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L'Italia continua a NON essere un Paese per giovani.

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Academic year: 2022

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L'Italia continua a NON essere un Paese per giovani.

In queste ore si parla tanto di DEF (Documento di Economia e Finanze), di manovra economica (di manovra del popolo, per la precisione) di innalzamento del deficit (da portare al 2,4%), di superamento della legge Fornero (quella sulle pensioni per intenderci) e di reddito di cittadinanza (per chi si trova senza lavoro).

Ovviamente dato che la piazza è ormai online e soprattutto social, proprio sui vari social network si è innestato il solito dibattito – o per meglio dire la solita bagarre – tra chi sostiene fermamente le scelte del governo e chi invece ne è invece un fervido oppositore.

Semplificando all’osso, da un lato c’è chi afferma che finalmente si fa qualcosa per i cittadini italiani e, dall’altro, c’è chi sostiene che per finanziare queste operazioni si rischia un possibile default (qui entra tutta la tematica relativa ai mercati finanziari, agenzie di rating internazionali, Unione Europea et similia).

A tal riguardo assistiamo appunto a centinaia di migliaia di commenti, condivisioni, like, retweet, elucubrazioni, etc. etc..

Tutto molto interessante, per dirla alla Rovazzi.

Ma scusate, perché tanto parlare? Di cosa ci si scandalizza? Per cosa si festeggia?

Insomma: cosa c’è di nuovo?

Io lo dico chiaramente: assolutamente nulla.

Dico questo perché già si sapeva tutto. Era difficile aspettarsi qualcosa di diverso e non c’è nulla di nuovo per cui indignarsi o applaudire.

Lega e Movimento a 5 stelle lo avevano dichiarato in campagna elettorale, scritto nel Contratto di Governo e ripetuto allo sfinimento nei dibattiti televisivi, sulle loro piattaforme online e nelle piazze. Ovunque insomma. E lo hanno fatto, questo va detto.

Almeno per un attimo, proviamo a spostare l’attenzione altrove.

Quello per cui a mio modo di vedere ci si deve indignare* davvero o quantomeno iniziare a parlarne seriamente, non solo ora ma ormai da tempo, è che al centro del “dibattito” politico è scomparso dai radar il tema dei giovani, degli under 35 (ma anche degli under 40), dei millennials.

* Questa parola poi mi piace il giusto, perché non presuppone una azione successiva ma rafforza al massimo il concetto di sfogo.

Insomma, chiamateli come vi pare, mi riferisco a quella generazione che è rimasta in gran parte tagliata fuori dal mercato del lavoro, quella generazione che fa una fatica estrema a vedersi riconoscere un ruolo nella società, quella generazione che ha visto di gran lunga calare

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nel tempo il proprio potere d’acquisto. E che, non contenta, proprio per non farsi mancare nulla, si è vista cucire addosso tutta una serie di epiteti davvero interessanti: bamboccioni, sfigati e choosy (che no, non è una cosa figa: significa schizzinosi).

Giusto qualche numero per rinfrescarci la memoria.

Disoccupazione giovanile: oltre il 30% su base nazionale (al Sud questo valore sale sensibilmente);

Inattivi (ossia quelle persone che hanno addirittura smesso di provare a cercare una occupazione):

sfiora il 35%;

Potere d’acquisto: tra il 2000 ed il 2016 il reddito dei 60-64enni è cresciuto del 25% rispetto ai 30-

34enni.

Voi direte: sì, va bene, ma più o meno è sempre andata così.

Assolutamente no. E proprio per evidenziare la situazione nella quale versa la generazione dei giovani d’oggi in Italia, è giusto fare una comparazione con quella dei loro omologhi – gli under 35 – di 25 anni fa.

Bene, rispetto a quest’ultimi, i giovani d’oggi hanno mediamente un reddito più basso del 26,5%.

Prima di innestare dibattiti (sterili), è giusto specificare che questi numeri non sono inventati ma vengono dall’OCSE.

E quindi?

Quindi mi piacerebbe che si iniziasse a ragionare su un programma capace di mettere un po’ in ordine alle cose sin qui dette. Un programma che non regali l’illusione di uno stipendio a fine mese, ma che possa creare le condizioni che uno stipendio a fine mese arrivi perché frutto di un lavoro. Un programma che faccia sì i conti con il grande tema delle pensioni ma, di nuovo, tenendo in considerazione quella dei giovani finalmente.

Capisco che tutti hanno diritto alla pensione, capisco che quello della pensione è un momento sensibile nella vita lavorativa di ciascun lavoratore e capisco anche che chi è prossimo alla pensione faccia il tifo per il superamento della Legge Fornero.

Per carità, capisco tutti, ma concedetemi di chiedere chi poi dovrà pagare il prezzo di tutto ciò!? O quantomeno cosa resterà a noi giovani tra 30-40-50 anni, ossia quando dovremo essere noi ad andare auspicabilmente in pensione?

Per queste ragioni mi sarebbe piaciuto leggere, ascoltare, dibattere su questi temi e non su qualcosa di già noto.

Ma tant’è, milioni di persone hanno votato questo governo per cui ci sarà da rallegrarsi per quanto stanno facendo. Giusto?

Non so voi ma, per quanto detto, diciamo che non sono troppo d’accordo.

PS. Provo qui a rispondere a delle ipotetiche ma possibili domande dal “pubblico”.

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D: Sì, ma gli altri governi cosa hanno fatto per i giovani? E il PD? E Renzi?

R: Come ho scritto, ormai da tempo la questione giovani è uscita dai radar del dibattito politico. O quantomeno, non è stata affrontata nel migliore dei modi dato che, visti i numeri, nessuno può dire che sia stata risolta o, per lo meno, evidentemente migliorata. Non entro nel gioco poco edificante dei “buoni” e “cattivi”. E, giusto per dissipare qualsiasi dubbio, sarei il primo ad essere felice di ricredermi se le cose cambiassero per davvero.

Italiani: popolo di poveri, ma connessi!

Ivan Zorico (280)

Pochi giorni fa è stato diffuso il 50° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese nel 2016.

5 0 R a p p o r t o

Censis sulla situazione sociale del Paese nel 2016

La fotografia che ne viene fuori non è molto confortante.

Secondo quanto riportato dal 50° Rapporto Censis, gli under 35 anni sono destinati ad essere più poveri dei loro padri e dei loro nonni. Ma non basta. Saranno anche più poveri degli under 35 di 25 anni fa avendo, rispetto a quest’ultimi, un reddito più basso del 26,5%.

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E se poi confrontiamo il reddito dei giovani italiani agli inizi degli anni ’90 con quello di tutti gli italiani di allora, scopriamo che i loro redditi erano superiori alla media della popolazione: +5,9%

contro un -15,1% di oggi. Insomma il trend si è completamente invertito.

E se a questa situazione particolare ci aggiungiamo anche che i consumi delle famiglie si sono ridotti di quasi il 6% tra il 2007 e il 2015, non possiamo che ribadire quanto detto: la fotografia che ne viene fuori non è molto confortante.

Ma se pure ci troviamo in questa situazione economica negativa, la spesa complessiva per acquistare prodotti tecnologici per connettersi, non è affatto diminuita. Anzi, è aumentata: +41,4%

la spesa per acquistare un pc e +191,6% per lo smartphone.

Lo smartphone è indubbiamente è il 1° dispositivo che gli italiani scelgono per comunicare. In fila, la preferenza ricade su: WhatsApp, Facebook, Youtube e Twitter. In linea generale, gli under 30 sono molto più attivi sui sociali degli over 30 ma, quest’ultimi, ormai utilizzano in grande misura questi nuovi mezzi di comunicazione.

S e mp r e sec o n d o q u ant o rip ort ato dal 5 0

° R a p p ort o C e

nsis, gli italiani utilizzano la Rete ed i social per informarsi, guardare film o sport, organizzare il tempo libero (viaggi e vacanze), comprare prodotti e fare operazioni bancarie.

Il mondo dell’informazione, il loro reperimento e diffusione è profondamente cambiato.

Nel 2016 gli italiani che dichiarano di guardare i telegiornali sono il 63%, contro l’80,9% del 2011.

Se guardiamo la sola fetta degli under 30, la percentuale si abbassa notevolmente fermandosi al 45,7%.

Il TG resta comunque ancora stabilmente il 1° canale di informazione preferito dagli italiani che,

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come abbiamo appena visto, viene scelto dal 63%. Seguono Facebook con il 35,5%, i giornali radio con il 24,7%, i quotidiani con il 18,8%, i motori di ricerca con il 19,4%, YouTube con il 10,8%

ed infine Twitter con il 2,9%.

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