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I nonni raccontano. 1

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Academic year: 2022

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I nonni raccontano..

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Indice..

Storie ……… da pag. 3 a pag.78 Ricette………da pag 79 a pag. 103 Proverbi……….da pag. 104 a pag.122 Preghiere………da pag.123 a pag. 125 Poesie ……….da pag. 126 a pag.127 Giochi………da pag. 128 a pag.145 Filastrocche……….da pag.146 a p.149 Testi dei nonni………..da pag. 150 a pag. 193 Foto……….da pag. 194 a p.205

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Le storie..

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La mia nonna …

Mia nonna mi raccontò che tanto tempo fa, quando aveva solamente sette anni, non aveva tutte le cose che abbiamo noi oggi.

Quando si alzava la mattina per fare colazione, mangiava solo un po’ di latte con il pane avanzato del giorno precedente.

Le scuole erano diverse, non esistevano le sezioni come oggi, ma tutti gli alunni erano raggruppati in una grande aula e c’era soltanto una maestra che insegnava per tutti.

Ritornati da scuola, mia nonna mangiava un panino e poi cominciava a fare le

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faccende di casa, e doveva anche badare a suo fratello minore.

Il pomeriggio giocava con sua sorella a campana, con le pietre, con le bambole che creavano loro e con la corda.

La mia bisnonna tornata dal lavoro preparava la cena e poi andavano tutti a dormire.

Giorgia Critelli

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Così andavamo a scuola

Cartella di cartone & grande fiocco annodato al colletto bianco

A ogni inizio di anno scolastico c’erano gli acquisti nuovi: la cartella, il grembiule, il colletto bianco e il fiocco rosa (per le bambine-blu per i maschietti).Nessuna di queste “cose”durava più di un anno. Il cartone pressato per la cartella era di qualità scadente, infatti, dopo qualche mese, ai bordi si sfilacciava e se i libri e i quaderni risultavano pesanti, la cartella si sformava malamente.

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Il grembiule

Si comprava un tessuto di cotone, leggero e lucido, chiamato “ raso “.Il colore era

nero per tutti e due i generi, come anche il colletto bianco. Il colore del fiocco distingueva le bambine dai bambini. Già a Pasqua il gomito aveva “via libera”nella manica. Ma le mani abili delle nonne o delle mamme preparavano le toppe adatte.

Ma il grembiule “ non piaceva più”.

Così racconta la nonna di Sergio.

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Il jukebox

I nonni raccontano che loro ballavano al suono del mitico juke box

Che erano una scatola magica che conteneva un fonografo incassato in un mobile che conteneva molti dischi.

Si trovava nei bar e nelle sale da ballo.

Bisognava mettere una moneta e digitare il codice corrispondente al disco che si voleva ascoltare. Al suono del juke box molti nonni si sono conosciuti e innamorati.

Twist generation

I nonni raccontano che ci sono stati balli che più e meglio di tanti altri riassumono lo spirito del proprio tempo.

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Negli anni ’60 uscirono una trentina di nuovi balli: madison, gully gully, tamurè, geghegè, sirtaki, limbo, surf. Ma solo uno è sopravvissuto: il twist, gli anni ’60 furono, appunto, gli anni del twist. Si dovevano muovere i piedi in dentro e infuori come per spegnere una sigaretta, mentre le braccia e le anche dovevano ondeggiare come se ci si dovesse asciugare la schiena con un invisibile asciugamano. Fra i cantanti italiani specializzati in questo ballo c’erano:

Peppino, di Capri, Gianni Morandi, Rita Pavone, Adriano Celentano, ed Edoardo Vianello … a proposito…. Si ballava in casa in feste private dalle 17:00 alle 20:00, altro che discoteche!

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La macchina da scrivere

I nonni raccontano che fino alla fine degli anni ’80, la macchina da scrivere è stato il più diffuso strumento per scrivere testi in bella copia. Oggi è stata soppiantata dai computer pare che a inventare la macchina da scrivere sia stato proprio un’italiano, Giuseppe Ravizza. Oggi le macchine da scrivere sono reperti archeologici ……

Il mangiadischi

I nonni raccontano che fino agli anni’80 per ascoltare le canzoni si producevano dei dischi che si differenziavano tra loro principalmente per il diametro e numero

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di giri al minuto, durata (78,33,45 giri o singolo).

Verso la prima metà degli anni 50, in tutto il mondo si vendevano e usavano, per ascoltare i dischi, giradischi portatili, che funzionavano a batteria: il mangiadischi.

La moda degli anni 70

I nonni raccontano che negli anni ’60 è70 ci si vestiva con colori vivaci, stampe, e motivi geometrici, le gonne erano svasate, i pantaloni a zampa di elefante mentre le minigonne tenevano sempre banco nel guardaroba femminile.

E gli accessori? Erano coloratissimi: zeppe e zoccoli, gli stivali andavano per la

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maggiore. Le donne egli uomini indossavano per lo più tracolline. Si usavano cappelli di tutte le fogge ma anche bandane, foulard e fasce per i capelli elasticizzate. Nascono in questo periodo il mitico Ray Can, occhiali coloratissimi.

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Una prima comunione fuori dal comune Padre Mariano, ricorda la nonna, aveva fissato come ultima data per le prime comunioni, il 20 giugno .

Grandi preparativi nel Duomo: fiori, candele, luci, e paramenti per la festa.

La signorina Faustina ci aveva preparati per lunghi mesi, ricordandoci fino all'ultimo che il digiuno, prima della Comunione, era obbligatorio.

Ogni comunicanda (o), avrebbe indossato un abito da cerimonia, scelto dalla famiglia.

Il colore bianco era d’obbligo.

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I maschietti avrebbero portato in mano una grossa candela, le ragazzine, invece, un bouquet di fiori freschi o finti.

Quello di Nunziatina, mia nonna, era stato confezionato da una sartina geniale.

Un mazzetto di sottili fili di ferro, rivestiti da unnastrino bianco formava 5 petali, rigidi, in cui erano stati sistemati 5 confetti bianchi. La cerimonia, fissata per le 10, diventò lunga e noiosa.

In chiesa l’aria si fece pesante.

Nunziatina avvertiva una grande caverna al centro dello stomaco e un terribile languore le annebbiava la vista.

Sentiva di non farcela.

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Guardava l'altare, i compagni, ma l’occhio indugiava sul bouquet: era tentata di divorare i confetti, di certo si sarebbe sentita meglio.

Di nascosto, prima uno poi un altro, poi un altro ancora fino a quando i cinque petali rimasero vuoti. Nunziatina alla fine accolse Gesù a stomaco, se non proprio pieno, neanche vuoto: aveva disubbidito ma era certa del perdono di Gesù.

Sergio

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Condoglianze o auguri? Fa lo stesso!

A Castroreale i nobili (baroni- marchesi) spendevano somme di denaro nella costruzione di Chiese .

La nonna mi ha spiegato che era un modo di assicurarsi il Paradiso, perché a loro venivano, in parte, perdonati i peccati.

Tante Chiese dunque tanti preti. Padre Mariano (l' arciprete) Padre Ignazio (un parroco molto anziano), Padre Masino (molto giovane e molto criticato), Padre Carmelo (prete ed insegnante di religione alle scuole medie e elementari).

Un giorno Padre Ignazio perse la mamma, anziana e malandata di salute. Era un buon vicino di casa, quindi, la bisnonna

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raccomandò alle figlie di fargli le condoglianze, se l’avessero incontrato.

Mia nonna, un pomeriggio, mentre giocava a nascondino con le sue compagne, lo intravide mentre attra- versava la piazza. Lo chiamò e porgendogli la mano gli disse con voce triste: "Tanto augurio Padre Ignazio" e scappò via .

Il prete, qualche giorno dopo, incontrò la nonna a catechismo e le disse: "Cara mi hai rallegrato con i tuoi auguri, grazie!"

Sergio

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Un collegio, una studentessa innamorata e un calamaio di inchiostro che vola in aria

Narra la nonna che la sua mamma studiava in collegio a Palermo: sarebbe diventata maestra, come la sua mamma . In collegio c’era molto rigore sia per gli orari, sia per i comportamenti che per lo studio.

Quando nei pomeriggi di primavera le

“educande “uscivano per una passeggiata verso i giardini della Zisa, il rigore aumentava .

In fila per due, in silenzio, senza guardare né a destra né a sinistra, senza chiacchierare o ridere rumorosamente.

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Formavamo, ricorda la nonna, una siepe dritta di colore blu (il colore della divisa), calzettoni blu, scarpe basse blu.

La fila era guardata a vista da due arcigne suore. La signorina Marietta, di carattere ribelle, non sopportava la vita del collegio, però i risultati scolastici erano ottimi.

Sebbene molto giovane aveva al suo paese (Castroreale) un giovane corteg- giatore, che le aveva dichiarato tutto il suo il suo amore.

Non poteva però andarla a trovare in collegio, perché le due famiglie erano all’oscuro di tutto.

Marietta sapeva che Ciccino (Francesco) era capace di colpi di testa, infatti,

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sospettava che un giorno o l’altro l’avreb- be incontrato al parco della Zisa.

Non si era sbagliata: un sabato di fine Aprile un giovane di media altezza con i capelli neri e gli occhi vivaci e sorridenti si fece trovare all’ingresso del parco, appoggiato al cancello. Non disse nulla, alzò solo la mano per un rapido saluto e sorrise a Marietta.

Lei rispose nello stesso modo, ma si girò più volte per rivederlo.

Una delle suore se ne accorse e al ritorno fece la spia con la direttrice (madre superiora).

Ella sul tardi chiamò nel suo ufficio Marietta e l’aggredì con parole molto

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offensive e minacciose. Marietta strin- geva le mani e i denti per non “sbottare “ in modo scorretto.

Non era per niente intimidita, era solo molto irritato per le parole della superiora, infatti, combattuta se aspettare che la bufera passasse o mostrare tutta la sua rabbia, buttò un’occhiata al calamaio di vetro, pieno di inchiostro, posato al centro della scrivania, lo afferrò e lo lanciò verso la superiora. Scoppiò un putiferio, ma c’era anche del ridicolo.

Conclusione finale della storia: la signorina Marietta Molino fu espulsa per un anno da tutte le scuole del Regno.

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Marietta studiò in privato e conseguì un ottimo diploma con finale bellissimo:

sposò Ciccinu Motta e iniziò il suo lavoro di maestra a Isola Capo Rizzuto ai tempi della malaria e scrisse una lettera alla Superiora qual era stata la sua vita dopo “ la punizione “.

Sergio

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La curiosa storia di un maiale che si suicidò

Mia nonna mi ha raccontato un episodio accaduto quando era piccola.Ѐ molto curioso ed è per questo che lo voglio narrare.

Un giorno le avevano regalato un maiale.

Secondo me questo maiale era un po' stupido perché lo legarono a un albero e incominciò a girare e correre intorno all’albero. Girando, girando incominciò ad attorcigliare la corda che lo legava al collo e cadde a terra morto, si era strozzato.

Allora il mio bisnonno urlò: ”u porcu! U porcu! Pijjate u curtedu ca lu ‘mazzau.

Quando mia nonna venne a sapere del suo”porco morto” pianse ma quando capì

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che sarebbe diventato salsicce e soppressate fu un po' felice.

Un giorno la mia bisnonna andò a pulire dove i salumi venivano conservati e sentì una puzza, o come disse lei “ nu fetu”chiamò il marito e si accorsero che la carne era annerita. Il bisnonno allora concluse: Non sulu era stupidu, ma non era bonu mancu u si mangia “!!!

Sergio

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Marianna e Teresina

‘Na vota quandu i genti eranu senza malignità na vecchia di paisi (Marianna) perdiu u maritu e ristò cu na fighia scemicedda (Teresina).Non,nè mangiari, né ligna mi si,caddiavanu ‘nto ‘verno.

Cu iddi c’era nu jattu niru e spinnatu. ‘Nto paisi nuddu era riccu ma mancu poveru comu Marianna e Teresina. Tutti l’aiutavunu. U focularu pigghiava pocu pecchì Marianna non avia ligna grossa. U sciallu na caddiava e prestu li vinna a freva. Trimava come na canna e Tirisina chiangia,picchi non sapia chi fara.Ogni mattina bussava a maistra du paisa e chiri purtava u latti cu pani.Subbitu pijjò u

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termometru e lu disi a Marianna mu su minta sotto a shidda dopo a culaziuna.

Dissa poi a Teresina ca passava all’una. U termometru chiusu n’ta l’astuccio o caddu d’a sciddapaesani l’aiutavanu. Vinni l’invernu cu ventu,acqua e cincu uri.

Marianna stava ferma n’tu lettu ca sembrava morta. A maiscra non dissa nenta ,però mandò a chiamare u dotturi.

Marianna e Teresina non potianu stara troppu suli!!!

Sergio

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Il fraticello

Mia nonna racconta che molti anni fa in un paese c’era una specie di galleria a forma di arco da dove ogni tanto usciva un piccolo fraticello che aveva nascosto un tesoro sottoterra. Purtroppo quando questa storia veniva raccontata ai bambini, avevano sempre paura che uscisse e mettesse loro sottoterra e perciò veniva raccontata per farsi obbedire approfittando delle paure dei piccoli……..

Silvia

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Na signura maistra supirbiusa

I fatti narrati da mia nonna risalgono alla seconda metà dell’ Ottocento, quando i miei trisavoli Annunziata Burrascano e Mariano Molino, a Castrorale, formavano una bella coppia.

Entrambi avevano un lavoro e possedevano una comoda casa.

Lei alta, magra, biondina,carnagione chiara, occhi tra il celeste e il verde, di anni 24 già maestra diplomata con concorso superato.

Lui scuro di carnagione, capelli lisci, neri, alto e non proprio magro, era già brigadiere dei carabinieri; era stato assegnato alla caserma di Rodì, località

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interna sulla strada nazionale per Palermo.

Per tenere unita la famiglia Nunziatina scelse di insegnare alla scuola elementare di Milici, frazione di Rodì.

Mariano faceva il pendolare tutti i giorni.

Gli sposi si sistemarono in un grande casale con terreno situato alla fine del paese.

Presto la famiglia crebbe e fu necessario l’aiuto di Lucia, una donna di paese, robusta, energica, capace di badare alla casa, ai bambini, al bucato, che lavava al fiume in giorni fissi.

Nunziatina si rivelò presto una pessima casalinga.

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Era pigra e per nulla adatta a quella casa alquanto “scarrupata”.

La mattina a scuola, al ritorno il pranzo e un riposino, poi i giochi con i bambini e subito dopo lo svolgimento dei compiti con i più grandi.

Chiudeva la giornata il rosario in Chiesa, dove lo aspettavano le sue amiche: la moglie del marchese Siracusa, la moglie del massacro Toni e la sorella del parroco.

Nunziatina era molto superba, non si sarebbe mai confusa con le “donnette “di Milici: contadine analfabete e povere.

Le sue amiche, osserva mia nonna, in verità sapevano leggere e scrivere.

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Solo la marchesa era brava a suonare il pianoforte.

Il brigadiere invece era un tipo alla mano.

Per strada tutti lo salutavano con rispetto e gli chiedevano consigli per i litigi con i vicini: furto di una pecora o di galline e conigli .

A Milici della mia trisavola si diceva: “ A signura maistra avi a nasca (il naso ) all’aria “ .

Però era tenuta in grande considerazione.

A Natale e a Pasqua tutti i genitori dei suoi alunni le regalavano: polli, uova, vino, olio, salumi, formaggio pecorino.

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Certo c’era una grande distanza tra lei che indossava lo spolverino nero, i guanti di pelle, il cappello e la borsettina piatta e le altre signore del paesino.

C’erano dei giorni in cui il marito si sentiva scoppiare, i bambini o erano malati o litigavano, Lucia al fiume e la casa, uno sconquasso.

Ma lui con calma riusciva anche a impastare nella madia di legno, la farina per il pane, che in quella casa non bastava mai.

Accendeva il forno perché fosse ben caldo al momento giusto e non perdeva mai di vista i bambini piccoli.

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Un pomeriggio, sul tardi, il pane era quasi lievito, il forno ben infuocato, ma i bambini non gli davano pace, chiamava

“Nunziatina, Nunziatina, Lucia, Lucia “.

La prima era già andata in chiesa, la seconda raccoglieva il bucato che si era già asciugato sulle siepi.

Mariano fuori di sé, entrò nella stanza da letto e tirò fuori dalla cappelliera tutti i cappelli della moglie e li scaraventò nel forno.

“BASTA, BASTA !”.

Lui non si pentì mai di quel gesto, né Nunziatina si offese, anzi disse a Mariano

“Hai fatto bene, te lo volevo proprio dire che quei cappelli erano ormai vecchi e

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fuori moda, presto ne dovrò comprare altri”.

Mariano morì presto, Nunziatina, invece, visse fino a novanta anni a Castroreale con la figlia Marietta, non era più lucida di testa e spesso ripeteva i nomi delle sue direttrici, che ormai in famiglia conoscevano a memoria.

E se a casa qualche vicina o parente veniva a trovare la figlia, lei la rimproverava: “Ma perché dalla confidenza a queste ignoranti, non sai che il peso più grande che sopporta l’umanità è l’ignoranza?”.

Ricorda mia nonna che sua mamma mormorava:

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“In casa abbiamo Santippe (la linguacciuta moglie di Socrate)”.

Sergio

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Il lupo mannaro

Quando mia nonna era ragazza al suo paese, c’era un ponte buio. La mamma le raccontava che se di notte passavano di là usciva il lupo mannaro. Avendo paura sia lei che le sue amiche di sera non uscivano più.

Silvia

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La Cummare Furmiculicchia

C’era nna fiata la Cummare Furmiculicchia.

Ca stia a casa a pulizzare an terra.

E scopa scopa, scopa scopa e nah! Acchia nu sordu. E scopa scopa, scopa scopa e nah! Acchia n’autru sordu e se lu minte an pauta! E scopa scopa, scopa scopa e nah!

N’autru sordu ancora!

“Cce me ccattu…cce me ccattu…le caramelle? No no poi me fannu male li dienti…cce me ccattu…cce me ccattu…nu diamante? No no mica ogghiu fazzu l’importante…cce me ccattu…cce me ccattu…Ah…aggiu cchiatu! Me ccattu na vesta e mme nfacciu alla fenescia, ogghiu bisciu se acchiu maritu!”

La Cummare Furmiculicchia spettau settata alla fenescia.

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Passau ‘nanzi a iddhra Compare Cane.

“Cummare Furmiculicchia perccè stai annanzi alla fenescia?”

“M’aggiu mmaritare”

“Me vuei a mmie?”

“E comu faci la notte?”

“BAU BAU BAU”

“Noooo nonononono….me mpauru!!!”

Dopu nu picca passau lu Compare Ciucciu

“Cummare Furmiculicchia perccè stai annanzi alla fenescia?”

“M’aggiu mmaritare”

“Me vuei a mmie?”

“E comu faci la notte?”

“IIHH OHH IIHH OOHH”

“Noooooo nononono…me mpauru”

Dopu n’autru picca passau lu Compare Iaddhru.

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“Cummare Furmiculicchia perccè stai annanzi alla fenescia?”

“M’aggiu mmaritare”

“Me vuei a mmie?”

“E comu faci la notte?”

“CHICCHIRICHIIIIII”

“Noooooo nononono…me mpauru”

Alla fine ‘nanzi alla fenescia de la Cummare Furmiculicchia passau lu Compare Surgicchiu.

“Cummare Furmiculicchia perccè stai annanzi alla fenescia?”

“M’aggiu mmaritare”

“Me vuei a mmie?”

“E comu faci la notte?”

“ciii ciii ciii ciii”

“Sìììì sìsìsì te sposu te sposu, me faci durmire!”

Cussì la Cummare Furmiculicchia e lu Compare Surgicchiu ulianu cu sse

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mmaritanu.La Cummare Furmiculicchia prima cu bbae an chiesa però mise subbra lu fuecu na pignata, cu cucina lu pranzu.

Lu Compare Surgicchiu, ssentita la ‘ndore de cucenatu se vvicina alla pignata e….splashhhhh……

Poveru Surgicchiu!!! E la Cummare Furmiculicchia, appena se ‘nde ccorge, chiangendu ritau:

“Surgicchiu miu surgicchiu, t’ha cuettu a pignaticchiu, e ‘nzuppatu alla pezzuddhra e menatu all’imbruscicchiu”.

Silvia (In dialetto pugliese di nonna Olga)

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Per una stupida gallina volò via un dente!

La nonna Teresa ,narra il nonno,era una donna corpulenta, forzuta, decisa.

Non amava sprecare il tempo in inutili chiacchiere con i vicini nel vicolo.

Non era complimentosa con nessuno.

Insomma era una donna concreta.

Giovanissima aveva sposato Leonardo, un giovane alto, magro, con i baffetti e molto mite di carattere.

Per le nozze il padre aveva dato a Teresa una buona dote, custodita in un baule (cassa):18 asciugamani, trentasei paia di lenzuola, trentasei federe, diciotto tovaglie da tavola ....

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Erano state tessute al telaio di casa dalla nonna materna.

Lei si era messa all’opera appena Tersa era venuta al mondo.

Leonardo, lo sposo, era piaciuto al papà di Teresa,e cosi aggiunse al baule un bel terreno, appena fuori Borgia, coltivato a vigna,ulivi, ad orto. Si poteva raggiungerlo a piedi, camminando a passo svelto, così faceva ogni mattina e ogni sera nonna Teresa.

Lei coltivava la terra con passione e con grande energia.

Guai a rubarle un grappolo di uva o un cestino di olive.

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I vicini la temevano d evitavano di discutere con lei.

Al ritorno in paese accudiva alle galline in uno spazio dietro la casa, come facevano tutti in paese .

La cura per le galline incominciò a crescere dopo la morte del marito, che la lasciò vedova molto giovane con tre figli.

Le galline diventarono le compagne delle sue serate, ma anche delle sue giornate quando non poteva andare in campagna.

Si sedeva in mezzo a loro con il grembiule pieno di granturco e loro in breve lo svuotavano.

Una sera, al momento della conta delle galline, mancava Banchina.

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Girò nel vicolo e in quelli vicini.

Cò-cò-cò,Bianchina!!.Silenzio. Non sia affacciò nessun vicino ma intanto la nonna aveva il sospetto che Agazio, il vicino di casa, bisognoso con una famiglia numerosa, avesse già messo in pentola Bianchina. Per la rabbia di non poter litigare con nessuno ed anche per il dispiacere addento’ il fazzoletto e lo tiro’

verso l’ esterno strappandosi un canino . Alla vista del sangue, si chiuse in casa e si sedette accanto al focolare. Agazio l’avrebbe pagata cara!!!!!!!!!.

Sergio

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Quando i contadini aspettavano davanti al palazzo “gli ordini” del barone.

Borgia, ai tempi di mio nonno adolescente, erano un paese agricolo.

I terreni sia verso Girifalco che verso il mare appartenevano a due latifondisti, imparentati (cognati): il barone Mascara, che abitava a Borgia, in un elegante palazzo, un po’ fuori paese e il barone Mazza a Roccelletta in un grande palazzo (oggi Museo) nei pressi della basilica di S.

Maria della Roccella.

Il nonno, racconta che spesso frequentava quelle case, perché i due baroni erano clienti fissi del bisnonno, proprietario, con i due figli, di un’officina, che costruiva:

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birocci, carrozze e carretti e metteva anche i ferri ai cavalli.

I due cognati avevano sempre bisogno di mastru Cicciu, il mio bisnonno e mandavano a prenderlo il fattore Ntoni, che a lavoro finito lo riportava a casa sempre con il biroccio.

Spesso mio nonno,ancora bambino andava con il padre, perché gli piaceva entrare in quei palazzi.

Lo incuriosivano ma gli mettevano anche paura.

Erano case enormi. I saloni, le stanze, gli stanzini si susseguivano.

Erano ambienti bui con grandi finestre, oscurate però da pesanti tende bordò

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dello stesso tessuto dei divani, delle sedie e dei poggiapiedi. Le stanze erano arredate con mobili scuri, massicci, sui quali si notavano brocche, vassoi, teiere d’argento con tazze.

Il nonno ricorda di avere avuto paura degli enormi ritratti, appesi alle pareti, di uomini impettiti e di donne superbe.

Al nonno sembrava che lo volessero rimproverare, perché era un estraneo.

Nel palazzo c’era anche una piccola chiesa, che al tempo della mietitura era riempita di grano oltre l’altare.

Il barone Massara era un oculista, il cognato, invece si era fermato alla quinta elementare.

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Entrambi però erano prepotenti, offensivi e per nulla rispettosi verso i lavoratori.

Essi, a fine giornata di lavoro, nel cortile del palazzo, dovevano aspettare gli ordini del barone per il giorno dopo.

Ricorda il nonno che quasi sempre si affacciava BETTUZZA, per metà governante , per metà donna del barone . Con voce da padrona diceva: “Aviti aspittari, pirchi’ u baruni si sta facendu a doccia.”

E sbatteva il portone.

Qualche operaio sputava bestemmiando, un altro a bassa voce diceva: “ Ma quando finisci stu turmentu?”.

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Un’ altra ancora aggiungeva: “CHI FIGGHIU DI ………. Don Saveriu ma duvi va, gli avi pagari.”

E così fu.

Felice il giovane fattore, conquistò la baronessina Adriana.

Ma i vecchio barone non vide mai di buon occhio un futuro matrimonio. C’ era una grande differenza sociale.

Una mattina di maggio sul tardi rimbombarono nel palazzo colpi di pistola.

Allarme nel vicinato e nel paese.

Felice aveva ucciso Adriana perché aveva scoperto che prepotente come era lo tradiva con il prete del paese. Fu un

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grande scandalo ma il paese era tutto dalla parte di Felice. Egli, fece tanti anni di carcere e scontò il suo errore.

Quando ritornò libero si sposò ed ebbe una discreta vita rispettato da tutti, ma una grave malattia lo stroncò.

Intanto i tempi erano cambiati e quei palazzi caddero in un profondo silenzio.

Sergio

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Roccu, nimicu du russu

Nta du classi a maistra Marietta,a me bisnonna,avia sulu masculi, 40.

20 erunu carusi di prima elementari e l’autri 20 di secunda elementari.

Carusitti manzi, chi aviunu rispettu pi randi da casa e di fora. Milici (ME ) era un paiseddu di genti travagghiaturi:

contadini, mastri d’ascia, di ugghia, di cauci e petri.

Nuddu era riccu,ma mancu poviru.

A maistra Marietta avia un gran pinseri pi Roccu:

un carusittu di prima elementari. Ogni tantu, a na vota, si ammucciava l’occhi scantatu e subitu girava a testa di nautra

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parti. Non vulia parrari cu nuddu, anzi vulia scappari fora. Ma chi avia ??

Na matina Melu, u cumpagnu di bancu, vinni alla scola cun giacchitteddu russu, strittu e commudu, forsi era da soru.

Roccu era gia assittatu allu bancu e appena vitti Melu si arzò e scappò fora gridandu:”prestu, prestu, levati sta blusetta,l’occhi mi stannu niscendu e fora, non vidu nenti , maistra.”Undè a porta,mi ndi voghiu andari alla casa “.

A maistra Marietta ebbi subito a rispota a chiddu chi non avia mai caputo: Roccu era daltonico. Mamma e patri u sapiunu???

Sergio

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Scrivilu allu muru e cancellulu chi spaddi Borgia, racconta il nonno , era il paese del vino buono, delle osterie e degli ubriaconi.

Oggi le osterie son diventate bar o rivendite commerciali.

L’oste più conosciuto e più simpatico, ricorda il nonno, era Saveruzzu: un uomo tarchiato, panciuto, con le guance rubiconde.

Indossava un enorme grembiule sbiadito.

Camminava trascinando le gambe e spingendo in avanti la pancia.

La sua osteria era la più frequentata del paese e la gestiva assieme alla moglie:

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una donnetta grassottella, con i capelli raccolti dietro la nuca.

Pure lei camminava strisciando i piedi, che calzavano larghe pantofolacce.

L’osteria era un antro buio e fumoso, perché quelli che la frequentavano erano fumatori incalliti delle peggiori sigarette allora in commercio: ALFA.

Non c’erano finestre per il ricambio dell’aria.

L’oste mesceva il vino in alte brocche di terracotta e il suo via – vai dalle botti, sistemate su assi di legno , era continuo . I suoi clienti erano i contadini a giornata, che soprattutto di sabato si incontravano in quella osteria.

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Si sedevano su rustiche panche attorno ad un tavolo.

Chiacchieravano e gustavano manciate di calia (ceci abbrustoliti), castagne secche e fave infornate.

Ci scappava anche la partita a 3 sette o a scopa.

Rallegrava la serata il vino, robusto, gradevole, ma traditore e se i soldi in tasca non c’ erano, non avevano nessun pensiero, perché l’ oste diceva :” Basta chi scriviti ca carbunedda u vostru nomi suba du muru, undi c’è na fila di atri nomi:

Rosario 10 biccheri randi, Ernestu 20 biccheri picciuli.”

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Ma i soldi mancavano sempre a quei contadini, ai quali però i piacere dell’osteria non passava mai.

Una sera il più giovane di un gruppo fece una proposta conveniente: “Scrivemu allu muru, comu dissi Saveruzzu, ma dumani sira stricamu i spaddi allu muru e cancellamu tuttu”.

L’ oste impiegò un po’ per capire cosa era successo ai suoi conti.

Sergio

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Un mazzu di driga (ortica) per Rosina

Rosina avia venutu allu mundu “muscia”, non stava mai bella tisa, era sempri ricoghiuta nte spaddi, paria una vicchiarrunata. Peppina, a mamma, non si dava paci,pirchi l’atri figghi (5)erano tutti beddi giuvini.

Rosina caminò e parrò tardu e tutti nto paisi storciunu u mussu quando a vidiunu. U dutturi du paisi dicia a Peppina chi si l’avia pigghiari npacenza, non c’erunu midicini pi Rosina. Ma Peppina avia un tormentu pi sta fighia. Allora, un ghiornu, fici na pinsata.

Coghiu nta strada di campagna un mazzazzu di droga (ortica), frisca, virdi,masculina e a sira la misi a Rosina

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supra u pettu e nte spaddi tra peddi e camicia “DORMI BEDDA MIA, STA NOTTI A DROGA TI FA CODDIARI U SANGU E DUMANI SI BONA “

A matina appressu Rosina gridava pu bruciuri era china di papuli randi e russi.

Peppina priparò un bagno cu canighi e lavò Rosina. U vruciuri chianu, chianu li passò, ma idda ristò sempri ricoghiuta!!

Traduzione

Un mazzo di ortica per Rosina

Rosina era venuta al mondo un po' malandata infatti non stava mai bella

“dritta” era sempre rannicchiata nelle spalle,come una vecchietta. Peppina (sua madre), non si dava mai pace perché gli

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altri 5 figli erano bei ragazzi, Rosina era ritardata nel camminare e nel parlare e tutti i paesani quando la vedevano storcevano la bocca. Il dottore del paese diceva a Peppina di avere pazienza, perche per la povera Rosina non esistevano medicine, ma Peppina non si rassegnava per questa figlia ed un giorno pensò ad una soluzione. Raccolse in campagna un fascio di ortica fresca,verde e molto spinosa e la sera la poggiò sul petto, sulle spalle e tra i piedi e la camicia della piccola dicendo:”dormi bella mia che stanotte l’ortica ti farà riscaldare il sangue e domani sarai guarita”: la mattina dopo,però,urlava per il bruciore ed era piena di bolle grandi e rosse. Peppina

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preparò un bagno con la crusca e lentamente le bolle se ne andarono, ma Rosina rimase comunque rannicchiata!!

Sergio

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"U sapuni i casa" (Il sapone fatto in casa) Da piccola credevo che le donne calabresi (solo loro conoscevo ancora), fossero un po tutte delle maghe. Non c'erano segreti per loro. Una risposta a tutto e per tutto un rimedio. Quando poi si mettevano ad armeggiare con pentole e pentoloni era il massimo per noi bambini. Quando si doveva accendere "il fuoco grande"

quello per la salsa, per il mosto o per fare il sapone, noi dovevamo stare alla larga per evitare pericolose scottature, ma soprattutto per lasciar lavorare liberamente chi doveva farlo. Forse, proprio per questo, molte volte, quei lavori li facevano quando noi eravamo a scuola o altrove. Per non intralciarle.

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Capitava quindi, che trovavamo delle cose già belle e fatte che aumentavano in noi l'aria magica aleggiante sulle nostre mamme e nonne che sembravano avere dieci braccia invece che due.

Un rituale che si faceva un paio di volte all'anno o almeno una, era quello di preparare il sapone.

Sul far dell'estate, quando ormai la raccolta delle olive era già finita e l'olio riposava nei grossi bidoni tenuti apposta, ("landiuni", sostituiti col tempo da grosse taniche di acciaio inox, molto più igienico e spesso provvisti di un rubinetto molto pratico ) già da un pò, si pensava a vendere l'olio in più che si era prodotto. Si metteva da parte una bella scorta

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personale anche in previsione di un'eventuale "mala annata" e il resto si vendeva ai compratori di olio. C'era un vero mercato dell'olio che faceva oscillare i prezzi come in borsa a seconda dell'annata, dell'inflazione ecc. In paese mi pare ci fossero un paio di "compratori ufficiali" e uno di Limpidi che acquistavano molti quantitativi di olio da quasi tutto il paese e poi lo rivendevano ai grossisti che lo imbottigliavano per rivenderlo. Non so bene come funzionasse, ma più o meno, credo così e praticamente, i compratori erano una specie di intermediario.

Quindi, svuotati i "landiuna" e incassato un bel gruzzoletto ( a seconda di quanto

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olio si era venduto),con cui si contava di pagare qualche debituccio o togliersi qualche sfizio, restavano i residui dell'olio (murghi) che erano una manna dal cielo per fare del buon sapone.

Fare il sapone richiedeva una certa esperienza, perché non era facile lavorare con grandi quantità di materiale e quindi non era nemmeno facile dosare bene la soda (potassina), ingrediente essenziale per far solidificare il sapone, e l'acqua occorrente. Solo molti tentativi, quindi anni di esperienza e molti segreti rubacchiati qua e là, facevano riuscire un buon sapone e una brava massaia.

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Il giorno stabilito si preparava una grande caldaia o un mezzo fusto come quello per l'olio, tenuto apposta per il fuoco. Si adagiava sul grande treppiedi e sotto si accendeva un bel fuoco mettendo a riscaldare le "murghe" che a dir la verità non avevano un bell'aspetto. Erano infatti nere e maleodoranti, a volte anche rancide perchè lasciate riposare troppo tempo. A queste si univano spesso anche olio fritto filtrato e tenuto da parte e se capitava anche grasso di maiale

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inutilizzato. Il grande fuoco scioglieva tutto e rimescolando con un vecchio manico di scopa in continuazione, s'incominciava ad aggiungere pian, piano la soda che aveva il potere di gonfiare il tutto. Era necessario quindi, tenere a portata di mano tanta acqua che buttata sopra a secchiate, regolava il tutto e calmava il bollore della potassa. Il segreto era mescolare sempre e controllare il fuoco per regolare la cottura. Quasi sempre si formava un capannello di comari del vicinato ed ognuna diceva la sua. O era troppo "potassusu" (troppa soda) e quindi c'era bisogno di altra acqua, o era "lisciu" cioè acquoso e abbisognava di altra soda, ma devo dire

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che in questo caso, l'aiuto e i consigli delle altre amiche era sempre ben accetto per la buona riuscita al primo colpo del risultato sperato.

Mescolando, mescolando avveniva la magia! Il brutto colore iniziale, andava scomparendo diventando un bel caffelatte fino a un bianco panna, quando andava bene. Spesso, comunque il colore non proprio puro, non era sinonimo di cattiva riuscita. Il suo dovere di sbiancare e fare schiuma, il sapone lo avrebbe fatto lo stesso anche se più scuro, ma certo, bianco era tutt'altra cosa.

Si capiva che era pronto quando, mettendo il bastone al centro, questo restava bello dritto e non scivolava.

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Significava che la consistenza era quella giusta e la grana presumeva una buona saponificatura.

Il sapone quindi, cuocendo diventava cremoso e senza grumi e si poteva togliere dal fuoco. Si lasciava riposare tutta la notte e già il giorno dopo si poteva constatare il risultato. Battendo con la mano al centro si vedeva subito se era solidificato o meno. A volte, addirittura, se veniva perfetto, si staccava

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da solo, o con qualche piccolo colpo, dai lati e galleggiava nella "lissìa"cioè la lisciva. Un'acqua nera dal penetrante odore di soda molto utile per sbiancare qualche oggetto annerito, prima di buttarla via. Si cercava di sfruttare tutto il possibile.

Se non era ancora solido, si lasciava riposare per altro tempo, prima di tagliarlo, ma se capitava che non

"quagliava" voleva significare che qualcosa era andato storto e quindi andava rifatto (stornatu).

si ripeteva quindi tutto il lavoro già fatto.

Il sapone doveva essere tagliato a pezzi e fatto sciogliere nuovamente aggiungendo più o meno soda a seconda della necessità. Non era raro vedere qualche vicina che si adoperava a correre in aiuto con qualche bottiglietta d'olio fritto

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conservato, nel caso in cui il sapone era

"potassusu" e quindi necessitava di altro olio per stemperare la tanta soda. Quel gesto, veniva ripagato con qualche bel pezzo di sapone... era pur vero che le massaie accorte tenevano sempre qualche riserva per l'evenienza, ma poteva capitare di esserne sprovviste.

Se invece era leggero, bastava aggiungere qualche altro grammo di soda e tutto s'aggiustava.

Il sapone, naturalmente prendeva la forma del contenitore dove veniva lasciato e quindi poi, andava tagliato in piccoli pezzi maneggevoli. Se era stato messo molto materiale consistente (murghe, olio ecc), quagliava molto e per tagliarlo intervenivano in aiuto anche gli uomini di casa con un lungo seghetto, altrimenti, bastava un coltello. Devo dire

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che di solito si preferiva farlo in due volte piuttosto che maneggiare molto e così le forme di sapone venivano tagliate in modo piuttosto regolare e pratico.

Una volta tagliato a pezzi non restava altro che farlo asciugare finchè diventava secco e leggero. Si mettevano i pezzi su un "carijjùattu" (cesta di canna, larga e aperta, senza bordi) dove poteva traspirare liberamente almeno per un mesetto prima di poter essere usato.

Asciugando, di solito si formava una crosticina di scaglie di soda luccicante, ma una volta stagionato non faceva più male

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toccarla. Non era più caustica.

Il sapone era pronto per essere usato in lavanderia e in cucina. Eh, sì...con quello lavavamo pure i piatti e all'epoca non ho mai sofferto di allergie alle mani, pur non usando mai i guanti...

"Il sapone di casa" è ritornato e rivalutato e si fa a gara per arricchirlo e riproporlo sotto tante altre vesti. Profumato con oli

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essenziali, con fiori secchi, aromi ecc, incartato in belle composizioni e confezioni... ma resta pur sempre il brevetto delle nostre care nonne che mai minimamente avrebbero immaginato il caos di oggi tra detersivi per piatti, per bucato, per i delicati, per la lana, per i colorati i bianchi, additivi, ammorbidenti, sbiancanti ecc...magie del progresso che ci sta presentando, però un alto conto da pagare, tra inquinamento dell'ambiente e malattie varie causate da ingredienti spesso cancerogeni.

Dalila

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Una aringa per tutti!

“Erano tempi tristi, di grande miseria …”

Così raccontava la bisnonna alla mia nonna.

A Milici erano tante le famiglie bisognose,che si alimentavano male.

Nelle loro case penzolava da una trave di legno , sopra il focolare ,una grossa aringa affumicata. Essa era un saporito companatico per tutta la famiglia. Infatti, chi sentiva un languorino nel centro dello stomaco, si affrettava a tagliare due fette di pane e le avvicinava, sfregandole ,al pesce,perché prendessero sapore. Subito le addentava con avidità. Non osava rifare lo stesso gesto,perché l’aringa doveva

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essere “accarezzata”da tutta la famiglia almeno fino alla primavera.

Sergio

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Vito,lo sbrigafaccende di Castroreale

Delle 5000 anime che abitavano a Castroreale faceva parte anche Vito Molinari.

Erano gli anni 50, la mia bisnonna Marietta insegnava in periferia. Nel paese chi aveva bisogno del rilascio di documenti importanti : atti notarili ,visure catastali,certificati di buona condotta si rivolgeva a Vito, che di professione faceva lo sbriga faccende. Si considerava un’autorità e si vantava di aver conseguito la licenza della Scuola di avviamento a pieni voti. Ogni sera a casa sua bussavano persone diverse,lui si affacciava sulla porta già con una cartellina, dove riponeva le richieste di

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ogni persona. L’indomani alle cinque aspettava l’autobus per Messina, dove con affanno cercava di avere il rilascio dei documenti. Alle 16 circa era di ritorno. In fretta si portava davanti alle porte dove avveniva la consegna dei documenti ed il pagamento del suo disturbo. A casa della mia bisnonna bussava più tardi,perché gli piaceva avere un po’ di tempo per chiacchierare con lei. ”Che cosa mi racconti di Messina?” gli chiedeva la mia bisnonna. Lui subito ripeteva: ”COSE ALLUCINOGENE,COSE ALLUCINOGENE…”, signora maestra.

Femmine truccate,capelli con la permanente boccolosa,femmine con la sigaretta,con gonne strette,con tacchi

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alti,più di una ERA ALLO STERZO!!!. La mia bisnonna cercava di consolarlo dicendogli : Vito per una città questo è progresso.

Per Castroreale è uno scandalo . Vito le porgeava la mano per il saluto e continuava a dire :COSE ALLUCINOGENE…

Sergio

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Le ricette..

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Castagnole di carnevale 370g di farina

80g di zucchero 3 uova

60g di burro

1 cucchiaino di caffè di lievito vanigliato 1 limone grattugiato

Zucchero a velo Sale

Olio per frittura

In una terrina ammorbidite il burro, incorporate lo zucchero e poi le uova, una alla volta. Aspettate che si amalgami bene l’uovo prima di passare al successivo.

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Mescolate e unite anche la buccia grattugiata del limone, un pizzico di sale e tanta farina quanto basta ad ottenere un impasto morbido e omogeneo. Alla fine aggiungete il lievito setacciato.

Staccate con le mani dall’impasto dei piccoli pezzetti e formateci delle palline.

Friggete le castagnole in abbondante olio bollente fino a che non assumono un bel colore dorato.

Toglietele dall’olio con l’aiuto di una schiumarola e mettetele ad asciugare su carta assorbente.

Prima di servirle, spolveratele con zucchero a velo o con quello semolato.

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In molte regioni è comune accompagnarle con uno squaglio di cioccolato fondente nel quale intingerle mano mano che si mangiano.

Giovanni

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I consigli della nonna Michelina RIMEDI PER LA TOSSE

Per la tosse si usa la camomilla calda e il decotto e si mette: una buccia d’arancia , un po’ di buccia di limone , una mandorla e un fico secco cotto in forno. Poi si aggiunge ( per i bambini) lo zucchero e il miele ( per gli adulti ) una goccia di cognac ( un liquore ).

COME FARE LA PASTA

Ragù di maiale, pasta di casa (le tagliatelle). S’impasta, si lavoro molto mettendo poco a poco l’ acqua e la farina di grano duro. Poi si aggiunge una palla con l’impasto e si lascia raffreddare, si

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usano la carne di maiale (possibilmente macellata di fresco) e alcuni pezzi di pancetta. Si prepara un soffritto di cipolla e sedano, una foglia di lauro, lo olio (poco perché la pancetta è grassa). Lasciare soffriggere e aggiungere un pizzico di sale quando la carne è a metà cottura.

Quando la carne rosola, aggiungere un po’ di vino e il pomodoro passato. Il ragù lentamente fa cucinato finché si fa denso.

LAVORI A MAGLIA

Per fare un maglioncino semplice si devono comporre nel ferro da lavoro le maglie per la misura che si desidera, poi si fa l’elastico facendo due dritti e due rovesci per tre centimetri, quindi si passa

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alla maglia semplice (liscia) e si lavora un farro tutto intero a diritto e un altro tutto intero a rovescio (cioè dall’ inizio a diritto e viceversa).Per il giro manica bisogna scalare prima cinque maglie, poi tre e poi due e cosi via per la grandezza del braccio. Per esempio se si vuole un maglioncino chiuso si fanno due pezzi e poi formare il girocollo.

Valeria

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Migliaccio Ingredienti

200g di semolino 500ml di latte

500ml di acqua 350g di ricotta 4 uova

2 bustine di vanillina 250g di zucchero

40g di burro

1 buccia di limone Procedimento

In una pentola dai bordi alti versate latte, acqua, burro e la buccia del limone.

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Portate a bollore. Quando il composto bollirà, togliete la buccia del limone aggiungete a pioggia la semola, girando continuamente. Continuate la cottura a fuoco basso per pochi minuti e lasciate raffreddare.

Montate le uova con lo zucchero e aggiungete successivamente la ricotta e la vanillina. Quando la semola si sarà raffreddata,unitela al composto di ricotta e lavorate il tutto fino a completa amalgama del composto. Versate in una tortiera di circa 22cm imburrate e cuocete in forno caldo a 180 gradi per 60 minuti o fin quando la superficie non sarà diventata un pochino scura.

Giovanni

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Morzello Catanzarese

(‘U Morzeddhu Catanzarisa) Ingredienti:

1kg per 4/6 persone:

Trippa: 200 gr. tra Rumine, Abomaso e Reticolo – 400gr. di Omaso (cosiddetto

“Centupezzi”)

Altre interiora di vitello: 200 gr. tra Esofago, Polmone, Milza e Cuore

(facoltativo) (le frattaglie di vitello in dialetto sono dette "Diuneddi")

Carne di vitello: 200gr di pancia Condimento: 200 grasso animale Sugo:

100 gr. di concentrato di pomodoro 1,5 litri di conserva di peperone

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Aromi:

alloro, origano, peperoncini piccanti calabresi

Sale: q.b. da mettere a fine cottura Preparazione:

Dopo aver sciacquato le interiora (trippa, centopezzi, esofago, milza, polmone ecc..) e il grasso mettete il tutto in una pentola colma di acqua e ponete sul fuoco a bollire. Le carni saranno pronte quando si potranno infilare con una forchetta.

Una volta cotte le interiora, mettete da parte il grasso che affiora in superficie, e tagliate il tutto in piccoli pezzi. I pezzi non devono essere ne troppo grandi ne troppopiccoli.

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Si prepara un soffritto a fuoco vivo con peperoncino, alloro, origano, la colatura del grasso e poco olio, si aggiunge la carne, si sala il tutto e si fa rosolare finchè non toglie l'acqua in eccesso.

Dopo aver soffritto il tutto, mettete a fuoco molto lento; si aggiunge il concentrato di pomodoro e la salsa di peperoni, si fa insaporire la carne, e subito dopo si aggiunge la conserva di pomodoro.

Si aggiunge dell'acqua tiepida (e preferibile mettere quella della bollitura delle interiora).

Dopo mezz'ora mettete un mazzo di origano intero (foto sesta fase) nella pentola e utilizzate questo per rimestare il

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morzello.

A questo punto non ci resta che aggiustare di sale e peperoncino e aspettare.

Dopo circa 4 ore il morzello sarà pronto Note:Prodotto De.Co.

(Denominazione Comunale d’Origine).

“U Morzeddhu” era la colazione che gli operai consumavano prima di iniziare il lavoro o durante una pausa. La città era piena di piccole osterie che offrivano questa pietanza, ne ricordiamo qualche morzeddaru: Rorò e Zerafina, Grazia a Lulla, 'u'Ncurunatu, Turi Giustu, Liarò, Pudìa, 'u Recanatu, Pocusangu e tanti altri.Ma da dove arriva la parola

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morzello? Molte sono le definizioni, il dizionario della lingua italiana indica come morsello “la quantità di cibo che si può mettere in bocca in una sola volta o che si stacca con un solo morso”, l'etimologia della parola deriva dal latino morsus, participio passato del verbo mordere, ma troviamo tracce anche nella lingua francese “morsel” ed in quella spagnola “al muerzo”.

Il morzello va mangiato nella Pitta, tipico pane catanzarese a forma di ciambella, che per il morzello deve essere senza mollica (nelle panetterie locali si produce appositamente).

Il vero Morzello si prepara e và mangiato nelle “putiche”: un tempo la città era piena di questi posti nelle viuzze del centro storico. Le riconoscevi a distanza,

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con la “Tiana” piena di morzello fumante sulla porta, e la via cosparsa dal profumo sprigionato dai diuneddi che pippiano.

Oggi, purtroppo, tutto questo non c'è più, ma per fortuna ancora qualcuno tiene viva la tradizione.

Dalila

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SAPONE FATTO IN CASA FREDDO RICETTA

INGREDIENTI 1 Kg di farina 1 kg di potassio 4 L di olio

16 L di acqua

1etto e mezzo di sale (un pugno di sale )

PROCEDIMENTO

1. Mescolare per bene tutti gli ingredienti e unire per ultimo il potassio.

2. Nel sapone, volendo, si possono aggiungere delle essenze aromatiche

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come la lavanda, la camomilla o altre a proprio piacimento.

3. Per eseguire il procedimento del sapone a caldo, bisogna aggiungere della cenere che si deve riscaldare nei 16 litri di acqua.

Michela

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Ricetta piemontese La bagna cauda

Per preparare la bagna cauda ci vogliono:aglio,acciughe sotto sale e un po’

di burro.

Fare arrostire il peperone e poi sfilettarlo..

Infine mettere sopra il peperone la bagna cauda.

Nonna Rita (Silvia)

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Ricetta “Murunelli”

Domani è domenica e mia nonna prepara i “Murunelli”.

Sono dei piccoli dolcetti tipici calabresi, che si fanno solitamente durante il periodo natalizio.

Questi dolcetti sono anche molto facili da preparare, occorrono solo quattro ingredienti: un bicchiere di olio, uno di vino bianco, un po’ di liquore e farina a proprio scelta; successivamente si impasta il tutto, e in seguito bisogna fare tanti piccoli cubetti d’impasto che verranno fritti. Dopo averli lasciti raffreddare, mettiamo il miele un po’ di cannella e un po’ d’arancia grattugiata.

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Sono dei dolcetti molto semplici, ma anche molto buoni.

Giorgia Critelli

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U suzzu = la gelatina di maiale

La preparazione di questo piatto deve avvenire nei mesi più freddi con temperature molto basse .

INGREDIENTI:TESTA DI MAIALE;

ALLORO;ACETO, PEPERONCINO PICCANTE IN POLVERE.

PREPARAZIONE

a)TAGLIARE IN 4 QUARTI LA TESTA USANDO UN TAGLIERE ED UNA MANNAIA.

b)LAVARE SOTTO L’ACQUA

C)SISTEMARE IL TUTTO IN UN PENTOLONE PIENO D’ ACQUA .

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d)FAR BOLLIRE FINO A QUANDO LA FORCHETTA SI AFFONDA BENE NELLA CARNE .

e)TOGLIERE DAL FUOCO E DAL LIQUIDO DI COTTURA

f)FAR RAFFREDDARE UN POCO E SUBITO DOPO SEPARARE LA CARNE DALLE OSSA E TAGLARLA A PEZZETTINI .

g)SISTEMARE TUTTO IN UNA GRANDE CIOTOLA , VERSANDO ACETO DI VERO VINO , SPOLVERANDO IL COMPOSTO CON ABBONDANTE PEPERONCINO , A CUI VANNO AGGIUNTE FOGLIE DI ALLORO FRESCO SPEZZETTATE .

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h)MESCOLARE BENE CON LE MANI, QUINDI RIPORRE LA CIOTOLA IN UN LUOGO MOLTO FREDDO.

BUON APPETITO Sergio

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PITTA’ NCHIUSA

INGREDIENTI SFOGLIA : Un bicchiere d’acqua Un bicchiere di olio Un bicchiere di vino Un pizzico di sale Farina quanto basta

300 grammi di lievito madre Per il Ripieno :

Uvetta,noci ,mandorle,cannella,bucce di mandarino tagliate sottili

PROCEDIMENTO:

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1.Dopo aver steso la sfoglia sottile ungerla di olio aggiungere il ripieno e spolverarla di zucchero

2.Fare la sfoglia a rotolini

3.Bisogna lasciarla lievitare una notte, il giorno dopo prima di metterla in forno bagnarla con vino cotto

4.Infornarla a 180 C° per mezz’ora, il tempo di cottura dipende dalle

dimensioni del dolce

5.Dopo averla cotta si aggiunge un po’ di olio.

Nonna Teresa( Michela)

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I proverbi..

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A vucca è na ricchezza La bocca è una ricchezza

Via cummara, vui u sapiti ca la lingua è na ricchezza pe sti genti taccagnisti

nci volera na capizza

Via, comare, voi lo sapete che la lingua è una ricchezza per questa gente gretta

necessiterebbe la briglia

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Botta e sangu

Colpo di sangue!

Esclamazione che, insieme a botta e velenu viene usata più come intercalare che come ingiuria.

Campara a la jornata Vivere alla giornata.

Approfittare del giorno presente:

spassiamocela oggi allegramente senza preoccuparci del domani.

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Cangiamu i sonaturi,ma a musica è a stessa

Cambiano i suonatori,ma la musica è sempre la stessa.

Si dice di una persona o di una cosa che succedendo ad un’altra, non differisce granchè da quella che precedeva.

Cchiù scura d’a menzannotta ‘on po’

venira

Più buio della mezzanotte non può capitare. Non può capitare una disgrazia più grande di quella accaduta, non ci può essere buio più profondo che si ha a mezzanotte quando in cielo non c’è più luna e stelle.

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Cercara ‘u pilu nte l’ ovu Cercare il pelo nell’uovo.

Badare a tutte le minuzie, alle minime imperfezioni, attaccarsi a tutti i cavilli per criticare, rilevare i difetti con pedanteria.Indica un comportamento eccessivamente scrupoloso.

DETTI CALABRESI

A camisedda chi non ti voli, scippala e jettala

La camicia che non ti vuole toglila e gettala

Saccu vacantu non teni a dritta Sacco vuoto non tieni in piedi

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Attacca u ciucciu duva voli u patruni Attacca l’asino dove vuole il padrone

‘Ca sutta non chiova Qui sotto non piove (Alessia)

Essere na magara Essere una megera.

Donna di carattere litigioso e violento,generalmente associato ad un aspetto di bruttezza e vecchiaia scomposta e scarmiagliata.Megera è il nome della seconda delle tre furie.

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Secondo la mitologia classica, si era innamorata del pastore Citerone, ma non era corrisposta. Megera si strappò uno dei serpenti che portava sul capo e lo lanciò contro giovane che fu da esso strangolato.

Nonna Mariateresa (Eleonora)

Essere na malalingua

Essere una cattiva lingua

Si indica una persona pettegola, malignità,invidia, diffonde ampliandoli, deformandoli o addirittura inventandoli, particolari spiacevoli a carico del prossimo.

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111

“Non c’è curtello , forficacuzzurri,non c’è spata tagghienti, non c’è runca ,

non c’rasolu, non c’è scannaturi

chi , com’a lingua tagghia e strunca.”

“Non c’è coltello,forbice,falce, non c’è spada affilata,non c’è coltellaccio che taglia ed annienta come la lingua.”

Nonna Michelina (Valeria)

‘A prima acqua ‘u vagna La prima acqua lo bagna.

Sta ad indicare una persona paurosa,ma anche una persona sfortunata e cagionevole di salute.

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A vecchiaia è na carogna La vecchiaia è una carogna.

La vecchiaia è brutta a sopportarsi come una bestia indocile.

Andanduvidendu

Andando vedendo:preoccuparsi soltanto quando avviene una cosa ed evitare di avere mille pensieri. Andando avanti si vedrà che cosa conviene fare secondo gli avvenimenti. Nonna Olga (Silvia).

Jettara ‘u pitusu

Lanciare il malocchio

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Si dice di chi, secondo la superstizione, è ritenuto capace di portare disgrazia con la sua presenza e di lanciare con il suo sguardo malefici influssi.

“U pitusu è chidda cosa chi ti pigghia allintrasatta quando ‘a mbidia ti si posa comu fussi na mignatta.

È na forza chi ti stocca

senza mancu ‘uti nd’adduni ed amaru si ti tocca

cà finisci arruzzuluni.”

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“Il malocchio è quella cosa che ti colpisce improvvisamente quando l’invidia ti si attacca come se fosse una sanguisuga.

È una forza che ti annienta, senza che tu te ne renda conto,

ed infelice se ti sfiora perché finisci in rovina.”

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PROVERBI CATANZARESI

A tuttu c'èriparu, nno a la morta.

A tutto c'è riparo, no alla morte.

Cu campa e speranza disperatu mora.

Chi vive di speranza muore disperato.

Fighiu e gattu, suricipijia.

Il figlio del gatto prende il topo. Tale padre tale figlio.

Gabbucogghia, jestima no.

L'invidia colpisce, il malocchio no.

L'acqua gugghia e u porcu è alla muntagna.

L'acqua bolle e il porco è stato portato in montagna. E’ tardi.

Pratica i megghiutoi e facci ispisi . Pratica le persone migliori di te e falli rimanere a bocca aperta.

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Duisugnu i cuntenti..cu ava tuttu e cui non ava nenta.

Due sono le persone contente.. chi ha tutto e chi non ha niente.

Chiddu chi dassi è perdutu.

Quello che lasci è perso.

Cu s'apprica assai prestu mora.

Chi si applica assai muore presto.

Cu campa e speranza disperatu mora.

Chi vive di speranza disperato muore.

U mugghi vinu si ficiaacitu.

Il vino migliore è diventato aceto.

Cicciu toccami ca mamma vò.

Ciccio toccami che mamma vuole. Quando si viene istigati a fare qualcosa che si vuole fare ma non si può.

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Petru tira e Maria 'mbutta.

Pietro tira e Maria spinge. Quando ci si aiuto l'uno con l'atro nei momenti di difficoltà.

Puru i pulici hannu atussa.

Pure le pulci hanno la tosse. Quando un bimbo vuole sottomettere una persona adulta.

U canamuzzica u sciancatu.

Il cane morsica la persona povera che ha già bisogno.

Tira a petra e ammuccia a manu.

Tira la pietra e nasconde la mano Quando si fà qualche danno e non si ammette di averlo fatto.

Cu pecura si fa u lupu su mangia.

Chi pecora si fa il lupo se lo mangia.

Trovara n'amicu è accussì rarucomu nu jornu senza ventu a Catanzaru.

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Trovare un amico è cosi difficile, come trovare un giorno senza vento a Catanzaro.

Cu bella vo parira gran doluri a de sentira.

Chi bella vuole farsi vedere grande dolore deve sentire

Can che abbaia poco morde.

Un cane che abbaia poco morde.

Gaddina vecchia fa bonu brodu.

Gallina anziana fa un buon brodo.

Non pigghiari avanti pi non ristari arreti.

Non prendere avanti per restare indietro.

Abitu un fa monacu e chirica un fa prievite.

L’ abito non fa il monaco e la chierica non fa prete.

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