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Chi uccise Carlo Tresca?

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Academic year: 2022

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Chi uccise Carlo Tresca ?

Chi uCCise Carlo TresCa ?CenTro sTudi e riCerChe Carlo TresCa

prefazioni di

arturo Giovannitti e John dos Passos

Centro Studi e riCerChe

In occasione del settantesimo anniversario dell’assassi- nio di Carlo Tresca il Centro a lui intitolato, nell’ambito delle iniziative promosse per ricordarne la figura, ha rite- nuto opportuno pubblicare il pamphlet uscito negli USA, dapprima in lingua inglese nel 1945, poi in lingua italiana nel 1947, a cura del Comitato Commemorativo di Tresca, composto da eminenti uomini di cultura americani, suoi amici e conoscenti, quali John Dewey, John DosPassos, Edmund Wilson.

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Nel dare alle stampe questo opuscolo, non abbiamo inteso di attribuire l’uccisione di Carlo Tresca a determinati individui od organizzazioni, ma semplicemente di esami- nare le circostanze già note che ci sembrano per tinenti alla storia obiettiva del caso.

Una copia 10 soldi. Dodici copie 1 dollaro

TRESCA MEMORIAL COMMITTEE

112 East 19th Street New York City, U.S.A.

Printed in the United States of America

In copertina: Carlo Tresca, dall’album di famiglia di Vittorio De Petris (pronipote)

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I leader dell’ I.W.W. durante lo sciopero dei lavoratori della seta del 1913 a Paterson (New Jersey). Da sinistra: Patrick Quinlan, Carlo Tresca, Elizabeth Gurley Flynn, Adolph Lessig and Big Bill Haywood.

Presentazione

In occasione del settantesimo anniversario dell’assassinio di Carlo Tre- sca il Centro a lui intitolato, nell’ambito delle iniziative promosse per ricordarne la figura, ha ritenuto opportuno pubblicare il pamphlet uscito negli USA, dapprima in lingua inglese nel 1945, poi in lingua italiana nel 1947, a cura del Comitato Commemorativo di Tresca, composto da eminenti uomini di cultura americani, suoi amici e conoscenti, quali John Dewey, John DosPassos, Edmund Wilson.

La domanda che il Memorial Tresca Committee allora rivolgeva alle istituzioni statunitensi ancora oggi attende una risposta.

Ancora oggi c’è un insoddisfatto bisogno di verità su un omicidio attorno al quale si sono sviluppate le più diverse ipotesi.

I componenti del Tresca Memorial Committee scrivevano che con

“questo opuscolo non abbiamo inteso attribuire l’uccisione di Carlo Tre- sca a determinati individui od organizzazioni”.

In una lettera del 1947, annunciando la pubblicazione del pamphlet in lingua italiana, gli stessi comunicavano di averlo inviato “to the principal public officiais of Italy, to outstanding members of the Constituent Assembly, to the Italian daily press, and to various individuais and organizations in that country that bave shown special interest in a continuing campaign bere to bring about a solution of the Tresca murder mystery” [ alle principali auto- rità pubbliche italiane, ai più insigni membri dell’Assemblea Costituente, ai giornali italiani e a diversi soggetti! e organizzazioni in quel Paese che hanno mostrato particolare interesse nel continuare una campagna volta ad ottenere raggiungere una soluzione del mistero della morte di Tresca.]

Nella Stessa lettera si legge :“Tresca fu il coraggioso direttore di un quindi- cinale , Il Martello, che giungeva a numerosi lettori in Italia. Egli nacque a Sulmona, negli Abruzzi. “Sebbene abbia abbandonato la sua terra natia da giovane” dice il comitato,” non ha mai abbandonato la sua cittadinanza ita- liana, e in tutta la sua vita ha combattuto per ottenere migliori condizioni di vita per i lavoratori italiani, dovunque essi si trovassero. Per il fatto che Carlo Tresca in un comizio per Sacco e Vanzetti (1927) in Union Square

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la sua devozione alla causa dei lavoratori era largamente nota in Italia, i suoi amici di lì, come molti qui, si sono chiesti: ‘Perché l’assassinio di Tre- sca non è stato risolto in quattro anni?’… E negli incontri commemorativi e in altre occasioni, il Comitato ha ripetutamente fatto risuonare un’altra domanda: è stata l’influenza di qualche potere politico ad intralciare le indagini?”

Dubitiamo che questo appello fu raccolto, ma se lo fu non dovette avere successo, per le stesse ragioni per le quali l’inchiesta americana non produsse verità e giustizia. A decenni di distanza dobbiamo constatare che l’assenza di verità su questo delitto finisce per gettare ombre immeritate sulla figura dell’ucciso.

Per questo ci siamo permessi di aggiungere al pamphlet una picco- la appendice riproducente un giudizio comparso su un recente lavoro di Luciano Canfora che si riporta accanto a quelli, diametralmente opposti, dello storico statunitense John P. Diggins.

Per il resto il testo, fatte salve alcune note segnalate da parentesi qua- dre aggiunte per rendere più agevole la comprensione, è quello uscito a New York. La foto originale del frontespizio dell ‘opuscolo è stata sostitu- ita con altra meglio riproducibile.

Il Centro Studi e Ricerche ‘Carlo Tresca’

Sulmona - gennaio 2013

Si faccia giustizia !

Non è mia intenzione gridare sanguinosa vendetta, perché Carlo Tre- sca è stato vendicato cento volte dal coro universale di maledi zioni im- precate sul capo degli assassini, e dal peana, ugualmente tre mendo, levato per celebrare la sua vita e la sua memoria. Voglio però unire la mia voce al clamore tumultuoso per un atto di giustizia, che non verrà di certo negato anche se qualche icona dovrà essere rovesciata dal suo piedistallo e qualche pilastro della così detta civiltà dovrà giacere infranto nella polvere della sua ignominia.

“Fiat justitia, pereat mundus”. Sia fatta giustizia anche che il mondo perisca! Perchè, in verità, il sangue dei martiri non è solo la semenza dei santi; è anche il lievito della protesta umana, è l’annunziatore e il precur- sore di gagliarde riscosse.

Chi aveva interesse a far uccidere Carlo Tresca? Io non lo so, ma ci dovevano essere decine di persone che carezzavano il manico del pugnale e il calcio della rivoltella ogni qualvolta udivano menzionare il suo nome.

E chi augurava a Carlo vita lunga e rigogliosa, gioia, felicità e una morte gloriosa ed eroica, invece di una fine tragica e oscura? Milioni di uomini e di donne che avevano imparato ad onorarlo e ad amarlo anche se non lo avevano mai visto, o conoscevano ben poco delle sue gesta quasi leggen- darie per la causa della libertà.

Perché quest’uomo era l’amico, il protettore, il consigliere di ognu- no; egli amava veramente tutti, dal reietto e dal misero all’insegnante, al sanitario, all’uomo d’affari. Egli si ergeva incrollabile, colla sua spada sguainata, in difesa di ogni essere umano perseguitato — sì, perfino del ladro, della prostituta, del malvivente, perfino di quelli che combatteva senza tregua finché non li avesse sconfitti e confusi.

Era l’amico del poliziotto che lo aveva arrestato decine di volte, del giudice che lo aveva denunciato come nemico della società ma beveva e mangiava alla sua mensa, del carceriere che lo aveva tenuto sotto chiave per giornate interminabili; era amico di tutti, fuorché del pecca tore con- 11 gennaio 1943: il corpo esanime di Carlo Tresca tra la 5a e la 15a strada (part.)

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tro lo Spirito Santo, del nemico inveterato e spietato della demo crazia e dell’uguaglianza. Sì, anche ora invocherebbe clemenza per gli stessi suoi uccisori, come fece Gesù, sebbene egli non avesse, a differenza di Gesù, da dispensare giudizi eterni nell’al di là.

Amava chiamarsi anarchico, e se questo termine designa l’uomo asso- lutamente libero, egli era veramente anarchico; ma dal punto di vista della dottrina pura egli era tutto per tutti, e nel suo interminabile vagabondag- gio intellettuale non cercò mai approcci effimeri o definitivi ancoraggi teorici.

Chi può avere armato la mano per far uccidere un uomo siffatto nel cuore della notte, in una strada deserta, mentre tranquillamente faceva ritorno alla sua casa ed ai suoi? Chi sparò alla nuca di un uomo simile pur sapendo che se si fosse scontrato col lampo dei suoi occhi, temprato dall’angelico sorriso, sarebbe rimasto agghiacciato e impietrito? Ohimè, io non lo so. Evvi qualcuno che lo sappia? Lasciamo par lare questo opuscolo.

Arturo Giovannitti

è morto da combattente per la libertà

Un uomo è abbattuto a colpi di rivoltella nelle strade di New York.

L’ucciso è una di quelle persone che una volta incontrate non si di- menticano più. Aveva molti amici fra uomini politici, dirigenti di sinda- cati operai, giornalisti, e fra i lavoratori di quella grande città italiana che è una delle città che formano New York. I sindacati gli tributano onoranze funebri solenni. La stampa prende straordinario interesse al fatto. La po- lizia dà prova di grande energia e scopre l’automobile che probabilmente fu adoperata dagli assassini. Scopre l’autorimessa dove fu custodita la vet- tura. Scopre il nome usato da chi comprò il veicolo. Arresta un uomo in libertà condizionale, sospettando che possa essere uno dei sicari prezzolati.

Dall’ufficio della procura distrettuale partono voci di prossimi arresti e rinvii a giudizio.

Tutto ciò accadeva nell’inverno del 1943, circa quattro anni fa.

E ancora non sappiamo chi abbia ucciso Carlo Tresca, né conosciamo il movente del delitto.

Il corso dell’istruttoria iniziata dalle autorità con tanta energia si è andato rallentando sempre più! L’arrestato è stato rimesso in libertà dopo una deten- zione di pochi mesi. Gli indizi sono svaniti. I giornali, distratti dai tremendi avvenimenti in Europa e nel Pacifico, son divenu ti apatici. Dall’ufficio della procura distrettuale non si apprende più nulla di nuovo. Tutti gli sforzi fatti in Washington per provocare l’in tervento del Procuratore Generale o dell’Uf- ficio Federale d’Investiga zione sono riusciti vani. E’ uno dei tanti assassinii fra italiani che ri mangono avvolti nel mistero.

E’ impossibile non provare l’impressione che le autorità competenti non si rendano conto dell’importanza che ha per tutta la nazione il con- durre l’inchiesta fino alle sue logiche conclusioni.

I tempi che attraversiamo sono critici. Il pericolo che in questo perio- do di agitazioni possa essere soppresso il minimo di tolleranza e di libertà che per tutti gli Americani, direttori di giornali, dirigenti di sindacati ope- rai, uomini politici e pubblici funzionari, costituisce la base na turale della 11 gennaio 1943: il corpo esanime di Carlo Tresca tra la 5a e la 15a strada

Courtesy of the Archives of Labor and Urban Affairs, Wayne State University

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loro felicità, è reale e immanente.

Abbiamo intuito il pericolo che ci minacciava d’oltremare, e i nostri giovani hanno dato la vita per liberarcene. Ma le vittorie sui campi di bat- taglia stranieri si dimostreranno inutili se per codardia, stupidità o apatia perderemo le libertà in patria.

Alla base della nostra società civile, quale è da noi concepita, è la si- curezza personale dell’individuo. La libertà di parola e di stampa è una parte del fondamento di questa sicurezza, e il nostro sistema di governo ce l’accorda piena ed intera. Se qualcuno ritiene di essere stato diffa mato, può rivolgersi alle corti di giustizia per essere protetto.

Quando si permette che un assassinio rimanga impunito, la com- pagine stessa della società, che riposa sulla sicurezza personale di tutti gli individui che la compongono, viene ad essere scossa. L’imperio della legge è indebolito. Il pubblico funzionario che per influenze estranee si indu- cesse a venir meno al proprio dovere, commetterebbe un’infrazione non meno grave di quella dell’ufficiale che abbandonasse il campo di battaglia.

Nell’assassinio di Carlo Tresca l’inosservanza del dovere sa rebbe singolar- mente pericolosa per il fatto che il delitto fu quasi certa mente di natura politica. Con ogni probabilità si volle colpire la vittima per farla tacere, per impedirle cioè di fornire informazioni che sarebbero state utili al po- polo americano.

Carlo Tresca, che sbarcò come immigrante quarantadue anni fa, venne negli Stati Uniti perchè sapeva che in questo paese avrebbe potuto par- lare liberamente contro tutte le ingiustizie. Ben presto divenne uno dei condottieri delle forze che combattevano ai margini della ribellione dei lavoratori immigrati contro lo sfruttamento che li attendeva insieme con la possibilità di una vita migliore. La libertà individuale, che per il nativo era ovvia al pari della ricchezza e della immensa distesa del continente, divenne per lui la passione quotidiana.

Diresse una serie di giornali italiani. — La Plebe, Il Proletario, L’Av- venire, e in ultimo Il Martello — secondo la tradizione romantica della rivolta della classe operaia nell’Europa del diciannovesimo secolo. Nei pri- mi anni i suoi scritti erano ispirati alla rivoluzione. Egli era ancora ebbro del sogno grandioso di una classe lavoratrice internazionale desti nata ad apportare pace e libertà al mondo. Col volger degli anni, la difesa della libertà delle masse divenne il suo pensiero dominante. Le rivoluzioni che gli agitatori del diciannovesimo secolo avevano sognato, scoppiarono alla fine, ma in luogo di libertà e di pace, arrecarono all’Eu ropa guerre, oppres-

sione e la forma di dispotismo più odiosa che la storia ricordi.

Entro la cerchia del nuovo mondo italiano in cui si muoveva, Carlo Tresca lottò per tener lontane dall’America le organizzazioni fasciste e co- muniste che avevano fatto dell’Europa un inferno. Nel Martello egli fece il più largo uso della libertà di parola, che è il più valido ba luardo contro la soppressione delle nostre libertà. Convinto che nella guerra contro le Potenze dell’Asse il governo degli Stati Uniti difendeva la libertà di tutti gli uomini contro l’oppressione, fece tutto quel che era in suo potere per aiutare la FBI a scoprire e ad allontanare gli agenti di quelle organizzazioni straniere che esercitavano la loro attività fra i nati all’estero residenti in questo paese. Fu indubbiamente il combat tente per la libertà dell’America che i sicari vollero colpire.

Il popolo americano, che ha fatto tanti sacrifici per vincere la guerra contro le forze omicide d’oltremare, ha il diritto di esigere dai suoi funzio- nari energia e coraggio nella difesa della società civile che è la protezione di tutti noi.

Le pagine seguenti contengono un riassunto dei fatti e delle con getture ri- guardanti l’uccisione di Carlo Tresca. Non so quale degli indizi sia attendibile, o se alcuno di essi lo sia, ma è innegabile che indizi vi sono.

Può darsi che la scoperta degli assassini si dimostri compito difficile e ingrato. Nelle isole delle acque giapponesi i nostri soldati hanno con- dotto a termine un’impresa molto più difficile e ingrata, e di gran lunga più pericolosa. Se qualche pubblico ufficiale si è lasciato persuadere che gli interessi che potrebbero essere coinvolti nel delitto sono troppo potenti per poter essere colpiti, o che si tratta di un reato comune da iscrivere al passivo della sua carriera di funzionario, e che quindi il meglio da farsi è di attendere che il fatto scenda quietamente nell’oblio, forse ora rifletterà meglio. Rammenterà l’importanza enorme di tradurre i colpe voli dinanzi alla giustizia, e penserà che fare il suo dovere con energia e perseveranza è per lui sacrificio ben lieve in paragone di quello totale che abbiamo chiesto alle nostre truppe combattenti.

John Dos Passos

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Chi Uccise Carlo Tresca?

L’assassinio

La sera di lunedì 11 gennaio 1943, nei pressi della 15.a strada e Fifth Avenue, a New York, regnava la quiete. Nella semioscurità prescritta in quel periodo di guerra le vie erano quasi deserte. Carlo Tresca, coraggioso e intransigente direttore di un giornale radicale, si trovava al terzo piano del fabbricato all’angolo sud ovest del crocicchio, nell’ufficio dove aveva per lungo tempo lottato contro il totalitarismo con il suo periodico II Martello.

Insieme con Giuseppe Calabi, avvocato italiano fuoruscito, egli attendeva l’arrivo di quattro persone colle quali era stato recentemente designato a formare un comitato di agitazione antifascista. Gli altri quat- tro, ai quali aveva scritto per invitarli a recarsi nel suo ufficio, erano Vanni Montana, direttore del dipartimento educativo della Locale 89, affiliata alla International Ladies Garment Workers’ Union; Giovanni Sala, in quel tempo organizzatore dell’Amalgamated Clothing Workers of America; Giovanni Profenna e Gian Mario Lanzillotti. Nessuno di loro si presentò o rispose all’invito. Montana aveva prece dentemente rifiutato di far parte del comitato perché le sue occupazioni non gli avrebbero lasciato il tempo necessario; uno degli altri, essendo andato ad abitare in altra casa, aveva ricevuto la lettera in ritardo; gli ultimi due non poterono intervenire per circostanze speciali. Oltre ai quattro, ha dichiarato Montana, diverse altre persone erano a conoscenza della riunione progettata.

Alle 9.30 Tresca comprese che sarebbe stato inutile attendere più a lungo, e in compagnia di Calabi uscì verso le 9.38 dall’ufficio, coll’inten- zione di recarsi, prima di rincasare, in un bar situato nella Fifth Avenue, in direzione diagonalmente opposta… L’edificio n° 96 della Fifth Avenue ha due entrate. Come di solito, quella sera Tresca uscì dalla porta della 15.a strada. Egli e il suo compagno si incamminarono verso l’est, percor- sero il tratto di circa 75 piedi che li separava dall’an golo e attraversarono la 15.a strada. Il segnale del traffico li costrinse ad arrestarsi sulla avenue.

In quell’istante un uomo si avvicinò alle spalle di Tresca e gli tirò quattro revolverate con un’arma automatica. Un proiettile lo colpì alla schiena, un secondo alla testa. Gli altri due colpi andarono a vuoto. La vittima Carlo Tresca con un lavoratore non identificato (1916)

Courtesy of the Archives of Labor and Urban Affairs, Wayne State University

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stramazzò sul lastrico, sotto la luce fioca di una lampada. L’uccisore fuggì in una automobile di colore oscuro, a forma di berlina, che si allontanò rapidamente per la 15.a strada e disparve nell’oscurità della notte. Tresca spirò quasi prima che la vettura fosse scomparsa.

Samuel Sherman, proprietario di un negozio di vestiario al no. 100 della Fifth Avenue, avendo udito le detonazioni e visto l’automobile in corsa, avvertì la polizia. Gli agenti, arrivati poco dopo, rinvennero tra la spazzatura, all’ingresso dell’edificio no. 96 della Fifth Avenue, una rivol- tella di calibro 38, completamente carica. Il fatto che la vittima venne colpita da proiettili di calibro 32, fa ritenere che due uomini si fossero posti in agguato, uno a ciascuna delle due porte di uscita. Evi dentemente il delitto era stato preparato con ogni cura, colla stessa meticolosità da sicari di mestiere con cui fu commesso. Il fatto si svolse con tanta rapidità e precisione, che il compagno di Tresca non ebbe il tempo di osservare né l’uccisore né l’automobile che servì per la fuga. Due passanti diedero dell’assassino una descrizione che si ritiene accu rata; dissero che era un uomo dell’apparente età dai 35 ai 40 anni, del l’altezza di circa 5 piedi e 5 pollici.

Vita di combattente

Carlo Tresca ebbe vita tempestosa, agitata da innumerevoli batta glie sostenute per la giustizia e per la libertà di parola, per i diritti dei diseredati nell’interesse della classe operaia.

Nato nel 1879 a Sulmona, antica città degli Abruzzi che si stende in un’alta e fertile vallata dell’Appennino, egli non provò mai soverchia sim- patia per la classe alla quale apparteneva come figlio di un agiato proprieta- rio di terre. A vent’anni era già agitatore socialista, segretario del Sindacato Ferrovieri di recente formazione, e direttore del giornale rivoluzionario Il Germe. Di questa pubblicazione si servì per denunciare le malefatte di gente altolocata ed ebbe in conseguenza una condanna per diffamazione a mez- zo della stampa. La dimostrazione della verità delle sue asserzioni non gli giovò a nulla. Di fronte alla prospettiva del carcere o del domicilio coatto a ventiquattro anni, risolse di fuggire in Svizzera, dove incontrò, fra gli altri radicali italiani profughi, un ciarlone di nome Benito Mussolini. A Tresca quest’ultimo sembrò un posatore ed un ciarlatano, e il futuro traditore del socialismo disse che Tresca non era radicale abbastanza.

Nel 1904 Tresca emigrò negli Stati Uniti, dove trovò ben presto am- pia opportunità per esercitare le sue doti di dirigente e organizzatore. Il problema degli operai metallurgici e dei minatori di carbone nel terri torio di Pittsburgh gli apparve come una sfida ad agire, e lo indusse ad iniziare la pubblicazione del giornale italiano La Plebe. Quando, l’anno seguente, Big Bill Haywood, Eugene V. Debs, Daniel De Leon, ed altri organizza- rono a Chicago I Lavoratori Industriali del Mondo (1), con pro gramma sindacalista rivoluzionario, egli si sentì naturalmente attratto ad unirsi a loro. Da quel tempo egli divenne uno dei più vigorosi promotori del mo- vimento operaio americano. Si diede ad organizzare i la voratori italiani in molte parti del paese e a dirigere scioperi. Nel 1912 rappresentò parte co- spicua nel grave conflitto dei tessili di Lawrence (Massachusetts); nel 1915 partecipò alla marcia dei disoccupati sulle chiese della città di New York per domandare pane e ricovero. Durante lo storico sciopero dei minatori del ferro a Mesaba Range, nel Minnesota, fu insieme con altri rinviato a giudizio sotto accusa di “complotto diretto a commettere assassinii”. Nel 1917 L’Avvenire, giornale che egli pubblicava allora a New York, fu privato dell’abbonamento postale per ché conteneva articoli di protesta contro la partecipazione degli Stati Uniti alla guerra europea. Due anni dopo fondò II Martello, che seguitò a pubblicare fino alla morte.

Poiché il suo interesse era rivolto non già all’azione politica, ma alla strategia industriale e agli scioperi in quanto possono fare opera eostrut- tiva a vantaggio delle masse produttrici della ricchezza che altri godono, Tresca non divenne mai cittadino americano. Divenne invece cittadino del mondo. Sebbene la grande attività che svolgeva in America assorbis- se ogni sua energia, egli riuscì sempre a tenersi al corrente dei fatti più importanti che accadevano nel suo paese natio, specialmente di quelli ri- guardanti il movimento operaio. I suoi vecchi compagni lo tenevano in- formato, per corrispondenza, dei fatti più salienti non riferiti dai gior nali.

Egli, dal canto suo, non mancò mai di spedire in Italia numerose copie dei quattro periodici da lui diretti negli Stati Uniti. In Italia alcuni dei giornali polemizzarono con lui; altri riprodussero i suoi articoli, elogiandoli. In tal modo numerosi italiani vennero a conoscenza della sua lotta incessante per i diritti del popolo lavoratore; lotta che egli, da vero internazionalista,

1) [IWW]

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conduceva per il bene degli operai non solo d’Italia, ma degli Stati Uniti e di tutto il resto del mondo. Si è detto che egli scriveva con “una penna di fuoco”. In verità la vampa suscitata da quel fuoco illuminò sovente la via che menava alla tattica più effi cace nella lotta della classe operaia per un dignitoso tenore di vita, e gettò vivida luce su subdoli attentati di forze reazionarie contro i principi fondamentali di libertà.

Dal tempo della “marcia su Roma”, nel 1922, Tresca attaccò fre- quentemente Mussolini e il suo regime fascista. Nel 1923, dopo che ebbe scritto articoli violenti contro il Duce e sostenuta la necessità di abbat tere la monarchia, fu vittima di una montatura da parte dell’ambasciata italia- na, che lo accusò di avere spedito per posta stampati osceni. Gli “stampati osceni” erano un avviso di quattro righe sul Martello per la vendita di un libro sulla limitazione delle nascite. Tresca fu riconosciuto colpevole e condannato ad un anno e un giorno di carcere. Essendo stato respinto il suo ricorso in appello, nel gennaio del 1925 venne confinato nel peniten- ziario di Atlanta. Le proteste del pubblico costrinsero però il Presidente Coolidge a diminuirgli la pena a quattro mesi. . . . Riac quistata la libertà, riprese i suoi attacchi contro il fascismo e vide quindi ingrossarsi la falange dei suoi nemici.

Combatte i primi tentativi di Mussolini negli Stati Uniti

A Carlo Tresca, più che a qualsiasi altro, si deve se i primi tentativi di Mussolini per organizzare i fasci tra gli italo-americani fallirono mi- seramente. Fu la strategia di Carlo che dopo il ‘20 fece scomparire le uni- formi fasciste dalle strade di New York.

Durante tutta la sua vita d’America, egli diede opera diligente ed assi- dua alla difesa di innumerevoli lavoratori italiani minacciati di con danna alla prigione o alla pena capitale per le loro idee politiche. Par ticolarmente energica fu l’opera da lui svolta nei processi contro Ettor e Giovannit- ti, Mooney e Billings, i membri della I.W.W. a Centralia (Washington), Clemente Lista, Antonio Bellusi, Greco e Carrillo, e i Trotskisti di Min- neapolis. Come dimostrazione tipica di questa sua atti vità, può citarsi l’or- ganizzazione, da lui promossa, del comitato di fronte unico per la difesa di Athos Terzani, il giovane antifascista accusato falsamente di aver ucciso in Astoria, Long Island, un suo compagno durante una zuffa scoppiata in un’adunanza di Camicie Khaki d’America. Dopo diversi mesi di lavoro

intenso, il comitato di difesa raccolse prove sufficienti non solo a far as- solvere Terzani, ma a scuotere dalla sua apatia il procuratore distrettuale della Contea di Queens e ad indurlo a procedere contro il vero uccisore, una delle Camicie Khaki, ed il suo complice, il comandante del fascio americano. Ambedue furono con dannati.

Sul principio Tresca accolse con simpatia la Rivoluzione Russa, e fino agli ultimi mesi del 1933 non trovò alcuna obiezione a collaborare con tutti quelli che vi aderivano. La sua avversione cominciò a manife starsi quando vide la burocrazia stalinista accrescersi prodigiosamente ed i co- munisti degli Stati Uniti tentare di asservire ad essa il movimento operaio americano o, non riuscendovi, di distruggerlo. Quando poi, nel 1934, i comunisti fecero fallire lo sciopero del personale di albergo, si staccò de- finitivamente. Le epurazioni sanguinose del 1936 in Russia e gli assassinii commessi dagli agenti della GPU in molte parti del mondo, lo resero ancora più ostile. Da allora Tresca condusse sul Martello una incessante campagna di rivelazioni e di denuncie contro il regime stali niano, e in pari tempo intensificò i suoi attacchi contro il fascismo. All’entrata dell’A- merica nella seconda guerra mondiale, nel 1941, diede il suo appoggio, quantunque non senza riserve, alle Nazioni Unite.

Dopo la sua morte, egli ricevette onori speciali nel suo paese di nasci- ta. Nella città di Sulmona, dove trascorse i suoi primi anni, ad una piazza che era intitolata a Vittorio Emanuele II, è stato dato, per dispo sizione, del consiglio comunale, il nome di Piazza Carlo Tresca.

è possibile che i comunisti abbiano ucciso Tresca?

Chi può avere ucciso Carlo Tresca, o chi può essere stato l’istiga tore?

Chi può avere avuto quella che potrebbe considerarsi una forte ragio- ne per sopprimerlo? La maggioranza degli amici della vittima ritiene che l’assassino abbia avuto movente politico, che cioè Tresca sia stato ucciso per la sua vigorosa opposizione a governi o partiti totalitari, o perchè egli conosceva troppe cose sul conto di una o più persone che partecipavano

ERRATA CORRIGE - A causa di un deplorevole errore sono stati omessi a pagina 12 i nomi di Nicola Sacco, Bartolomeo Vanzetti, Andrea Salsedo e Rober- to Elia, vittime della persecuzione, aiutate e difese da Carlo Tresca.

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attivamente alla politica internazionale. Tresca attaccava apertamente il fascismo, “ex” fascisti e comunisti, non solo sul suo gior nale, ma anche in discorsi e conversazioni in luoghi pubblici.

Uno di quelli che attribuirono il reato ai fascisti, fu il giudice J. Ro- land Sala, che il giorno del delitto sospese l’udienza nella Felony Court di Brooklyn e intrattenne il pubblico sulle possibili causali del fatto. Altri rammentarono che nel 1931 Carlo Tresca era stato incluso da Mussolini nella lista delle persone destinate ad essere soppresse.

Altri sospettarono i comunisti, o qualche gruppo fanatico ai margini del movimento comunista, perchè ricordarono che quando Tresca com- parve dinanzi al gran giurì per accusare uno di loro di aver avuto mano nella scomparsa di Juliet Stuart Poyntz, ex agente segreto della Russia so- vietica, la stampa del partito lo chiamò spia fascista. Si fece anche osser- vare che il 14 maggio 1942 egli pubblicò sulla prima pagina del Martello un attacco contro Carlos Contreras, noto anche sotto i nomi di Enea Sormenti e Vittorio Vidali, che accusò di essere “comandante di spie, ladri e assassini” e di aver capitanato in Spagna una banda di delinquenti autori di orribili delitti commessi nell’interesse di Stalin.

Due ore dopo l’assassinio, la procura distrettuale venne infor mata che due o tre settimane prima Carlo aveva detto ad alcuni amici di aver visto in quei giorni Contreras-Sormenti-Vidali in New York, ed era uscito in questa frase: “Dove si trova lui, sento puzza di cadavere. Vorrei sapere chi sarà la prossima vittima”. Alle autorità fu anche ri ferito che subito dopo l’uccisione, due antifascisti di Philadelphia affer marono di aver visto poco tempo prima Sormenti in un podere presso Landisville, nel New Jersey, a qualche miglio da Camden.

Vi fu un tempo in cui Sormenti e Tresca erano amici. Sormenti, che era in discordia con Mussolini, giunse in America dall’Italia nel 1923 e si unì ai comunisti, dai quali fu nominato segretario della Federazione Italia- na del partito. Quattro anni dopo, le autorità americane ordinarono la sua espulsione perchè era sbarcato negli Stati Uniti senza passaporto regolare.

Tresca, che non aveva ancora perduto le sue illusioni nei ri guardi dei co- munisti, prestò a Sormenti tutto il suo appoggio per impe dire che venisse estradato, sostenendo che all’arrivo in Italia sarebbe stato certamente uc- ciso, come era accaduto a molti antifascisti. Finalmente Sormenti ebbe il permesso di recarsi in Russia, dove (secondo l’Herald Tribune) frequentò una scuola di GPU ed apprese i metodi terroristici.

Nel periodo di circa otto anni che precedette la sua morte, Tresca fu

nemico implacabile degli stalinisti. In discorsi e in articoli, egli accusò la GPU di avere assassinato Camillo Berneri, uno dei capi del movimento anarchico, a Barcellona; Rudolph Clement, seguace di Trotsky, a Parigi;

Andreas Nin, nella guerra civile spagnola; lo stesso Trotsky nel Messico;.

Ignatz Reiss, già agente della GPU e in seguito staccatosi dagli stalinisti, e molti altri, in Spagna e in Francia.

Sul Martello del maggio 1942 Carlo lanciò contro Sormenti l’accusa che la campagna che quest’ultimo conduceva contro la Mazzini era ispi- rata da Stalin. “Il metodo è lo stesso”, scrisse Tresca, “ ‘Non volete l’unità con noi? Ed allora siete agenti di Hitler e di Mussolini’. E si minaccia ve- latamente. Con la GPU non si scherza. Quando la GPU dice, per bocca di Sormenti : allora la lotta, il significato della mi naccia è chiaro”. In un altro numero del giornale, verso la fine di maggio, Tresca menzionò di nuovo Sormenti in un articolo intitolato La Società Mazzini e la truffa dell’unità.

La Società Mazzini, composta di italiani e di americani di discen denza italiana contrari a tutte le dittature, mira a tenere accesa la fiacco la della libertà e a promuovere la fratellanza fra l’Italia e gli Stati Uniti.

Protegge la società Mazzini

Nell’estate di quell’anno Carlo Tresca fu all’avanguardia nella lotta che si combattè per escludere i comunisti dalla Società Mazzini. Nella conven- zione di giugno egli destò profonda sensazione colla lettura di una lettera diretta da Città di Messico a Pietro Allegra, collaboratore dell’or gano sta- linista L’Unità del Popolo, e recante la firma di Vittorio Vidali (Enea Sor- menti). La lettera, disse Carlo, era stata intercettata prima del recapito al destinatario. In essa si esprimeva il desiderio che Randolfo Pacciardi, che aveva comandato la Brigata Garibaldi in Spagna, si ado perasse per rendere possibile un accordo con i comunisti. “Questo”, diceva lo scrivente, “sa- rebbe molto utile agli antifascisti”.

Interrompendo la lettura, Pacciardi affermò con tono reciso che non si sarebbe mai prestato a servire da “cavallo di Troia per i comu nisti”, e domandò a Carlo come fosse venuto in possesso della lettera. Carlo rifiu- tò di rispondere, limitandosi a dichiarare: “E’ autentica, ed è questo che importa”.

“Si parla di unità”, osservò Tresca, “come se ne parlava durante la guer- ra civile spagnola. . . . Tu, Pacciardi, ed io saremo mandati in pri gione o

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finiremo con una revolverata alla nuca. Se i comunisti fossero sinceri, sten- derei loro la mano ed agiremmo d’accordo. Ma non lo sono, e non devono quindi entrare nella Società Mazzini”.

Da allora Tresca combattè senza tregua ogni tentativo per ammet tere i comunisti nell’associazione.

Egli fece parte della commissione che, sotto la presidenza del prof.

John Dewey, tenne sedute in Washington, a Città di Messico ed a New York e, dopo aver vagliato le accuse contro Trotsky nei sinistri processi del 1937-38 a Mosca, dichiarò l’imputato “non colpevole”. Parimenti nel 1942, Tresca fu tra le 160 personalità firmatarie di una protesta inviata ad Avila Camacho, Presidente della Repubblica del Messico, contro una

“campagna diffamatoria lanciata dal partito comunista” per far espellere alcuni profughi antifascisti. Tra le firme figuravano quelle di Victor Serge, Marceau Pivert, Julian Gorkin, e Gustav Regler, i quali avevano consacra- to la loro vita alla lotta per la libertà e nondimeno erano accusati di essere a capo di una quinta colonna nell’Ame rica Latina.

Dopo la morte di Tresca, tanto la stampa stalinista quanto Robert Mi- nor, viceassistente segretario nazionale del partito comunista ame ricano, asserirono che i comunisti erano contrari all’assassinio. Minor, poi, ag- giunse che il suo partito non aveva mai ritenuto necessario com battere politicamente le opinioni e le attività di Carlo Tresca.

La Mazzini dichiarava invece pubblicamente che “. . . le pagine del Daily Worker sono piene di invettive contro Tresca”. Nel 1938, im- mediatamente dopo la sua deposizione testimoniale nel caso Poyntz, egli venne attaccato anche dal Comitato Nazionale Italiano del partito co- munista e da Pietro Allegra.

Allegra pubblicò un opuscolo intitolato Il Suicidio Morale di Carlo Tresca. Nella pubblicazione, Tresca era definito uomo “politicamente mor- to” ed accusato, fra le altre cose, di aver “fatto opera disfattista con tro la Spagna antifascista e repubblicana”, e di aver “denunciato i comunisti, incolpandoli del rapimento e dell’uccisione di una donna”.

“Essendo già troppo vederlo a suicidarsi —- mi si permetta — con le sue proprie mani”, scriveva Allegra “… Oh, se egli — Carlo Tresca — ha perduto completamente il senso della ragione e della decenza: allora, … per ragioni di salute pubblica, per antifascismo: è doveroso mettere un BA- STA alla sua opera deleteria e disgustosa di vero e proprio nemico dell’an- tifascismo…

“Quindi: ragioni di salute pubblica, e nello interesse dell’antifa scismo.

E’ un’opera civica, sociale che io faccio occupandomi di Carlo Tresca.

Opera di protezione, di eliminazione dalla società di esseri che sono nocivi a se stessi e alla società che li deve ospitare”. (Il corsivo è nostro).

Verso quel tempo il Comitato Nazionale del partito comunista, in una dichiarazione pubblicata nel numero del 28 febbraio 1938 del l’ Unità Ope- raia, giornale stalinista di New York, lanciava questo “ap pello”:

“... l’isolamento di Tresca sia un provvedimento di elementare difesa per tutto l’antifascismo.

“E senz’altra preoccupazione che quella di proteggere e salvaguar dare l’antifascismo rivolgiamo perciò un fraterno appello ai militanti di tutti i gruppi o partiti politici perché, nell’interesse comune, facciano intendere a Tresca che gli informatori della polizia non saranno più tollerati nel mo- vimento politico e sindacale operaio. …”

Presagio funesto

Per Carlo Tresca queste parole hanno un significato sinistro. Ri- spondendo sul Martello del 7 marzo, egli scrive:

“Se Tresca è vivo e non disposto a morire — né fisicamente né po- liticamente per far dispiacere al melanconico Pietrino [Allegra] . . . per evitare che ... si presenti, bisognerà farla finita con lui, definitivamente.

In una parola: ci vorrebbe un George Mink, membro del partito co- munista d’America e assassino dei compagni Berneri e Barbieri. Non è a dire che ai quattro fannulloni che formano la Commissione Nazionale Italiana del Partito Comunista d’America un pensiero sanguinario e ma- cabro del genere non sia venuto nella mente. Tutt’altro! Ma alla esecu- zione di esso vorrebbero spingere qualche esaltato: ce ne sono. Alle volte non c’è bisogno di armare la mano di un sicario, basta riscaldare la testa di un fanatico.

Non ci vuole un gran bene d’intelletto per comprendere cosa in- tendono dire i membri della Commissione Nazionale… quando gri dano

— si impone l’isolamento di Tresca — e quando… affermano che sa- rebbe un tradire l’antifascismo e la loro coscienza… se non dicessero che non bisogna più oltre TOLLERARE Tresca. Mussolini usò le stesse parole quando volle spingere all’azione gli assassini di Mat teotti, ma Mussoli- ni, considerato che la designazione della vittima non era sufficiente, si mise all’opera ed organizzò, diresse, prese parte all’ese cuzione del delitto.

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Aspetto a pie’ fermo che le quattro canaglie della Commissione… passino a vie di fatto”.

Ma è possibile che il delitto sia stato commesso da qualche fanati- co incitato dalle furiose invettive della stampa comunista? Giudicando dall’operato di agenti segreti soggetti all’influenza degli organi stalinisti, una ipotesi di tal genere non sembra da escludersi. Chi ha esaminato le circostanze, ormai note, che accompagnarono il processo contro Victor Alter e Hendrick Erhlich, socialisti e antifascisti polacchi fucilati in Russia nel 1942, può difficilmente ritenere che agli stalinisti ripugni la soppres- sione di esseri umani.

I funzionari alle dipendenze del procuratore distrettuale Frank S. Ho- gan riuscirono a scoprire dove si era recato Sormenti? Se è vero che egli l’11 gennaio 1943 era a Città di Messico, come affermano i suoi difenso- ri, dove si trovava il mese precedente? Dove era il 22 dicembre, quando

“Charles Pappas” comprò l’automobile adoperata dall’assassino? Furono fatte indagini a New York sul lavorìo di agenti segreti tra per sone che propendono per le teorie comuniste? Il personale di Hogan investigò le manovre di comunisti ed ex fascisti per assicurarsi posti di comando nella Società Mazzini? A queste domande la procura distret tuale non ha mai dato al pubblico alcuna risposta.

Furono fascisti o ex fascisti?

Tanto i comunisti quanto i fascisti avevano motivo di animosità contro Tresca. Egli era riuscito ad impedire che entrassero nella Socie- tà Mazzini, e tentava di escluderli dal Consiglio Italo-Americano della Vittoria, che allora si stava formando dall’ufficio delle Informazioni di Guerra. Quest’organo poteva assumere grande importanza. Poteva diven- tare, per i comunisti e per i fascisti, una specie di ponte fra l’America e l’Italia, un cavallo di Troia per venire a conoscenza dei piani segreti ideati dal governo americano per influire sulle sorti dell’Italia. Come s’è visto in seguito, l’Italia è una pedina del massimo valore nel giuoco della politica estera del Soviet. Pensando a quel che accadde sotto il regime Badoglio e alla politica seguita recentemente dall’AMG, non è difficile immaginare quali accordi gli ex fascisti sperassero stipulare con il governo americano. Nei calcoli degli stalinisti e dei fascisti, il Consiglio Italo-Americano della Vittoria aveva un’importanza straordinaria, e la

Società Mazzini era la principale organizzazione di antifascisti italiani in questo paese.

Secondo il piano originale dell’OWI (1), del Consiglio dovevano es- sere chiamati a far parte Generoso Pope ed altri noti fascisti, ed anche alcuni rappresentanti dell’International Workers Order, società di mutuo soc corso che segue le direttive del partito comunista. Tresca era disposto a cooperare alla formazione del Consiglio, ma a patto che non vi fosse- ro ammessi né ex fascisti né stalinisti. E poiché aveva grande influenza sulla comunità italo-americana, e conduceva colla sua abituale energia la campagna per escludere dal Consiglio gli elementi totalitari, rifiutando di scendere a compromessi, Tresca divenne per ambedue le fazioni un ostacolo formidabile nelle settimane che precedettero immediatamente la sua uccisione.

Dopo il delitto, i portavoce dell’OWI tentarono di nascondere que sta inimicizia con dichiarazioni contro le quali la vedova ed alcuni dei più intimi amici dell’ucciso protestarono energicamente. Il 18 gennaio 1943 Alan Cranston, allora direttore della divisione straniera dell’OWI, disse:

“Tresca non si opponeva alla partecipazione dei comunisti al Consiglio della Vittoria, perché riteneva che tutti gli antifascisti doves sero restare uniti sino alla vittoria finale”. Lee Falle, anche lui apparte nente all’OWI, avrebbe asserito che Tresca, pur essendosi dichiarato contrario alla ammis- sione dei comunisti, aveva acconsentito a non sol levare la questione della loro appartenenza o meno al Consiglio.

Per contrario Girolamo Valenti, uno dei membri del comitato or- ganizzatore del Consiglio, disse che tre giorni prima del delitto, Tresca gli aveva telefonato proponendogli di unirsi a lui per impedire che i co- munisti venissero ammessi. Alberto Tarchiani, allora segretario na zionale della Società Mazzini ed attualmente ambasciatore italiano a Washington, dichiarò il 18 gennaio: “E’ noto che Tresca era contrario ad un’alleanza con ex fascisti del tipo di Generoso Pope e con i comu nisti”. Tarchiani aggiunse che Tresca era stato invitato ad un’adunanza convocata da Falk ed aveva chiesto al suo amico Dr. Umberto Gualtieri, vice presidente della società nella sede di New York, di accompagnarlo. Secondo Tarchiani, Tresca disse al Dr. Gualtieri che si sarebbero recati alla riunione come semplici osservatori e che se vi avesse trovato ex fascisti o comunisti, se ne sarebbe andato.

1) [Ufficio delle Informazioni di Guerra]

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La lite per la questione del Consiglio Italo-Americano della Vittoria non fu che uno degli episodi più recenti della lotta che Tresca sostenne per venti anni contro il fascismo italiano. Nei suoi scritti e in discorsi egli aveva precedentemente attaccato diversi uomini e donne ligi alla causa di Mussolini. Tutti sono a conoscenza dell’assassinio del deputato Matteotti, commesso dai fascisti nel 1924 a Roma, e di quello dei fratelli Rosselli in Francia nel 1937, ma ben pochi, ad eccezione degli italiani, sono informa- ti delle centinaia di altri delitti del genere.

L’automobile dell’assassino

Sul principio sembrò che l’inchiesta procedesse con notevole solle- citudine. Il giorno del delitto, a tarda sera, fu rinvenuta una berlina Ford, con tutti e quattro gli sportelli aperti, abbandonata presso l’in crocio della 18.a strada e Settima Avenue, vicino all’ingresso della ferro via sotterranea, cinque isolati a nord ovest della scena del reato. Dalla serratura dell’accen- sione pendeva un mazzo di chiavi. La licenza era stata rilasciata a Charles Pappas, il quale aveva dato un indirizzo, nella contea di Queens, che dal- le indagini risultò inesistente. La Con-Field Automo bile Company, che ha uffici al no. 1902 Broadway, dichiarò che aveva venduto la vettura a “Charles Pappas” per 300 dollari il 22 dicembre, tre settimane prima dell’uccisione di Tresca.

Si ritenne generalmente che l’assassino si fosse allontanato con quel- l’automobile, perché la vettura era stata rinvenuta a breve distanza dalla scena del delitto ed anche perchè evidentemente i passeggeri l’avevano abbandonata in gran fretta.

Chi occupava l’automobile dell’assassino?

La polizia non solo trovò l’automobile che ebbe ragione di rite nere fosse stata usata dall’assassino, ma trasse in arresto un pregiudica to che, secondo gli agenti addetti alla vigilanza dei rilasciati in libertà condizio- nale, era salito nella stessa vettura un’ora e mezzo prima del l’uccisione di Tresca. La sera dell’11 gennaio Carmine Galante, di 32 anni, alto 5 piedi e 4 pollici, e già condannato per diversi reati, si recò nell’ufficio di vigilan- za, al no. 80 Centre Street, per fare il suo consueto rapporto settimanale.

Ne uscì alle 8.10 con una fretta che agli agenti parve insolita. L’ispettore Sydney Gross, informato che Galante frequen tava altri delinquenti, aveva ordinato a due suoi subordinati, Fred Berson e George Talianoff, di pedi- narlo. Questi pensarono che Galante sarebbe sceso nella sotterranea. Inve- ce lo videro salire in una berlina Ford, ad un isolato di distanza. Il motore della vettura era acceso e un uomo sedeva al volante. Gli agenti, che erano a piedi perché le loro automobili erano state ritirate un mese prima per l’impossibilità di provvedersi in quei giorni del carburante necessario, non poterono seguire la macchina di Galante e dovettero limitarsi a prender nota del numero della targa.

Quando, il giorno dopo, la polizia rivelò il numero dell’automobile abbandonata (IC-9272), Berson e Talianoff dichiararono che era lo stes- so di quello della vettura di Galante. Furono iniziate richerche e mar- tedì sera, a tarda ora, Galante veniva tratto in arresto all’incrocio delle vie Elizabeth e Spring. Rinchiuso in carcere come testimonio oculare, Ga lante negò di essere stato la sera precedente in automobile. Disse che si era recato con la sotterranea, in compagnia di una ragazza, al teatro Hollywood, al no. 1665 Broadway, dove si proiettava il film Casablanca In seguito però cadde in contraddizione e dichiarò, secondo il giornale Herald Tribune, che aveva incontrato la ragazza dopo lo spettacolo.

Inoltre non seppe, a detta della stampa, descrivere con esattezza il film, e asserì di essere rientrato nella sua abitazione, che trovasi in un quar- tiere della periferia di Brooklyn, alle 10.30 p.m., quantunque la girata della pellicola richieda 102 minuti.

Carmine Galante è stato condannato due volte: la prima, nel 1926, ad una pena da due anni e mezzo a cinque anni per tentata rapina a mano armata (con rivoltella); la seconda, nel dicembre del 1930, per avere ag- gredito a Brooklyn, insieme con altri due delinquenti, un collettore della Liebman Brewery e tirato quattro revolverate contro i poliziotti che lo arrestarono. Per questo secondo reato ebbe una condanna a dodici anni e mezzo, ai quali dovevano aggiungersi due anni e cinque mesi che gli rimanevano da scontare per il delitto precedente. Come recidivo, gli sa- rebbe stata inflitta una pena più grave se il giudice non avesse tenuto in considerazione il fatto che l’imputato, dichiarandosi colpevole di “ten tata rapina di primo grado senz’armi”, aveva fatto risparmiare alla con tea di Kings le spese e il disturbo di un processo. La confessione fu accettata, e l’avvocato difensore ringraziò il giudice e il procuratore di strettuale della loro “splendida cooperazione”.

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L’ipotesi che Galante avesse avuto rancori politici con Tresca o che aves- se mai avuto la minima idea, o si fosse mai curato menomamente, delle questioni di natura politica di cui Tresca si interessava, venne esclusa com- pletamente. I funzionari della procura distrettuale e dell’uffi cio di vigilanza dei rilasciati in libertà condizionale, ed anche gli agenti di polizia, ritennero quasi concordemente che il reato fosse stato commesso da sicari prezzolati.

Al tempo dell’aggressione del 1939, Galante lavorava nel mercato del pesce in Fulton Street. Nel 1943 era impiegato della Knickerbocker Trucking Company e ricevette per tre mesi una paga di 25 dollari la set- timana, sebbene apparentemente non facesse nulla. Quando i soci della compagnia furono citati a comparire nell’ufficio della procura di strettuale per essere interrogati, si fecero accompagnare dall’avvocato Samuel S. Di Falco. Quest’ultimo, attualmente consigliere comunale, è noto come in- timo amico di Generoso Pope, il cui giornale in lingua italiana consacrò in passato, entusiasticamente e senza interruzione, nu merose colonne alle imprese della dittatura fascista in Italia. Nelle pagine seguenti di questo opuscolo si accennerà agli attacchi lanciati da Tresca contro Pope e contro le direttive politiche seguite negli articoli di fondo del giornale.

Da quanto è stato rivelato risulta che le autorità non riuscirono ad ap- prendere nulla da Galante durante gli otto mesi della sua detenzione in carcere, sebbene gli agenti di vigilanza avessero deposto di averlo visto nella vettura dell’assassino. Il procuratore distrettuale Hogan lo descrisse come uomo “esperto in tutte le scaltrezze dei carcerati e testimonio difficile ad indurre a parlare”. Eppure in passato sono stati co stretti a “cantare” testimo- ni ben più reticenti e contro i quali la polizia non disponeva di indizi così gravi come quelli che sembra abbia raccolto contro Galante. Quest’ultimo fu rinchiuso di nuovo nel penitenziario di Sing Sing, dove rimase fino al dicembre del 1944 per scontarvi una pena inflittagli per contravvenzione alla vigilanza speciale. Nonostante l’asserzione dei due agenti, i quali aveva- no deposto di averlo visto salire nell’automobile dell’assassino, Galante fu scarcerato con ordinanza del giudice Andrew W. Ryan, della Corte Supre- ma, per inesistenza di motivi sufficienti a giustificare l’ulteriore detenzione dell’arrestato. Né Calabi, che fu testimonio oculare del delitto, né l’impiega- to della compagnia che aveva venduto la vettura a “Charles Pappas”, furono in grado di riconoscere Galante in un gruppo di detenuti che vennero loro mostrati dalla polizia. Si aggiunga a questo che la calligrafia di Galante risul- tò completamente diversa da quella della firma apposta da Charles Pappas alla domanda per la licenza di immatricolazione dell’automobile.

La vettura dell’assassino ha una rimessa

Il 10 settembre 1943 la polizia trasse in arresto Frank Nuccio, piccolo contrabbandiere di liquori abitante al no. 265 di Elizabeth Street, a meno di un isolato dal punto in cui era stato arrestato precedentemente Ga- lante. Nuccio venne detenuto, dissero le autorità, perchè era il locatario di un’autorimessa per otto vetture in cui era stato custodito, fino alla sera del delitto, l’automobile usata dall’assassino per la fuga. La rimessa fu scoperta per mezzo del mazzo di chiavi lasciato appeso alla serratura dell’accen- sione. Da un magnano, che aveva fatto una delle chiavi, la polizia riuscì ad apprendere che la serratura della rimessa di Nuccio era stata cambiata poche ore prima dell’uccisione di Tresca — presumibil mente per impedire che dopo il delitto la vettura venisse riportata al suo posto. Nuccio rimase in carcere per quasi due mesi, non avendo potuto depositare la somma di 25.000 dollari fissata dal giudice come cauzione per il rilascio in libertà provvisoria. In novembre, malgrado le proteste di Grumet, assistente del procuratore distrettuale, la cauzione fu ridotta a 5000 dollari, e Nuccio fu scarcerato per ordine del giudice George L. Donnellan. Da allora Nuccio è stato arrestato altre due volte per contrabbando di liquori ed ha prestato altre cauzioni.

Un altro degli indizi, consistente in una “informazione,” avrebbe im- plicato nell’assassinio di Tresca certo Vito Genovese, che secondo la po- lizia aveva capeggiato una banda di malviventi. Genovese scomparve nel 1937, quando Thomas E. Dewey, attualmente Governatore dello Stato di New York, si diede a combattere, con i poteri straordinari che gli erano stati conferiti, le associazioni a delinquere nella città di New York. Nell’a- gosto del 1944 i giornali annunziarono che Ernesto Rupolo (denominato

“il falco” e già condannato per reati di sangue) aveva informato le autorità della contea di Kings (Brooklyn) che l’assassinio di Tresca era stato prepa- rato da Genovese per istigazione di Mussolini e del conte Ciano, genero di quest’ultimo. Con questa denuncia egli sperava che il giudice gli avrebbe usato clemenza in un processo per omicidio, nel quale correva il rischio di essere condannato, come recidivo, ad una pena da 40 a 80 anni di car- cere. Il giudice Samuel Leibowitz, informato a sua volta dall’assistente del procuratore distrettuale che Ru polo aveva fatto “importanti rivelazioni”, rinviò la sentenza.

In seguito a queste “rivelazioni”, Genovese, che era interprete della Commissione militare alleata a Roma, fu nel giugno del 1945 tradotto a

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New York sotto l’imputazione di avere ucciso, nel 1934, un pregiudi cato, certo Ferdinando Boccia, detto “l’ombra”. Non fu che un anno dopo, che il processo venne discusso. Dietro istruzione del giudice Leibo witz, i giurati emisero prontamente un verdetto assolutorio, perché Ru polo era l’unico testimonio a carico, e secondo le leggi di New York la testimonian- za di un pregiudicato, non corroborata da altre prove, non è sufficiente a convalidare la condanna.

Nonostante l’assoluzione, Rupolo ricevette una ricompensa per “l’u tile informazione” fornita ai funzionari della contea di Kings. Gli fu concesso di ritrattare la confessione di aggressione di primo grado (con intenzione di uccidere) e di dichiararsi colpevole di aggressione di se condo grado. Per questo reato il giudice Leibowitz lo condannò ad una pena da cinque a dieci anni di carcere — poi ordinò che la sentenza non venisse eseguita.

Egli spiegò la sua decisione con il fatto che alcuni arnesi della ma- lavita, già associati a Rupolo in azioni criminose, si trovavano confinati in stabilimenti di pena — intendendo con ciò che il condannato avreb- be corso il rischio, se si fosse incontrato con loro, di subire violenze. “Il falco”, che si trovava in libertà condizionale per un altro delitto, venne rinchiuso nel carcere giudiziario di Brooklyn. Né basta. Julius Helfand, assistente del pubblico accusatore, dichiarò che avrebbe interceduto d’uf- ficio presso il Consiglio di vigilanza dei liberati condizionali, per ten tare di indurlo a fare a Rupolo ulteriori concessioni. “Non ho affatto in tenzione di gettarlo in pasto ai lupi in stabilimenti di pena”, egli disse. (Negli Sta- ti Uniti gli stabilimenti di pena sono istituzioni statali o fede rali in cui vengono rinchiusi i condannati per delitti di una certa gravità ; le carceri, generalmente cittadine o conteali, sono luoghi di detenzione o di pena per la custodia di coloro che sono in attesa di giudizio o che devono scontare pene non gravi.)

Il procuratore distrettuale Hogan non ha mai reso pubbliche le ri- sultanze dell’inchiesta, che si presume abbia fatta, sulle accuse di Rupolo contro Genovese e sul caso Tresca.

Perché l’inchiesta è proceduta con tanta lentezza?

Il caso Tresca rimane un mistero, un doppio mistero, che involge due domande: Chi ha ucciso Carlo Tresca? Perché la procura distret tuale e la polizia non hanno fatto un passo verso la soluzione dell’enigma? “Mo-

vente” e “opportunità” sono i due principali fattori che si devono stabilire nella ricerca di qualsiasi assassino. Nell’uccisione di Tresca sem bra che l’e- sistenza di un movente fortissimo sia stata definitivamente accertata. Due gruppi politici, che non hanno avuto mai il minimo scru polo ad usare l’assassinio come arma politica, avevano un ovvio interesse ad eliminare Carlo Tresca, il quale aveva per lungo tempo lanciato attacchi violentis- simi contro persone influenti che erano in diretto rap porto con i gruppi stessi. Quanto alla “opportunità”, sappiamo che la polizia trovò l’auto- mobile dell’assassino poche ore dopo il delitto, e due ufficiali addetti alla vigilanza dei rilasciati in libertà condizionale di chiararono di aver visto un pregiudicato salire in quella vettura un’ora e mezzo prima dell’uccisione.

Nonostante tutto ciò, nessuno è stato rinviato a giudizio per la morte di Tresca, e l’inchiesta sembra si sia arrestata. Sul principio la polizia agì con notevole sollecitudine, ma quando si trattò di coordinare i vari ele- menti emersi dall’istruttoria, compito che spettava all’ufficio della procura distrettuale, gli investigatori vennero apparentemente a trovarsi davanti ad un uscio chiuso. Perché? Per apatia? Per incompetenza di funzionari? O perchè influenze politiche si interposero?

Subito dopo il delitto, si sparse la voce che Galante era stato arrestato prematuramente a motivo di un conflitto sorto fra le diverse autorità.

Il 18 gennaio 1943, nell’ufficio di Valentine, capo della polizia, si negò l’esistenza di contrasti tra la polizia e la procura distrettuale. Invece nello stesso giorno il Daily Mirror pubblicava: “Alcuni alti ufficiali di polizia non avrebbero voluto che Galante fosse arrestato. Essi intende vano tener- lo sotto continua sorveglianza finché non si fosse accertato quali luoghi e quali persone frequentava. Nell’ufficio centrale della po lizia un ufficiale, che non vuole si faccia il suo nome, ha dichiarato che il mandato d’arresto fu spiccato quando qualcuno, estraneo al corpo al quale egli appartiene, fu preso dal panico. La conseguenza è che Galante, abilissimo nello sfuggire ai tranelli della polizia, si è chiuso nel più com pleto mutismo, e non v’è modo di appurare se sia coinvolto nel reato”.

Entra Pagnucco

Luigi A. Pagnucco è uno degli assistenti nella procura distrettuale di- retta da Hogan. Egli ci interessa per due ragioni: 1. Per circa due anni condusse l’inchiesta sull’uccisione di Tresca, occupandosi di ricerche nella

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comunità italiana — che è la parte più importante dell’investiga zione; 2.

In passato ebbe strette relazioni con i fascisti, dai quali ricevette onori, ed a sua volta tributò lodi sperticate al regime di Mussolini. Ecco alcuni particolari della sua vita.

Nel 1929, mentre frequentava l’ultimo anno del College della città di New York, Pagnucco scrisse una tesi sul Finanziamento dell’Italia sul mercato americano, che gli valse un premio dalla Camera di Commercio Italiana di New York, organizzazione dominata da persone favorevoli al fascismo. La tesi venne pubblicata in opuscolo ed in edizione di lusso, con un’intera pagina fregiata del ritratto dell’autore. Per il lavoro, che lo- dava entusiasticamente il regime mussoliniano, il ministro italiano delle Finanze assegnò al giovane scrittore una medaglia d’oro. Nella prefa zione Pagnucco ringrazia l’addetto commerciale all’ambasciata fascista “dell’aiu- to prezioso”, di “tutti i dati italiani disponibili” fornitigli e della “critica costruttiva”. Significativi sono i seguenti brani dell’opuscolo:

“Sotto la guida coraggiosa di Mussolini, il popolo italiano lavora con gran lena per riguadagnare il tempo perduto e cercare di ripren dere il suo posto fra le nazioni più progredite del mondo. “… (p. 5) (Il corsivo è nostro).

“A parte la teoria fascista, che è fuor di luogo discutere in uno studio di questo genere, nessuno può negare che l’attuale governo abbia guidato il popolo italiano con mano maestra, mettendolo in grado di operare mi- racoli e di guadagnarsi la benevolenza e l’ammirazione di tutto il mondo”.

… (p. 8)

“Il popolo italiano lavora oggigiorno indefessamente. Ben presto sarà in condizione di costituire il proprio capitale. Sta già accumulando ri- sparmi in ragione di un miliardo di lire all’anno, e probabilmente non è lontano il tempo in cui potrà raggiungere l’indipendenza economica. Una volta resosi indipendente dal capitale straniero, non avrà più biso gno di contrarre prestiti, ma parteciperà, insieme con gli Americani e con popoli di altri paesi, allo sviluppo delle innumerevoli risorse che il mondo offre a chi dimostra:

“TENACIA, DISCIPLINA, CORAGGIO, E LAVORO

“(Parole di Mussolini)” (p. 53)

Il 16 luglio 1936 Pagnucco ed altri tredici studenti universitari ri- cevettero il denaro rappresentante borse di studio costituite con un fondo

di 5290 dollari raccolti da Generoso Pope, ricco proprietario di giorna- li, che diede una contribuzione personale di mille dollari. (Molto tempo prima, ed anche dopo la cerimonia, Pope fu da Tresca attaccato violen- temente, in articoli e in discorsi, per l’atteggiamento favorevole al fa scismo assunto dai suoi giornali.)

Un discorso di Pagnucco

La cerimonia della consegna del denaro agli studenti si svolse nel- l’ufficio di Pope, nel Rockefeller Center. A nome degli studenti, Pagnucco pronunziò un discorso di ringraziamento, che il giorno dopo II Progresso, di proprietà di Generoso Pope, riportò in questi termini:

“Dopo avere rivolto parole di schietta riconoscenza a Generoso Pope e a tutti i suoi amici che hanno contribuito al fondo Borse di Studio, [Pa- gnucco] ha assicurato che egli e i suoi colleghi sentono tutto il peso della fiducia che in essi è stata riposta e sapranno rendersene degni.

“E’ venuta, egli dice, anche per gli Italiani d’America l’ora d’avere un posto al sole, come ha detto il Duce vittorioso della Nuova Italia, ed io mi auguro che i beneficati di oggi possano domani compensare il bene che ricevono, lavorando efficacemente e con successo alla crescente ele vazione del prestigio italiano in America”. (Il corsivo è nostro).

Pagnucco è nato in questo paese, nello Stato del Minnesota. Adesso ha circa 41 anni. Quando era ancora ragazzo, si recò con la sua famiglia in Italia e frequentò il Regio Istituto Tecnico di Novara, dove ottenne la licenza nel luglio del 1923, alcuni mesi dopo che i fascisti si furono impadroniti del potere. In seguito ritornò negli Stati Uniti e si stabilì a New York. Essendo versato in lingue straniere, divenne, nel 1927, inter- prete nelle Corti di Giustizia. Nel gennaio del 1938, Thomas E. Dewey (attualmente Governatore dello Stato di New York ed allora procuratore distrettuale) lo nominò suo assistente. In quell’occasione il quotidiano Il Progresso Italo-Americano scrisse: “Suo padre, il professore Flemingo Pa- gnucco, attualmente insegna letteratura e lingua inglese al Regio Isti tuto Tecnico di Novara”.

Il 25 novembre 1939 Pagnucco fu uno degli ospiti d’onore in una festa di ballo data dalla Famee Furlane, “società di fratellanza” con sede al no. 243 East 34.a strada, che aveva aperto una delle ventitre scuole di “lingua italiana” dipendenti dal Commendatore Gaetano Vecchiotti,

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Regio Console Generale Fascista. Questo funzionario, che in seguito ab- bandonò l’America sotto il peso di irregolarità finanziarie, aveva con cesso alla festa il suo “alto patronato”. In uno splendido programma-ricordo fi- gurava come ospite d’onore numero uno Generoso Pope, grande ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia. Ospite d’onore numero due era “l’on.

Luigi Pagnucco”, il cui ritratto occupava una intera pagina con la scritta:

“il nostro simpatico avvocato”. Tre pagine del program ma erano dedicate ad una storia della società, scritta dallo stesso Pa gnucco, nella quale uno dei soci era descritto come un “eroico combat tente” nella guerra etiopica, la guerra fascista di aggressione contro una nazione più debole. Altri ospiti d’onore erano il conte Facchetti Guiglia e il capitano Vincenzo Rossini, ambedue notori propagandisti del fa scismo.

Come si rileva dal Progresso, nel 1941 Pagnucco, Samuel S. Di Falco, ed altri assistettero dal palco degli invitati, nel Columbus Circle, alla cele- brazione del Columbus Day promossa da Generoso Pope. Nel 1943 e nel 1946, in festeggiamenti simili organizzati parimenti da Pope, Pa gnucco e Di Falco furono ospiti d’onore. Si rammenterà che Samuel Di Falco accompagnò alla procura distrettuale, per assisterli come avvo cato, i soci della ditta di cui era stato impiegato Carmine Galante, il primo su cui caddero i sospetti della polizia.

Due vite completamente diverse

Generoso Pope è noto nella comunità italiana di New York come una delle persone più influenti.

Egli e Carlo Tresca arrivarono in America nello stesso anno, nel 1904.

La loro attività si svolse però in campi completamente diversi.

Pope ha fatto fortuna nel commercio della sabbia e della pietra da co struzione e con due quotidiani: Il Corriere d’America, che egli cessò di pubblicare nel 1942, e Il Progresso Italo-Americano, da lui acquistato nel 1927 e che si pubblica tuttora a New York. Il Progresso è il più im portante giornale italiano negli Stati Uniti.

Per molti anni i giornali di Pope appoggiarono il regime di Musso lini ed esaltarono continuamente le imprese fasciste. Nel 1936, in occa sione della così detta marcia su Roma, Pope inviò un fervido saluto al Grido della Stirpe, giornale di New York che a caratteri vistosi si pro clamava “organo di propa- ganda fascista”. Il saluto, riprodotto nella prima pagina, era così concepito:

“Il fattivo e fecondo lavoro compiuto dal Grido della Stirpe e dal suo direttore Domenico Trombetta (1) fra le comunità d’America merita plau- so e riconoscenza. … Oggi, XXVIII ottobre, festa italiana, io plaudo a que- sto giornale che esalta le glorie della rivoluzione fascista”. (Il corsivo nostro).

Nel 1937 Pope venne fotografato davanti al monumento a Vittorio Emanuele a Roma, mentre faceva il saluto fascista insieme con due ge- rarchi del Duce, il conte Ignazio Thaon de Revel, già capo della Lega Fascista del Nord America, e Piero Parini, direttore dei Fasci Italiani all’E- stero.

Tresca attaccò Pope ripetutamente in articoli e in discorsi pubblici, denunciandolo come il principale propagandista di Mussolini negli Stati Uniti e indicandolo, dopo il settembre del 1941, come “ex fascista” le cui vere credenze politiche non erano cambiate malgrado le sue alte espres- sioni di americanismo e di esaltazione della democrazia. Nel Mar tello, che allora si pubblicava in grande formato, Tresca dedicò, il 28 ottobre 1934, la maggior parte della prima pagina ad una denuncia, in italiano e in inglese, del proprietario del Progresso. Pubblicò anche una lettera aperta ai direttori di tutti i quotidiani di New York e di pa recchi altri periodici, sotto il titolo: Generoso Pope tenta di applicare la censura agli antifascisti con il terrorismo. Accennò ad un’aggressione che sarebbe stata commessa con- tro uno dei redattori di Pope per l’at tività da lui spiegata nel sindacato dei giornalisti; al tentativo, da parte di gente di malavita, di ridurre al silenzio con minacce il direttore di Stampa Libera, quotidiano antifascista di New York che aveva criticato Pope ; all’intimazione, fatta da figuri dello stesso calibro, di sopprimere La Tribuna, parimenti quotidiana; e alle percosse date al direttore di un settimanale, che sarebbe stato costretto ad “accet- tare, contrariamente ai consigli del suo avvocato, le condizioni impostegli da Pope”.

Riguardo alla Stampa Libera, Tresca aggiungeva nella sua lettera aper- ta: “Oggigiorno nella città di New York, il direttore di un giornale è in continuo pericolo di essere aggredito, e forse ucciso, (corsivo nostro) da mal- viventi che disapprovano, o agiscono per conto, di persone che disappro- vano, le sue idee politiche! ... Si tenta di introdurre nella stampa delle comunità italiane degli Stati Uniti i sistemi che prevalgono oggi nell’Italia di Mussolini!”

Dalle più pazienti ricerche non è risultato che Pope abbia mai ri sposto 1) [Nato a Pettorano sul Gizio]

(18)

in alcun modo alle accuse di Tresca.

Dal 1934 al giorno della sua morte, Tresca ebbe frequentemente oc- casione di criticare, nel suo giornale e in discorsi pubblici, il direttore milionario, che ebbe per lungo tempo stretti rapporti con funzionari, uo- mini d’affari e professionisti entusiasti della politica di Mussolini, e che si adoperò con solerzia per raccogliere un fondo di 750 mila dollari, come contributo alle spese della guerra nella quale i soldati di Mussolini faceva- no strage degli Etiopi costretti a difendersi con armi primitive.

Il 13 luglio 1936, in un grande comizio fascista tenuto al Madison Square Garden per celebrare la vittoria dell’Italia, Pope parlò di Mus solini come del “più grande uomo del mondo”. In seguito egli venne ricevuto in udienza privata dal Duce a Roma e, dietro proposta di Mus solini, fu insignito dal conte Ciano della commenda dei Santi Maurizio e Lazza- ro. Nel 1941 la Società Mazzini sollecitò il Dipartimento di Giusti zia ad aprire un’inchiesta sulla partecipazione di Pope alla raccolta di fondi per i fascisti.

Come si diventa ex fascista

Nella primavera del 1941 Pope si atteggiava a paladino della de- mocrazia. In quel tempo, poiché la situazione internazionale andava ag- gravandosi, fu da Fiorello H. La Guardia, allora sindaco di New York, nominato membro del comitato che doveva promuovere dimostrazioni patriottiche per il “I Am an American Day”.

Tresca riprese allora i suoi attacchi contro Pope. Nel Martello egli as- serì che prima che quest’ultimo venisse chiamato a far parte del co mitato, era stata commessa una falsità in atto ufficiale per lavarlo di ogni peccato.

Nel giugno dell’anno precedente, il capo della polizia Valentine aveva in- viato ai diversi comandi un rapporto confidenziale sulle attività fasciste nella città di New York. Il Times affermò che il rapporto conteneva “nomi di pubblicazioni… che appoggiano il mo vimento fascista e tentano di provocare conflitti di razza”.

“E’ la verità, ma non è tutta la verità”, commentò Tresca in un articolo in inglese nella prima pagina del Martello del 14 maggio 1941. “La verità è che quel rapporto fu consegnato, prima che al commissario Valentine, al sindaco La Guardia… che vi introdusse cambiamenti. La Guardia si dette cura di cancellare tutto ciò che si riferiva a Gene roso Pope e ai suoi gior-

nali. … Pope era descritto come fascista militante e i suoi giornali erano definiti come gli organi più importanti di pro paganda fascista negli Stati Uniti. So di almeno cinque riferimenti a Pope che sono stati soppressi”.

Nell’estate del 1941 le critiche, anche da parte di altri, divennero così stringenti, che Pope il 12 settembre pubblicò un articolo di fondo in cui dichiarava di essere “contrario a qualsiasi governo avverso al go verno degli Stati Uniti” e di essersi schierato dalla parte di questo paese “fin dallo scoppio della guerra europea e dal momento in cui l’Italia e gli Stati Uniti vennero a trovarsi definitivamente in campi opposti”. Carlo Tresca fu na- turalmente tutt’altro che convinto della sincerità di questa conversione.

La parte rappresentata da Pope sulla scena internazionale, le sue rela- zioni con uomini politici di New York e di Washington e gli effetti che la propaganda con i suoi giornali aveva tra gli italo-americani, furono di- scussi a lungo da Tresca e da altri in una riunione tenuta dalla Mazzini di New York il 30 dicembre 1942. In quell’occasione si esami narono i mezzi più indicati per combattere l’influenza esercitata dai gior nali e dal loro proprietario. Era questa precisamente una parte del lavoro che avrebbe dovuto svolgere il nuovo comitato d’azione antifascista, che fu nominato quella sera e di cui Tresca venne chiamato ad assumere la presidenza. Tre- sca si intrattenne particolarmente sul pericolo che in Washington potesse- ro utilizzarsi i seguaci di Pope per giustificare, in avvenire, un nuovo affare Darlan, ed esortò i soci della Mazzini a “sventare le trame di certi gruppi politici di Washington e di quegli elementi che erano divenuti antifascisti da poco tempo”.

L’incidente del Manhattan Club

Poco dopo l’uccisione di Tresca, alcuni amici della vittima richia- marono l’attenzione della procura distrettuale su un incidente in cui essi vedevano una possibile causale del delitto. Il 10 settembre 1942 si ten- ne nel Manhattan Club, per iniziativa dell’importatore Paolino Gerli, un banchetto in cui si dovevano prendere accordi per promuovere fra gli Italo-Americani la vendita dei titoli del prestito di guerra.

Invitato insieme con altri antifascisti, Tresca domandò ad un mem bro del comitato se Generoso Pope sarebbe intervenuto. Avuta assicura zione negativa, decise di parteciparvi. Arrivato nella sala del banchetto, fu preso da collera quando vide che vi si trovava Pope. I suoi amici lo indussero

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