86/2015
Repubblica Italiana In Nome del Popolo Italiano
La Sezione Disciplinare
del Consiglio Superiore della Magistratura
Composta dai Signori:
Avv. Giovanni LEGNINI - Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura
Presidente
Avv. Antonio LEONE - Componente eletto dal Parlamento Dott.ssa Maria Rosaria SAN GIORGIO - Magistrato di legittimità
Dott. Lorenzo PONTECORVO - Magistrato di merito
Relatore
Dott. Nicola CLIVIO - Magistrato di merito Dott. Luca PALAMARA - Magistrato di merito
Componenti
con l’intervento del Sostituto Procuratore Generale dott. Ignazio Patrone, delegato dal Procuratore Generale presso la Corte Suprema di Cassazione e con l’assistenza del magistrato addetto alla Segreteria della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, ha pronunciato la seguente
S e n t e n z a
nel procedimento disciplinare n. 79/2014 R.G. nei confronti della
NOME 1 giudice presso il Tribunale di UFF. 1,
(difesa dal dott.NOME 2)
i n c o l p a t a
dell’illecito disciplinare di cui agli artt. 1 e 2, comma 1, lett. q) del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, perché, nella sua qualità di magistrato in servizio presso il Tribunale di UFF. 2, mancando ai propri dove ri di diligenza e laboriosità, ritardava in modo reiterato, grave ed ingiustificato, il deposito di numerosi provvedimenti giurisdizionali; in particolare, depositava con ritardo superiore al triplo del termine previsto dalla legge n. 58 sentenze penali dibattimentali, come risultanti dall’allegata tabella, delle quali n. 7 con ritardo prossimo all’anno e n. 40 con ritardo superiore all’anno, il tutto come da elenco allegato.
Con tale comportamento la dott.ssa NOME 1 - già condannata dalla sezione disciplinare del C.S.M. in data 11 ottobre 2012 per analogo illecito disciplinare-, nell’esercizio delle funzioni attribuite al magistrato, ha gravemente violato i doveri di diligenza e di laboriosità gravanti sui magistrati, incorrendo in ritardi reiterati, gravi ed ingiustificati nel compimento di atti, che si sono risolti, in numerosi casi in ipotesi di denegata giustizia e, dunque, in una lesione del diritto fondamentale dei cittadini ad ottenere la definizione del processo in tempi ragionevoli, secondo quanto previsto dall’art. 111, comma 2, della Cost. e 6, par. 1, CEDU, compromettendo la credibilità sua personale ed il prestigio della istituzione giudiziaria.
Notizia circostanziata dei fatti acquisita nel corso dell’ispezione ordinaria, svolta presso il Tribunale di UFF. 2, dal 30.04.2013 al 17.05.2013.
Conclusioni delle parti
Il Procuratore Generale conclude chiedendo la condanna alla sanzione della censura.
La Difesa conclude chiedendo l’assoluzione per esclusione degli addebiti ed in subordine l’applicazione dell’art. 3 bis del D.Lgs. 109/2006 per scarsa rilevanza del fatto.
Svolgimento del procedimento
La dott.ssa NOME 1, nella sua qualità di giudice penale presso il tribunale di UFF. 2, è incolpata dell'illecito disciplinare di cui all'art. 1 comma 1 e 2 comma 1 lett. q) del decreto legislativo 23 febbraio 2006 n. 109 per ritardi maturati nel deposito di sentenze.
Più precisamente, come evidenziato nella tabella richiamata, si contesta alla incolpata - già condannata per analogo illecito dalla Sezione Disciplinare con sentenza in data 11 ottobre 2012 - di aver depositato in ritardo, a decorrere dal 10 maggio 2010, n. 58 sentenze penali dibattimentali di cui 7 con ritardo prossimo all'anno e 40 con ritardo superiore all'anno.
Con riguardo a tali contestazioni la dott.ssa NOME 1 ha rilevato che i fatti di cui alla presente incolpazione sarebbero ricompresi in un arco temporale che va dal 10 maggio 2010 (data della lettura del dispositivo della sentenza penale 10000191 di cui al numero 1 dell'elenco) al 27 settembre 2012 (data del deposito della sentenza 11000745 di cui al numero 58 dell'elenco).
Ha pertanto concluso per la preclusione della attuale contestazione in ragione del precedente giudicato.
Nel merito ha ritenuto che i ritardi fossero giustificati. Ha in particolare sostenuto che la loro causa fosse essenzialmente da ricondurre al numero eccessivo di udienze, a cui aveva dovuto improvvisamente far fronte per effetto di una riduzione dell'organico dei magistrati in servizio presso il tribunale di UFF. 2, rilevando al riguardo che le udienze tenute negli anni 2007, 2008 e 2009 erano state rispettivamente 178,183 e 175.
Inoltre, con specifico riferimento al periodo 2010-2012, ha ritenuto che ritardi fossero l'effetto “indotto a cascata" dei ritardi precedenti per i quali era già intervenuta la condanna disciplinare.
Ha al riguardo anche evidenziato che, dopo aver preso servizio presso il tribunale di UFF. 1 a seguito di domanda di trasferimento, era stata nuovamente applicata (nel febbraio dell'anno 2012) presso il tribunale di UFF. 2 per la definizione di alcuni procedimenti particolarmente complessi. In tale periodo, poi, aveva dovuto tenere 4 udienze settimanali delle quali una presso il tribunale di UFF. 2 e 3 presso il Tribunale e le sezioni dis taccate del distretto di LUOGO 1, segnatamente il lunedì a UFF. 3, il martedì a UFF. 1, il giovedì a UFF. 4 ed il venerdì a UFF. 2 per poi rientrare a UFF. 1 il sabato mattina.
Ha pertanto sostenuto che il ritardo nel deposito della motivazione delle sentenze prese in decisione presso il tribunale di UFF. 2 era ascrivibile alla oggettiva impossibilità di scrivere i provvedimenti, ciò in ragione del carico di lavoro presso il tribunale di UFF. 1 dei lunghi tempi impiegati in udienza, dello svolgimento delle funzioni in due sezioni distaccate del tribunale di UFF. 1 e dell'applicazione per sei mesi presso il Tribunale UFF. 2.
Con riguardo infine al lavoro espletato nell'anno 2012 ha evidenziato di aver redatto n. 383 sentenze presso il tribunale di UFF. 1 che sarebbero state tutte depositate nei termini.
Motivi della decisione
Valutando preliminarmente l'eccezione di giudicato è da ricordare che la Suprema Corte, con la recente sentenza n. 20450/2014, ha osservato che costituisce illecito disciplinare ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. q) il ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni, che sia
"reiterato", "grave" ed "ingiustificato" e che il fatto in esame si caratterizza quale illecito necessariamente integrato da una concomitante pluralità di condotte ciascuna della quali, a sua volta, qualificata dalla natura omissiva e dal carattere della permanenza.
Sul punto, con specifico riferimento ai reati permanenti a condotta omissiva, ha ricordato che la giurisprudenza penale è saldamente approdata al convincimento che - per il carattere normativamente e, soprattutto, naturalisticamente unitario della condotta che integra il reato permanente sino alla sua cessazione, la relativa contestazione contiene già in sè immanente l'elemento del perdurare della condotta antigiuridica. Ne ha inferito che dovendosi la "permanenza", intesa come dato della realtà, ritenersi compresa nell'imputazione l'interessato è chiamato a difendersi nel processo in relazione ad un fatto la cui essenziale connotazione è data dalla sua
persistenza nel tempo, senza alcuna necessità che il protrarsi della condotta criminosa formi oggetto di contestazioni suppletive da parte del titolare dell'azione penale; con l'effetto che, sempre che la permanenza non cessi in precedenza, detta contestazione riveste potenzialmente "vis expansiva" fino alla pronuncia della sentenza (e ciò non perchè in quel momento cessi o si interrompa naturalisticamente la condotta, bensì solo perchè le regole del processo non ammettono in alcun caso che possa formare oggetto di accertamento giudiziale e di sanzione una condotta successiva alla sentenza).
Se ne è ulteriormente inferito che, ancorchè recante un riferimento temporale di contestualizzazione del fatto, la contestazione, ove non contenga espressa constatazione della cessazione della condotta, non può che riferirsi ad un comportamento in essere al momento della formulazione dell'addebito e temporalmente caratterizzato solo quanto alla data della relativa constatazione, con conseguente estensione dell'accertamento giurisdizionale fino alla pronuncia della sentenza di primo grado.
Ha pertanto concluso che in tema di illeciti penali permanenti a carattere omissivo, la contestazione riveste, in funzione dell'indissolubile ontologica unitarietà della condotta che li integra, una valenza dinamica che ne comporta la potenziale espandibilità (con i connessi riflessi in tema di giudicato) oltre la data di relativa formulazione e sino a quella della pronunzia di primo grado.
Con riguardo invece alle condotte omissive, estranee all'incolpazione precedentemente delibata ma incidenti sul medesimo arco temporale e sul medesimo contesto funzionale la Suprema Corte ha ricordato che, con la decisione n. 2927/12, le Sezioni unite hanno già avuto modo di affermare il principio, secondo il quale, una volta che si è formato giudicato sulla condotta di reiterazione del ritardo contestata, la successiva emersione di ulteriori ritardi, antecedenti l'incolpazione e riferibili al medesimo arco di tempo da essa contemplato, non determina la ricorrenza di condotta distinta, passibile di ulteriore azione disciplinare. A tale conclusione si è giunti osservando che l'illecito presenta configurazione indissolubilmente unitaria (in rapporto alla sua "dimensione orizzontale") e che la circostanza della successiva emersione di ulteriori ritardi, atteso il conseguente ineludibile proiettarsi del giudicato sull'intero periodo temporale considerato in contestazione, evidenzia soltanto che la condotta disciplinarmente illecita oggetto di giudicato, era, sul piano fattuale, più grave di quella formalmente accertata, comprendendo pure episodi, tempisticamente coincidenti, non considerati dalla pronunzia disciplinare con la conseguenza che - in ragione del generale principio del "ne bis in idem" - alla rivalutazione di una condotta già oggetto di giudicato disciplinare, finalizzata alla giudiziale definizione della sua reale consistenza ed al suo più grave sanzionamento, osta il giudicato precedentemente formatosi.
Ha tuttavia sottolineato come la configurazione unitaria dell'illecito in rassegna nella sua "dimensione orizzontale" - essendo (a differenza di quella attinente allo sviluppo "verticale" di ciascuna sua singola componente) solo normativamente sancita e non ontologicamente tale - si rivela, di per se stessa, del tutto inidonea a determinare, in assenza di specifica esplicita contestazione, l'automatica ricomprensione nell'incolpazione dei ritardi originariamente pretermessi.
Nel ritenere quindi che i ritardi riferibili al medesimo arco temporale ed al medesimo contesto funzionale dell'incolpazione delibata in precedente procedimento
disciplinare, ma, in questa, non considerati, sono preclusi dal precedente giudicato soltanto nei limiti delle porzioni ricadenti entro la data di riferimento temporale dell'originaria incolpazione - mentre ne prescindono con riguardo ai segmenti ulteriori - la Suprema Corte ha concluso affermando i seguenti principi di diritto:
1) "con riferimento all'illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, e art. 2, comma 1, lett. q, relativo a reiterati, gravi ed ingiustificati ritardi del magistrato nel deposito di provvedimenti giurisdizionali, è preclusa - in ragione del criterio del
"ne bis in idem", derivante dal generale principio del giudicato - una nuova incolpazione incidente: a) su frazioni ulteriori di ritardi contemplati in una incolpazione già delibata nell'ambito di un precedente giudizio disciplinare e cessati (in conseguenza del compimento dell'attività dovuta) prima della pronunzia, passata in giudicato, adottata nel pregresso giudizio; b) sulle porzioni di dette ulteriori frazioni di ritardi intercorrenti tra la data di riferimento temporale della prima già decisa incolpazione e quella della correlativa decisione";
2) "nel caso in cui il magistrato sia stato ritenuto responsabile, con sentenza passata in giudicato, dell'illecito disciplinare previsto dal D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, lett. q, per aver posto in essere, in un determinato arco di tempo, condotta di reiterato, grave ed ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni, è preclusa, in virtù del generale principio del "ne bis in idem", la possibilità dell'esercizio dell'azione disciplinare con riferimento ad ulteriori ritardi ricadenti nel medesimo arco di tempo; la preclusione non si estende, tuttavia, alla porzioni di detti ulteriori ritardi successive alla data di riferimento temporale dell'incolpazione, ancorchè si tratti di ritardi cessati anteriormente alla pronunzia, passata in giudicato, sull'incolpazione medesima".
Avuto pertanto riguardo al precedente accertamento disciplinare definito nei confronti della dott.ssa NOME 1 è da evidenziare che le contestazioni di cui al procedimento n. 326/2009 - definito con sentenza n. 141/2012 emessa in data 11 ottobre 2012 - si arrestano alla data del 29.12.2010.
In quella sede alla dott.ssa NOME 1 era stato contestato l'illecito disciplinare di cui agli artt. 1 e 2, comma 1, lett. a) e q) del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, poiché, nella qualità di magistrato in servizio presso il Tribunale di UFF. 2, nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni, nel periodo gennaio 2007/ 29 dicembre 2010, aveva ritardato in modo reiterato, grave ed ingiustificato il deposito di 468 sentenze penali (come da elenco allegato) con ritardi superiori in 4 casi a 800 giorni, in 16 casi a 700 giorni, in 38 casi a 600 giorni, in 81 casi a 500 giorni, in 75 casi a 400 giorni, in 64 casi a 300 giorni e in 87 casi a 200 giorni; gli altri ritardi erano oscillanti tra un minimo di 7 a un massimo di 199 giorni.
Era stato al riguardo precisato che, alla data del 30.11.2010, l'incolpata non aveva provveduto al deposito di n. 68 sentenze, nonostante fosse decorso il triplo del termine stabilito dalla legge, come da comunicazione del Tribunale di UFF. 2.
Sono a questo punto da circoscrivere i singoli ritardi valutabili in questa sede che riguardano n. 58 sentenze dibattimentali depositate in ritardo, a decorrere dal 10 maggio 2010 di cui 7 con ritardo prossimo all'anno e 40 con ritardo superiore all'anno. Di esse solo la sentenza 10000191 depositata in data 21 aprile 2011 risulta essere stato oggetto del precedente procedimento disciplinare definito con sentenza emessa in data 11 ottobre 2012. Nessun ulteriore ritardo nel deposito delle sentenze oggetto del presente procedimento è stato valutato nel precedente procedimento
dovendo al riguardo essere evidenziato che il prospetto allegato al sentenza n.
141/2012 emessa in data 11 ottobre 2012 riguarda sentenze il cui dispositivo era stato emesso al più tardi fino al 20 settembre 2010 (sentenza 10000342 emessa all'esito del procedimento 07500162). Il prospetto allegato alla presente contestazione riguarda invece sentenze che (ad esclusione della sentenza 10000191 depositata in data 21 aprile 2011), sono state introitate dal 20 ottobre 2010 (data di lettura del dispositivo) al 27 settembre 2012.
Ne deriva la preclusione della attuale contestazione riguardo alla sola sentenza 10000191 depositata in data 21 aprile 2011 oggetto della precedente contestazione definita con sentenza emessa in data 11 ottobre 2012 dovendo nella ipotesi in esame essere ribadito che, è preclusa - in ragione del criterio del "ne bis in idem", derivante dalla generale principio del giudicato – una nuova incolpazione incidente: a) su frazioni ulteriori di ritardi contemplati in incolpazione già delibata nell'ambito del precedente giudizio disciplinare e cessati (in conseguenza del compimento dell'attività dovuta) prima della pronunzia, passata in giudicato, adottata nel pregresso giudizio; b) sulle porzioni di dette ulteriori frazioni di ritardi intercorrenti tra la data di riferimento temporale della prima già decisa incolpazione e quella della correlativa decisione.
Le sentenze 10000421 (lettura del dispositivo in data 20 ottobre 2010 deposito della sentenza in data 3 maggio 2011), 10000472 (lettura del dispositivo in data 8 novembre 2010 deposito della motivazione in data 7 giugno 2011), 10000508 (lettura del dispositivo in data 15 novembre 2010 e deposito della motivazione in data 7 giugno 2011), 10000593 (lettura del dispositivo in data 1 dicembre 2010 e deposito della motivazione in data 13 giugno 2011), 10000652 (lettura del dispositivo in data 13 dicembre 2010 e deposito della motivazione in data 23 settembre 20011) e 1000066 (lettura del dispositivo in data 13 dicembre 2010 e deposito della motivazione in data 15 novembre 2011), oltre a non essere oggetto del precedente procedimento definito con sentenza emessa in data 11 ottobre 2012, sono state introitate in epoca antecedente a quella oggetto delle precedenti contestazioni che si arrestano alla data del 29 dicembre 2010.
Per esse deve pertanto essere valutato il periodo di ritardo che inizia dal 29 dicembre 2010 (dato di riferimento temporale dell'incolpazione di cui al precedente procedimento disciplinare) e che termina alle singole date di deposito.
E’ infatti da ribadire con riguardo ai ritardi in esame il principio che impone di ritenere che i ritardi - riferibili al medesimo arco temporale ed al medesimo contesto funzionale dell'incolpazione delibata in precedente procedimento disciplinare, ma, in questa, non considerati - sono preclusi dal precedente giudicato soltanto nei limiti delle porzioni ricadenti entro la data di riferimento temporale dell'originaria incolpazione, mentre ne prescindono con riguardo ai segmenti ulteriori.
Le ulteriori contestazioni elencate dal numero 8 al numero 58 della incolpazione sono oggetto di piena valutazione non sussistendo preclusioni in ragione del criterio del "ne bis in idem" trattandosi di ritardi relativi a sentenze non oggetto della precedente contestazione ed emesse in epoca successiva alla dato di riferimento temporale di cui al precedente procedimento disciplinare che si arresta alla data del 29 dicembre 2010.
Così precisate le originarie contestazioni occorre a questo punto ricordare i principi in tema di ritardi nel deposito dei provvedimenti come affermati dalla costante giurisprudenza disciplinare e di legittimità.
Come questa Sezione ha già avuto modo di chiarire la fattispecie prevista dall'art. 2.1, lett. q), del d.lgs. n. 109/06 richiede, quale presupposto per la punibilità dei ritardi, la necessaria concorrenza della reiterazione, della gravità e della non giustificazione degli stessi (Cass., Sez. un., n. 5761 del 2012).
E’ necessario pertanto che il ritardo sia anzitutto reiterato. Si tratta, infatti, di un illecito abituale per la cui sussistenza è richiesta, quale elemento costitutivo, la reiterazione di fatti, formati da coppie di azioni e di eventi omogenei, ciascuno dei quali, isolatamente considerato, non costituisce illecito ovvero costituisce un illecito diverso da quello risultante dalla sua reiterazione. Non è necessaria, pertanto, una sistematicità del ritardo, ma occorre nondimeno che si tratti di reiterazioni significative, tali da far apparire appunto abituale la violazione dei termini previsti dalla legge.
Ai fini di tale accertamento, è determinante il rapporto tra il periodo considerato e il numero di condotte reiterate, perché la frequenza dei ritardi è certamente il principale indice di abitualità.
La giurisprudenza di legittimità ha poi escluso che l'abitualità possa essere intesa come "qualità personale dell'incolpato che si rapporta alla palese negligenza e scarsa laboriosità del magistrato" (Cass., Sez. un., n. 18696/11). É, infatti, abituale l'illecito che richiede la reiterazione intervallata di condotte omogenee, essendo caratterizzato dall'implicazione della reiterazione nella stessa descrizione della condotta. E così, con riferimento al delitto di cui all'art. 612 bis c.p., che richiede appunto la reiterazione delle condotte, la giurisprudenza penale ha ribadito che si tratta di "un reato abituale, poiché è caratterizzato da una serie di condotte (anche solo due, secondo quanto deciso dalla sez. V con sentenza del 21.1.2010, Rv. 245881) le quali, isolatamente considerate, potrebbero anche non costituire delitto, ma che rinvengono la ratio dell'antigiuridicità penale nella loro reiterazione e nella persistenza dell'elemento intenzionale" (Cass., sez. I, 8 febbraio 2011, m. 249617). E' vero dunque che l'abitualità è connotato oggettivo della fattispecie in esame e che, come precisa Cass., Sez. un., n. 18696/11, anche due condotte sono sufficienti a integrarne gli estremi. Tuttavia, va pure precisato che, secondo la giurisprudenza penale, l'occasionalità di condotte episodiche non è idonea a integrare l'illecito abituale (Cass., sez. VI, 2 dicembre 2010, Dibra, m. 249036, Cass., sez. VI, 27 maggio 2003, Caruso, m. 226794).
Ne consegue che la rilevanza della reiterazione va valutata non solo con riferimento al numero delle condotte, ma considerando anche l'arco temporale nel quale esse si inscrivono. Non sarebbe ragionevole, in altri termini, equiparare pochi ritardi consumati a distanza di un quinquennio a un medesimo numero di ritardi succedutisi, però, nel giro di pochi mesi, essendo evidente in quest'ultimo caso, a differenza del primo, la lesione del bene giuridico tutelato.
Il concetto di gravità va riferito, invece, all'entità in termini temporali dei ritardi reiterati, oltre che eventualmente all'importanza dei procedimenti interessati.
Deve, poi, aggiungersi che per l'integrazione dell'illecito in esame, diversamente da quanto avveniva nella vigenza dell'art. 18 del r.d.lgs. n. 511/1946, non rileva la scarsa laboriosità o la negligenza del magistrato, ma il dato obiettivo
della lesione del diritto delle parti alla durata ragionevole del processo, di cui agli art.
111.2 Cost. e 6, par. 1, CEDU, perché tale lesione evidenzia, in concreto, il superamento della soglia di giustificazione della condotta ed è idonea, di per sé, a incidere sul prestigio della funzione giurisdizionale. In altri termini, il superamento dei limiti di ragionevole durata del processo, imposti dalle citate disposizioni, connota di una specifica antigiuridicità aggiuntiva il ritardo, tanto da farne presumere la non giustificabilità (Cass., sez. un., n. 1768/13; n. 528/12; n. 18697 e 28802/11).
E su tale via è stato affermato in giurisprudenza che, anche in ragione della necessità di assicurare la prevedibilità della sanzione ed un trattamento uniforme di situazioni analoghe, il ritardo superiore a un anno nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali rende ingiustificabile la condotta se non siano allegate e accertate dal giudice disciplinare "circostanze oggettive e assolutamente eccezionali", che giustifichino l'inottemperanza del precetto sui termini di deposito. Invero, "il superamento del termine annuale - desunto dalle indicazioni della Corte europea dei diritti dell'uomo in tema di durata del giudizio di legittimità - fa presumere il carattere ingiustificato del ritardo, non potendo ritenersi necessario per la stesura e il connesso deposito di qualunque provvedimento un tempo superiore a quello occorrente per la celebrazione del processo di cassazione, che comprende, con gli adempimenti procedurali e lo studio del caso, anche l'ascolto della difesa" (Cass., Sez. un., n.
8360/13; n. 18697/11).
E in realtà, secondo la giurisprudenza europea in tema di ragionevole durata del processo, solo situazioni eccezionali e transitorie possono esimere lo Stato da responsabilità per la violazione del dovere di organizzare con efficienza l'amministrazione della giustizia (Corte eur., 31 luglio 2001, Zannouti c. Francia, § 54). Sicché deve analogamente ritenersi, conformemente alla richiamata giurisprudenza di legittimità, che, anche ai fini della responsabilità disciplinare del magistrato, il ritardo eccedente i limiti della durata ragionevole del processo debba presumersi ingiustificabile, se non ricorrano situazioni eccezionali e transitorie.
Quanto, poi, al terzo requisito, la giurisprudenza ha chiarito che non si tratta di un'ipotesi di antigiuridicità speciale, ma d'inesigibilità indicativa di una determinata situazione fattuale per la quale il soggetto, per cause indipendenti dalla propria volontà, si trovi nell'impossibilità, oggettiva o soggettiva, di ottemperare al precetto normativo.
In tale quadro la giustificabilità dei ritardi ha natura di causa di giustificazione non codificata rilevante sul piano oggettivo (perciò assimilabile, talvolta, alla forza maggiore, come nel caso dello stato di salute o del carico di lavoro obiettivamente considerato), ovvero su quello soggettivo, quale mancanza di riprovevolezza nella condotta (conseguente ad esempio a situazioni peculiari di vita personale o familiare), sempre caratterizzata da una indiscutibile elasticità applicativa attesa l'impossibilità, sul piano fattuale come su quello giuridico, di elencare tassativamente e analiticamente tutte le situazioni astrattamente idonee a giustificare la inosservanza della norma precettiva (in tal senso per tutte Cass. Sez. un. n. 528/12) .
La giurisprudenza ha altresì aggiunto che la non giustificabilità del ritardo non costituisce un ulteriore elemento della fattispecie ma fatto a essa esterno, che, come già detto, gravita nell'area delle situazioni riconducibili alle condizioni di inesigibilità ed è funzionale alla delimitazione degli obblighi giuridicamente determinati sul piano
normativo, con lo scopo di temperarne il rigore applicativo allorché, per circostanze specificamente accertate, la sanzione apparirebbe irrogata non iure.
Resta tuttavia fermo che, quando i ritardi sono intollerabili - il che accade, come già detto, nel caso di superamento del termine di un anno - la possibilità che essi possano essere giustificati si restringe grandemente, occorrendo il concorso di fattori eccezionali e proporzionati alla particolare gravità attribuibile alla violazione (Cass. Sez. un. n. 8409 e 6490/12).
In altri termini, ciò che si richiede per escludere la punibilità è la presenza di cause di giustificazione pregnanti, oggettive e idonee a contrastare la contestazione e sempre che i ritardi non siano talmente prolungati, reiterati e abituali da superare la soglia della ragionevolezza e della giustificabilità perché, in tal caso, la possibilità che essi siano scriminati si riduce, occorrendo la prova dell'esistenza di fattori straordinari che ne consentano la giustificazione.
Ne consegue che la reiterazione e la gravità dei ritardi, oltre ad esser indispensabili per integrare l'illecito disciplinare, costituiscono anche il metro di valutazione delle circostanze giustificatrici, perché queste ultime non devono esser valutate in sé ma in relazione al numero dei ritardi, alla loro durata media e alle punte massime.
È quindi da osservare che, nel caso in esame, i ritardi ascritti sono senz'altro gravi e tali da escludere l'applicabilità dell'art. 3 bis d.lgs n. 109/2006 perché, per le sentenze richiamate nel capo d'incolpazione, in 43 casi il ritardo é stato di oltre un anno.
Ricorre anche il requisito della reiterazione perché il numero dei ritardi, considerato in rapporto al periodo nel quale essi sono maturati, esclude che si sia in presenza di condotte episodiche.
Detti ritardi possono tuttavia ritenersi giustificati.
E' al riguardo da osservare che, in linea generale, l'accertamento relativo alla dipendenza dei ritardi inerenti il deposito dei provvedimenti giudiziari non può prescindere dall'esame di eventuali fattori esterni alle scelte gestionali ed organizzative del singolo magistrato.
L'inesigibilità, in sostanza, deve essere individuata tenendo presente: la consistenza del ruolo, il numero delle udienze tenute, i dati della laboriosità e dell'operosità (desumibili dall'attività svolta sotto il profilo quantitativo e qualitativo), l'organizzazione dell'ufficio giudiziario di appartenenza, le funzioni giurisdizionali concretamente svolte ed infine l'eventuale presenza di situazioni ostative di carattere soggettivo od oggettivo.
Nel caso in esame deve essere considerato il carattere straordinario dell'attività svolta dalla dott.ssa NOME 1 la quale, durante l’intero periodo oggetto di contestazione, aveva dovuto affrontare carichi di lavoro indubbiamente molto elevati in ufficio giudiziari diversi e molto distanti tra di loro, anche per sopperire alle numerose carenze dell'ufficio di appartenenza.
Ed, invero, con specifico riguardo al periodo gennaio 2011 - settembre 2012 - che è quello in cui sono maturati i ritardi oggetto di contestazione - emerge (come da nota del coordinatore della sezione penale del 23 settembre 2011) che il magistrato aveva depositato nei soli primi 7 mesi del 2011 (gennaio/luglio) ben 312 sentenze. Le sentenze depositate in tutto l'anno 2011 sono state 412.
Con riguardo poi al successivo anno 2012 risulta che la dott.ssa NOME 1, in servizio presso il tribunale di UFF. 1, era stata applicata a decorrere dal 1 febbraio 2012 presso il tribunale di UFF. 2 per la definizione di alcuni procedimenti particolarmente complessi. Tale atto organizzativo, in ragione delle competenze già attribuite al magistrato presso gli Uffici giudiziario di LUOGO 1, aveva imposto alla incolpata di tenere 4 udienze settimanali in zone territoriali distanti tra loro delle quali una presso il tribunale di UFF. 2 e tre presso il distretto di LUOGO 1, segnatamente il lunedì a UFF. 3, il martedì a UFF. 1, il giovedì a UFF. 4 ed il venerdì a UFF. 2.
Appare pertanto evidente che un tale modello organizzativo - imposto al magistrato - aveva lasciato ben poco tempo all'attività di redazione delle sentenze.
Ciò nonostante la dott.ssa NOME 1 nell'anno 2012 era riuscita a depositare ben 94 sentenze monocratiche presso il Tribunale di UFF. 2 e 383 presso gli Uffici di LUOGO 1 di cui 8 presso il Tribunale, 113 presso la sezione distaccata di UFF. 4 e 262 presso la sezione distaccata di UFF. 3.
Le indicate emergenze processuali inducono, quindi, a ritenere che i ritardi riscontrati, peraltro non addebitabili a carenze organizzative del giudice, sono dovuti alla particolare situazione che l'incolpata ha dovuto affrontare a causa dei gravosi e numerosi impegni affrontati in diversi uffici, oneri questi che sono da ritenersi la causa determinante che ha giustificato i ritardi contestati.
Va, pertanto, esclusa la sussistenza dell'addebito.
P.Q.M.
La Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, Visti gli articoli 18 e 19 D.L.vo 23 febbraio 2006 n. 109
assolve
la dott.ssa NOME 1 dalla incolpazione a lei ascritta per essere rimasto escluso l’addebito.
Roma, 3 luglio 2015
Il Relatore Il Presidente (Lorenzo Pontecorvo) (Giovanni Legnini)
Il Magistrato Segretario Depositato in Segreteria
(Giulio Adilardi) Roma,
Il Direttore della Segreteria (Vincenzo Palumbo)