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La mutilazione genitale femminile e lo status di rifugiato. Nota a Cass. Civ. ord. 27 agosto 2020 n di Valeria Cianciolo

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La mutilazione genitale femminile e lo status di rifugiato. Nota a Cass. Civ.

ord. 27 agosto 2020 n. 17954 di Valeria Cianciolo

Introduzione. - In molte tradizioni culturali vigono pratiche che intervengono sugli organi sessuali, maschili e femminili. In alcuni gruppi etnici di Paesi extraeuropei, dislocati soprattutto nell'Africa subsahariana (ad esempio, Somalia, Sudan settentrionale, Djibouti, Etiopia, Eritrea, Kenya settentrionale, alcune zone del Mali e della Nigeria settentrionale), in Egitto e anche in alcune circoscritte regioni dell'Asia (Indonesia, Malaysia, Yemen, Emirati A.U.), per motivi tradizionali e socio-culturali assai vari, (incomprensibili per noi occidentali),

In questa sede e facendo riferimento in particolare all’ordinanza in commento, preme evidenziare la natura e la portata di quelle diffuse pratiche di modificazione degli organi genitali femminili, attraverso le quali si attua una sorta di controllo sulla sessualità e sul corpo della donna.

Poiché tali pratiche consistono assai spesso in un'asportazione di tessuti dell'apparato genitale femminile, esse vengono comunemente indicate con la formula "mutilazioni genitali femminili.”

Influenti risultano essere le motivazioni socio-culturali che sostengono tali pratiche: l’onore familiare; le credenze sull'igiene, sull'estetica e sulla salute femminile; la preservazione della verginità e il rafforzamento della fedeltà matrimoniale aumento del piacere sessuale del marito; l’incremento della fertilità.

Comunque sia, questo potente e articolato sistema di credenze offendono i diritti fondamentali della donna: la sua integrità fisica, la sua salute, la sua sessualità, la sua dignità, il diritto alla non discriminazione, il diritto alla vita.

Il reato di mutilazioni genitali in Italia… - Se ne parla troppo poco, eppure, il problema esiste anche in Italia dove la presenza di immigrati pone una serie di sfide al diritto che si possono a volte sentire come un confronto, altre volte

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come una minaccia tanto da spingere il nostro Paese ad introdurre con la legge 9 gennaio 2006, n. 7 due nuove figure di reato all’interno del codice penale per perseguire le "mutilazioni genitali" (art. 583-bis comma 1° c.p.) e le "lesioni genitali" (art. 583 bis comma 2° c.p.) con aspre misure sanzionatorie.

I reati contemplati dalla nuova normativa (a quanto pare sconosciuta ai più) sono due: la mutilazione, in assenza di esigenze terapeutiche, degli organi genitali femminili, punita con la reclusione da quattro a dodici anni (art. 583, 1° co. bis c. p.) e le lesioni, in assenza di esigenze terapeutiche, degli organi genitali femminili, al fine di menomare le funzioni sessuali, punite con la pena della reclusione da tre a sette anni.

Il bene giuridico tutelato delle disposizioni di cui all'art. 583 bis c. p. è complesso. In primo piano stanno la integrità fisica e la salute (o benessere) psico-sessuale della donna. A fondamento delle disposizioni stanno anche istanze di uguaglianza tra l'uomo e la donna, sul rilievo che gli interventi sui genitali femminili costituiscono tradizionalmente uno strumento di controllo maschile e/o, comunque, sociale sulla sessualità femminile, nonché istanze relative alla dignità e alla libertà di autodeterminazione della donna.

…e nel mondo - Vari Paesi occidentali hanno approvato leggi punitive in tema di mutilazioni genitali femminili molto prima dell’Italia:

la Svezia, con una legge del 10.7.1982;

il Regno Unito con il "Prohibition of Female Circumcision Act" del 16.7.1985; la Norvegia, con una legge del 15.12.1995;

gli Stati Uniti con il "Federal Prohibition of Female Genital Mutilation Act" del 10.7.1995;

il Canada, con un emendamento del 25.4.1997 al c.p.; la Nuova Zelanda, con l'art. 204 A del Crimes Act, versione 1999; ed il Belgio, con una legge 28.11.2000, introduttiva dell'art. 409 c.p.

La Repubblica francese non ha introdotto una normativa speciale, ma conosce varie pronunce giurisdizionali in relazione a casi di circoncisione femminile, alla stregua dell'art. 222-9, rubricato sotto la previsione della violenza che comporta una mutilazione o una infermità permanente (Sami A. Aldeeb Abu-Sahlieh, Circoncisione mascoline. Circoncisione féminine, Condé- sur-Noireau, 2001, 406).

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Le iniziative adottate dagli organismi internazionali. - Il Parlamento dell'Unione Europea ha adottato in data 20.9.2001 una Risoluzione concernente le «Mutilazioni genitali femminili», di ferma condanna delle stesse in quanto costituenti una violazione dei diritti umani fondamentali.

Con la medesima Risoluzione il Parlamento ha chiesto all'Unione Europea e agli Stati membri di collaborare all'armonizzazione della legislazione esistente e, qualora essa non si dimostri adeguata, alla elaborazione di una legislazione specifica a tutela dei diritti della persona, della sua integrità, della libertà di coscienza e del diritto alla salute.

Il Parlamento ha sollecitato altresì la collaborazione delle Comunità interessate per l'eliminazione di tali pratiche e richiesto agli Stati membri di considerare come reato qualsiasi tipo di mutilazione genitale femminile (Risoluzione 20.9.2001 n. 2035 (INI), GUCE C 77 E 28.3.2002).

Secondo l'U.N.H.C.R. sono circa 20.000 le donne che hanno chiesto asilo nell’Unione europea per paura di subire delle mutilazioni genitali nel loro paese d’origine.

Non si sa a quali tipi di torture vengono sottoposte le donne: si va dall’escissione di parte o della totalità dei genitali esterni con cucitura o restringimento del canale vaginale (c.d. "infibulazione" che è la forma più estrema di mutilazione, in quanto dopo l'escissione dei genitali esterni i due lobi della vulva vengono tra loro cuciti con fili di seta o tenuti assieme con spine, così che, una volta cicatrizzati, occludono il canale vaginale ad eccezione di un piccolo foro per consentire il passaggio dell'urina e del sangue mestruale); a pratiche consistenti nel forare, trapassare, incidere o stirare il clitoride e/o le labbra.

La qualificazione di queste pratiche come persecuzioni, ai sensi della Convenzione di Ginevra, è stata fortemente incoraggiata dall’ l'U.N.H.C.R.

(Alto commissariato ai rifugiati dell’ONU), che ha pubblicato delle linee guida sulle domande d’asilo relative alle mutilazioni genitali femminili.

Nel 2009 l'U.N.H.C.R. ha diffuso una “Nota orientativa sulle domande d’asilo riguardanti la mutilazione genitale femminile.”

La nota è importante perché chiarisce quali sono le tipologie di pratiche, le complicazioni per la salute mentale e fisica della donna e le conseguenze, fisiche e mentali di più lungo periodo; inoltre, ed è per questo che la Nota merita di essere menzionata, si attesta che “l'U.N.H.C.R. considera la Mutilazione Genitale Femminile come una forma di violenza basata sul genere che infligge grave danno, fisico e mentale, e che, come tale, costituisce persecuzione.”

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La giurisprudenza

La giurisprudenza sul tema delle mutilazioni genitali è molto scarna.

In questa sede si segnalano due distinte pronunce, entrambe del 2012, una della Corte d’Appello di Catania e un’altra del Tribunale di Cagliari che hanno accolto la domanda di protezione internazionale di due donne nigeriane, precedentemente rigettate dalle Commissioni Territoriali, tenendo conto delle linee guida dettate dall’U.N.H.C.R.

Nella sentenza della Corte d’Appello di Catania, la MGF viene definita

“forma di violenza, morale e materiale, discriminatoria di genere, legata cioè alla appartenenza al genere femminile”, e, come tale, riconducibile ai motivi di persecuzione rilevanti ai sensi del già citato D. Lvo 251/07, attuativo della Direttiva 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta.

La sentenza del Tribunale di Cagliari, invece, definisce "la mutilazione genitale femminile quale atto di persecuzione per motivi di appartenenza ad un determinato gruppo sociale è palesemente compatibile con la tutela degli interessi costituzionalmente protetti contenuta negli articoli 2 e 3 della Costituzione, con particolare riguardo alla tutela dei diritti inviolabili dell'uomo e al principio di uguaglianza e di pari dignità sociale, senza distinzioni di sesso, alla stessa stregua dei motivi di razza, religione, nazionalità o di opinione politica."

Le due sentenze vanno in senso contrario rispetto a altre precedentemente pronunciate. Ad esempio, nel 2010 il Tribunale di Torino (Sezione IX Civile, sentenza 327/10 del 6.8.2010, inedita) ha ritenuto che la pratica della mutilazione praticata dal padre non era perseguibile, mancando il requisito della provenienza degli atti persecutori dai soggetti indicati dall'art. 5, D.Lvo 251/07 (Stato, partiti o organizzazioni che controllano lo Stato o gran parte del suo territorio, ovvero ancora soggetti non statuali se i responsabili dello Stato non possano o non vogliano fornire protezione).

E ancora. Il Tribunale di Trieste con sentenza 11.12.2009, n. 540 aveva negato ad una donna camerunense il riconoscimento dello status di rifugiato perché dal racconto dei fatti non era dato desumere un vero e proprio rischio di persecuzione, né appariva ravvisabile una violazione grave dei diritti umani fondamentali della richiedente.

Le sentenze rappresentano dunque, non solo il chiaro esempio di come il diritto internazionale e le indicazioni degli organismi internazionali entrino sempre di più dentro il nostro diritto, ma anche di conoscenza verso le nuove

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istanze culturali che fanno ormai parte della nostra realtà e che vanno conosciute e rispettate affinchè si realizzi un vero melting pot, ma che non vanno tollerate, bensì perseguite ogni volta che entrino palesemente in contrasto con i principi della civiltà giuridica nazionale ed internazionale.

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