più di due miliardi di anni luce dalla Terra. Esso occupa una regione di più o meno 16 milioni di anni luce ed è a sua volta formato da tre ammassi principali e da filamenti galattici che caratterizzano tali sconfinate strutture.

NASA, ESA, L. Bradley (JHU), R. Bouwens (UCSC), H. Ford (JHU), and G. Illingworth (UCSC).

Qualche anno fa è stato completato presso l’Anglo-Australian Observatory di Coonabarabran nel Nuovo Galles del Sud in Australia il progetto «6dF Galaxy Survey» (dove 6dF sta per “sei gradi di campo” e si riferisce al particolare stru- mento utilizzato), iniziato nel 2001 con lo scopo di tracciare una precisa map- patura delle galassie più vicine alla Terra. In questa carta del cielo sono ripor- tate oltre 100 000 galassie coprendo un raggio di circa 2 miliardi di anni luce.

Grazie alla caratteristica tridimensionale della mappa, gli astronomi possono studiare la disposizione reciproca delle galassie e ricavare le rispettive intera- zioni gravitazionali. Come si vede dall’immagine, a fitti grappoli di grande concentrazione si alternano ampie zone dell’Universo in cui invece la presen- za delle galassie è estremamente ridotta o nulla e che vengono indicati con il nome di vuoti... Tutto questo sta a indicare che in generale l’Universo è piut- tosto strutturato.

ON LINE

VIRTUAL LAB Struttura tridimensionale dell’Universo

ESO

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relazione tra luminosità apparente e assoluta luminosità assoluta

luminosità apparente

29.3 Evoluzione delle stelle

La galassia in cui ci troviamo è formata approssimativamente da 1011 stelle per una massa complessiva intorno ai 3⋅ 1041kg. Come vedremo, le stelle non sono gli unici oggetti che popolano l’Universo, ma è molto importante esami- narne le caratteristiche principali e, soprattutto, capire in che modo evolvono durante la loro più o meno lunga esistenza.

Pensando al cielo notturno, un parametro su cui è evidentemente necessario soffermarsi è la luminosità. Bisogna distinguere tra luminosità assoluta e luminosità apparente.

La luminosità assoluta (L) è la potenza totale emessa da una stella sotto forma di radiazione.

L’unità di misura è il watt. In generale questa grandezza dipende dalla massa della stella: quanto più la massa è elevata, tanto maggiore è la luminosità assoluta dell’astro.

La luminosità apparente (l) è la potenza che arriva su una superficie dispo- sta perpendicolarmente ai raggi di luce che partendo dalla stella raggiungono la Terra.

Ipotizzando che nel suo percorso nello spazio vuoto l’energia luminosa non subisca assorbimenti, possiamo scrivere la relazione tra L ed l. Se d è la distan- za del corpo celeste da noi, allora 4πd2è la superficie sferica su cui la potenza emessa si distribuisce.

l L

= d2

Nel disegno a sinistra viene visualizzata la relazione tra la luminosità e la distanza dalla sorgente: come qualunque perturbazione che si propaga in linea retta, l’intensità è proporzionale all’inverso del quadrato della distanza.

Nella foto, a sinistra verso il basso, si vede Sirio, la stella più luminosa che si può osservare dalla Terra.

È distante dal Sole 8,6 al. Nella costellazione di Orione sulla destra in alto, di colore tendente all’arancione, si scorge Betelgeuse, più lontana (circa 600 al) e meno brillante di Sirio, ma la cui luminosità assoluta è alcune migliaia di volte maggiore.

S = 4πd2 L

d

l

L L

Akira Fujii

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luminosità assoluta e temperatura

temperatura delle stelle (legge di Wien)

Le osservazioni astronomiche mostrano che la luminosità assoluta delle stel- le è collegata alla loro massa, nel senso che all’aumentare della massa aumen- ta anche la luminosità. Inoltre, come si vede dalla figura precedente, confron- tando Sirio (bianca) e Betelgeuse (arancione), si nota come anche il colore della radiazione emessa può cambiare in conseguenza della differente lun- ghezza d’onda.

Ricordando quanto visto in relazione al corpo nero, possiamo allora dedurre che tutto questo sia collegato con la temperatura assoluta T della superficie della stella. Infatti, se consideriamo quest’ultima come un corpo nero, si può dire che tra la lunghezza d’onda λpin corrispondenza del massimo di emis- sione e T esiste la relazione espressa qui di seguito.

λpT= 2,9 ⋅ 10−3m K

La temperatura di una stella va dai 3500 K, corrispondenti alle stelle rosse, ai 50 000 K per quelle che tendono al violetto.

Vogliamo trovare il colore della radiazione luminosa di due stelle, una con una temperatura superficiale di 4200 K e l’altra di 7100 K.

È sufficiente applicare la legge di Wien, dalla quale ricaviamo la lunghezza d’onda del massimo:

Sostituendo nel primo caso T= 4200 K si trova:

che corrisponde al colore rosso, mentre per T= 7100 K si ha:

che è un valore compreso nell’intervallo del violetto.

λp=2 9 10T =2 9 10⋅ = ⋅

7100 4 1 10

3 3

, , 7

m K ,

K m

λp=2 9 10T =2 9 10⋅ = ⋅

4200 6 9 10

3 3

, , 7

m K ,

K m

λpT λp

= ⋅ ⇒ = T

2 9 103 2 9 10 3

, m K ,

esempio

La luminosità assoluta di una stella di raggio R è data da L= S ⋅ E, indicando con S= 4πR2la sua superficie esterna ed E la potenza irradiata per unità di superficie.

Se pensiamo la stella come un corpo nero, dalla legge di Stefan-Boltzmann E= σT4(dove σ è la costante di Stefan-Boltzmann pari a ) si può ricavare una relazione molto importante in astronomia in quanto lega tra loro la luminosità assoluta (L) della stella, la temperatura superficiale (T) e le sue dimensioni (R).

L= 4πR2σT4

5 67 10, ⋅ 8 W m K2 2

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Il diagramma di Hertzsprung-Russell

Si può pensare perciò di rappresentare la temperatura stellare in funzione della luminosità. Quello che si ottiene è il diagramma di Hertzsprung-Russell.

Nel diagramma H-R si possono individuare tre zone principali. Quella che parte dal basso a destra e arriva in alto a sinistra è la cosiddetta sequenza principale.

La sequenza principale può essere suddivisa in tre parti.

• In basso a destra ci sono le stelle più fredde, meno luminose e di colore ros- siccio, con massa minore (tra di esse Proxima Centauri).

• Procedendo verso sinistra, al centro si trovano stelle più luminose e calde, di colore giallo-bianco. Qui c’è anche il Sole. Il rapporto tra luminosità assoluta L e massa M di questi corpi è individuato approssimativamente dalla relazione:

LM3,1

• Infine, a sinistra in alto si hanno le stelle ancora più luminose e grandi, con maggiore intensità luminosa e colore tendente all’azzurro (dove si notano Sirio α e Vega).

Al di fuori della sequenza principale, a destra in alto ci sono le stelle più grandi, caratterizzate da elevata luminosità ma bassa temperatura, per cui il colore è verso il rosso. Si tratta delle giganti rosse, tra le quali la più famosa è Aldebaran.

Infine, in basso verso sinistra si collocano le nane bianche, che al contrario hanno bassa luminosità e alta temperatura. A questo gruppo appartiene Sirio β, la componente più piccola del corrispondente sistema binario.

Vi è una relazione anche tra la massa complessiva implicata nella formazione della stella e la sua collocazione nella sequenza principale del diagramma di H-R: all’aumentare della massa la posizione occupata si sposta verso l’alto e a sinistra, in quanto tendono ad aumentare sia la temperatura superficiale sia la luminosità assoluta.

temperatura (K) Sole

Altair Deneb

α Centauri

Sirio β Sirio α

Proxima Centauri

40 000 30 000 10 000 7500 6000 4900 3500 2400 luminosità assoluta

(Sole = 1)

10–4 10–3 10–2 10–1 1 10 102 103 104 105

NANE B IANCHE

SEQU ENZA

PRIN CIPALE Rigel SUPERGIGANTI

SUPERGIGANTI

GIGANTI

GIGANTI Vega

Regolo Spica

Betelgeuse

Antares Polare

Capella

Polluce Mira Arturo

Aldebaran Castore

ON LINE

VIRTUAL LAB

Colore e dimensione delle stelle

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Nucleosintesi

Il diagramma H-R non viene interpretato come qualcosa di statico, per la qual cosa una stella fa parte per sempre di una ben precisa categoria. In realtà, le teorie prevalenti lo vedono come una rappresentazione dell’evoluzione delle stelle, cioè della loro intera esistenza.

Si pensa che una stella abbia origine da grandi nebulose di gas formate soprattutto da idrogeno che cominciano a contrarsi a causa dell’attrazione gravitazionale. All’interno di queste formazioni, quindi, si compattano masse più piccole chiamate protostelle. Man mano che aumenta la velocità di rota- zione attorno al nucleo, per cui aumenta l’energia cinetica, la temperatura diventa sufficiente affinché i nuclei di idrogeno carichi positivamente possano superare la forza elettrica di repulsione, innescando così la reazione di fusio- ne. A questo punto inizia la vita della stella vera e propria.

Nell’immagine – una ormai classica fotografia rilasciata dal telescopio spazia- le Hubble – è riprodotta la nebulosa Testa di Cavallo (detta anche Barnard 33) situata nella costellazione di Orione. In alto a sinistra si può distinguere una stella molto giovane che illumina la nube gassosa, nella quale si trova ancora avviluppata. Dietro la nebulosa una stella retrostante non visibile illumina la silhouette della parte superiore.

NASA, NOAO, ESA and The Hubble Heritage Team (STScl/AURA)

ON LINE

VIRTUAL LAB Zoom della nebulosa Testa di Cavallo

Fondamentalmente, ciò che mantiene in vita una stella è la lotta tra l’attra - zione gravitazionale, che cerca di far collassare la massa verso il centro, e le reazioni di fusione nucleare, che determinano una certa pressione dall’interno verso l’esterno mantenendo il sistema in equilibrio idrostatico.

Vediamo nella tabella 2 a pagina seguente in dettaglio le varie fasi in cui si rea- lizza (a temperature dell’ordine di 107K) questa particolare reazione nucleare, chiamata ciclo protone-protone. Nelle prime tre righe consideriamo due sequenze uguali di reazioni che si fondono nella quarta riga. Nell’ultima colon- na sono riportate le quantità di energia liberata in ciascuna reazione.

Si noti che i nuclei di idrogeno 11Hnecessari sarebbero in totale sei, ma due vengono per così dire restituiti al termine del processo, per cui quelli consu- mati effettivamente sono solamente quattro.

Dei 26,72 MeV di energia 0,5 MeV vengono portati via dai neutrini, i quali attraversano la materia praticamente senza interagire, mentre gli altri 26,22 MeV restano sotto forma di energia termica che si propaga verso la superficie della stella dove, sotto forma di onde elettromagnetiche, quindi anche luce, viene irradiata tutt’attorno nello spazio.

La fine dell’esistenza di una stella può avvenire secondo processi molto diver- si che dipendono in maniera decisiva dalla sua massa: quanto maggiore è quest’ultima, tanto più rapidamente si sviluppano le reazioni nucleari di fusio- ne, per cui la vita della stella può essere relativamente breve.

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Per fortuna questo non si verifica nel caso del Sole, poiché il ritmo con cui esso brucia l’idrogeno, pur essendo adatto a conservare l’equilibrio idrostati- co, è abbastanza lento. Di conseguenza, si suppone che la nostra stella, che si trova a circa metà della sua esistenza, potrà continuare a restare stabile anco- ra per circa altri 5 miliardi di anni.

Ma quando l’idrogeno comincia a esaurirsi, allora...

Descrizione Reazioni

Energia (MeV)

Prima sequenza Seconda sequenza

Dapprima si ha la fusione di due protoni (nuclei di idrogeno) 11Hcon formazione di deuterio 21H, positrone e+ e neutrino νe.

11H +11H ⇒ 12H+e++ νe 1

1H +11H ⇒ 21H+e++ νe 0,42

Il positrone e+si annichila rapidamente con un elettrone e-, generando due raggi .γ

e++e- ⇒ 2γ e++e- ⇒ 2γ 1,02

Il deuterio 21Ha sua volta dà origine a una reazione di fusione con un nuovo 11H, da cui si forma il trizio 31H e un raggio .γ

21H+11H ⇒ 31H + γ 21H+11H ⇒ 31H + γ 5,49

Quest’ultimo nucleo di trizio si fonde con un altro 31H proveniente da una catena di reazioni uguale a quella delle tre righe precendenti, formando una particella a, vale a dire un nucleo di elio

42He, e due di idrogeno 11H, che così vengono restituiti.

31H +31H ⇒ 42He+11H+11H 12,86

Nel complesso, a partire da quattro nuclei di idrogeno 11H e due elettroni e-, si ottengono una particella a (42He), due neutrini νe e sei raggi .γ

411H+2e-42He+e+ 6γ 26,72 Tabella 2

la pressione verso l’esterno diminuisce

la stella inizia a contrarsi

negli strati più interni aumenta il ritmo della fusione

la temperatura cresce rapidamente

la stella si espande a grande velocità

gli strati proiettati all’esterno dall’espansione si raffreddano

la stella diventa una gigante rossa

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nucleosintesi

massa di Chandrasekhar A questo punto la stella diventa più grande, più luminosa e di colore rosso, uscen-

do dalla sequenza principale del diagramma H-R.

Un numero consistente di giganti rosse, la cui età si aggira sul miliardo di anni, può essere osservato al centro dell’am mas so NGC 2266 a circa 11 000 al in direzione del - la costellazione dei Gemelli.

Mentre la superficie della gigante rossa è fredda, il nucleo si contrae ancora di più e si riscalda fino a temperature intorno ai 108K. In questo modo inizia la fusione dell’elio che alla fine produce il carbonio (processo tre alfa):

4

2He +42He ⇒ 84Be + γ 42He +84Be ⇒ 126C + γ

Le reazioni di fusione che portano alla produzione di nuclei con massa atomica maggiore vengono dette in generale nucleosintesi.

La formazione di nuclei pesanti in seguito alla reazione di fusione di nuclei più leggeri o per assorbimento di neutroni prende il nome di nucleosintesi.

In stelle più massive – ma sempre entro il limite 8 ÷ 10 volte la massa del Sole – si può avere la formazione anche di 168O, 2010Ne e 2412Mg. In ogni caso, la stella, diven- tando più calda, si sposta verso destra nel diagramma H-R. E l’evoluzione conti- nua in modo tale che...

Credner T. & Kohle S., Bonn University, Calar Alto Observatory.

le reazioni di fusione cessano

la forza gravitazionale di contrazione prevale di nuovo

gli strati esterni continuano ad allontanarsi

la gigante rossa diventa ancora più grande

gli strati esterni fuggono definitivamente nello spazio

il nucleo interno si riduce

la stella diventa una nana bianca

Nel diagramma H-R la stella va a occupare la zona in basso a sinistra. A questo punto del processo la nana bianca ha una massa minore di 1,4 quella del Sole. Si tratta di una massa limite che consente alla stella di non collassare ulteriormente sotto l’azione dell’attrazione gravitazionale ed è chiamata massa di Chandrasekhar.

La massa di Chandrasekhar, cioè il valore al di sotto del quale la stella non implode diventando una nana bianca, è pari a 1,4 M(dove Mè la massa del Sole).

Il motivo per cui in una nana bianca la contrazione si blocca è la degenerazione elettronica, cioè il fatto che gli elettroni pur iniziando a ravvicinarsi non possono occupare gli stessi livelli energetici – per il principio di esclusione di Pauli. La stella continua a perdere energia fino a diventare una sorgente debolissima di luce e, infi- ne, lentamente si spegne. Le nane bianche sono estremamente diffuse nella Galas- sia: la piccola compagna di Sirio α, cioè Sirio β, è proprio una di queste stelle. Aven- do un raggio piuttosto ridotto, su di esse il nostro peso aumenterebbe di centomila volte! Ed è a causa di questa intensissima gravità che gli elementi più pesanti sprofondano, lasciando in superficie soltanto l’idrogeno.

(15)

29.4 Supernove, buchi neri e quasar

Supernove

Quando la massa della stella alla sua nascita è più grande di (8 ÷ 10) M, allora la sua evoluzio- ne si differenzia dalla strada che porta alle nane bianche. Infatti, a causa della massa maggiore, e quindi della forza di gravità più intensa, succede che la nucleosintesi non si ferma alla forma- zione del 126C o eventualmente del 2412Mg. La stella – diventata nel frattempo una supergigante – raggiunge la temperatura di 109K e oltre, per cui la reazione di fusione continua generando ele- menti sempre più pesanti fino addirittura al ferro (5626Fe). La massa ora ha sempre un valore supe- riore al limite di Chandrasekhar, cioè 1,4 M, e la degenerazione elettronica non è più in grado di arrestare l’im plosione della stella. Inoltre, mentre le fasi precedenti hanno avuto nel comples- so una durata di centinaia di milioni di anni, ora il processo avviene probabilmente nel giro di pochi secondi: la stella sta subendo uno sconvolgimento davvero catastrofico...

A causa dell’altissima temperatura e delle collisioni altamente energetiche i nuclei di ferro si pos- sono letteralmente frantumare, rilasciando nuclei di elio e neutroni liberi secondo le reazioni:

56

26Fe ⇒ 1342He + 4n e 42He ⇒ 2p + 2n

Oltre a questo, la fortissima compressione alla quale le particelle vengono sottoposte e la grande energia a disposizione può consentire persino il decadimento b inverso, vale a dire:

e+ p ⇒ n + νe

Tali reazioni, assorbendo energia, fanno sì che l’energia termica contrasti sempre meno il collasso della massa. Ne consegue che adesso la forza gravitazionale costringe i neutroni ad avvicinarsi il più possibile, inducendo un fenomeno analogo alla degenerazione elettronica vista per le nane bianche:

si tratta della degenerazione neutronica, sempre una conseguenza del principio di esclusione di Pauli. Ma con una sostanziale differenza: che avendo i neutroni una massa 2000 volte maggiore di quella dell’elettrone, la pressione provocata dalla loro vicinanza non riesce ad arrestare la contra- zione. Di conseguenza il raggio stellare risulta molto più piccolo di quello di una nana bianca e la densità diventa davvero enorme. Alla fine, il nucleo della stella precipita su se stesso praticamente in caduta libera, che in questo caso significa alla velocità di 105km/s (un terzo della velocità della luce), con un rilascio dell’energia gravitazionale corrispondente in un intervallo di tempo di 10−4secondi soltanto. L’energia liberata, pari approssimativamente a 1045J, proietta l’involucro della stella nello spazio superando la gravità ed esso, scontrandosi con le nubi di gas presenti nello spazio, produce sconfinate onde d’urto. La luminosità della stella diventa 3⋅ 1010L(avendo indicato con Lla lumi- nosità del Sole). Questo evento prende il nome di supernova.

Nelle immagini si vede la supernova 1987A (SN1987A), in una galassia vicina alla nostra denomi- nata Grande Nube di Magellano, in due foto scattate dal telescopio Hubble rispettivamente nel marzo del 1995 e nel novembre del 2003. Scoperta nel 1987, la supernova è stata la più brillante vista dalla Terra negli ultimi quattrocento anni. L’evento, considerata la distanza della stella (di massa pari a 20 M), era avvenuto in realtà 160 000 anni prima dell’anno in questione. L’anello di materiale interstellare a un anno luce dalla stella esisteva già prima dell’evento catastrofico ed è stato investito dall’onda d’urto. Nel tempo si possono osservare i residui della supernova, con l’anello divenuto una serie di punti luminosi con temperature però di milioni di gradi.

NASA, P. Challis, R. Kirshner (Harvard-Smithsonian CfA) and B. Sugerman (STScl). NASA, P. Challis, R. Kirshner (Harvard-Smithsonian CfA) and B. Sugerman (STScl).

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raggio di Schwarzschild buchi neri

La circostanza che il nostro sistema solare, e quindi anche la Terra, siano ric- chi di elementi pesanti e non solo di idrogeno ed elio, è dovuto verosimilmen- te al fatto che la sua origine ha avuto luogo a partire dai detriti lasciati da una preesistente supernova.

È probabile che il nucleo di tali stelle divenga, infine, un concentrato densissi- mo costituito quasi esclusivamente da neutroni, vale a dire appunto una stella di neutroni, la cui densità è 1014volte quella di un qualunque solido terrestre.

Buchi neri

Ci sono altre possibilità, dipendenti dalla massa, rispetto alla stella di neutro- ni. Infatti, si potrebbero verificare le condizioni per le quali la forza di gravità diventa tanto forte da impedire persino alla luce di uscire dal campo gravita- zionale. In questo caso, ovviamente, non è possibile vedere l’oggetto in que- stione e si parla perciò di buchi neri.

I buchi neri sono corpi celesti la cui forza di gravità è talmente intensa che neppure la luce riesce a sfuggire alla loro attrazione e dunque non sono indi- viduabili per mezzo delle onde elettromagnetiche nel campo del visibile.

I resti della supernova W49B (26 000 anni luce distante, all’interno della Via Lattea) analizzati ai raggi X, oltre a evidenziare una struttura strana- mente non simmetrica, non mostrano nel centro la presenza di una stella di neutroni come solitamente accade in esplosioni stellari simili.

Questa osservazione lascia spazio all’ipotesi che in realtà la supernova nasconda un oggetto ancora più par- ticolare: si tratterebbe del buco nero più giovane presente nella nostra galassia, avendo un’età di appena un migliaio di anni.

X-ray: NASA/CXC/MIT/L. Lopez et al.; Infrared: Palomar; Radio: NSF/NRAQ/VLA

Ma vediamo quali sono le caratteristiche di un buco nero, che certamente è un corpo celeste che mette a dura prova le leggi della fisica così come sin qui le conosciamo.

Per cercare di capire che cosa accade al suo interno non dobbiamo ragionare in termini di forza che agisce tra le masse ma piuttosto, come suggerisce la relati- vità generale di Einstein, in termini di curvatura dello spazio-tempo. Sappia- mo che la luce in prossimità di una massa molto grande non procede in linea retta, bensì si muove seguendo la curvatura dello spazio per così dire deformato dalla presenza della massa stessa. Abbiamo visto che la conferma di questa ipo- tesi fu ottenuta osservando la posizione di alcune stelle durante un’eclisse di Sole: effettivamente esso provoca una deviazione dei raggi luminosi!

Affinché la curvatura dello spazio-tempo attorno a un buco nero M si deformi al punto che la luce precipiti al suo interno e non ne esca più, è necessario che abbia un raggio pari almeno al raggio di Schwarzschild.

Il raggio di Schwarzschild r è il valore del raggio di un corpo di massa M per il quale esso subisce il collasso gravitazionale e diventa un buco nero:

con G costante gravitazionale e c velocità della luce.

r GM

=2c

2

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La superficie sferica avente tale raggio viene chiamata orizzonte degli even- ti. Al di là di questo misterioso confine non possiamo rilevare nessun feno- meno o evento.

Tuttavia, nonostante la sua invisibilità, un buco nero può essere individuato a causa di quello che gli accade intorno.

• Attirando i gas circostanti, a causa della grandissima accelarazione, la mate- ria risucchiata verso l’orizzonte degli eventi emetterebbe raggi X di una ben precisa frequenza.

• Se si trova vicino a una stella, costituendo un sistema binario di cui è visibi- le solo quest’ultima, come sempre in casi analoghi ne perturberebbe la posi- zione, oltre ad attirare la sua materia.

• Nell’eventualità che un sistema di stelle ruoti attorno al centro di gravità a una velocità più alta del previsto, allora si può suppore che la massa man- cante sia dovuta alla presenza di un buco nero.

Vogliamo calcolare il raggio di Schwartzschild per una massa uguale a quella del Sole e della Terra.

La massa solare è M= 1,99 ⋅ 1030kg. Il suo raggio di Schwartzschild sarebbe allora:

per cui l’orizzonte degli eventi del Sole, divenuto un buco nero, avrebbe un rag- gio di soli 3 km.

Nel caso della Terra, invece, è MT= 5,98 ⋅ 1024kg:

Questo significa che per diventare un buco nero, il pianeta in cui abitiamo dovrebbe restringersi fino ad avere un raggio di quasi 1 cm!

(Nella figura, ovviamente, non è stato possibile rispettare le scale.) r GM

c

= T = ⋅ ⋅ ⋅ ⋅

=

2 2 6 67 10 5 98 10

3 10 0 0

2

11 24

8 2

, ,

( ) , 00886m≅ ,0 9cm r GM

= c = ⋅ ⋅ ⋅ ⋅

=

2 2 6 67 10 1 99 10

3 10 295

2

11 30

8 2

 , ,

( ) 00m≅3km

esempio

r = 3 km r = 0,9 cm

RT = 6,378 · 106 m R = 6,963 108m

Le teorie prevedono che la massa di un corpo celeste debba essere molto maggiore di quel- la della nostra stella – e quindi, a maggior ragione, di quella della Terra – affinché si inneschi il processo di collasso gravitazionale all’origine dei buchi neri.

Ricorda ...

(18)

Non si deve pensare che un buco nero in qualunque situazione risucchi prati- camente tutta la materia che lo circonda. In realtà si comporta come qualun- que massa gravitazionale, per cui se per esempio si trovasse al posto del Sole e avesse la sua stessa massa, il sistema solare resterebbe lo stesso con i piane- ti nelle loro orbite attuali.

A sinistra si vede la classica rappresentazione bidimensionale del campo gra- vitazionale attorno a una qualunque massa stellare: il piano si ripiega su di essa di modo che un corpo nelle sue vicinanze comincerebbe a scivolare verso la stella. Nel caso del buco nero, a destra, il piano diventa una sorta di imbu- to che porta con una discesa piuttosto ripida verso l’orizzonte degli eventi da cui, appunto, neanche la luce riuscirebbe più a uscire.

Bisogna precisare che questa visualizzazione dovrebbe essere – con un diffi- cile esercizio mentale – estesa a tutto lo spazio tridimensionale attorno al buco nero e, in ogni caso, l’immagine non corrisponde a quello che vedrem- mo effettivamente, in quanto questo corpo celeste non possiamo assoluta- mente vederlo.

superficie della stella

verso l’orizzonte degli eventi

Per concludere analizziamo, sulla base delle conoscenze della relatività ristret- ta e generale, a quali conseguenze fisiche andrebbe incontro un’astro nave inviata a esplorare questo oggetto misterioso.

• Avvicindosi all’orizzonte de gli eventi, a causa del ra pido incremento della for za di gravità, la parte anteriore viene attirata mag gior men te rispetto a quella posteriore, per cui l’astro nave co min cia ad allun garsi (e anche a comprimersi lateral- mente).

Il fenomeno per il quale un corpo avvicinandosi a un buco nero subisce una sorta di stira- mentoviene indicato in ingle- se con il termine spaghettifi- cation, neologismo mutuato dall’italiano ispirandosi agli ormai internazionalmente noti

“spaghetti”.

Ricorda ...

• Come conseguenza della dilatazione del tempo dovuta alla curvatura dello spazio-tempo e all’aumento di velocità, noi dall’esterno vediamo il mezzo spa- ziale procedere in modo estremamente lento: solo le generazioni che ci succe- dono potranno scorgerlo significativamente più vicino all’orizzonte degli eventi.

• Man mano che l’astronave entra nel buco nero inizia a scomparire dai nostri telescopi per effetto del red-shift gravitazionale: le onde elettromagnetiche luminose dove il campo è più intenso diminuiscono la loro frequenza ed escono dal campo del visibile (è necessario perciò passare a strumenti sen- sibili a maggiori lunghezze d’onda).

• L’azione di distorsione della forma provoca un riscaldamento del mezzo di tra- sporto fino a temperature di milioni di gradi che provoca l’emissione di raggi X.

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Quasar

L’Universo è popolato da oggetti alquanto strani sui quali molto rimane ancora da capire. Negli anni ’50 l’utilizzo dei radiotelescopi, strumenti che a differenza dei normali telescopi osservano il cielo a frequenze diverse da quelle della luce visibile (e che quindi possono essere in funzione anche durante le ore diurne), mise in evidenza che per esempio alcune galassie si mostravano molto più attive, cioè emettevano grandi quantità di energia, in differenti zone dell’ampio spettro elettromagnetico.

Oggi si parla al riguardo di nuclei galattici attivi (AGN).

La galassia NGC 1275 (conosciuta anche come radiogalassia Perseus A), si trova nell’ammasso di galassie Per- seo a 230 milioni di anni luce dalla Terra. Nello spettro del visibile si pre- senta come uno spettacolare scontro tra due galassie. Invece, combinando diverse frequenze, si è potuto consta- tare una forte emissione di raggi X e filamenti che si estendono a grandi distanze, probabilmente dovuti a un qualche tipo di interazione tra le due galassie oppure, in base ad altre ipo- tesi, tra un buco nero centrale e il gas che permea l’ammasso stesso.

NASA, ESA, and L. Frattare (STScl)

Altri “ospiti“ dell’Universo piuttosto insoliti sono i quasar. Il loro nome sta per quasi-stellar objects ed è dovuto proprio alla loro sfuggente natura: men- tre all’apparenza la loro immagine nel campo del visibile può fare pensare al puntino di una stella debolmente luminosa, in base ad altre caratteristiche – quali l’enorme emissione di radiazioni su alte frequenze – potrebbero essere sia immense nubi di gas sia radiogalassie molto lontane da noi.

Qui è riportato il primo quasar scoperto nel 1963, cioè il 3C273, con uno stra- no filamento in basso a destra, probabilmente un getto gassoso lungo migliaia di anni luce. Tra le sue anomalie, alcune linee nello spettro di emissione diffi- cili da identificare, il rilevante spostamento verso il rosso (red-shift) pari al 15,8% compatibile solo con un’incredibile distanza dal Sole (1,5 miliardi di anni luce) e una grande velocità di allontanamento (47 400 km/s).

WFPC2 image: NASA and J. Bahcall (IAS) (NASA/STScI)

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Considerata la distanza, i quasar appaiono troppo luminosi, non solamente nel caso possa trattarsi di stelle, ma addirittura nell’eventualità che siano delle vere e proprie galassie. Infatti, ipotizzando che distino miliardi di anni luce, in alcu- ni casi la luminosità ammonterebbe comunque a valori 10 000 volte maggiori rispetto a una normale galassia. Essendo Lla luminosità del Sole si ha che:

galassia ⇒ 1011÷ 1012L quasar ⇒ 1011÷ 1014L

Inoltre, un ulteriore elemento piuttosto sconcertante sono le fluttuazioni dei quasar, che cambiano spesso caratteristiche in meno di un giorno, lasciando presupporre che le zone da cui arrivano i segnali abbiano dimensioni inferio- ri a un giorno luce (si tenga presente che il nucleo centrale della Via Lattea ha un raggio di circa 40 000 anni luce).

Oggi le teorie prevalenti considerano i quasar come dei buchi neri super- massivi, vale a dire con masse pari a milioni o miliardi di quella del Sole. Il raggio di Schwarzschild supererebbe il raggio dell’orbita terrestre e, com- prendendo anche il disco di accrescimento dei gas che circolano loro attorno e la nube gassosa complessiva, questi corpi occuperebbero una zona ampia quanto tutto il nostro sistema solare.

29.5 Esplorazione spaziale

Mai come in questi ultimi anni – considerati effettivamente anni d’oro per la cosmologia – l’esplorazione spaziale ha avuto un impulso tanto ampio, consen- tendo di trovare conferma a molte teorie e, al contempo, scoprire numerosi fenomeni fin qui sconosciuti. Non c’è stato, come era stato prospettato in pas- sato, un invio massiccio di nuove sonde spaziali (l’ultima in termini di tempo sta esplorando Marte, mentre il Pioneer – inviato negli anni ’70 – starebbe appe- na uscendo dal sistema solare), ma si è avuto invece un potenziamento degli strumenti di osservazione sia a terra sia a bordo dei satelliti.

Telescopi ottici

Certamente il più famoso telescopio ottico, che cioè opera nel campo della luce visibile, in orbita attorno alla Terra su un satellite è lo Hubble Space Telescope.

sportello specchio

secondario specchio

primario

pannelli solari

piattaforma elettronica strumenti

assiali

strumenti radiali

Il telescopio spaziale Hubble orbita a quasi 600 km dalla Terra a una velocità di 8 km/s (cioè 28 800 km/h). Utilizza un tipo di riflettore chiamato Cassegrain in quanto la luce, dopo aver colpito lo specchio primario (diametro 2,4 m), viene rinviata a uno specchio secondario e, da questo, attraverso un foro cen- trale nello specchio primario, al punto focale che si trova dietro di esso. Tro- vandosi nello spazio può raccogliere molta più luce dei telescopi a terra, per cui le sue immagini hanno una grandissima nitidezza.

(21)

La radiazione luminosa raccolta nel punto focale può essere analizzata da un’ampia serie di apparecchiature, a seconda degli aspetti che si vogliono stu- diare. Ricordiamo in particolare:

• uno spettrografo che lavora esclusivamente sulla luce ultravioletta, grazie alla quale è possibile risalire alla temperatura, alla composizione chimica, alla densità e al movimento degli oggetti esaminati, in particolare stelle e quasar;

• una fotocamera avanzata che fa rilevazioni su tutte le lunghezze d’onda dal l’ultravioletto lontano al vicino infrarosso con lo scopo di capire l’attività del l’Universo agli inizi della sua esistenza;

• un altro spettrografo che dà la caccia ai buchi neri osservando attenta- mente le galassie;

• uno spettrometro dedicato ai raggi del vicino infrarosso con cui si possono individuare le sorgenti nascoste dietro le nubi di polvere interstellare, le stel- le nascenti e i corpi che si celano nello spazio più profondo;

• infine, un sensore che permette allo Hubble di puntare nella direzione volu- ta durante tutta l’orbita attorno alla Terra, misurando con estrema precisio- ne la posizione delle stelle e il loro moto relativo.

Il telescopio Hubble è al lavoro già dal lontano 1990, per cui ora gli astronomi stanno aspettando con ansia il lancio e l’inizio delle attività da parte di un nuovo telescopio spaziale, il James Webb, il cui specchio è stato progettato con la notevole apertura di 6,5 m, grazie al quale potrà esplorare lo spazio nel campo dell’infrarosso, con l’obiettivo di individuare gli oggetti più lontani che mai l’uomo sia riuscito a osservare.

Per quanto riguarda i tradizionali telescopi ottici a terra, un’importante rea- lizzazione dell’ESO (European Southern Observatory), ente europeo sostenuto da quindici Paesi tra cui l’Italia, è il Very Large Telescope (VLT), situato a 2635 m di altitudine sul Cerro Paranal in Cile.

ON LINE

VIRTUAL LAB I buchi neri

Si tratta del sistema ottico al momento più avanzato al mondo costituito da quattro telescopi principali, ciascuno con specchi primari che hanno un dia- metro di 8,2 m. Questi, con l’ausilio di altri quattro telescopi mobili di 1,8 m, combinati insieme consentono di amplificare di venticinque volte i dettagli osservabili dai singoli elementi. Il potere risolutivo complessivo è pari a un millesimo di arcosecondo ed è tale da consentire di percepire come separa- ti i fari di una comune automobile distante più di 380 000 kilometri (cioè sulla Luna).

Gli strumenti che fanno parte del VLT operano fondamentalmente nello spet- tro visibile e coprono comunque un’ampiezza di lunghezze d’onda che vanno dall’ultravioletto lontano (0,3 μm) al medio infrarosso (24 μm).

(22)

Radiotelescopi

I radiotelescopi scandagliano il cielo su lunghezze d’onda diverse da quelle della luce e, perciò, in regioni dello spettro che non rientrano nel campo del visibile, rivelando caratteristiche e compor- tamenti dei corpi celesti talvolta con notevoli sorprese – come nel caso della scoperta dei quasar.

Tuttavia bisogna tener presente che le onde elettromagnetiche che riescono ad arrivare al suolo sono comprese in un intervallo di lunghezze d’onda che va da 0,3 mm (frequenza 1012Hz) a 30 m (frequenza 107Hz); infatti, per valori di λ < 0,3 mm la radiazione viene assorbita dall’ossigeno e dal vapore d’acqua dell’atmosfera, mentre quando λ > 30 m le onde vengono riflesse dalla ionosfera e si disperdono nello spazio. In questo range di radiazioni che possono raggiungere la superficie terrestre sono comprese le onde radio. I radiotelescopi progettati per lavorare su lunghezze d’onda minori devono perciò essere inviati nello spazio.

Al di sotto di 0,3 mm l’unica radiazione che può filtrare è la luce visibile.

Qui vediamo una delle più affascinanti immagini raccolte dal Very Large Telescope, che mostra la luce verdognola della nebulosa planetaria IC 1295, a 3300 anni luce, gene- rata da una stella – il piccolo puntino blu proprio al centro – giunta al termine della sua vita. La nube è costituita da gas ionizzato spinto via nello spazio nella fase conclusiva dell’evoluzione stellare a causa dell’energia prodotta duran- te le reazioni di fusione nucleare. Di rilievo sono i diversi gusci che si possono distinguere piuttosto bene, dovuti pro- babilmente a una successione di esplosioni separate. Il colore verde è dovuto alla ionizzazione del l’idrogeno. La stella originaria, che appare molto intensa nelle frequenze dell’ultravioletto, è destinata a diventare una nana bianca e a spegnersi progressivamente tra svariati miliardi di anni.

ESO

ON LINE

VIRTUAL LAB Zoom

Un radiotelescopio posizionato sulla superficie terrestre è formato essenzialmente dalla parabola riflettente, dall’antenna ricevente, dall’amplificatore e dall’elaboratore dei dati. Essendo concepito per rilevare la radiazio- ne con lunghezza d’onda maggiore di quella della luce, la superficie della parabola non deve né essere partico- larmente liscia come il vetro né omogenea (in quanto può trattarsi anche di un reticolato, non dovendo riflette- re le onde di lunghezza inferiore a quelle radio).

Ovviamente il radiotelescopio non consente di ottenere delle immagini degli oggetti osservati, ma produce una sorta di mappa di una ben precisa zona del cielo sulla base dell’intensità della particolare radiazione ricevuta.

Nella figura a destra si vedono i resti della supernova Tycho, esplosa nel 1572, in cui i falsi colori mostrano le zone di più intensa (rosso) e più debole (violetto) radiazione. Le emissioni radio sono dovute all’accelerazione degli elettroni nel campo magnetico, amplificato dalla tremenda onda d’urto.

antenna

riflettore

cavo

amplificatore computer

NRAO/AUI

(23)

I vantaggi dei radiotelescopi sono significativi:

• la possibilità di individuare le nubi di idrogeno e altri elementi freddi che risultano completa- mente invisibili nello spettro della luce;

• le sorgenti di tali radiazioni non vengono occultate dalle nubi di polvere, le cui piccolissime par- ticelle sono in grado di diffondere la luce, ma lasciano passare invece le onde radio;

• la capacità di rilevare quegli oggetti, come i buchi neri, che hanno un’attività molto più intensa nelle lunghezze d’onda radio che in altre.

I problemi principali dei radiotelescopi sono dati dai seguenti fattori:

• debolezza delle radiofrequenze che arrivano dal cielo;

• ridotto potere risolutivo legato proprio alla lunghezza d’onda delle radiazioni captate (per esem- pio i 21 cm nel caso dell’idrogeno freddo negli spazi interstellari);

• figure di diffrazione piuttosto significative che disturbano l’analisi dei dettagli;

• la sensibilità della strumentazione a qualunque fonte anche debole di segnali radio che costitui- scono un fastidioso rumore di fondo.

Alcuni di questi inconvenienti vengono risolti costruendo radiotelescopi di ragguardevoli dimen- sioni oppure combinando tra di loro – come accade anche per i telescopi ottici – un certo numero di questi strumenti in modo da formare quelli che vengono chiamati interferometri. Sopra è riportato l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA), con sede in Cile, frutto di una collaborazione internazionale che al momento costituisce il più grande progetto astronomico esi- stente al mondo, da poco entrato in funzione a pieno regime.

Il cielo ai raggi X

Negli ultimi decenni ha avuto un grande impulso l’analisi dell’Universo nelle piccole lunghezze d’onda, cioè nelle alte frequenze, come i raggi X (10−12m < λ < 10−8m). Questo perché a tali elevate energie risultano molto intense le emissioni da parte di oggetti celesti interessanti come le stelle esplose, il gas presente tra gli ammassi di galassie, gli AGN (nuclei galattici attivi), i quasar, la materia in prossimità dei buchi neri. Ma essendo l’atmo - sfera della Terra opaca a questa radiazione, i tele- scopi a raggi X vengono inviati nello spazio a bordo di palloni sonda o di satelliti.

Tra questi segnaliamo il Chandra X-ray Observa- tory, della NASA (dedicato all’astrofisico indiano S.

Chandrasekhar premio Nobel nel 1983), e l’X-ray Multi-Mirror Mission Newton, dell’ESA (l’Agen -

zia Spaziale Europea), entrambi su satellite in orbi- ta. L’immagine (Chandra) si riferisce ai resti della supernova SN 1006 apparsa per la prima volta il primo maggio dell’anno 1006, che qui rivela i detta- gli del materiale espulso nel l’esplosione della stella.

FLASH

NASA/CXC/Middlebury College/F. Winkler

(24)

• La cosmologiaè lo studio dell’Universo, considerato nel suo complesso, con particolare attenzione alle caratteristiche generali, alla struttura e all’evoluzione dall’origine ai giorni nostri fino alle ipote- si sullo sviluppo futuro.

• L’astrofisicaapplica le leggi della fisica (a partire da quelle della fisica classica per arrivare alla rela- tività einsteiniana e alla meccanica quantistica) allo studio dei corpi celesti.

• Il parsec(pc) può esssere definito come la distanza D corrispondente a un angolo di parallasse p= 1″, cioè:

Esprimendo il valore di r= 1 ua, si ha:

La distanza D di una stella misurata tramite la parallasse è:

• Vi possono essere sistemi binari(stelle doppie), formati da due stelle legate tra loro gravitazional- mente, o sistemi multiplicon più di due stelle. Si parla di ammassi stellariquando i costituenti sono molto più numerosi, raggiungendo anche l’ordine del milione.

• Passando a strutture più complesse, si hanno le galassie. Quella nella quale ci troviamo noi è chia- mata Via Lattea. Essa contiene centinaia di migliaia di milioni di stelle (vale a dire intorno a 1011) di grandezza variabile da un decimo quella del Sole fino a varie decine di volte. Possiede un nucleo cen- trale di raggio 12,5⋅ 103pc che ha uno spessore medio di 1000 pc circa. Le stelle ruotano attorno al centro con velocità che diminuisce andando verso l’esterno; il Sole impiega 200 milioni di anni per una rotazione completa.

• Le galassie a loro volta possono formare dei piccoli gruppi – nel caso del nostro Gruppo Locale siamo in compagnia di una cinquantina di galassie. La più vicina e simile alla Via Lattea è Andro- meda, che si trova a 2,4⋅ 106anni luce.

• I gruppi di galassie hanno dimensioni dell’ordine di alcuni megaparsec(1 Mpc = 106pc) cubi. Que- sta unità di misura per le distanze astronomiche è quella maggiormente adoperata dai cosmologi in quanto 1 Mpc è appunto approssimativamente lo spazio che separa le galassie tra loro adiacenti.

Esistono anche i superammassi, cioè insiemi di ammassi.

• Un parametro importante è la luminosità, per la quale si distingue quella assolutada quella appa- rente. La luminosità assoluta(L) è la potenza totale emessa da una stella sotto forma di radiazio- ne. La sua unità di misura è il watt. In generale questa grandezza dipende dalla massa della stella:

quanto più la massa è elevata, tanto maggiore è la luminosità assoluta dell’astro. La luminosità apparente(l) è la potenza che arriva su una superficie disposta perpendicolarmente ai raggi di luce che partendo dalla stella raggiungono la Terra. La relazione tra luminosità apparente e assoluta è:

La temperatura assoluta T della superficie della stella e la lunghezza d’onda λpin corrispondenza del massimo di emissione sono legate tramite la legge di Wien:

λpT= 2,9 ⋅ 10−3m K

• La temperatura di una stella va dai 3500 K, corrispondenti alle stelle rosse, ai 50 000 K per quelle che tendono al violetto.

Tra la luminosità assoluta L e la temperatura T di una stella di raggio R, se σ è la costante di Stefan- Boltzmann pari a , intercorre la seguente relazione:

L= 4πR2σT4

5 67 10, ⋅ 8 W m K2 2 l L

= d2 D= ′′1p pc

1 1

1 1 3 262

pc ua

pc al

= ′′ ( = , )

1pc=1′′

r

IN SINTESI IN SINTESI

IN SINTESI

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