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Paupertas et simplicitas: spunti di semplificazione - Judicium

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www.judicium.it GIUSEPPE DELLA PIETRA

Paupertas et simplicitas: spunti di semplificazione dalle controversie di modesta entità*

1. Alternatività dei procedimenti speciali rispetto al giudizio ordinario. – 2. Proposta di generalizzazione e rimodulazione del rito per le small claims. – 3. Ambito di applicazione. – 4.

Formulazione e notificazione dell’atto introduttivo. – 5. Attività difensiva del convenuto. – 6.

Verifiche preliminari del giudice. - 7. Mezzi di prova. – 8. Decisione. – 9. Rapporti con il decreto ingiuntivo.

1. È dal Capodanno 2009 che il regolamento sulle controversie di modesta entità sarebbe dovuto diventare operativo in Italia, come nel resto dell’Unione. Il modo condizionale è imposto non dal fatto che la data di prima applicazione, fissata nell’art. 29 del regolamento n. 861/2007 sia stata differita, perché lo strumento si è reso puntualmente efficace il 1° gennaio 2009; ma dal rilievo che dagli uffici giudiziari nostrani non giunge notizia di un suo efficiente impiego. Non figurano edite pronunzie rese all’esito di quel procedimento, che nel suo più rapido sviluppo pur dovrebbe chiudersi in un paio di mesi. Un’indagine non ancora divulgata svela che dei maggiori uffici di giudice di pace italiani solo Bolzano ha approntato i moduli per la formulazione di domanda e replica; nessuno, poi, ha predisposto misure, pur prescritte dall’art. 11, per l’assistenza pratica alla compilazione dei medesimi, né risulta che lo Stato italiano abbia provveduto in altro modo e in diverso sito.

Le ragioni del disinteresse non vanno cercate, a mio avviso, nella parvità della materia. Il limite massimo di 2000 euro costituisce un importo senz’altro small, ma non del tutto esiguo per l’instaurazione di una lite; ed anzi, i sempre più facili e frequenti scambi all’interno dell’Unione, la diffusione del commercio minuto via internet, la moltiplicazione delle associazioni che assistono e patrocinano gli utenti vanno diffondendo i casi di liti transfrontaliere per somme ben più ridotte del limite massimo fissato dall’art. 2.

Il punto debole, perlomeno in Italia, dell’applicazione del regolamento dev’essere altro. E a individuarlo può aiutare l’esperienza ancor più recente, e al momento non entusiasmante, del procedimento sommario di cognizione. Impiegabile dal 6 luglio 2009, pur qui le notizie che provengono dai tribunali sono tutt’altro che positive, sia quanto al numero di procedimenti instaurati, sia quanto alla data dell’udienza fissata dall’ufficio (mesi, se non anni, si narra, in alcuni tribunali!).

Le ragioni di tanto fredda accoglienza sono varie, sia nel campo dei giudici, sia dal versante degli avvocati, e vanno dal rigore delle preclusioni in caso di passaggio al rito ordinario1

* Testo, rielaborato e corredato di note, dell’intervento svolto a Ravenna il 18 dicembre 2009 al convegno su

“Il diritto processuale civile di origine comunitaria: punti di arrivo e nuove frontiere” organizzato dall’Università degli Studi di Bologna.

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www.judicium.it all’indeterminatezza dei poteri officiosi, dalla natura non cautelare di un procedimento che si vorrebbe egualmente celere alla funzione dell’appello, in bilico fra la natura di gravame e la struttura di un primo grado a cognizione integra. Non è questa la sede per vagliarle singolarmente.

Basti dire che a tutte e a ciascuna è concesso di svolgere appieno la propria funzione disincentivante in forza di un pregiudiziale requisito: l’alternatività del procedimento rispetto al rito ordinario.

Alternatività che va qui rettamente intesa, onde coglierne la portata dissuasoria all’impiego di questo come di ogni altro strumento.

Anche il procedimento d’ingiunzione e la convalida di sfratto offrono una via di accesso alla giustizia alternativa al rito ordinario, eppure conoscono da sempre un’efficienza e una floridezza che spingono senz’altro l’utente, sol che possa avvalersene, a preferirli al giudizio normale. Con il che l’uno e l’altro procedimento assolvono in pieno alla funzione deflattiva loro assegnata, quante volte – e non sono rare – il procedimento si esaurisca nella sede sommaria. Per essi, dunque, la relazione di alternatività con il rito ordinario non funge da disincentivo all’impiego, e ciò per l’evidente e decisiva ragione che chi ricorre a quegli strumenti sa che, ove la fase sommaria non attinga l’esito sperato, ha facoltà di dispiegare e rimodulare le proprie risorse offensive in occasione del successivo giudizio di primo grado a cognizione piena. Si potrebbe descrivere il rapporto fra i procedimenti sommari classici e il giudizio ordinario conseguente come di alternatività arricchente, appunto perché la soluzione rapida offerta dai primi nulla elide delle facoltà difensive (in senso amplissimo: domande, contestazioni, eccezioni, allegazioni, prove) proprie del secondo.

Se questa visione può essere condivisa, non si è distanti dal cogliere le radici del chiaro disfavore riservato al procedimento sommario di cognizione e, per ciò che qui rileva, al procedimento comunitario per le small claims. Affondano, quelle radici, nella relazione di tali meccanismi con il rito a cognizione piena, relazione che si può definire, in opposizione alla prima, di alternatività sminuente. Chi sceglie l’uno o l’altro mezzo decide di percorrere una via sì più celere, ma al prezzo di ricusare i congegni complessi e garantisti che sostanziano il giudizio ordinario. Tale rinunzia è forse meno appariscente nel sommario di cognizione, in cui lo snellimento processuale si concentra nella fase dell’istruzione2; è, invece, ben più evidente nelle

1 A meno di non condividere il singolare ordine di servizio n. 27/09 del presidente facente funzioni del tribunale di Genova che, di seguito all’elaborazione di criteri organizzativi indotti dalla novella del 2009, si chiude con la seguente formula: “infine, per quanto ciò attenga a profili di interpretazione della normativa, pare opportuno segnalare che, nella riunione dei giudici del settore civile sopra citata, dopo ampia

discussione si è pressoché unanimemente condiviso il seguente orientamento: qualora il processo debba proseguire secondo il rito ordinario – con «applicazione delle norme del libro secondo» (art. 702 ter terzo comma) -, trovano applicazione tutte le norme del libro eluse dall’iniziativa dell’attore, che ha errato nella scelta del rito sommario: in particolare gli art. 163 bis, con concessione del termine di novanta giorni per comparire e l’art. 166 cpc, per l’eventuale deposito di nuova comparsa di risposta, nella quale potranno essere proposte nuove eccezioni, prodotti nuovi documenti, svolte tutte le difese che il più ristretto termine non aveva, di fatto, consentito: ciò in base a un’interpretazione costituzionalmente orientata che pare idonea a sottrarre la controversia a questioni di illegittimità costituzionale altrimenti non evitabili”. L’indirizzo si legge, con espressioni pressoché identiche, anche nel decreto 9 novembre 2009, n. 147, del presidente del tribunale di Bologna. Ambo i provvedimenti sono editi in Foro it., 2010, V, 54 s.

2 Si leggano, sul punto, i primi, rari provvedimenti editi: Trib. Varese, ord., 18 novembre 2009, e Trib.

Mondovì, ord., 10 novembre 2009, entrambi in Guida dir., 2009, 50, 46 ss.

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www.judicium.it small claims, ove l’attore accetta – e nel contempo infligge – un radicale sovvertimento nell’andamento naturale del processo. In ambo i procedimenti, in ogni caso, chi imbocca la via alternativa del giudizio semplificato sa di rinunziare, in nome della celerità, al novero completo di termini, memorie, regole e poteri che materiano il corso della cognizione piena: caleidoscopio di attività e di disciplina che a tavolino si può anche definire sovrabbondante, ma che nella prospettiva incerta e diffidente di chi deve promuovere il giudizio – sia questi la parte o il difensore, chiamato a quella scelta – appaiono tutti non negoziabili, o comunque difficilmente dismettibili al costo di un beneficio, neppure sempre certo, in chiave di durata.

Sta principalmente qui, io credo, la ragione dello scarso entusiasmo riservato dagli operatori ai due recenti rimedi processuali. Posto di fronte all’alternativa fra un rito lungo ma denso ed uno breve ma scarno, un mix di sana prudenza, umana diffidenza, comprensibile abitudine spinge la parte (e, per essa, il suo difensore) a trascurare la via pur semplice e rapida della cognizione sommaria per quella che appare più salda a chi si appresta a spendere nella causa il proprio diritto (o, l’avvocato, la propria responsabilità professionale). Sta in ciò, io credo, la radice dell’insuccesso di tante riforme: l’indifferenza del legislatore per la psicologia degli operatori, irrilevante quanto si vuole nella confezione di un rimedio, ma decisiva senza dubbio per la sua riuscita.

Se di questo fattore si vuole tener conto, chi intende somministrare alla tutela nuovi riti deve prendere atto che nel nostro sistema non c’è spazio per la tecnica dell’alternatività sminuente, appunto perché, a ragione o a torto, le sirene della cognizione piena saranno sempre più avvincenti della celerità offerta al prezzo di una riduzione delle garanzie. Ed allora, se non si vuole rinunciare ad escogitare nuove tecniche di snellimento e di deflazione dei processi, occorre prendere atto che il loro affiancamento al rito ordinario può aver luogo solo con una delle altre due forme concepibili:

quella sopra vista della alternatività arricchente3 e quella altre volte adottata (una per tutte, il rito del lavoro) della vincolatività4. Con il corollario che, le volte in cui il rito semplificato implica una riduzione, se non delle garanzie, anche solo della platea di poteri e attività offerta dal rito pieno, il vincolo alla sua adozione diventa l’unica via praticabile per garantire al procedimento speciale una proficua applicazione.

2. Lo scenario appena tracciato offre, se condiviso, un primo spunto di intervento per il legislatore nazionale. Tanto più se la tecnica semplificante e deflattiva del sommario di cognizione dovesse fallire, varrebbe la pena, a mio avviso, di valorizzare il procedimento europeo per le small claims, per un verso nazionalizzandone l’operatività5, per l’altro rendendone obbligata l’adozione.

3 È l’opzione di fatto adottata da Proto Pisani nella proposta Per un nuovo codice di procedura civile, in Foro it., 2009, V, 67, quanto appunto ai provvedimenti sommari (anche) non cautelari.

4 La medesima che, ad esempio, Carratta – Chizzini – Consolo – De Cristofaro, Risposte al libro verde sul procedimento ingiuntivo europeo, in Int’l Lis, 2003, 145, e Lupoi, Di crediti non contestati e procedimenti di ingiunzione: le ultime tappe dell’armonizzazione processuale in Europa, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, 206, avrebbero gradito fosse imposta dai regolamenti in tema di procedimento europeo d’ingiunzione.

5 L’estensione del procedimento anche alle liti interne, già nei programmi della Commissione, ma avversata da quasi tutti gli Stati membri (cfr. Kramer, Harmonisation of procedures in Europe: the proposal for a european small claims procedure, in Int’l Lis, 2006, 111; Pozzi, Il rito bagatellare europeo, in Riv. trim. dir. proc., 2008, 616 s.;

Mellone – Pancaldi, Il nuovo regolamento comunitario sulle controversie di modesta entità, in Dir. Unione europea, 2008, 290 s.), è tuttora auspicata da più di un autore: Leandro, Il procedimento europeo per le controversie di

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www.judicium.it Esclusa la possibilità di correzioni al regolamento n. 861/2007, si potrebbe prevedere che in Italia non solo le liti transfrontaliere, ma ogni causa di taglia small debba essere trattata con forme non distanti da quelle del regolamento6. Si tratta, cioè, di disegnare un procedimento semplificato per le controversie di modesta entità da affidare al giudice di pace ratione valoris; questi sarebbe chiamato a trattarle con modalità e, direi, mentalità in tutto diverse da quelle attuali, che fanno il verso fin troppo – anche in termini di durata – al giudizio togato. Mentalità e modalità che, se capillarmente inculcate ai giudici onorari anche in sede di formazione, potrebbero forse accendere pure dal basso quella velocizzazione dei processi che, avviata in Cassazione, stenta a decollare al livello intermedio dei tribunali e delle corti d’appello.

Al fine di coltivare questa prospettiva, non credo sia possibile, e comunque escludo sia opportuno, proporre un’automatica estensione del modello europeo anche alle liti nostrane. La generalizzazione di quello schema, da un canto, e la sua vincolatività, dall’altro, ne inducono invece una rimodulazione, volta a renderne più armonico l’impianto al sistema processuale italiano.

Ritocchi a mio avviso sono anche imposti dalla necessità di evitare che nostalgici del processo tradizionale (avvocati e giudici) possano piegare il nuovo modello agli inveterati costumi, al fine di renderlo il più possibile conforme all’antico sistema.

In ogni caso, l’opera di riassetto deve muovere da un dato di fondo: l’applicazione di uno schema semplificato a (quasi) ogni specie di small claim implica non solo uno scatto di fantasia del modesta entità, in Riv. dir. internaz., 2009, 90 ss.; Bertoli, Verso un diritto processuale civile comunitario uniforme:

l’ingiunzione europea di pagamento e le controversie di modesta entità, in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2008, 405 ss.

6 L’idea si salda allo spunto offerto da Carpi, La semplificazione dei modelli di cognizione ordinaria e l’oralità per un processo civile efficiente, in Riv. trim. dir. proc., 2009, 1297 ss., di un processo di cognizione a doppio binario:

orale e concentrato, in caso di lite di semplice soluzione; a trattazione mista scritta-orale per le liti più complesse e articolate. A mio avviso, però, occorre prendere atto che, quando la lite è davvero small, la parte è indotta ad astenersi dall’azionare i propri diritti se deve officiare un avvocato o impegnarsi personalmente negli uffici giudiziari. Come insegna l’esperienza, contemplare la facoltà di agire di persona non basta: se si tratta di comparire in udienza e d’interloquire con giudice e avversario, magari anch’egli assistito da difensore, la parte tende naturalmente e comprensibilmente ad affidarsi a un avvocato, e ciò sia perché non all’altezza di dialogare ad armi pari con gli operatori professionali, sia per la necessità di avvalersi di qualcuno che con dimestichezza e professionalità pratichi gli uffici giudiziari al suo posto. Sennonché il reclutamento, e la conseguente retribuzione, del difensore si profilano antieconomici quando la pretesa, pur fondata, sia di scarsa entità, per cui si rivela frustrante, ma ragionevole, la scelta - fin troppo frequente - di chi rinuncia a far valere diritti di taglia small, così tollerando di fatto piccoli, ma odiosi soprusi: dai ricarichi dell’estratto conto alle truffe telefoniche (sul punto, v. anche Zucconi Galli Fonseca, Mediazione, conciliazione ed altri ADR nella prospettiva europea, in corso di pubblicazione)

La trattazione scritta e semplificata che nel testo sto per patrocinare consente di rimediare a questi

inconvenienti, innestando, si parva licet, un tassello sulla proposta di Carpi: quando la lite è di ridotto valore, sarà trattata nella forma semplice e essenzialmente scritta che vado a proporre; ove la causa sia di maggior pregio (perché, ad esempio, spettante al tribunale ratione materiae o valoris, e dunque giocoforza patrocinata da un difensore), al giudice, consultate le parti, sarà dato di scegliere fra le due corsie indicate dal Maestro bolognese in ragione della complessità della lite o anche dell’entità pure economica dei diritti in contesa.

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www.judicium.it legislatore, ma anche uno scarto di disponibilità degli interpreti, chiamati ad accettare che le liti di minor valore siano trattate in un processo distante per ispirazione e impostazione, prima ancora che per specifiche tecniche, da quello tradizionale7. Il tentativo partorirà un modello affatto lontano dallo stampo classico del processo italiano. L’approdo, però, non deve intimorire: in ben altri ambiti - sia concessa la battuta - povertà e semplicità (delle liti, nel nostro ben più modesto caso) hanno indotto meritori mutamenti che, almeno da principio, sono stati percepiti con il tono dell’eresia.

3. L’opera di allineamento del modello europeo al sistema italiano indotta, se non imposta, dalla generalizzazione e dalla obbligatorietà del procedimento sopra auspicate può qui essere solo sbozzata nelle linee generali. Eppure, può non essere inutile fornire un primo canovaccio a chi volesse imprendere la stesura di un articolato volto a ripensare dal profondo le liti anche italiane di modesta entità.

Muovendo dal campo di applicazione, va raccolta a mio avviso l’idea sottesa al regolamento (art. 2) che la parvità della materia va apprezzata con riguardo all’effettivo oggetto della lite, e dunque al solo valore della prestazione principale, esclusi gli accessori (interessi, diritti e spese e, aggiungerei, anche danni). L’inversione della regola impressa dall’art. 10 c.p.c., con la sottolineatura che ai fini della determinazione della competenza (e del conseguente rito) occorre guardare al nucleo della controversia, consente non tanto di facilitare il calcolo del valore8, non solo di ampliare la platea di liti soggette al rito semplificato, ma anche di valorizzare ai nostri fini uno spunto offerto dall’ultima novella del processo civile.

Il nuovo art. 7, terzo comma, n. 3-bis, c.p.c., espande la cognizione del giudice di pace alle

“cause relative agli interessi o accessori da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali”, quante volte – è sottinteso – la prestazione non sia in discussione, perché non contestata o già oggetto di precedente giudicato. La tecnica si potrebbe estendere anche al novero di materie espunte dall’applicazione del modello semplificato che qui si va disegnando. Evocate le esclusioni di cui al regolamento (stato o capacità giuridica delle persone fisiche; regime patrimoniale fra coniugi; testamenti, successioni e obbligazioni alimentari; fallimenti, procedimenti relativi alla liquidazione di imprese o di altre persone giuridiche insolventi, accordi giudiziari, concordati e procedure affini; sicurezza sociale; arbitrato; diritto del lavoro; affitto di immobili, escluse le controversie aventi ad oggetto somme di denaro; violazione della vita privata e dei diritti della personalità, inclusa la diffamazione: art. 2, secondo comma), si potrebbe precisare che simili eccezioni non operano quando, certa o accertata l’obbligazione principale (il nucleo della controversia, appunto), si reclamano soltanto prestazioni accessorie, per tali definendo quelle il cui accertamento è incapace di (ri)mettere in discussione la prestazione principale. In quest’ottica, ad esempio, il giudizio sull’esistenza dell’obbligo alimentare resta devoluto al rito ordinario; ove, però,

7 Si tratta, in sostanza, di recepire le linee generali che già nei primi anni 2000 Biavati, I procedimenti civili semplificati e accelerati: il quadro europeo e i riflessi italiani, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, 757, scorgeva nella normazione europea in tema di processo civile: “mi sembra che l’indicazione emergente sia quella di riportare le attività processuali ad una rigorosa essenzialità, che certo elide non poche situazioni alle quali il giurista pratico è abituato e che, tuttavia, non di rado risultano inutili ai fini dell’illustrazione del caso al giudice”.

8 Com’è negli auspici del considerando n. 10 del regolamento.

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www.judicium.it quell’obbligo sia incontestato, oppure già acclarato con sentenza non più impugnabile, la domanda di pagamento delle singole rate ben potrebbe essere versata nel nuovo procedimento.

Quanto al valore entro il quale la controversia soggiace al rito semplificato suggerirei, in sede di prima applicazione, di fissare il limite a 1100 euro. Per questa via si sostituirebbe al ben più aleatorio giudizio di equità (che pochi, sono certo, rimpiangeranno) una procedura senz’altro semplificata, ma volta all’applicazione delle più certe e verificabili regole di diritto. Ogni evoluzione sul punto sarebbe poi rimessa al risultato: ove il nuovo processo dovesse dare buona prova di sé, si potrebbe progressivamente alzare l’asticella, fino a portarla al limite massimo della competenza del giudice di pace9.

Ove la competenza sia determinata in ragione della materia, proporrei di distinguere: se la causa spetta al tribunale, il procedimento semplificato sarà fuori gioco; se compete al giudice di pace, questi ne apprezzerà anche il valore: se questo è contenuto nel limite di 1100 euro (o in quello più alto eventualmente fissato), la nuova procedura troverà applicazione; se invece la lite è di valore eccedente o non determinabile, dovranno seguirsi le regole ordinarie.

4. Fonte di notevole semplificazione è la proposizione della domanda con le forme – opportunamente adattate - del modulo A allegato al regolamento: anzitutto per l’intuizione felice di guidare l’attore nella compilazione, ciò che agevola la proposizione personale dell’istanza (oggi sfavorita dalla sempre alta processualizzazione delle liti pur modeste) e riduce al minimo i margini per la nullità; e poi per la capacità grafica di evidenziare immediatamente al convenuto e al giudice gli estremi essenziali della pretesa10.

Il modulo di domanda offre, fra gli altri, (ristretto) spazio per “precisare i motivi della domanda ad esempio cosa è successo, dove e quando”. Il requisito ha indotto perspicace dottrina11 a ritagliare per le small claims un oggetto diverso e più ristretto di quello tipico del nostro giudizio. Il procedimento europeo verterebbe non sul diritto soggettivo, ma sull’effetto processuale perseguito dall’attore; sul risultato, vien da dire, non sulla fonte che lo genera. La tesi, da rendere semmai con maggiore nettezza nel testo legislativo che qui si va tratteggiando, condurrebbe a restringere l’oggetto del giudicato alla mera relazione tra i fatti - narrati senza alcuna qualificazione nel modulo - e l’effetto auspicato. In conseguenza, l’accertamento contenuto nella decisione né risalirebbe a

9 Elidendo in tal modo il concorso dinanzi al medesimo giudice di cause a rito nazionale e a rito comunitario, giustamente denunziato da Asprella, Il «procedimento europeo per le controversie di modesta entità», in Giur.

merito, 2008, 35, e da Piccininni, Il nuovo procedimento europeo per le controversie di modesta entità, in Nuove leggi civ. comm., 2008, 1216 s., come fonte di probabile rallentamento per il nuovo procedimento.

10 L’impiego di formulari era già patrocinato da Tarzia, L’ordine europeo del processo civile, in Riv. dir. proc., 2001, 918 ss e da Carratta – Chizzini – Consolo – De Cristofaro, Risposte al libro verde sul procedimento

ingiuntivo europeo, in Int’l Lis, 2003, 148. Non va trascurato, però, l’allarme di chi (Mellone – Pancaldi, Il nuovo regolamento comunitario sulle controversie di modesta entità, cit. 305 ss.) ha giustamente notato che il ricorso ai moduli può riuscire d’ostacolo quando si esigono dalla parte informazioni che postulano nozioni

eccessivamente tecniche (per i due autori: la specificazione del criterio che ha spinto scegliere la giurisdizione di un certo Stato). È chiaro che, ai fini della trasposizione sul piano nazionale che vado proponendo nel testo, anche i modelli andrebbero debitamente riformulati.

11 D’Alessandro, Il procedimento uniforme per le controversie di modesta entità, Torino, 2008, 49 ss.

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www.judicium.it monte agli antecedenti logici, né rifluirebbe a valle sui rapporti dipendenti, limitandosi a disciplinare il risultato perseguito in relazione alla vicenda allegata. Potato delle sue ramificazioni, il giudicato si ridurrebbe in sostanza al divieto del bis in idem, con duplice, convergente ricaduta:

giustificherebbe il ridimensionamento delle attività di trattazione e di prova che sullo sfondo del regolamento comunitario mi accingo a proporre12; solleverebbe i giudici da indagini talora troppo approfondite in rapporto alla parvità della pretesa, ma che la portata espansiva del giudicato non di rado suggerisce loro.

L’esiguità del valore, la semplicità del procedimento e la limitata efficacia del giudicato inducono ad avallare la scelta comunitaria di non esigere la rappresentanza del difensore (art. 11).

La domanda potrà perciò essere compilata e sottoscritta dalla sola parte, semmai prevedendo che dal sito del ministero sia scaricabile copia del relativo modulo, come di ogni altro modello utile al procedimento13. Dal medesimo sito le parti potrebbero attingere istruzioni circa lo svolgimento della procedura, in modo da non rendere di fatto necessario il ricorso all’avvocato.

Il modulo dovrebbe anche invitare l’attore ad allegare i fatti, produrre i documenti e formulare le istanze di prova a pena di decadenza con lo stesso atto introduttivo, avvertendolo che con la controreplica (di cui al paragrafo successivo) potrà svolgere nuove attività solo se ciò sarà reso necessario dalla risposta del convenuto14.

Per la notifica della domanda escluderei – come già il regolamento – il ricorso all’ufficiale giudiziario. Quando, in un futuro che si spera ormai prossimo, sarà capillarmente diffusa la posta elettronica certificata, le comunicazioni saranno di molto semplificate. Oggi, senza escludere il ricorso al mezzo elettronico ove si dovessero costituire difensori muniti di PEC, propenderei per l’impiego della posta, tecnica suggerita dalla fonte europea e fatta propria dalla Repubblica italiana15, con le opportune manipolazioni.

L’attore depositerà l’atto introduttivo e i documenti allegati in duplice copia presso la cancelleria. Il deposito potrà avvenire anche a mezzo posta, all’indirizzo indicato nel sito del ministero per ciascun ufficio del giudice di pace, allegando al modulo fotocopia del documento d’identità. La cancelleria, verificata la conformità, spedisce l’uno e gli altri al convenuto, con l’invito, se vuole replicare, a scaricare il modello di risposta dal sito del ministero e a trasmetterlo entro trenta giorni alla cancelleria, con i documenti giustificativi. La pendenza della lite sarà determinata, ovviamente, dal deposito dell’atto introduttivo.

12 Infra, § 7.

13 Oltre, naturalmente, alla possibilità di reperire i moduli presso ogni ufficio del giudice di pace, come già previsto dall’art. 4, quinto comma, del regolamento.

14 L’esperienza nazionale suggerisce, a mio avviso, di abbandonare il considerando n. 12 del regolamento, per il quale “il modulo di domanda dovrebbe essere corredato, ove opportuno, di documenti giustificativi pertinenti. Tuttavia, ciò non impedisce all’attore di presentare, se del caso, ulteriori prove durante il procedimento. Lo stesso principio dovrebbe applicarsi alla replica da parte del convenuto”.

15 Si legga in proposito, nell’Atlante giudiziario europeo in materia civile edito sul sito della Commissione europea, la comunicazione resa dall’Italia ai sensi dall’art. 25 del regolamento circa i mezzi di comunicazione che ciascuno Stato ritiene di adottare nei procedimenti relativi alle controversie di modesta entità.

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www.judicium.it 5. Il convenuto, se vuole, deposita o spedisce alla cancelleria entro trenta giorni il modulo di replica (C, nell’allegato al regolamento) con la fotocopia del documento d’identità e i documenti in duplice copia. Anche a lui va segnalato l’onere di allegazione, eccezione e prova a pena di decadenza con lo stesso atto. Pur qui opererà proficuamente il principio di non contestazione di cui all’art. 115, primo comma, c.p.c.

Attesa la ridotta efficacia del giudicato, credo sia possibile non ammettere domande riconvenzionali. Le difese che siano in relazione d’incompatibilità o di pregiudizialità con la domanda principale, e che nel rito ordinario potrebbero concretare altrettante pretese riconvenzionali, si reputeranno svolte in via di eccezione16.

La cancelleria trasmette copia della replica e dei documenti all’attore, il quale ha quindici giorni di tempo per spedire una controreplica. Pur questa viene trasmessa dalla cancelleria al convenuto, che ha quindici giorni di tempo per inviare una seconda replica di mera risposta. Solo se la controreplica reca ammissibilmente nuove domande, nuovi fatti, nuove istanze di prova o nuovi documenti, perché indotti dalle difese del convenuto, nelle seconda replica il convenuto può sollevare eccezioni e articolare o produrre prove contrarie.

Se la replica, la controreplica o la seconda replica denunziano di falso un atto pubblico o recano disconoscimento della sottoscrizione di una scrittura privata, il giudice, se ritiene rilevante il documento, con ordinanza sospende il processo e fissa un termine per la proposizione del relativo giudizio dinanzi al tribunale (la querela di falso) o dinanzi a sé (la verificazione) con le forme ordinarie.

6. Innesterei in tal punto l’esame ad opera del giudice di atti introduttivi e documenti.

Potrebbe accadere che le deduzioni dell’attore o del convenuto non siano sufficientemente chiare o i relativi moduli non completati correttamente; oppure che si versi nelle ipotesi di irregolarità di cui all’art. 182, primo comma, c.p.c., o che ricorra un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione. In tutti questi casi il giudice solleciterà per iscritto la parte in difetto a integrare le difese o a regolarizzare la costituzione17; l’inosservanza dell’invito sarà sanzionata con l’inammissibilità della domanda, ove il difetto sussista dal lato dell’attore; con l’irrilevanza delle deduzioni ai fini del decidere, qualora del vizio sia autore il convenuto.

L’atto o il documento integrativo, depositato in duplice copia, sarà trasmesso dalla cancelleria all’altra parte: dalla ricezione, decorreranno i trenta giorni per la risposta del convenuto o i quindici giorni per la controreplica dell’attore di cui al paragrafo precedente.

In questa fase il giudice è anche in grado di interrogarsi sulla praticabilità del rito alternativo. Ove ritenga che per materia o per valore il procedimento semplificato non sia impiegabile, dichiara l’improcedibilità della domanda con provvedimento non impugnabile. Sul modello forgiato dall’art. 59, l. n. 69/2009 per la declinatoria di giurisdizione, la riproposizione della stessa entro trenta giorni con le forme dovute, oltre a vincolare l’eventuale giudice ad quem,

16 Si tratta, del resto, di quanto già adombra il considerando n. 17 del regolamento: pur contemplando lo strumento europeo la facoltà di proporre riconvenzionali, “qualora il convenuto invochi un diritto di compensazione nel corso del procedimento, tale richiesta non dovrebbe costituire una domanda riconvenzionale ai fini del presente regolamento”: sul punto v. anche Bina, Il procedimento europeo per le controversie di modesta entità (reg. Ce n. 861/2007), in Riv. dir. proc., 2008, 1633.

17 Utile qui l’impiego di uno schema simile al modulo B allegato al regolamento.

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www.judicium.it ne farà salvi gli effetti processuali e sostanziali18. Attesa la singolarità del rito, converrebbe, però, prevedere che nel nuovo giudizio non si riverberano preclusioni e decadenze eventualmente maturate nella sede errata. In deroga all’art. 59 cit., introdurrei la medesima previsione anche per il caso in cui il giudice dovesse dichiarare il difetto di giurisdizione.

7. Ove non vi siano difetti da sanare, o una volta colmate le eventuali lacune, il giudice passa – contestualmente, nel primo caso – alla delibazione delle istanze di prova.

La fase dell’istruzione in senso stretto è all’evidenza determinante per assicurare la rapidità della lite. Ne è consapevole anche il regolamento, nel punto in cui sancisce che “l’organo giurisdizionale può acquisire elementi di prova tramite perizie o audizione di testimoni soltanto se ciò è necessario ai fini della sentenza” (art. 9, secondo comma).

Più in generale, deve prendersi atto che la prova per testimoni è mezzo ormai altamente inaffidabile. Direi, anzi, che, in armonia con lo spirito del tempo, la sua inattendibilità è tanto maggiore quanto minore è il valore della causa: per importi minimi e vicende di scarso rilievo, il terzo è ancor meno disincentivato dal rendere dichiarazioni compiacenti ad una delle parti, attesa la parvità degli effetti della decisione in danno dell’altro litigante.

In questo quadro si rende possibile, io credo, limitare ancor di più, nella prospettiva vincolante e nazionalizzante del procedimento che fa qui da spunto, il ricorso alla prova orale.

Emenderei perciò la prescrizione del regolamento nel seguente modo: “il giudice può ammettere la prova per testimoni dei soli fatti per cui la parte non fu in grado di procurarsi la prova documentale”. La proposta, volta che sia metabolizzata dalla pratica, trasferirebbe dalla sede processuale al momento negoziale l’attività di formazione dei mezzi istruttori.

L’idea è che il processo, perlomeno quello allestito per le cause minute, non può essere il luogo nel quale le parti vanno a costruirsi quella prova che non hanno avuto cura di procurarsi fuori e prima di esso; e che, con gli odierni mezzi tecnici e in ossequio alle incisive regole fiscali oggi vigenti, sia possibile ben più che in passato procurarsi la prova documentale. La modifica indurrebbe un cambiamento anche nell’habitus mentale dell’utente. Questi più non potrebbe accontentarsi della stretta di mano con l’interlocutore (fornitore, artigiano, commerciante, professionista) nella persuasione che, in caso di dissidio, tutto potrà essere provato per testimoni e presunzioni: dovrà, invece, disporsi a mettere nero su bianco tutto e subito, perché, ove dovesse sorgere conflitto, ciò che non è documentato al momento non esisterà in futuro. Qualcuno dirà che la soluzione urta contro la fluidità dei commerci: risponderei che, da un lato, sono moderne regole non processuali a imporre ben più che in antico la formazione di una prova documentale (dallo scontrino fiscale alla fattura) e, dall’altro, che notevole è il risparmio di tempo e di risorse che si consegue se il processo delocalizza parte della sua produzione all’esterno.

18 L’art. 4, terzo comma, del regolamento, prescrive invece che “se la domanda non rientra nel campo di applicazione del presente regolamento l’organo giurisdizionale ne informa l’attore. A meno che l’attore non ritiri la domanda, l’organo giurisdizionale esamina la controversia secondo il diritto processuale applicabile nello Stato membro in cui si svolge il procedimento”. La soluzione che patrocino nel testo mi sembra però più semplice e lineare, dovendosi altrimenti escogitare tecniche di coordinamento con il processo ordinario in punto di arricchimento degli atti introduttivi, di assegnazione di più lunghi termini a difesa, di raccordo con la prima udienza capaci di ingenerare non poca confusione.

(10)

www.judicium.it Naturalmente vi saranno casi in cui la prova per testimoni è indispensabile. Ciò, però, non nella vaga e imprecisata accezione in cui l’aggettivo è impiegato dagli artt. 345 e 437 c.p.c., ma in quella ben più stringente vista sopra di “fatti per cui la parte non fu in grado di procurarsi la prova documentale” (si pensi al sinistro stradale). Per queste ipotesi suggerirei il ricorso alla testimonianza scritta, scevra però delle rigide forme in cui la ingessano i nuovi artt. 257-bis e 103-bis, disp.att., c.p.c., e così rimodulata.

Anzitutto, sarà possibile fornire fin da principio spontanee dichiarazioni scritte di terzi, corredate della fotocopia del documento d’identità in luogo della firma autenticata. Ove il giudice dubiti della genuinità della deposizione, o la parte mostri di aver sollecitato per raccomandata la deposizione al terzo e di non averla ottenuta, il giudice che ammette la prova, in luogo di disporne la comparizione, formula i quesiti da rivolgergli e fa spedire il relativo modulo dal cancelliere. Il modulo conterrà l’ammonimento a dire il vero, l’elenco delle conseguenze anche penali cui va incontro il teste in caso di false dichiarazioni, l’avviso circa l’ammenda che gli sarà comminata se non restituisce il modulo compilato con la fotocopia del documento d’identità, la precisazione che il giudice potrà disporne la comparizione in udienza, anche mediante accompagnamento coattivo, in caso di mancata, confusa o non convincente risposta. Il timore della sanzione pecuniaria e, più ancora, la prospettiva di dover deporre oralmente con dispendio di tempo, fungeranno da incentivi al teste perché renda una soddisfacente deposizione scritta.

Anche la consulenza tecnica avrà luogo in modo da impegnare al minimo l’ufficio. La parte che ne ha interesse avrà indicato nel modulo introduttivo il luogo in cui si trovano le cose da periziare e, se si tratta di beni nella sua disponibilità, anche il giorno e l’ora in cui consente che ciò accada. Il ctu, officiato via posta dal giudice, si recherà sul posto e procederà all’indagine. La trasmissione dell’elaborato alle parti, le osservazioni di queste e il deposito in cancelleria avverranno nei termini fissati con l’ordinanza di conferimento dell’incarico nei modi dell’art. 195, terzo comma, c.p.c. Eventuali chiarimenti saranno chiesti dal giudice per iscritto al consulente.

8. Entro trenta giorni da quando ogni attività è cessata (e dunque dalla controreplica dell’attore, dalla seconda replica del convenuto, in mancanza dalla scadenza dei relativi termini, dall’arrivo delle deposizioni scritte dal teste, dal deposito della ctu, dal ricevimento dei chiarimenti sollecitati al consulente, dall’udienza fissata per audire il teste) il giudice invita le parti a illustrare, sempre per iscritto, la causa. Ricevute le deduzioni, o trascorsi dieci giorni dall’invito, deve emettere sentenza. In applicazione dell’art. 101, secondo comma, c.p.c., se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, assegna alle parti, a pena di nullità, ulteriore termine di dieci giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione.

La sentenza va depositata entro trenta giorni. Il deposito oltre il termine, ma nei sessanta giorni, riduce alla metà il compenso per la redazione. Oltre i sessanta giorni nulla compete al giudice di pace, ferma in ogni caso la responsabilità disciplinare per il ritardo. Il governo delle spese seguirà le regole del processo ordinario.

La sentenza, immediatamente esecutiva, è spedita alle parti a cura della cancelleria. Dalla ricezione decorre il termine breve per l’impugnazione.

Per chi voglia conservare l’appello, questo sarà proponibile per i soli motivi dell’art. 339, terzo comma c.p.c., e dunque “… esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia”.

(11)

www.judicium.it Attesa l’esiguità degli interessi in conflitto, proporrei di rinunciare al doppio grado, per affidarsi direttamente e soltanto al ricorso per cassazione.

9. In ragione della coincidenza – sia pur solo parziale - della specie di prova che ne forma il perno, andrebbe anche regolato il rapporto fra il nuovo procedimento e la procedura d’ingiunzione.

In chiave teorica le soluzioni concepibili sono due: o vietare il ricorso al decreto ingiuntivo per i crediti di modesta entità; o prevedere che l’opposizione al provvedimento monitorio abbia luogo nelle forme semplificate che si sono abbozzate.

Considerazioni squisitamente pratiche m’indurrebbero a sponsorizzare la prima via.

L’istanza d’ingiunzione impegna immediatamente e personalmente il giudice, laddove il rito sopra descritto si apre con una fase di scambio che esige il lavoro della sola cancelleria. In questo frangente è probabile che il convenuto che ha in animo di assolvere il debito paghi, in tal modo evitando la prosecuzione del giudizio. All’inverso, la pratica mostra che il debitore che chi ha intenzione di resistere non è affatto dissuaso dall’emissione del provvedimento monitorio. Quanto poi alla necessità di ottenere immediatamente un titolo esecutivo, questa dovrebbe essere sopperita dalla estrema rapidità del procedimento. Per i casi, auspicabilmente non frequenti, di maggiore durata, la dismissione del decreto ingiuntivo potrebbe essere colmata con il ricorso all’art. 186-ter c.p.c., oggi di fatto inutilizzato proprio per il concorso del procedimento monitorio.

Comprendo, però, che sarebbe impervio imporre agli avvocati una soluzione tanto categorica. Dovrebbe poi tenersi conto della diversità di trattamento con i crediti transfrontalieri, che non potrebbero essere sottratti al procedimento ingiuntivo europeo. Per queste ragioni mi sembra più opportuna la tecnica del raccordo: conseguito decreto ingiuntivo per un credito di modesta entità, il giudizio di opposizione andrà promosso e coltivato per gli effetti di cui agli artt.

647 ss., c.p.c., ma nei modi del rito previsto per le controversie di corrispondente valore.

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