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(1) «In tema di equa riparazione per la irragionevole durata di un procedimento penale, la disposizione di cui all'art

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(1)

«In tema di equa riparazione per la irragionevole durata di un procedimento penale, la disposizione di cui all'art. 2, comma 2 quinquies, lett. e), l. n. 89 del 2001 — a tenore del- la quale non è riconosciuto alcun indennizzo ‘quando l'im- putato non ha depositato istanza di accelerazione del proces- so penale nei trenta giorni successivi al superamento dei ter- mini cui all'art. 2 bis’ — non è applicabile in relazione alle domande di equa riparazione relative a procedimenti penali che, alla data di entrata in vigore della stessa, avessero già superato la durata ragionevole di cui all'art. 2 bis medesima legge».

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(1) Giurisprudenza costante: cfr. Cass. 20 dicembre 2016, n.

26423, Foro it., Le banche dati, archivio Cassazione civile; 23 maggio 2016, n. 10595, ibid.; 18 marzo 2016, n. 5423, id., Rep.

2016, voce Termini processuali civili, n. 8, citate in motivazio- ne, nonché Cass. 29 gennaio 2010, n. 2153, non massimata; 11 marzo 2009, n. 5895, id., Rep. 2009, voce cit., n. 32; 19 gennaio 2005, n. 1094, id., Rep. 2005, voce cit., n. 14.

Oltre a ribadire, sulla scorta dei precedenti richiamati, che la sospensione nel periodo feriale si applica non solo ai termini da rispettare nel corso di un processo già instaurato, ma anche a quelli stabiliti per il suo promovimento, la Cassazione confuta altresì le obiezioni accampate dal ricorrente incidentale ministe- ro della giustizia, rilevando che investono temi eccentrici rispet- to alla materia in considerazione, in quanto attinenti alla disci- plina dei termini di impugnazione, alla strutturazione interna del giudizio di equa riparazione, alla possibilità di fare ricorso alla procedura di mediazione, alla non riproponibilità della domanda di indennizzo che non sia stata accolta, anche se per motivi di rito.

Per l'affermazione, implicita nell'ordinanza in rassegna, del carattere di eccezionalità, tassatività e stretta interpretazione delle esenzioni dalla sospensione dei termini, stabilite per i giu- dizi civili dall'art. 3 l. 7 ottobre 1969 n. 742, v., con riferimento a fattispecie — l'impugnazione di provvedimento di espulsione di straniero — affine a quella di cui si tratta, in quanto ugual- mente contraddistinta dalla connotazione di speditezza del rela- tivo procedimento, Cass. 17 dicembre 2010, n. 25659, id., Rep.

2010, voce cit., n. 35; 16 giugno 2004, n. 11305, id., Rep. 2004, voce Straniero, n. 287; 9 maggio 2003, n. 7077, id., Rep. 2003, voce cit., n. 227; 8 maggio 2003, n. 6963, ibid., voce Termini processuali civili, n. 28; 14 gennaio 2003, n. 366, id., 2003, I, 1510, con nota di richiami.

(2) La disciplina dell'equa riparazione per eccessiva durata del processo dettata dalla l. 24 marzo 2001 n. 89 (c.d. «legge Pinto») è stata più volte modificata, sempre in senso variamente limitativo del diritto all'indennizzo, tra l'altro mediante il suo condizionamento alla previa presentazione di richieste sollecita- torie nei giudizi presupposti: dapprima l'art. 54, 2° comma, d.l.

25 giugno 2008 n. 112, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2008 n. 133, ha subordinato la proponibilità della do- manda di equa riparazione, per i giudizi amministrativi, all'av- venuta presentazione dell'istanza di prelievo prevista dall'art.

51 del regolamento di procedura del Consiglio di Stato, appro- vato con r.d. 17 agosto 1907 n. 642 (ora dall'art. 71 cod. proc.

amm.) e gli art. 3, comma 32, dell'all. 4 al d.leg. 2 luglio 2010 n. 104 e 1, 3° comma, d.leg. 15 novembre 2011 n. 195 hanno ri- badito la necessità di tale istanza, anche con riferimento al pe- riodo anteriore alla sua presentazione; successivamente l'art. 55, 1° comma, lett. a), n. 2, d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012 n. 134, ha introdotto nell'art. 2 della legge Pinto il comma 2 quinquies, lett. e), escludendo, per i giudizi penali, ogni diritto all'indennizzo nel caso di mancato deposito, da parte dell'imputato, di una istanza di accelerazione nei trenta giorni successivi al superamento del termine di ragionevole durata del processo, come legislativa- mente determinato; infine, l'art. 1, comma 777, l. 28 dicembre 2015 n. 208, inserendo gli art. 1 bis e 1 ter nella legge Pinto e modificando ancora l'art. 2, ha esteso anche ai giudizi civili, contabili, pensionistici e di legittimità il «diritto» (in realtà: one- re) degli interessati di avvalersi di «rimedi preventivi», consi- stenti in istanze di accelerazione da presentare nel termine (così innovato anche per processi amministrativi e penali) di almeno

sei mesi prima del superamento del limite di ragionevole durata, a pena di inammissibilità della futura domanda di equa ripara- zione.

L'ordinanza in rassegna risolve una questione di diritto inter- temporale relativa ai giudizi penali, sorta in seguito alla riforma del 2012: se per poter ottenere l'indennizzo l'interessato debba aver presentato l'istanza di accelerazione entro trenta giorni dal- la data dell'11 settembre 2012, di entrata in vigore della nuova normativa, ove il processo già abbia avuto una durata eccessiva.

Al quesito la Cassazione risponde negativamente, richiaman- do i propri specifici precedenti in materia (Cass. 21 dicembre 2016, n. 26627, Foro it., Rep. 2016, voce Diritti politici e civili, n. 335; 17 novembre 2016, n. 23448, ibid., n. 334) e ribadendo le ragioni che vi erano state esposte, consistenti: nell'assenza di disposizioni transitorie che impongano l'onere in questione; nel- la non assimilabilità dell'istanza di accelerazione dei giudizi penali a quella di prelievo dei giudizi amministrativi; nel muta- mento dei presupposti applicativi della norma, che deriverebbe dalla individuazione del giorno della sua entrata in vigore come dies a quo del termine per il deposito dell'istanza di accelera- zione; nella funzione preventiva di questa, che non potrebbe esplicarsi su un effetto pregiudizievole ormai già verificatosi;

nell'impossibilità di imputare all'interessato l'omissione di una condotta inesigibile prima della riforma.

Per la non manifesta infondatezza della questione di legittimi- tà costituzionale dell'art. 2, comma 2 quinquies, lett. e), della legge Pinto, come introdotto dall'art. 55, 1° comma, lett. a), n.

2, d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012 n. 134, in quanto esclude(va) il diritto all'equo indennizzo per l'eccessiva durata del giudizio penale, in caso di mancata presentazione dell'istanza di accelerazione, in riferi- mento all'art. 117, 1° comma, Cost. e ai parametri interposti de- gli art. 6, par. 1, 13 e 46, par. 1, Cedu, v. Cass. 31 gennaio 2018, n. 2438, id., 2018, I, 830, con la quale si è rilevato trattarsi in sostanza di un rimedio del tutto inefficace, «in assenza di previ- sioni da parte del legislatore di strumenti, anche di tipo ordina- mentale, che correlino alla proposizione dell'istanza di accele- razione de qua una differente considerazione della vicenda pro- cessuale, al fine di assicurare una tendenziale sollecita defini- zione», sicché la sua funzione si risolve esclusivamente in una prenotazione della riparazione per la futura eventuale eccessiva durata del processo.

Analoga questione, in questo stesso presupposto e in riferi- mento ai medesimi parametri, era stata sollevata da Cass. 3 no- vembre 2017, n. 26221, ibid., 205, relativamente all'art. 54, 2°

comma, d.l. 25 giugno 2008 n. 112, convertito, con modifica- zioni, dalla l. 25 giugno 2008 n. 133, come modificato dall'art.

3, 23° comma, dell'all. 4 al d.leg. 2 luglio 2010 n. 104 e dall'art.

1, 3° comma, d.leg. 15 novembre 2011 n. 195, in quanto esclu- de(va) la proponibilità della domanda di equo indennizzo per eccessiva durata del giudizio amministrativo, in caso di mancata presentazione dell'istanza di prelievo. [E. BUCCIANTE]

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CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 23 febbraio 2018, n. 4455; Pres. TIRELLI, Est. ACIERNO, P.M.

CERONI (concl. conf.); Min. interno (Avv. dello Stato D'A-

SCIA) c. Yarbo Musa. Cassa App. Bari 15 dicembre 2016.

Straniero — Protezione umanitaria — Riconoscimento — Condizioni (Cost., art. 2, 32; y d.leg. 25 luglio 1998 n.

286, t.u. delle disposizioni concernenti la disciplina del- l'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, art. 5, 19; y d.p.r. 31 agosto 1999 n. 394, regolamento re- cante norme di attuazione del t.u. delle disposizioni con- cernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'art. 1, 6° comma, d.leg. 25 luglio 1998 n. 286, art. 11, 28; y d.leg. 19 no- vembre 2007 n. 251, attuazione della direttiva 2004/83/Ce recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di paesi

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terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona al- trimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta;

y d.leg. 28 gennaio 2008 n. 25, attuazione della direttiva 2005/85/Ce recante norme minime per le procedure appli- cate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, art. 32).

Il riconoscimento della protezione umanitaria, secondo i pa- rametri normativi stabiliti dagli art. 5, 6° comma, 19, 2°

comma, t.u. n. 286 del 1998 e 32 d.leg. n. 25 del 2008, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato d'integrazione nel nostro paese, non può escludere l'esa- me specifico ed attuale della situazione soggettiva ed og- gettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, dovendosi fondare su una valutazione comparativa effetti- va tra i due piani al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell'esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costituti- vo della dignità personale, in comparazione con la situazio- ne d'integrazione raggiunta nel paese di accoglienza. (1)

Fatti di causa. — 1. - Con sentenza n. 1238 del 15 dicem- bre 2016 la Corte d'appello di Bari, investita del- l'impugnazione proposta da Yarbo Musa, cittadino gambia- no, avverso l'ordinanza del tribunale della medesima città, ha riconosciuto allo stesso il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari ex art. 5, 6° comma, d.leg.

286/98. Accertata l'insussistenza del diritto al riconoscimen- to dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, la corte territoriale ha tuttavia rilevato, a sostegno della deci- sione, che lo straniero si trova in Italia da oltre tre anni, è pienamente integrato nel nostro tessuto sociale e ha un lavo- ro stabile con un'adeguata retribuzione. Inoltre, il rimpatrio forzoso nel paese d'origine lo esporrebbe a una situazione di particolare vulnerabilità, stante la grave situazione di com- promissione dei diritti umani ivi presente.

2. - Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cas- sazione il ministero dell'interno sulla base di un unico moti- vo. Non ha svolto difese l'intimato.

3. - L'amministrazione denuncia la violazione e falsa ap- plicazione dell'art. 32 d.leg. 25/08 e dell'art. 5 d.leg. 286/98, evidenziando che la corte d'appello ha erroneamente valoriz- zato, quali presupposti del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, l'integrazione sociale dello straniero e la generica compromissione dei diritti umani cui egli sarebbe esposto in caso di rientro in Gambia. Da un lato, il livello di integrazione dello straniero — che soggiorni provvisoria- mente in Italia in attesa che venga definita la sua domanda di protezione internazionale — non può costituire, di per sé so- lo, un motivo di concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari; dall'altro, la compromissione dei diritti umani nel paese di provenienza non è sufficiente a giustifica- re la protezione umanitaria in mancanza di uno specifico ri- schio personale del richiedente.

4. - Il ricorso è, nei limiti che si esporranno, fondato.

4.1. - Il quadro normativo interno. Giova in primo luogo premettere che il permesso di soggiorno per motivi umanitari è regolato, nei suoi presupposti, dall'art. 5, 6° comma, d.leg.

286/98 (t.u. dell'immigrazione), che stabilisce che «il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati con- traenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di ca- rattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o in- ternazionali dello Stato italiano. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari è rilasciato dal questore secondo le modali- tà previste nel regolamento di attuazione». Parimenti l'art.

11, lett. c ter), d.p.r. 394/99 regola il rilascio da parte della questura di tale titolo di soggiorno su richiesta del parere del- le commissioni territoriali per il riconoscimento della prote-

zione internazionale o previa acquisizione di documentazio- ne riguardante i motivi della richiesta stessa, «relativi ad og- gettive e gravi situazioni personali che non consentono l'al- lontanamento dello straniero dal territorio nazionale». Infine, l'art. 28, lett. d), d.p.r. n. 394 cit. disciplina l'ipotesi del rila- scio del permesso umanitario nei casi — stabiliti, a loro vol- ta, dall'art. 19 d.leg. 286/98 — in cui non possa disporsi l'al- lontanamento verso un altro Stato a cagione del rischio di persecuzioni o torture, in attuazione del principio del non- refoulement sancito dall'art. 19, 2° comma, della carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. L'art. 3, 1° comma, l. n. 110 del 2017 ha introdotto il comma 1.1, dopo il 1°

comma dell'art. 19, nel quale è previsto un sostanziale am- pliamento delle condizioni di riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, essendo stato aggiunto il fondato mo- tivo di essere sottoposti a tortura e, comunque, essendo stato espressamente imposto di tenere conto nel giudizio da svol- gere delle «violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani».

La disposizione non è direttamente applicabile, ratione tem- poris, al presente giudizio, ma è significativo evidenziarne il contenuto e l'attenzione rivolta non tanto alla enucleazione di condizioni soggettive di vulnerabilità quanto alla verifica del livello di tutela o, al contrario, di violazione dei diritti umani nel paese di origine, così da evidenziare l'intangibilità di un nucleo ineliminabile di essi. Peraltro l'insufficienza della situazione di vulnerabilità, intesa in senso astratto e non calato nella complessiva condizione del richiedente tratta da indici soggettivi e oggettivi (questi ultimi riferibili al paese di origine) è rilevabile nel comma 2 bis dell'art. 19, nel quale si precisa, da un lato, che possono sussistere situazioni quali- ficabili come vulnerabili che non giustificano il riconosci- mento della protezione umanitaria e possono determinare il respingimento o l'esecuzione dell'espulsione e, dall'altro, che a tali misure occorre dare attuazione con modalità com- patibili con le singole situazioni personali debitamente accer- tate.

4.2. - Le caratteristiche generali della protezione umani- taria. La protezione umanitaria, in conclusione, costituisce una forma di tutela a carattere residuale posta a chiusura del sistema complessivo che disciplina la protezione internazio- nale degli stranieri in Italia, come rende evidente l'interpre- tazione letterale dell'art. 32, 3° comma, d.leg. 25/08 (c.d. de- creto «procedure»), in base a cui «nei casi in cui non accolga la domanda di protezione internazionale» (nella forma del ri- fugio o della protezione sussidiaria) e «ritenga che possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario, la commis- sione territoriale trasmette gli atti al questore per l'eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell'art. 5, 6°

comma, d.leg. 25 luglio 1998 n. 286». Ne discende che la protezione umanitaria è collocata in posizione di alternatività rispetto alle due misure tipiche di protezione internazionale, potendo l'autorità amministrativa e giurisdizionale procedere alla valutazione della ricorrenza dei presupposti della prima soltanto subordinatamente all'accertamento negativo della sussistenza dei presupposti delle seconde (cfr. Cass. n. 15466 del 7 luglio 2014, Foro it., Le banche dati, archivio Cassa- zione civile).

4.3. - Il quadro europeo. Pur non avendo un esplicito fon- damento nell'obbligo di adeguamento a norme internazionali o europee, tale forma di protezione è tuttavia richiamata dal- la direttiva comunitaria 115/2008, che all'art. 6, par. 4, pre- vede che gli Stati possano rilasciare in qualsiasi momento,

«per motivi umanitari, caritatevoli o di altra natura», un permesso di soggiorno autonomo o un'altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare a un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare. La Corte di giustizia dell'Unione europea ha altresì chiarito che gli Stati membri possono concedere forme di protezione umanitaria e carita- tevole diverse e ulteriori rispetto a quelle riconosciute dalla normativa europea (in particolare la direttiva n. 95 del 13 di- cembre 2011, c.d. direttiva «qualifiche»), purché non modi- fichino i presupposti e l'ambito di applicazione della disci- plina derivata dell'Unione (sent. 9 novembre 2010, Germa-

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nia c. B. e D., cause riunite C-57/09 e C-101/09, id., Rep.

2011, voce Unione europea, n. 1159), com’è stabilito dal- l'art. 3 della direttiva 95/2011, che consente l'introduzione o il mantenimento in vigore di disposizioni più favorevoli in ordine ai presupposti sostanziali della protezione internazio- nale, purché non incompatibili con la direttiva medesima.

4.4. - Le inferenze. I «seri motivi» di carattere umanitario oppure risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano (art. 5, 6° comma, cit.), alla ricorrenza dei quali lo straniero risulta titolare di un diritto soggettivo al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (Cass., sez. un., 19393/09, id., Rep. 2009, voce Straniero, n.

159, e 5059/17, id., Le banche dati, archivio cit.), non ven- gono tipizzati o predeterminati, neppure in via esemplificati- va, dal legislatore, cosicché costituiscono un catalogo aperto (Cass. 26566/13, id., Rep. 2014, voce Spese di giustizia, n.

25), pur essendo tutti accomunati dal fine di tutelare situa- zioni di vulnerabilità attuali o accertate, con giudizio pro- gnostico, come conseguenza discendente dal rimpatrio dello straniero, in presenza di un'esigenza qualificabile come umanitaria, cioè concernente diritti umani fondamentali pro- tetti a livello costituzionale e internazionale (cfr. Cass., sez.

un., 19393/09, cit., par. 3).

Infine, la protezione umanitaria costituisce una delle for- me di attuazione dell'asilo costituzionale (art. 10, 3° comma, Cost.), secondo il costante orientamento di questa corte (Cass. n. 10686 del 2012, id., Rep. 2012, voce Straniero, n.

126; n. 16362 del 2016, id., Rep. 2016, voce cit., n. 66), uni- tamente al rifugio politico ed alla protezione sussidiaria, evi- denziandosi anche in questa funzione il carattere aperto e non integralmente tipizzabile delle condizioni per il suo ri- conoscimento, coerentemente con la configurazione ampia del diritto d'asilo contenuto nella norma costituzionale, espressamente riferita all'impedimento nell'esercizio delle libertà democratiche, ovvero ad una formula dai contorni non agevolmente definiti e tutt’ora oggetto di ampio dibattito.

5. - L'integrazione sociale. Nel caso di specie la corte d'appello, condividendo un certo orientamento emerso nella giurisprudenza di merito, ha valorizzato, in via del tutto pre- valente, l'integrazione sociale dello straniero nel tessuto so- ciale italiano, tenuto conto del contesto di generale compro- missione dei diritti umani che caratterizza il suo paese d'ori- gine.

Sul punto è necessario rilevare, in primo luogo, che il pa- rametro dell'inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia può essere valorizzato come presupposto della pro- tezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale che merita di essere tutelata attra- verso il riconoscimento di un titolo di soggiorno che proteg- ga il soggetto dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale, quale quello eventualmente presente nel paese d'origine, idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili. Con riferimento al caso di specie, il parametro di riferimento non può che cogliersi, oltre che nell'art. 2 Cost., nel diritto alla vita privata e familiare, protetto dall'art. 8 della convenzione europea dei diritti dell'uomo, così come declinato dalla giu- risprudenza della corte di Strasburgo, senz’altro da includersi nel catalogo (aperto) dei diritti della persona da prendere in esame in sede di riconoscimento della protezione umanitaria.

Sotto tale specifica angolazione, al fine di valutare l'esi- stenza e l'entità della lesione dei diritti contenuti nell'art. 8 Cedu, occorrerà partire dalla situazione oggettiva del paese di origine del richiedente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Tale punto di avvio dell'indagine è intrinseco alla ratio stessa della prote- zione umanitaria, non potendosi eludere la rappresentazione di una condizione personale di effettiva deprivazione dei di- ritti umani che abbia giustificato l'allontanamento. La condi- zione di «vulnerabilità» può, tuttavia, avere ad oggetto anche la mancanza delle condizioni minime per condurre un'esi-

stenza nella quale non sia radicalmente compromessa la pos- sibilità di soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili della vita personale, quali quelli strettamente connessi al proprio sostentamento e al raggiungimento degli standard minimi per un'esistenza dignitosa. L'allegazione di una situazione di partenza di vulnerabilità può, pertanto, non essere derivante soltanto da una situazione d'instabilità politico-sociale che esponga a situazioni di pericolo per l'incolumità personale, anche non rientranti nei parametri dell'art. 14 d.leg. n. 251 del 2007 o a condizioni di compromissione dell'esercizio dei diritti fondamentali riconducibili alle discriminazioni poste a base del diritto al rifugio politico, ma non aventi la peculiari- tà della persecuzione personale potenziale od effettiva. La vulnerabilità può essere la conseguenza di un'esposizione se- ria alla lesione del diritto alla salute, non potendo tale prima- rio diritto della persona trovare esclusivamente tutela nel- l'art. 36 d.leg. n. 286 del 1998, oppure può essere conse- guente ad una situazione politico-economica molto grave, con effetti d'impoverimento radicale riguardanti la carenza di beni di prima necessità, di natura anche non strettamente contingente, od anche discendere da una situazione geo- politica che non offre alcuna garanzia di vita all'interno del paese di origine (siccità, carestie, situazioni di povertà ine- mendabili). Queste ultime tipologie di vulnerabilità richiedo- no, tuttavia, l'accertamento rigoroso delle condizioni di par- tenza di privazione dei diritti umani nel paese d'origine per- ché la ratio della protezione umanitaria rimane quella di non esporre i cittadini stranieri al rischio di condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo di diritti della persona che ne integrano la dignità. Ne consegue che il raggiungimento di un livello d'integrazione sociale, personale od anche lavora- tiva nel paese di accoglienza può costituire un elemento di valutazione comparativa al fine di verificare la sussistenza di una delle variabili rilevanti della «vulnerabilità», ma non può esaurirne il contenuto. Non è sufficiente l'allegazione di un'esistenza migliore nel paese di accoglienza, sotto il profi- lo del radicamento affettivo, sociale e/o lavorativo, indican- done genericamente la carenza nel paese d'origine, ma è ne- cessaria una valutazione comparativa che consenta, in con- creto, di verificare che ci si è allontanati da una condizione di vulnerabilità effettiva, sotto il profilo specifico della vio- lazione o dell'impedimento all'esercizio dei diritti umani inalienabili. Solo all'interno di questa puntuale indagine comparativa può ed anzi deve essere valutata, come fattore di rilievo concorrente, l'effettività dell'inserimento sociale e lavorativo e/o la significatività dei legami personali e fami- liari in base alla loro durata nel tempo e stabilità. L'accerta- mento della situazione oggettiva del paese d'origine e della condizione soggettiva del richiedente in quel contesto, alla luce delle peculiarità della sua vicenda personale, costitui- scono il punto di partenza ineludibile dell'accertamento da compiere (cfr. Cass. 420/12, id., Rep. 2012, voce cit., n. 142;

359/13 e 15756/13, non massimate).

6. - La valutazione della vulnerabilità. È necessaria, per- tanto, una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla si- tuazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio. I seri motivi di carattere umanitario possono positivamente ri- scontrarsi nel caso in cui, all'esito di tale giudizio compara- tivo, risulti un'effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignito- sa (art. 2 Cost.).

Deve precisarsi, al riguardo, che, così come per il giudizio di riconoscimento dello status di rifugiato politico e della protezione sussidiaria, incombe sul giudice il dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal- l'art. 8 d.leg. n. 25 del 2008 in ordine all'accertamento della situazione oggettiva relativa al paese di origine anche in or- dine alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Del resto all'interno del sistema giurisdizionale relativo al- la protezione internazionale, così come regolato dai d.leg. n.

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251 del 2007 e n. 25 del 2008 e successive modificazioni, la sussistenza delle condizioni di vulnerabilità poste a base del- la protezione umanitaria deve essere verificata officiosamen- te dalle commissioni territoriali (art. 32 d.leg. n. 25 del 2008) quando non vi siano i requisiti per lo status di rifugiato e per la protezione sussidiaria, non operando, in tale fase del pro- cedimento, il principio dispositivo.

Correlato a tale caratteristica propria soltanto dell'accerta- mento delle condizioni di vulnerabilità ai fini della protezio- ne umanitaria è il dovere d'integrazione istruttoria officiosa che permea anche nella fase giurisdizionale di merito l'ac- certamento delle condizioni soggettive ed oggettive riguar- danti la protezione umanitaria. Tale peculiare accertamento, una volta verificata la proposizione della domanda in via su- bordinata od esclusiva, rivolta al riconoscimento di un per- messo di natura umanitaria, impone al giudice di verificare se le allegazioni e le complessive acquisizioni istruttorie, pur se predisposte normalmente in funzione del riconoscimento degli status tipici, non conducano all'accertamento di una condizione qualificata di vulnerabilità, ai fini della verifica della quale non è necessario, oltre alla formulazione della domanda, un corredo ulteriore di allegazione e prova. La ri- levata conformazione della ripartizione dell'onus probandi non consente, tuttavia, di eludere la necessità della valuta- zione comparativa che prenda le mosse dalla condizione at- tuale del paese di origine al fine di porla in relazione con la conquistata condizione d'integrazione socio-economica e di verificare se il rientro determini la specifica compromissione dei diritti umani adeguatamente riconosciuti e goduti nel no- stro paese.

7. - Il giudizio comparativo. Meritano pertanto di essere condivisi i rilievi svolti dall'amministrazione ricorrente se- condo i quali, se assunti isolatamente, né il livello di integra- zione dello straniero in Italia, né il contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani nel paese di pro- venienza integrano, di per sé soli e astrattamente considerati, i seri motivi di carattere umanitario, o derivanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui la legge subordina il rico- noscimento del diritto alla protezione in questione.

Deve, infatti, osservarsi che il diritto al rispetto della vita privata — tutelato dall'art. 8 Cedu al pari del diritto al rispet- to della familiare — può soffrire ingerenze legittime da parte dei pubblici poteri per il perseguimento di interessi statuali contrapposti, quali, tra gli altri, l'applicazione e il rispetto delle leggi in materia di immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero (com’è il caso di specie) non goda di uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che venga definita la sua domanda di de- terminazione dello status di protezione internazionale (Corte eur. diritti dell'uomo 8 aprile 2008, ric. 21878/06, caso Nnyanzi c. Regno unito, par. 72 ss.).

Al riguardo un riscontro normativo indiretto della necessi- tà di operare un bilanciamento in sede di riconoscimento del- la protezione umanitaria è fornito dagli art. 3, 4° comma, 9, 2° comma, e 15, 2° comma, d.leg. 251/07, nei quali sono considerati «gravi motivi umanitari» quelli che comportano un vero e proprio impedimento al ritorno nel paese d'origine.

Tali norme, riguardanti rispettivamente il rifugio politico e la protezione sussidiaria, prevedono che, se il richiedente ha già subìto persecuzioni o danni gravi ma sussistano elementi per ritenere che non li subirà più in futuro, non può comunque negarsi il riconoscimento dello status qualora sussistano i gravi motivi umanitari; per la medesima ragione non può di- sporsi la cessazione dello status che sia stato già riconosciuto pur a fronte di un mutamento delle circostanze iniziali. Pari- menti gli art. 11, lett. c ter), e 28, lett. d), d.p.r. 394/99, sopra richiamati, pongono a fondamento del permesso umanitario l'esistenza di fattori impeditivi al rimpatrio. Inoltre, il para- metro dell'inserimento sociale e lavorativo dello straniero ancorerebbe tale forma soltanto a circostanze di carattere stabile e tendenzialmente permanente, mentre il complessivo regime giuridico proprio delle misure di natura umanitaria sembra ispirato alla tutela di situazioni tendenzialmente tran-

sitorie e in divenire, come si evince dall'art. 14, 4° comma, d.p.r. 21/15, che stabilisce il rilascio da parte del questore di

«un permesso di soggiorno di durata biennale» ove la com- missione nazionale, in sede di cessazione o revoca dello sta- tus di protezione internazionale riconosciuto, accerti la sussi- stenza di «gravi motivi di carattere umanitario». In ciò si co- glie la differenza decisiva rispetto agli status di protezione internazionale, al cui riconoscimento consegue, invece, la concessione di un permesso di soggiorno di durata quin- quennale (art. 23 d.leg. 251/07), che costituisce titolo, al concorrere degli altri requisiti previsti, per il rilascio di un permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo, facoltà che viene espressamente esclusa per coloro che sono titolari di un permesso umanitario (art. 9, 3° comma, lett. b, d.leg. 286/98).

Quanto, invece, al secondo aspetto, relativo alla generale violazione dei diritti umani nel paese di provenienza, esso costituisce un necessario elemento da prendere in esame nel- la definizione della posizione del richiedente, come si evince pure dal già richiamato comma 1.1 dell'art. 19 d.leg. n. 286 del 1998, che, nella verifica della sussistenza del rischio di sottoposizione a tortura in caso di rimpatrio, impone la valu- tazione dell'esistenza, nello Stato verso cui il soggetto si tro- verà ad essere allontanato, di «violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani». Tale elemento, tuttavia, deve necessaria- mente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, per- ché altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d'origine in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto col parametro normativo di cui all'art. 5, 6° comma, d.leg. n. 286 cit., che, nel predispor- re uno strumento duttile quale il permesso umanitario, de- manda al giudice la verifica della sussistenza dei «seri moti- vi» attraverso un esame concreto ed effettivo di tutte le pecu- liarità rilevanti del singolo caso, quali, ad esempio, le ragioni che indussero lo straniero ad abbandonare il proprio paese e le circostanze di vita che, anche in ragione della sua storia personale, egli si troverebbe a dover affrontare nel medesimo paese, con onere in capo al medesimo quantomeno di allega- re suddetti fattori di vulnerabilità (cfr. Cass. 7492/12, non massimata, par. 3).

8. - Conclusioni. A tale accertamento la corte d'appello si è sostanzialmente sottratta, avendo fatto discendere il ricono- scimento della protezione umanitaria da presupposti che, per i motivi anzidetti, non possono essere considerati in via esclusiva, ma soltanto come elementi che possono concorrere a determinare una condizione di vulnerabilità che, sulla base di elementi legati alla vicenda personale del richiedente, de- ve essere apprezzata nella sua individualità e concretezza.

9. - Principio di diritto. In conclusione, il ricorso deve es- sere accolto nei limiti indicati in motivazione. Il provvedi- mento impugnato deve essere cassato con rinvio alla Corte d'appello di Bari perché si attenga al seguente principio di diritto:

«Il riconoscimento della protezione umanitaria, secondo i parametri normativi stabiliti dall'art. 5, 6° comma, 19, 2°

comma, t.u. n. 286 del 1998 e 32 d.leg. n. 251 del 2007 [recte: d.leg. n. 25 del 2008], al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato d'integrazione sociale nel no- stro paese, non può escludere l'esame specifico ed attuale della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, dovendosi fondare su una va- lutazione comparativa effettiva tra i due piani al fine di veri- ficare se il rimpatrio possa determinare la privazione della ti- tolarità e dell'esercizio dei diritti umani, al di sotto del nu- cleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità per- sonale, in comparazione con la situazione d'integrazione raggiunta nel paese di accoglienza.

————————

(1) I. - Sulla natura di diritto della situazione soggettiva tesa all'accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria e, quindi, sulla devoluzione della giuris-

(5)

dizione al giudice ordinario a partire da Cass., sez. un., 9 set- tembre 2009, n. 19393, Foro it., Rep. 2009, voce Straniero, n.

159, e, per esteso, Urbanistica e appalti, 2009, 1450, con nota di A. PAGANO, non si rinvengono scostamenti da parte della Su- prema corte (cfr. Cass., sez. un., 28 febbraio 2017, n. 5059, Fo- ro it., Le banche dati, archivio Cassazione civile; 9 dicembre 2011, n. 26481, id., Rep. 2011, voce cit., n. 237; 16 settembre 2010, n. 19577, ibid., n. 236, e, per esteso, Riv. dir. internaz.

privato e proc., 2011, 498; sulla competenza del tribunale e non del giudice di pace a provvedere sulla domanda del questore di proroga del periodo di trattenimento presso il centro di identifi- cazione e di espulsione (Cie) dello straniero richiedente la pro- tezione internazionale, v. Cass. 7 febbraio 2017, n. 3273, Foro it., 2017, I, 837, con nota di richiami e osservazioni di B. POLI-

SENO), anzi all'affermazione lì contenuta, secondo cui tale posi- zione soggettiva è da «annoverare tra i diritti umani fondamen- tali», può in qualche modo ricollegarsi la ratio decidendi della sentenza in epigrafe.

II. - Dalla natura di diritto soggettivo al riconoscimento della protezione umanitaria, inoltre, discende l'irrilevanza della even- tuale nullità del provvedimento amministrativo di diniego reso dalla commissione territoriale, poiché il procedimento giurisdi- zionale deve pervenire alla decisione sulla spettanza, o meno, del diritto stesso e non può limitarsi al mero annullamento del diniego amministrativo (cfr. Cass. 22 marzo 2017, n. 7385, id., Le banche dati, archivio cit.; 3 settembre 2014, n. 18632, id., Rep. 2014, voce cit., n. 85; 9 dicembre 2011, n. 26480, id., Rep.

2011, voce cit., n. 243. Sulla disciplina introdotta dal d.l. 13/17 di istituzione delle sezioni specializzate in materia di immigra- zione, protezione internazionale e libera circolazione dei citta- dini dell'Unione europea, v. C. ASPRELLA, Un nuovo rito appli- cabile in materia di protezione internazionale, in Corriere giur., 2017, 855; G. BUFFONE, Disposizioni urgenti per l'accelerazio- ne dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale (commento al d.l. 17 febbraio 2017 n. 13 coordinato con le modifiche intro- dotte dalla legge di conversione 13 aprile 2017 n. 46), in Guida al dir., 2017, fasc. 20, 11; G. BUFFONE-C. FAVILLI-S. MEZZA-

CAPO-A. CISTERNA, Disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale (commento al d.l. 17 febbraio 2017 n. 13), ibid., fasc. 12, 14).

III. - La sentenza in epigrafe, quanto all'accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, porta a compimento un'opera di specificazione in un contesto fortemente polarizzato fra un orientamento propenso a vedere riconosciuta ai richiedenti la protezione del «diritto ad avere di- ritti» ed altro più vicino alla lettera della legge e più attento alla distinzione fra interpretazione adeguatrice del giudice e discre- zionalità politica del legislatore (al riguardo si rinvia a Trib. Mi- lano, ord. 31 marzo 2016 e 3 giugno 2016, Foro it., 2016, I, 2908, con nota di richiami; in relazione al primo orientamento, dichiaratamente estensivo dell'ambito di applicazione della pro- tezione umanitaria, v. anche App. Bari 17 novembre 2015, id., Le banche dati, archivio Merito ed extra, 2015.723.2. Più di re- cente, in termini, v. Trib. Roma 9 febbraio 2018, Trib. Genova 31 gennaio 2018 e Trib. Firenze 19 gennaio 2018, richiamate da C. FAVILLI, La protezione umanitaria per motivi di integrazione sociale. Prime riflessioni a margine della sentenza della Corte di cassazione 4455/18, in <www.questionegiustizia.it>).

IV. - Sul piano del diritto interno il permesso di soggiorno per motivi umanitari è disciplinato dall'art. 5, 6° comma, d.leg.

286/98 e dagli art. 11, lett. c ter), e 28, lett. d), d.p.r. 394/99. Più di recente, l'art. 2, lett. h bis), d.leg. 28 gennaio 2008 n. 25 ha positivizzato la nozione di «persone vulnerabili», tali intenden- dosi: «minori; minori non accompagnati; disabili, anziani, don- ne in stato di gravidanza, genitori singoli con figli minori, vitti- me della tratta di esseri umani, persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali; persone per le quali è accertato che hanno subìto torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, vittime di mutilazioni genitali» (in termini, v.

l'art. 20 della direttiva 2011/95/Ue del parlamento europeo e del consiglio).

Il quadro, da ultimo, si è completato con l'art. 3, 1° comma, l.

110/17, che all'art. 19 d.leg. 286/98 ha introdotto il comma 1.1, in base al quale «Non sono ammessi il respingimento o l'espul-

sione o l'estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sot- toposta a tortura. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell'esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani».

V. - L'estraneità al quadro normativo di derivazione comuni- taria originato dalla direttiva 2004/83/Ce (attuata dal d.leg. 19 novembre 2007 n. 251), disciplinante il sistema delle protezioni maggiori, ed il più limitato effetto anche sul piano temporale del permesso di soggiorno hanno portato inizialmente a riconoscere al rimedio in esame una portata residuale ed alternativa rispetto alle altre forme di protezione. Queste ultime, infatti, consentono il rilascio di un permesso di soggiorno di durata quinquennale in base all'art. 23 d.leg. 251/07, mentre nel caso dell'umanitaria la durata del permesso è biennale, e con estensione all'ambito del- l'Unione per soggiornanti di lungo periodo. Estensione, que- st'ultima, esclusa invece dall'art. 9, 3° comma, lett. b), d.leg.

286/98 nel caso di protezione umanitaria. Per contro, la direttiva 2008/115/Ce, all'art. 6, par. 4, prevede che gli Stati «possono decidere di rilasciare per motivi caritatevoli, umanitari o di altra natura un permesso di soggiorno autonomo o un'altra autorizza- zione che conferisca il diritto di soggiornare a un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare» e, come già detto, l'art. 20 della direttiva 2011/95/Ue prevede che si possa considerare la specifica situazione di persone vulnerabi- li.

In questo contesto, Cass. 21 novembre 2011, n. 24544, Foro it., Rep. 2011, voce cit., n. 247; 18 febbraio 2011, n. 4139, ibid., n. 256; 24 marzo 2011, n. 6879, id., 2011, I, 1399, con nota di richiami, inizialmente hanno sostenuto la tesi della possibile so- vrapponibilità dei requisiti tra le diverse forme di protezione. In ogni caso, secondo tale ultima pronuncia, «non sussistono le condizioni per la concessione della protezione internazionale al- lorché i problemi invocati non siano ricollegabili alla situazione generale del paese di origine, ma riguardino solo una zona di es- so». Per Cass. 14 maggio 2012, n. 7492, <www.iusexplorer.it>, ai fini della protezione umanitaria «non rientra la situazione di instabilità di un paese o la generica limitazione delle libertà ci- vili, mentre anche la previsione generale di cui all'art. 19, 1°

comma, d.leg. [286/98 n.d.r.] richiede la riscontrata sussistenza del pericolo di persecuzione ai danni del richiedente», sempre che non si giustifichi il riconoscimento dei più favorevoli status di rifugiato o di protezione sussidiaria.

Successivamente, Cass. 27 novembre 2013, n. 26566 (Foro it., Rep. 2014, voce Spese di giustizia, n. 25), ha svincolato la protezione umanitaria dai presupposti alla base della protezione sussidiaria e ha ribadito che si tratta di un catalogo aperto, sem- pre legato a ragioni di tipo umanitario non necessariamente fon- dato sul fumus persecutionis o sul pericolo di danno grave per la vita o l'incolumità psicofisica secondo la declinazione dell'art.

14 d.leg. 251/07. Le situazioni c.d. vulnerabili possono avere l'eziologia più varia e non devono necessariamente discendere come un minus dai requisiti delle misure tipiche del rifugio e della protezione sussidiaria (nella specie, il richiedente invocava lo stato di compromissione della salute per aver contratto l'epa- tite di tipo C). Per Cass. 17 ottobre 2014, n. 22111, id., Le ban- che dati, archivio Cassazione civile, la protezione umanitaria è una misura residuale, che presenta caratteristiche non necessa- riamente coincidenti con quelle riguardanti le misure maggiori, per il riconoscimento della quale occorre una situazione di vul- nerabilità da proteggere alla luce degli obblighi costituzionali ed internazionali gravanti sullo Stato italiano.

Anche per Cass. 19 febbraio 2015, n. 3347, ibid., occorre da- re rilievo ad esigenze di tipo umanitario (in senso conforme, Cass. 7 luglio 2014, n. 15466, ibid.), non rientranti nelle misure tipiche o perché aventi il carattere della temporaneità o perché vi sia un impedimento al riconoscimento della protezione sussi- diaria o, infine, perché intrinsecamente diverse nel contenuto ri- spetto alla protezione internazionale, ma caratterizzate da un'e- sigenza qualificabile come umanitaria (problemi sanitari, madri di minori, ecc.). Analogamente, già Cass. 21 novembre 2011, n.

24544, cit., aveva sostenuto che, quando sia accertata l'esistenza di gravi ragioni di protezione, reputate astrattamente idonee all'ottenimento della misura tipica richiesta, ma limitate nel tempo (ad esempio, per la speranza di una rapida evoluzione della situazione del paese di rimpatrio o per la stessa posizione personale del richiedente, suscettibile di un mutamento che fac-

(6)

cia venire meno l'esigenza di protezione), il giudice deve pro- cedere all'accertamento delle condizioni per il rilascio della mi- sura minore del permesso umanitario.

Per Cass. 21 dicembre 2016, n. 26641, id., Rep. 2016, voce cit., n. 71, invece, il diritto alla protezione umanitaria non può essere riconosciuto per il semplice fatto che lo straniero versi in non buone condizioni di salute, necessitando, invece, che tale condizione sia l'effetto della grave violazione dei diritti umani subita dal richiedente nel paese di provenienza, dove tra l'altro si legge che la credibilità soggettiva del racconto vale anche per la protezione umanitaria. In senso conforme, Cass. 5 febbraio 2018, n. 2767, id., Le banche dati, archivio cit., che ribadisce l'irrilevanza ai fini della protezione umanitaria di vicende di ca- rattere strettamente privato. Da ultimo, Cass. 9 ottobre 2017, n.

23604, ibid., ritorna sul carattere residuale della misura in quan- to riferibile a situazioni di vulnerabilità, non riportabili nel- l'alveo delle misure maggiori, ma che ostino all'espulsione.

La commissione nazionale per il diritto di asilo, con circolare prot. 00003716 del 30 luglio 2015, sulla scorta delle prime deci- sioni della Cassazione, ha enucleato, pur nella sua non esausti- vità, una serie di condizioni soggettive idonee per il riconosci- mento della protezione umanitaria: 1) esposizione alla tortura o a trattamenti inumani e degradanti in caso di rimpatrio del ri- chiedente; 2) gravi condizioni psico-fisiche o gravi patologie che non possono essere adeguatamente trattate nel paese di ori- gine; 3) temporanea impossibilità di rimpatrio a causa del- l'insicurezza del paese o della zona di origine, non riconducibile alle previsioni dell'art. 14, lett. c), d.leg. 251/07; 4) gravi cala- mità naturali o altri gravi fattori locali ostativi ad un rimpatrio in dignità e sicurezza; 5) situazione familiare del richiedente asilo, che deve essere valutata ai sensi di quanto previsto dal- l'art. 8 Cedu concernente il diritto al rispetto della vita privata e familiare. In tale caso i legami personali e familiari devono es- sere particolarmente significativi in base alla loro durata nel tempo e alla loro stabilità.

VI. - Pur ponendosi nel solco dell'indicato orientamento che riconosce alla protezione umanitaria una posizione residuale ri- spetto alle forme maggiori, in quanto idonea a tenere conto di situazioni di vulnerabilità legate a presupposti anche diversi, ma comunque meritevoli di tutela nell'ambito degli obblighi costi- tuzionali ed internazionali, la sentenza in epigrafe segna una svolta di non poco rilievo, laddove finisce per proiettare il rime- dio verso la più generale tutela dei diritti umani.

Nonostante la stretta trama normativa basata sulla presenza di

«seri motivi, in particolare di carattere umanitario, o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano»

(v. l'art. 5, 6° comma, d.leg. 286/98; analogamente il regola- mento di attuazione all'art. 11, lett. c, d.p.r. 394/99 parla di mo- tivi «della richiesta relativi ad oggettive e gravi situazioni per- sonali che non consentono l'allontanamento dello straniero dal territorio nazionale») e pur nella ricorrente affermazione che l'asilo ex art. 10, 3° comma, Cost. trova integrale e piena attua- zione tramite le tre forme di protezione, sì che non residua alcun margine per la diretta applicazione della norma costituzionale (cfr. Cass. 26 giugno 2012, n. 10686, id., Rep. 2012, voce cit., n. 126), l'inclusione della protezione umanitaria tra i diritti umani fondamentali (sostenuta da Cass., sez. un., 19393/09, cit., ma al fine di riconoscere la giurisdizione ordinaria) offre il de- stro alla corte mediante una tecnica in termini di ampliamento per estensione (v. G. PASCUZZI, La creatività del giurista, Bolo- gna, 2014, 104 ss.) di recuperare nella sostanza la ratio dell'asi- lo costituzionale anche oltre il limite della preclusione all'eser- cizio delle libertà democratiche. Grazie all'orizzontalità dei di- ritti umani fondamentali, Cass. 4455/18 finisce per includere, nel novero della vulnerabilità o nell'ambito dei seri motivi risul- tanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato ita- liano, anche situazioni di compromissione dei diritti sociali alla salute, al lavoro, all'istruzione ed all'educazione, ricevendo vieppiù supporto dall'art. 8 Cedu in tema di diritto al rispetto della vita privata e familiare. In questa traiettoria, il dato norma- tivo elastico si trasforma in una vera e propria clausola generale di sistema, in grado di reificare una visione proattiva atta a pro- piziare il promovimento dei diritti umani.

Tuttavia, rispetto ad una lettura a compasso allargato che piegava l'istituto verso l'automatica inclusione della persona proveniente da un paese economicamente svantaggiato anche per ragioni climatiche e, quindi, apriva pianamente verso i mi-

granti per ragioni economiche attratti dalla (legittima) aspira- zione a vedere migliorate le proprie condizioni di vita (v. Trib.

Milano, ord. 31 marzo 2016, cit.), la sentenza in epigrafe cassa la decisione di merito che aveva riconosciuto la protezione umanitaria sul mero rilievo dell'integrazione sociale e lavorati- va raggiunta in Italia, e detta alcuni paletti a cui ci si dovrà at- tenere in sede di rinvio, enunciando il principio di diritto rac- chiuso nella massima. In altri termini, fermo l'obbligo di coo- perazione istruttoria officiosa previsto dall'art. 8 d.leg. 25/08, ma nell'ambito della doverosa allegazione dei fattori di vulne- rabilità ricadenti sulla parte istante (ultimo inciso del § 7 del- l'elaborato, che richiama Cass. 7492/12, cit.), sarà sempre ne- cessario un esame puntuale e attuale della situazione soggettiva del richiedente in relazione alla condizione oggettiva del paese di provenienza da porre in raffronto con quella raggiunta nel paese ospitante, al fine di verificare se il rimpatrio possa com- promettere l'esercizio dei diritti umani, sì da intaccare quel nu- cleo insopprimibile ed alla base della dignità umana. Sul tema trattato da Cass. 4455/18, v. F. GALLO, La protezione umanita- ria nell'interpretazione delle corti territoriali calabresi e delle giurisdizioni superiori, in Rass. avv. Stato, 2013, fasc. 2, 90; V.

MARENGONI, Il permesso di soggiorno per motivi umanitari, in Dir. immigrazione e cittadinanza, 2012, fasc. 4, 59; F. LENZE-

RINI, «Status» di rifugiato, protezione umanitaria e prove ati- piche - Un'interessante sentenza della Corte d'appello di Bari, ibid., fasc. 3, 99. [R. SIMONE]

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CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; ordinanza 20 febbraio 2018, n. 4100; Pres. TIRELLI, Rel. IOFRIDA, P.M.

(non indicato); Tagliamonte (Avv. JARICCI) c. Comune di Ponza. Cassa App. Roma 14 gennaio 2013.

Espropriazione per pubblico interesse — Indennità — Determinazione — Natura del fondo — Epoca della ri- cognizione — Data dell'espropriazione — Vincolo preordinato all'esproprio — Irrilevanza — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 360; y d.l. 11 luglio 1992 n. 333, mi- sure urgenti per il risanamento della finanza pubblica, art.

5 bis; y l. 8 agosto 1992 n. 359, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 11 luglio 1992 n. 333; y d.p.r. 8 giugno 2001 n. 327, t.u. delle disposizioni legislative e re- golamentari in materia di espropriazione per pubblica utili- tà (testo A), art. 32, 37).

Posto che l'art. 5 bis, 3° comma, d.l. 11 luglio 1992 n. 333, convertito, con modificazioni, in l. 8 agosto 1992 n. 359, nel disporre che «per la valutazione delle edificabilità delle aree, si devono considerare le possibilità legali ed effettive di edificazione esistenti al momento dell'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio», comporta l'irrilevanza del vincolo espropriativo ai fini della stima del bene, ma non significa che la qualificazione edificatoria del terreno espropriato vada retrodatata all'epoca di apposizione del predetto vincolo (ciò che determinerebbe, nel caso di mu- tamento della destinazione sopravvenuto nelle more del- l'espropriazione, un indennizzo inficiato da astrattezza, e come tale contrastante con l'art. 42, 3° comma, Cost.), va cassata per violazione di legge, in relazione agli art. 32 e 37 d.p.r. 8 giugno 2001 n. 327, la sentenza di merito che, per stabilire l'indennità di espropriazione, operi la valuta- zione delle possibilità legali ed effettive di edificazione con riferimento al momento del vincolo preordinato all'espro- prio, anziché al momento dell'emanazione del decreto di esproprio, pur essendo sopravvenuta, nelle more, una va- riante urbanistica. (1)

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