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Spunti per uno studio sulla politica della Federazione Russa nell'area del Mar Nero 1991-2013

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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PISA Facoltà di Scienze Politiche

CORSO DI LAUREA IN STUDI INTERNAZIONALI

Tesi di Laurea

“Spunti per uno studio sulla politica della Federazione Russa verso il

bacino del Mar Nero 1991-2013”

Relatore Candidato Prof. Maurizio Vernassa Ilenia Maria Calafiore

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INDICE

Introduzione

Capitolo I La dissoluzione sovietica

1.1 Dall'Urss alla Russia

1.1.1 Il capitalismo russo e la democrazia: gli anni di El'cin 1.1.1 La presidenza Putin

1.2 Lo spazio ex-sovietico: in fuga dalla Russia 1.2.1 La Comunità degli Stati Indipendenti

Capitolo II I conflitti non risolti dello spazio ex sovietico

2.1 Scontro in Azerbaijan: il Nagorno-Karabakh e le sue ripercussioni internazionali 2.2 Georgia problemi vecchi e nuovi

2.2.1 La Rivoluzione delle Rose

2.2.2 Abkhazia ed Ossezia del Sud, un conflitto latente 2.2.3 La guerra russo-georgiana del 2008

2.2.4 La Nuova Georgia 2.3 L'Ucraina

2.3.1 La Rivoluzione Arancione 2.3.2 L'Ucraina post-rivoluzionaria

2.3.3 L'instabilità di governo nel periodo 2006-2008

2.3.4 I riflessi nella politica interna ucraina della crisi georgiana del 2008 2.3.5 La Crimea: una storia russa

Capitolo III La questione energetica

3.1 Le condutture: percorsi di ieri e di oggi 3.2 Il triangolo energetico e le crisi del gas

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3.2.2. Le crisi del gas russo-bielorusse del 2007 e 2010 3.3 L'Europa: conseguenze e strumenti

3.3.1 Il Nabucco

3.4 La Turchia. Sfida energetica 3.4.1 Il progetto Akkayu

Capitolo IV La Russia e la sfida islamica

4.1 Il nodo gordiano del Cremlino: Il nodo gordiano del Cremlino: il Caucaso Settentrionale, l'Islam ed il terrorismo

4.1.1 Il Caucaso Settentrionale e la Georgia 4.1.2 L'avanzata dell'Islam

4.1.3 La legislazione anti-terrorismo

4.2 L'Islam fuori dai confini: Primavera araba e conflitto siriano

4.2.1 Gli equilibri del Medio Oriente dopo la Primavera Araba ed il modello turco 4.3 L'Asse Ankara-Mosca

4.3.1 L'islam turco

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Сначало, прежде всего,

нужно перестоит головы

людей.

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Introduzione

A poco più di vent'anni dalla dissoluzione dell'Unione Sovietica, la Federazione Russa ha avviato un processo che mira a riaffermare Mosca nello scenario internazionale come potenza mondiale e ciò attraverso l'acquisizione di una nuova influenza su aree di suo naturale interesse come quella del Mar Nero. Il presente lavoro vuole dare una panoramica generale della politica del Cremlino nell'area dopo il 1991. Le relazioni fra Mosca e i nuovi paesi indipendenti verranno analizzate soffermandosi sui punti di criticità per gli i paesi che hanno optato per politiche internazionali più filo-europee, come Georgia e Ucraina, e privilegiando i punti di contatto per i paesi che sono rimasti più vicini alla Russia.

L'importanza delle relazioni energetiche, attraverso cui Mosca si sta imponendo nella scena mondiale come protagonista di primo livello, verrà presa in esame analizzando come primo fattore gli accordi commerciali di difficile stipulazione con Ucraina, Bielorussia e Moldavia quali territori di transito, ponendo l'accento sulle criticità che questi contratti hanno causato negli anni; verrà trattata inoltre la collaborazione fra Mosca ed Ankara nel medesimo settore, l'avvio dei progetti comuni non soltanto relativamente agli idrocarburi ma altresì riguardo il nucleare.

Il rapporto fra le due capitali è di certo ambivalente ed oltre alle collaborazioni in svariati ambiti, si terrà conto della loro rivalità e dei progetti concorrenti per i rifornimenti del maggior consumatore energetico ossia l'Unione Europea, ma anche la sfida per una maggiore l'influenza sui paesi facenti parte dell'area del Mar Nero nel tentativo comune alle due capitali di divenire il primo competitor regionale.

Una delle sfide che la nuova Russia dovrà affrontare nei prossimi anni e che in parte sta già affrontando è di certo quella contro gli estremismi islamici. La spinosa questione dell'instabilità del Caucaso è uno dei nodi gordiani che Mosca dovrà risolvere per proporsi come stato forte. La risoluzione del conflitto come vedremo impegna più stati su più fronti: al Nord naturalmente la Russia, gli scontri nelle repubbliche indipendenti caucasiche minacciano la sovranità statale sia a causa delle spinte indipendentiste, sia a i

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causa degli attentati di matrice islamica che sconvolgono da anni non solo la regione. La stabilità del Caucaso russo potrebbe rappresentare un primo passo per la stabilizzazione di tutta l'area.

A Sud la situazione non è più semplice per la presenza di almeno due conflitti, ossia quello fra la Georgia e le sue due regioni autonome, Abkhazia ed Ossezia del Sud; quello fra l'Armenia e l'Azerbaijan, in competizione per il controllo della regione del Nagorno-Karabakh. Oltre agli stati direttamente coinvolti si evidenzierà la partecipazione e gli interessi di altri attori regionali che intervengono nell'area componendo il complesso mosaico caucasico.

Se Mosca sarà in grado o no di conquistare una maggiore influenza sui paesi del bacino del Mar Nero dipenderà da una strategia in grado da una parte di mantenere il ruolo di leader che già esercita su alcuni paesi, dall'altro proporsi come tale per nuovi stati in cerca di una propria collocazione internazionale.

La posta in gioco sia in termini politici che economici è molto alta. Mosca sarà in grado di vincere la sfida?

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Capitolo I La dissoluzione sovietica

1.1 Dall'URSS alla Russia

«Abbiamo bisogno di una rivoluzione dall'alto. Nulla di più e nulla di meno, altrimenti non andremo da nessuna parte. Mikhail Sergeevič questo lo capisce?»1. A scrivere queste parole

nel proprio diario è A.S. Černjaev, consigliere di Gorbačëv per la politica estera, all'indomani del funerale di Černenko il 13 Marzo del 1985. La riforma del sistema «cominciata in modo strisciante negli ultimi anni di Brežnev, accellerata da Andropov a rallentata da Černenko»2

era avvertita come essenziale da Gorbačëv, che la espose al plenum del Pcus nel 1985.

Una delle difficoltà maggiori era rappresentata dalla vastità dell'Unione Sovietica, sia in termini geografici, con oltre 22 milioni di Km², che demografici, circa 300 milioni di abitanti3; inoltre né Gorbačëv né i suoi consiglieri possedevano il reale quadro della

situazione in cui versava l'Unione e ciò anche a causa delle falsificazioni delle statistiche attuate nel corso degli anni dal regime e dalla erroneità dei dati ufficiali45. Di conseguenza

l'impianto di riforme benché mirato al miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini non aveva un piano definito. Nelle parole di Jakovlev «quanto al programma, semplicemente non poteva esistere»6.

Il piano ideato dal Segretario Generale del Partito Comunista si articolava in tre punti: riformare l'economia sovietica, ossia un'economia arretrata basata su una struttura conservatrice restia al cambiamento, un'economia dai prodotti di bassa qualità, non efficiente e non competitiva7; migliorare i rapporti con l'Occidente; concludere la guerra in Afghanistan8

iniziata nel 1979 e che alla fine della campagna conclusasi nel 1989 avrebbe prodotto, soltanto fra i soldati sovietici, più di 15.000 morti e oltre 10.000 invalidi9 che tornati in patria

1 A. Graziosi, L'Urss dal trionfo al degrado, Bologna, Il Mulino, 2008, p.505. 2 Ivi, p. 507

3 http://www.accademiageograficamondiale.com/russia/articoli/notiziedaaccademici.pdf 4 Abel G. Aganbegjan, La Perestrojka della economia, Milano, Rizzoli, 1988, p.12 5 A. Graziosi, op. cit. p.520

6 A. Graziosi, op. cit. p.522 7 A. Aganbengjan, op. cit. p.10

8 La guerra russo-afghana si svolse nel decennio tra il 1979 ed il 1989:l'obiettivo sovietico fu quello di rendere

presidente Bebrak Karmal, che avrebbe instaurato un regime comunista. Le truppe sovietiche e quelle del PDPA, il partito democratico popolare afghano, non riuscirono mai a controllare tutto il paese a causa della ferocissima guerrilla organizzata dai mujahiddin. L'avventura afgana si risolse con gli accordi di Ginevra che stabilirono la ritirata dei soldati russi.

9 David Isby, Steven J. Zaloga, Mir Bahmanyar, I sovietici in Afghanistan, Oxford, Osprey Publishing, 2011,

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non avrebbero goduto di sufficiente sostegno sociale10.

Le riforme di tipo economico incontrarono l'opposizione sia da parte di coloro che temevano che la ristrutturazione del sistema potesse intaccare i propri interessi, sia da una parte della

nomenklatura convinta che il sistema sovietico funzionasse e avesse bisogno non di svolte

radicali e trasformazioni di grande portata, bensì di correzioni e aggiustamenti specifici11.

Inoltre l'URSS rimaneva la bandiera del socialismo e uno dei problemi con cui Gorbačëv e i suoi consiglieri dovettero scontrarsi fu prettamente ideologico, ossia non poter affrontare i problemi di un'economia che doveva aprirsi di più, e meglio, verso l'estero ma senza poter parlare di mercato, di capitali, di proprietà privata. Nelle parole del presidente: «La perestrojka è un processo rivoluzionario, poiché è un balzo in avanti nello sviluppo del

socialismo, nella realizzazione delle sue caratteristiche fondamentali»12.

Il programma delle riforme avrebbe dovuto essere accettato dal Gosplan (Gosudarstvenny Komitet po Planirovaniyu, Commissione statale per la pianificazione) che poi si sarebbe occupato della sua applicazione; ma la Commissione nella sua analisi riscontrò non pochi problemi sulla sua effettiva attuabilità a causa dell'incoerenza e vaghezza delle proposte13 in

esso contenute e rigettò la bozza del piano per ben tre volte prima di accettarla, cosa che avvenne per mezzo di pressioni. La leadership, per altro, premette non solo per l'approvazione del piano, ma persino affinché la Commissione fornisse previsioni ottimistiche sulla sua riuscita14. Ciò provocò delle tensioni ed il Gosplan venne accusato di ostacolare la riforma

del sistema e di voler gestire l'economia in modo indipendente15; le ostilità che si generarono

a seguito delle accuse sono spiegabili con il desiderio da parte della dirigenza di ottenere dei risultati il più rapidamente possibile; ma ciò divenne la principale debolezza del metodo stesso perché impedì di seguire gli effetti di quello che fu un esperimento e di fare degli aggiustamenti al piano originario ogni qual volta si fossero verificati risultati inaspettati; così facendo si impedì anche alle imprese di adattarsi gradualmente alle nuove condizioni16.

Per la Perestrojka vennero stanziati più di 1.000 miliardi di rubli17: la priorità venne data al

complesso agro-industriale, seguiva il settore energetico, quello della produzione dei beni di consumo, quello chimico ed infine quello meccanico18. La riforma avvenne con la legge del

10 Andrea Graziosi, L'Unione Sovietica, Bologna, Il Mulino, 2011, p. 189 11 Ibidem p. 194

12 M. Gorbaciov, Perestojka. Il nuovo pensiero per il nostro paese e per il mondo, Milano, Mondadori Editore,

1987, p.60

13 Giuseppe D'Amato, La disunione sovietica. Da superpotenza a periferia della globalizzazione, Milano,

Greco&Greco Editori, 2012, p.233

14 Ibidem p.243

15 Michael Ellman, Vladimir Kontorovich, The Destruction of the Soviet Economic System: An insider's History, New York, M.E. Sharp, 1998, p.109

16 Ibidem p.114

17 Alfred J. Rieber Alvin Rubistein, Perestoika at the Crossroad, New York, M.E.Sharpe, 1991, p. 97 18 A. Graziosi, L'Urss dal trionfo al degrado, op. cit. p.534

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30 giugno 1987, che stabiliva i principi economici e giuridici a cui aziende e imprese avrebbero dovuto attenersi e consolidava la proprietà statale sui mezzi di produzione nei diversi settori compreso quello agro-industriale19; all'interno della legge era stabilito che la

pianificazione e la vendita della produzione erano affidate alle aziende, le quali erano tenute a studiare il mercato così da essere pienamente efficienti; fu stabilito che le imprese non potevano essere in perdita, pena la chiusura; le cooperative agricole, sia i kolchozy che

sovchozy20, venivano riformati. Per quanto riguarda l'agricoltura le riforme dovevano avvenire contemporaneamente ad un miglioramento sostanziale della qualità di vita nelle campagne oltre che da una crescita civile e sociale21 della popolazione che abitava i villaggi.

Il programma che avrebbe riformato l'economia sovietica sarebbe stata attuata contemporaneamente all'altra rivoluzione, di natura ideologica: la glasnost', attuata nella convinzione che la riuscita della Perestrojka dipendeva dal clima socio-psicologico della società22. L'obiettivo fu quello di iniziare un percorso democratico che coinvolgesse la

popolazione attraverso la diminuzione della censura nei media, la circolazione di opere letterarie fino a quel momento proibite, la pubblicazione di dati, statistiche e numeri (reali) sull'andamento del settore commerciale, sul bilancio militare, sull'inquinamento atmosferico. Vennero resi noti persino alcuni report -accuratamente selezionati- stilati dal Politburo23;

divenne più facile viaggiare e ciò favorì contatti con gli altri paesi e la conoscenza dello stile ma sopratutto della qualità della vita occidentale.

Noi vogliamo una maggiore trasparenza negli affari pubblici in ogni sfera della vita. E' importante avere conoscenza di tutto […] servirsene, fare in modo che sia utile a tutto il Popolo, a tutto il Partito, in modo che i germogli di una nuova mentalità possono venire usati nelle condizioni della Perestrojka. L'importante è la verità. Lenin diceva:” Più luce! Il Partito deve sapere tutto!”. Mai come adesso abbiamo bisogno che non ci siano più angoli bui dove può riapparire la muffa e dove potrebbe incominciare ad accumularsi tutto ciò che abbiamo preso a combattere con tanta decisione24.

Questa apertura nella divulgazione di informazioni portò alla ribalta alcuni aspetti scomodi

19 Agostino Bagnato, Perestrojka e Agricoltura, Roma, Sydaco Editrice, 1989, p.107

20 I Kolchozy, abbreviazione di “kollektivnoe chozjajstvo” ossia “economia agricola collettiva”, furono delle

cooperative agricole create in URSS nel 1927 dopo la collettivizzazione, che si basavano sulla gestione collettiva della lavorazione della terra; i Sovchozy, invece, abbreviazione di “sovetskoe chozjajstvo” ossia “economia agricola sovietica” furono delle aziende create negli anni'30 in Unione Sovietica, nelle quali i contadini erano dei veri e propri dipendenti statali, ed il raccolto proprietà dello stato.

21 A. Bagnato, op. cit. p.109 22 A.G.Aganbegjan, op. cit. p. 12

23 A. Graziosi, L'Unione Sovietica, op. cit. p.302 24 M. Gorbaciov, op. cit. , p.92

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per il regime: la situazione privilegiata nella quale viveva l'élite, dal tenore di vita enormemente più alto rispetto a quello della popolazione, provocò un'ondata di risentimento che venne presto sfruttata da alcuni esponenti politici, ad esempio da El'cin che in un discorso tenuto nel 1988 affermò che al paese non servivano comunisti speciali25. Inoltre con la glasnost' iniziarono a diffondersi notizie sulla violenza repressiva perpetrata dal regime, sui crimini contro l'umanità, sulle vittime del Grande Terrore per le quali venne istituita un'apposita “Commissione di riabilitazione”26. Tutto ciò ebbe un effetto delegittimante

sull'élite al governo e fece esplodere il malcontento popolare.

Peraltro, se la glasnost' può considerarsi di certo un'apertura, tuttavia non si può parlare di libertà vera e propria (di stampa, di parola, di informazione) perché persistette una tendenza generale nella manipolazione dei media, riscontrabile ad esempio in occasione del disastro di Chernobyl27.

Già a partire dal 1987 la dirigenza sovietica dovette prendere atto che la ristrutturazione del sistema non stava dando i risultati sperati: al fine di modificare profondamente la struttura dell'Unione erano necessarie riforme più incisive ed impopolari, ma Gorbačëv diventava sempre più timoroso e restio ad adottare provvedimenti decisi, sopratutto in merito alla questione nazionale28. Già nel dicembre del 1987 il Kgb aveva inviato un rapporto al

riguardo, esprimendo crescenti preoccupazioni verso le tendenze nazionalistiche che diventavano sempre più forti in alcune regioni più che in altre, ad esempio in Ucraina, Bielorussia e Georgia. La situazione si deteriorò in seguito a due avvenimenti che minarono ulteriormente l'immagine del sistema sovietico, ossia il disastro nucleare di Chernobyl del 1985 ed il terremoto in Armenia nel 1988. Un dato accomuna i due eventi: non si hanno cifre certe sul numero delle vittime ed i dati ufficiali si discostano enormemente da quelli delle organizzazioni non governative. Per quanto riguarda Chernobyl, la stampa sovietica dichiarò che i morti a seguito dell'incidente furono 4.00029, mentre contando anche coloro che

morirono a seguito delle radiazioni, le ONG stimarono almeno 900.000 vittime30. Il disastro

nucleare mise in rilievo la disorganizzazione e l'inefficienza della macchina burocratica che non seppe né avvertire per tempo, né evacuare i cittadini delle zone limitrofe31. Lo stesso

25 A. Graziosi, L'Unione Sovietica, op. cit. p. 211 26 Ibidem p.222

27 Joseph Gibbs, Borbachev's Glasnost: the Soviet Media in the forst phase of Perestrojka, Collage Station,

Texas A&M University, 1999, p. 178

Glastnost in Jeopardy, Human Rights Watch, 1991.

Mikhail Gorbačëv, La Perestrojka vent'anni dopo, www.associazioneitaloslava.it.

28 A. Graziosi, L'Urss dal trionfo al degrado, op. cit. p.523 29 http://www.i-sis.org.uk/theTruthAboutChernobyl.php

http://www.iaea.org/newscenter/focus/chernobyl/faqs.shtml

30 G. D'Amato,op. cit. p.612 31 D'amato, op. cit. p.356

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accadde per il terremoto in Armenia, che causò non meno di 50.000 vittime e suscitò lo sdegno dell'opinione pubblica a causa della facilità con cui le case e le scuole mal costruite crollarono e della lentezza con cui, anche in questo caso, furono prestati i soccorsi32.

Alle soglie del 1990 il fallimento della Perestrojka divenne palese: il settore industriale non registrava alcun miglioramento ed anzi la situazione generale era peggiore di quanto non lo fosse nel 198533; i vecchi impianti, in perdita, era stati chiusi, senza che seguisse un rinnovo,

causando il crollo del prodotto lordo federale; il mercato nero si sviluppò ai danni della distribuzione statale, per altro gravemente insufficiente, con percentuali di vendita illegale che per alcuni prodotti arrivarono al 75%34; aumentò il deficit e crebbe l'emissione di moneta; con

l'eliminazione degli indicatori della produzione le aziende iniziarono a produrre merci che non venivano vendute creando squilibri nel mercato interno; inoltre, a seguito del provvedimento che dava il potere ai lavoratori di eleggere i dirigenti e alla legge sulle imprese del 1987, si verificò un aumento dei salari, con una crescita del reddito monetario della popolazione di 42 miliardi solo nel 1988. Questo provocò l'aumento del deficit statale e allargò ancora di più il divario fra la capacità d'acquisto e la disponibilità di beni35.

Anche il settore agrario non ebbe una performance migliore, crisi testimoniata da una drastica riduzione delle scorte di grano; l'obiettivo di migliorare la nutrizione della popolazione non era stato raggiunto, benché i valori di produzione alimentare fossero maggiori rispetto a quelli del biennio '81-'8236, in un discorso tenuto alla fine del 1988 persino Gorbačëv ammise il

peggioramento della situazione alimentare dell'Unione37; anche l'industria energetica era in

difficoltà, dato il rapido consumo delle scorte.

Gli economisti stimarono che all'Unione Sovietica rimanessero al massimo due mesi di tempo prima del tracollo definitivo38.

I molteplici insuccessi della Perestrojka finirono con il minare l'autorità non solo del potere centrale, ma di Gorbačëv stesso. A criticare l'eccessiva lentezza delle riforme, nonché la loro inconcludenza, c'era Boris El'cin, Presidente del soviet supremo della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, il quale guadagnava consensi non solo da parte della popolazione russa ma anche quelli di una parte della dirigenza che iniziò a veder in lui «il campione della

32 A. Graziosi, L'Urss dal trionfo al degrado., p.579 33 P. Boettke, op.cit. p.41

34 Ibidem p. 43

35 A. Graziosi, L'Unione Sovietica, op. cit. p. 566

36 Joseph E. Medley, Soviet Agricolture: a critique of the myths constructed bywestern critics, University of

Southern Maine, 2009, p. 97

37 A. Bagnato, op. cit. p.56 38 G. D'amato, op. cit. p. 433

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vera riforma contro una Perestrojka capace solo di accrescere la miseria»39. Il punto di svolta

fu la dichiarazione di sovranità della RSFSR nel giugno del 1990 che segnò l'inizio della dissoluzione dell'Urss40.

La sovranità russa implicò la frammentazione non solo politica, ma anche economica dell'Unione; ad essa, infatti, seguì la legge approvata dalla Duma che sottraeva le risorse naturali in territorio russo al potere centrale; le altre repubbliche ne seguirono l'esempio, e smisero di applicare leggi verso le quali non erano d'accordo, come quelle sullo spostamento delle derrate alimentari, già scarse in tutti i territori dell'Unione.

All'andamento disastroso dell'economia si unì la fine dell'influenza sovietica sull'Europa Orientale: solo nel 1989 si verificarono la caduta dei regimi in Bulgaria e Romania, la Rivoluzione di Velluto in Cecoslovacchia, e l'inizio del processo di riunificazione della Germania segnato dall'eliminazione delle restrizioni dell'Ungheria con la frontiera austriaca, fatto che spinse migliaia di tedeschi a lasciare la DDR41.

Fu proprio la palese debolezza di Mosca a far esplodere le numerose istanze indipendentiste all'interno dell'Urss. Nel tentativo di salvare l'eredità sovietica, Gorbačëv iniziò a formulare il progetto di una nuova Unione, non più di stampo verticistico ma di tipo federale. El'cin e Gorbačëv, malgrado i passati contrasti, iniziarono a lavorare insieme al nuovo trattato, ma si evidenziò fin da subito una differenza rilevante: El'cin voleva un'Unione dove la Russia avrebbe avuto una posizione privilegiata rispetto le altre repubbliche, Gorbačëv invece voleva fondare l'Unione delle Repubbliche Sovietiche Sovrane42, dando eguale potere a tutti i

membri. Anche il popolo sovietico era favorevole alla conservazione dell'Unione sotto un'altra forma, come deducibile dal referendum indetto il 17 marzo del 1991 che alla domanda: «Considerate voi necessario preservare l'Urss come una federazione rinnovata di repubbliche sovrane ed eguali, in cui i diritti umani e le libertà degli abitanti di tutte le nazionalità siano pienamente garantiti?» aveva dato come risultato medio il 76% dei consensi43, con picchi del 95% e 97% rispettivamente in Uzbekistan e Turkmenistan 44.

Parte della nomenklatura era contraria a qualsiasi cambiamento nella forma dell'Unione; questa contrarietà si concretizzò nella preparazione di un golpe, organizzato proprio durante

39 A. Graziosi, L'Unione Sovietica, op. cit. p. 453

40 A. Graziosi, L'Urss dal trionfo al degrado, op. cit. p.221

41 Troppi i profughi dall'Est, Bonn chiude le ambasciate, in “La Repubblica” 23/8/1989 42 A. Graziosi, L'Urss dal trionfo al degrado,op. Cit. p.232

43 A. Graziosi, L'Urss dal trionfo al degrado, op. cit. p. 201 44 http://en.ria.ru/infographics/20110313/162959645.html

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le trattative fra Gorbačëv e El'cin nel tentativo di sfruttare il caos in cui imperversava la dirigenza. Il Comitato statale per lo stato di emergenza, organizzatore del golpe, era composto da 17 uomini; una delegazione si recò preventivamente da Gorbačëv, che si trovava in quel periodo a Foros in Crimea, per ottenere la sua benedizione45, sicuri di ricevere il suo

appoggio in quanto del golpe il presidente sarebbe stato un sicuro beneficiario; ma Gorbačëv negò la sua partecipazione, producendo lo scoramento di alcuni dei membri del Comitato che abbandonarono il progetto. Il colpo di stato ebbe comunque luogo, tuttavia la disorganizzazione dei congiurati venne evidenziata da almeno due fatti, cioè dalla mancanza di arresti preventivi, come quella di El'cin, che rientrando frettolosamente a Mosca salì su un carro armato e con un megafono in mano denunciò il tentativo di golpe; e dal fatto che le immagini di El'cin vennero trasmesse dal telegiornale Vremja il che dimostrò che i golpisti non si erano assicurati neppure il controllo dei mezzi di informazione46. Inoltre, l'indecisione

da parte dei membri del Comitato circa l'utilizzo della violenza giocò a sfavore della riuscita del golpe.

Gli organizzatori del golpe rappresentavano quasi tutti i settori dell'apparato sovietico: il suo fallimento simboleggiò la fine del sistema stesso47.

A seguito del tentativo di golpe e con lo scioglimento del PCUS nella RSFSR decretato da El'cin, le repubbliche decisero che il momento dell'indipendenza era giunto.

La Perestrojka era fallita e l'Unione Sovietica aveva cessato di esistere.

1.1.1 Il capitalismo russo e la democrazia: gli anni di El'cin

«In quei giorni il potere cadde ai piedi dei democratici […], la strategia di El'cin si era orientata verso una lunga e dura lotta con il governo centrale, per ridurne man mano l'ambito e negargli il diritto di governare la Russia»48, a pronunciare queste parole Oleg Popkov,

confidente di El'cin.

Al nuovo presidente della Russia spettava adesso il compito di ricostruire un paese non da zero, ma dalle macerie di un altro. A differenza di Gorbačëv, El'cin non aveva limiti di tipo ideologico e l'obiettivo fu quello di trasformare la Russia in una economia capitalista.

La priorità del nuovo governo furono riforme che ebbero come obiettivo la conversione dell'economia russa in una economia di mercato. Le personalità principali che si occuparono

45 A. Graziosi, L'unione Sovietica, op. cit. p.300 46 Ibidem p. 304

47 Ibidem p.306

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dell'attuazione delle riforme furono Gennadij Burbulis, segretario di stato della federazione russa, Igor' Gajdar, economista, a cui venne affidata l'organizzazione dell'Istituto di politica economica, e lo stesso El'cin; l'obiettivo del programma fu la rapida trasformazione di tutto l'apparato sociale e statale49.

L'idea alla base del progetto, mutuata dal sistema capitalistico, era quella che la liberizzazione dell'economia avrebbe implicato la nascita di nuove imprese; ma date le condizioni economiche l'iniziativa imprenditoriale scarseggiava e il tanto atteso rinnovamento tardava ad arrivare50.

Nella ricostruzione economica si dovette tener conto di un altro problema causato dalla separazione degli stati che componevano l'Unione, ossia quello dell'integrazione dell'economia sovietica, il cui processo produttivo coinvolgeva stabilimenti che si trovavano in stati diversi. Con lo smembramento dell'Unione, e una CSI non efficacemente integrata, ogni stato si ritrovò a dover svolgere l'intero ciclo produttivo e ciò rappresentò un problema non soltanto per la Russia, ma per tutti gli stati sorti all'indomani delle indipendenze.

Il primo provvedimento fu la «liberalizzazione dei prezzi», nella convinzione che essi non avrebbero potuto crescere più di 3 o 4 volte il loro valore; ma già nel primo trimestre del 1992, si registrò un aumento fino all'800-900 per cento, mentre i salari si limitarono a raddoppiare51, ciò provocò un calo della domanda interna del 42%; inoltre il dissesto del

bilancio statale causò l'eliminazione dei fondi per le iniziative sociali e la drastica riduzione di quelli per i servizi primari come scuole e sanità52. Alla luce di tutto ciò, il periodo che seguì la

fine dell'Urss fu così duro in Russia che si verificò una riduzione dell'aspettativa di vita di sette anni53.

El'cin affrontò la riforma del sistema economico russo ripetendo lo stesso errore di Gorbačëv, ossia non concependo un piano organico che includesse un efficace piano di riconversione, né aiuti sociali agli strati più deboli della società, ad esempio sussidi per il sostegno delle famiglie dei licenziati. A fronte del disastro economico non poté che svilupparsi una crisi politica che investì sia Burbulis che Gajdar, allontanati da El'cin nel tentativo di riguadagnare consenso.

Nel periodo 1992-1993 El'cin attuò la politica di privatizzazione dell'apparato industriale statale e lo fece per mezzo di vouchers, buoni acquisto distribuiti ai cittadini russi che divennero così in grado di acquistare un certo numero di azioni delle aziende pubbliche.

49 Ibidem p.7

50 G. D'Amato, op. cit. p.455

51 A. Graziosi, L'Urss dal trionfo al degrado, op. cit. p.345 52 Ibidem p. 346

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Questo sistema aveva l'obiettivo di raggiungere un'economia di tipo capitalistico, basato sulla proprietà privata, ma coinvolgendo la popolazione54. Tuttavia a causa del dissesto

dell'economia e della scarsità delle derrate alimentari che venivano vendute a prezzi altissimi, i cittadini russi preferirono vendere i vouchers, per avere del denaro immediatamente spendibile per acquistare beni primari; ciò diede la possibilità ad un numero ristretto di cittadini più ricchi di acquisire la maggior parte delle aziende, formando un'oligarchia ricca e potente55.

L'insoddisfazione causata dal fallimento economico e dalla «terapia shock», come venne chiamata la politica delle privatizzazioni, spinse l'opposizione a chiedere le elezioni. In seguito alle continue proteste da parte del parlamento contro le riforme economiche, il 21 settembre del 1993 il presidente El'cin decise, pur non avendone il potere costituzionale, di scioglierlo. L'opposizione votò l'impeachment per il presidente ed elesse al suo posto

presidente ad interim l'ex vice Aleksandr Ruzkoj56. Alla crisi politica si unì la protesta

popolare che sfociò nell'occupazione della Casa Bianca e della stazione televisiva

Ostankino57.

El'cin reagì inviando l'esercito58 e ristabilendo l'ordine con la forza.

Il periodo di crisi venne superato con l'approvazione di una nuova Costituzione, con l'attribuzione al Presidente di poteri forti e dunque una nuova legittimazione al potere di El'cin.

Nel 1996 si tennero nuove elezioni che conferirono al presidente un secondo mandato; gli elettori decisero di dar fiducia a El'cin sulla scia del cambiamento nella politica economica, divenuta una «economia di mercato orientata socialmente»59, ossia più attenta ai bisogni della

popolazione, attuata proprio durante la campagna elettorale attraverso il pagamento degli arretrati di indennizzi e pensioni. Questi provvedimenti furono utili nel breve periodo ma non risolsero i problemi che gravavano sul sistema economico: la ripresa promessa nel 1992 agli albori del 1997 ancora non si era verificata, gli unici dati positivi ottenuti quell'anno furono la diminuzione dell'inflazione ed il rafforzamento del rublo60.

I motivi di una mancata richiesta di novità a livello di leadership politica, prima ancora che a

54 Enrico Franceschini, Eltsin lancia la seconda fase della grande privatizzazione, in “Archivio Repubblica”,

8/6/1995

55 Hilary Appel, Voucher Privatisation in Russia: Structural Consequences and Mass Response in the Second Period of Reform, in “Europe-Asia Studies” Vol. 49, No. 8 , dicembre 1997, p.67

56 Margaret Shapiro, Yeltsin Dissolves Parliament, Orders New Vote, in “Washington Post”, 22/9/1993

Enrico Franceschini, Mosca giornata di guerra. Sangue sulla via Arbat, in “Archivio Repubblica”, 3/10/1993

57 Nikolaj Litovkin, Russia Constitutional Crisis 1993: Yeltsin had no choice but restore peace, in “The voice

of Russia” 4/10/1993

58 Enrico Franceschini, L'esercito vacilla ma poi sceglie corvo bianco, in “Archivio Repubblica”, 5/10/1993 59 R. Medvedev, op. cit. p.23

60 Abbigail J.Chiodo, Michael Owyjang, A case study of currency crisis: The russian default on 1998, Federal

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livello economico, dati gli scarsi risultati della prima presidenza El'cin, sono schematicamente così individuati da Roj Medvedev: negli anni Novanta la situazione economica non era negativa in modo uniforme ed alcune aree geografiche furono meno colpite dalla crisi; ci fu una mancanza di idee nuove e di valori che potessero dare fiducia ad una nuova classe dirigente; i pensionati erano politicamente attivi, mentre i giovani disinteressati, o disillusi, dalla politica; la popolazione delle grandi città, più bisognosa di servizi, tendeva ad appoggiare l'autorità in carica per paura di un vuoto di potere; la mancanza di una vera avanguardia politica; la apertura verso libertà democratiche che diminuirono la percezione di oppressione politica nei confronti dei cittadini; il ruolo della televisione61.

Nel 1998 si verificò una nuova crisi che coinvolse il settore finanziario a causa del default dei GKO, i bond emessi dal governo russo. Con l'obiettivo di stabilizzare il sistema finanziario, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale approvarono un pacchetto di aiuti da 22,6 miliardi di dollari62. Nello stesso anno si verificò anche lo sciopero generale dei

minatori, che protestarono per l'arretrato pagamento dei salari occupando la linea ferroviaria Trans-Siberiana. Il governo non riuscì in alcun modo a risolvere la crisi, che si riflesse anche a livello internazionale, dando ad esempio avvio alla grave crisi economica che avrebbe sconvolto il Brasile un anno dopo. A fine agosto il mercato azionario russo aveva perso il 75% del suo valore63.

Alla fine del 1998, El'cin non fu più capace di continuare l'attività presidenziale64.

Secondo la costituzione russa, qualora il presidente si dimetta prima della scadenza del suo mandato, il premier in carica assume automaticamente il suo ruolo. Dopo aver scartato Primakov e Cernomurdin, la scelta ricadde sul giovane capo dell'FSB Vladimir Putin. Prima delle dimissioni del quasi ex presidente, Putin si affrettò a concedere una speciale amnistia a El'cin e a tutto il suo entourage, per i crimini commessi durante la presidenza. Fu poi eletto presidente della Federazione Russa il 7 maggio del 2000.

1.1.2 La presidenza Putin

61 R. Medvedev, op. cit., pp305 e seguenti

62 United States, Congress House, Committee on Banking and Financial Services, Subcommitee on general

oversight and investigatios, An Examination of the Russian economic crisis and the International Monetary

fundAid, settembre 1998.

63 L'orso russo colpisce ancora:in rosso tutte le borse, in “Archivio Repubblica”, 28/8/1998

64 “Boris El'cin non è più in grado di controllare la situazione del paese […] non è più in grado di prendere

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Vladimir Putin iniziò il proprio mandato attuando una politica forte nel tentativo di risolvere i numerosi problemi che gravavano sulla federazione. I primi provvedimenti mirarono al tentativo di ottenere la separazione tra uomini d'affari e politici65, ciò in virtù del fatto che in

alcune regioni i governatori erano gli oligarchi stessi, situazione che finì per potenziare il potere regionale a scapito di quello federale. L'economia in questi primi anni del suo mandato compì un incredibile balzo in avanti, soprattutto grazie alla vendita di materie prime; il Pil segnò un aumento annuo del 6%, riportando il paese ai livelli del 1990; la produzione crebbe in quasi tutti i settori, la disoccupazione diminuì, aumentarono gli aiuti economici alle fasce più deboli e il debito estero ereditato dall'Unione Sovietica e incrementato durante la presidenza El'cin venne estinto66.

Con l'economia parzialmente risanata, il paese, che era stato caratterizzato dall'impossibilità d'intervento nelle crisi jugoslava e serba, poteva aprirsi verso l'estero; tuttavia la politica estera non sembrò avere un vettore preciso: nei riguardi dell'occidente, la Russia di Putin tentò di nuovo di affermarsi come grande potenza, ma a questo desiderio, di certo avvertito dalla stessa popolazione russa, in realtà non corrispose un preciso disegno geopolitico.

Nel 2004 Putin fu eletto per un secondo mandato con il 71% delle preferenze67. La seconda

presidenza fu caratterizzata da una politica estera più decisa e forte nei confronti del cosidetto “vicino estero” cioè gli stati della CSI, basti pensare alle crisi del gas con l'Ucraina e Bielorussia o la guerra nel 2008 con la Georgia.

In un interessante saggio68 Georgi Derluguian ha individuato alcuni passaggi ricorrenti nella

storia russa che hanno anticipato l'attuazione di una politica di potenza, cioè la presenza di elementi come il dissenso, la formazione di una élite ricca, delle riforme imposte “dall'alto” ma accettate dalla maggior parte della popolazione, la ricerca della parità con l'Occidente. Elementi presenti nella Russia del 2000; tuttavia persiste un problema che la Federazione deve risolvere per riaffermarsi nel mondo come grande potenza, ossia il problema sulla propria identità69, su cosa sia la nuova Russia dopo il disfacimento dell'Urss. Medvedev

stesso, dopo esser diventato presidente70 tenne un discorso nel quale affermò «Siamo uno

65 Peter Reddaway, Robert Orttung, TheDynamics of Russian Politics: Putin reforms of federal-regional relations, volume 1, Oxford, Rowman & Littlefield Publishers, 2004, p.45

G. D'Amato, op. cit. p.123

66 Katya Malofeeva, Tim Brenton, Putin's Economy-Eight Years On, in “Russia Profile Special Report”, 2007,

p.5

67 http://ria.ru/vybor2012_infographics/20120309/590825026.html

68 G. Derluguian, The Forth Russian Empire?, PONARS, Policy Memo No.411, 2006, p.3 69 Vyaceslav Nikonov, Ideja Nasi Nazij,in Istvestija, 30/12/ 2010.

70 Dmitrij Medvedev è stato eletto presidente della Federazione russa il 7 maggio del 2008. Data la sua

vicinanza con il predecessore Vladimir Putin, e l'attribuzione della carica di primo ministro proprio a quest'ultimo, la presidenza Medvedev è stata considerata da molti una continuazione di quella di Putin. L'ex presidente infatti, non poteva essere rieletto perché secondo la costituzione russa, non è possibile essere eletti presidenti per più di due mandati di seguito. Le elezioni del 2012 hanno dato nuovamente la vittoria a Putin, che ha assegnato a Medvedev la carica di primo ministro.

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Stato-Nazione, ma la nostra classe politica non ha ancora offerto un concetto efficace ed includente di “nazione russa”» ammonendo non soltanto la classe politica ma anche le forze separatiste e disgregatrici e richiamando dunque un ulteriore elemento di debolezza.

Uno dei leitmotiv della politica interna putiniana è costituito dall'attenzione verso i movimenti separatisti, attivi sopratutto nella zona caucasica, che generano tensione attraverso attacchi terroristici, basti pensare agli attentati al teatro Dubrovka nel 2002, o ancora alla strage di Beslan del 2004 soltanto per citare quelli che hanno avuto particolare risonanza anche nei media occidentali.

L'instabilità del Nord Caucaso causa non pochi problemi alla Russia, non soltanto da un punto di vista interno: la questione del riconoscimento giuridico da parte del governo di Mosca di zone con particolari autonomie si lega ad analoghe vicende verificatesi in territorio georgiano, in Abkhazia ed Ossezia del Sud, dove la Russia ha agito in modo del tutto differente ossia concedendo il riconoscimento giuridico alle nuove repubbliche, nonostante la posizione ufficiale della Georgia contraria a qualsiasi autonomia per le suddette regioni; nella questione caucasica, un ruolo fondamentale è giocato della Turchia, spesso sospettata da Mosca di aver fomentato ed appoggiato i movimenti separatisti71. Le tre zone del Nord

Caucaso dove sono presenti i movimenti indipendentisti (Cecenia, Daghestan ed Ingushezia) sono fortemente instabili ed episodi di violenza tendono a verificarsi ogni qual volta un evento esterno turba gli equilibri regionali, come testimoniato dall'aumento della conflittualità registratosi dopo un periodo di relativa pace in seguito alla guerra russo-georgiana dell'agosto del 200872.

La questione caucasica si lega ad un'altra spinosa tematica, quella religiosa.

Sin dagli anni Ottanta l'islamismo ha avuto un rapido sviluppo in tutta l'area caucasica, e nell'area sono presenti diversi movimenti islamici, suddivisi in due macro tipologie: quello sufico-confraternale, moderato e filorusso, e quello wahhabito-salafita, fondamentalista e violentemente anti-russo, ed è sopratutto in quest'ultimo che i separatisti cercano sostenitori73.

Le comunità religiose estremiste si legano a doppio filo con i numerosi problemi sociali che sono presenti nella zona, in primis quello della mancanza di lavoro: una domanda molto alta di impiego si scontra con una bassissima offerta. Nel tentativo di controllare meglio l'area nel 2010 è stato creato il Distretto Federale del Nord Caucaso (SKFO). E' stato anche suggerito che la vera ragione della creazioni di questo distretto fosse l'isolamento della regione rispetto

71 Turkey supports Chechens terrorists, in “Pravda.ru”

http://english.pravda.ru/world/ussr/31-10-2002/1509-turkey-0/

Turkish Building Company denies funding chechen militants, in “Ria Novosti”23/4/2008 Marc Brody, The Chechen diaspora in Turkey, in “the Jamestown Foundation” ,1970, p.4

72 A. Kuchins, M. Malarkey e S. Markedonov, The North Caucasus, Russia's volatile frontier, CSIS report,

2011, p.4

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alle altre zone del sud della Russia più economicamente sviluppate, e sede di importanti centri turistici74.

Con riferimento all'Europa, agli Stati Uniti e alla Cina, è stato usato dalla presidenza Putin un approccio differente, più incentrato al dialogo, che ha portato alla conclusione di importanti accordi di cooperazione, si pensi al vertice di Pratica di Mare del 2002 che ha inaugurato la partnership tra i paesi Nato e la Russia; le tante collaborazioni nella lotta conto il terrorismo avviate con gli Stati Uniti, e i molti accordi commerciali con la Cina in ambito energetico, o come partner regionale con la creazione della SCO75.

1.2 Lo spazio ex sovietico: in fuga dalla Russia

All'interno del processo di dissoluzione dell'Unione Sovietica si originarono due differenti spinte centrifughe: da una parte la volontà di indipendenza degli stati, dall'altra una stanchezza russa, il bisogno di «disfarsi dell'impero»76.

La conflittualità causata dalle istanze separatiste si manifestò attraverso numerosi tumulti e proteste. Alla fine degli anni '80 il controllo sociale venne attenuato e ciò diede la possibilità ai movimenti per le autonomie di potersi espandere avendo una libertà di manovra prima assente77; di questo clima approfittarono prima di tutti i Ceceni, che negli anni 1985-1987

organizzarono oltre cento manifestazioni di stampo nazionalistico78.

Il 1987 fu l'anno del Nagorno-Karabach, territorio dell'Azerbaijan a maggioranza armena, nel quale proprio in quell'anno fu organizzata una petizione firmata da centinaia di migliaia di persone affinché la regione venisse annessa all'Armenia79. La questione ancora una volta

coinvolse la Turchia, che venne accusata di favorire l'Azerbaijan nella contesa80. La

situazione suscitò apprensione a Mosca a causa dell'instabilità cronica della regione e il Cremlino convocò le delegazioni azera e armena per tentare una mediazione; tuttavia l'operato di Gorbačëv non venne accolto positivamente da nessuna delle due delegazioni, entrambe convinte che il governo favorisse l'altra. La tensione sfociò in violenti scontri nella

74 Pavel K, Baev, The Terrosrism -Corruption Nexus in the North Caucasus, in “PONARS Eurasia Policy

Meno” n.114, 2010, p. 4

75 La SCO (Shangay Cooperation Organization) è nata nel 2001 come allargamento dello ShangayFive a cui

partecipavano Russia, Cina, Kazakhstan, Kirghizistan e Tagikistan a cui poi si unì l'Uzbekistan. Nel 2013 ci fu un ulteriore allargamento a 5 stati. L'organizzazione si muove in ambito di cooperazione di sicurezza, cooperazione economica, e culturale.

76 G. D'amato, op. cit., p.61

77 A. Graziosi, L'Urss dal trionfo al degrado, op. cit. p.411 78 Ibidem p. 412

79 A. Graziosi, L'Unione Sovietica, op. cit. p. 333

80Nona Mikhelidze, Russia e Turchia nel labirinto del Caucaso meridionale, in “Affari Internazionali”,

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regione del Nagorno-Karabach e un susseguirsi di pogrom in terra azera che fecero molte vittime81. Queste vicende fecero del Nagorno-Karabach uno dei primi conflitti a mostrare

l'impotenza del potere centrale e l'inefficienza della diplomazia gorbacioviana82.

In questo stesso periodo i paesi baltici rivendicarono l'indipendenza del proprio paese. La volontà di separarsi da parte di Estonia, Lettonia e Lituania merita una riflessione a parte, perché si trattò della volontà di sganciarsi da Mosca da parte di popolazioni etnicamente non slave. Il Politbjuro in quegli anni aveva guardato con preoccupazione alle moltissime aziende e fabbriche che erano state costruite nel paesi baltici, facendo salire la percentuale di popolazione russa della zona, a detrimento di quella estone in particolar modo, il che finì con l'angustiare la popolazione locale e fu motivo di protesta da parte dei movimenti nazionali83.

La creazione dei fronti popolari fu pensata da Gorbačëv nei paesi Baltici al fine di promuovere la Perestrojka; ben presto, però, essi sfuggirono al controllo centrale e reclamarono l'autonomia per i propri paesi, trasformandosi in veri e propri movimenti nazionali84. I fronti per la liberazione nazionale, la cosidetta «via baltica», venne presa ad

esempio da altre nazionalità sopratutto nel Caucaso e in Ucraina85.

Anche il nazionalismo russo venne fomentato durante gli anni '80 da un sentimento di odio verso il comunismo, colpevole di aver distrutto i valori tradizionali, l'unione fra la popolazione e la tradizione cristiana86. Questo tipo di nazionalismo rigettava qualsiasi

importazione culturale occidentale come il rock, l'educazione sessuale finanche i concorsi di bellezza, e rivendicava una politica che fosse russocentrica e isolazionista87.

La richiesta di indipendenza in Azerbaijan si unì a contrasti di natura religiosa come testimoniato dall'apparizione di immagini di Khomeini tra la folla durante alcune manifestazioni88.

In Ucraina, oltre ai problemi derivanti dal disastro nucleare di Chernobyl, i fronti nazionali incolparono pubblicamente i russi delle sofferenze patite durante la terribile carestia del 1932-1933, sobillando quindi la popolazione contro Mosca e spingendola verso l'indipendenza89.

Nel Caucaso oltre al conflitto azero-armeno, iniziarono a risvegliarsi submovimenti in

81 G. D'amato, op. cit. p.722

82 A. Graziosi, L'Unione Sovietica, op. cit. p.421 83 G. D'Amato, op. cit. p.718

84 Carolyn Bayne, Estonia, Lettonia e Lituania, Torino, EDT, 2009, p. 27

85 Maurizio Massari, La grande svolta: la riforma politica in Urss, (1986-1900), Napoli, Guida Editori, 1990,

p. 23

86 Mark Beissinger, Nationalism and the Collapse of Soviet Communism,

https://www.princeton.edu/~mbeissin/beissinger.ceh.article.pdf

87 A. Graziosi, L'Urss dal trionfo al degrado, p.576

88 Azerbaijan, indipendent islam and the state, in “International Crisis Group”, Europe Report n.191, marzo

2008

A. Graziosi, L'Urss dal trionfo al degrado, op. cit. p.655

89 Andrea Graziosi, Le carestie sovietiche del 1931-33 e l'Holomor ucraino; E' possibile una nuova interpretazione e quali sarebbero le sue conseguenze?, in “SISSCO” 2004

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Georgia, nelle zone dell'Abkhazia e dell'Ossezia del Sud. Qui si verificò la paradossale situazione in cui gli abkhazi e gli ossetini chiedevano un'indipendenza alla Georgia che a sua volta la pretendeva dall'Unione90. I georgiani affermarono che la nazione abkhaza non aveva

alcun precedente storico credibile su cui poggiare le proprie rivendicazioni91. Il 4 aprile del

1988 una folla oceanica si riversò a Tbilisi per chiedere l'indipendenza; il governo represse la manifestazione inviando l'esercito che causò 21 morti e 200 feriti, contribuendo al rafforzamento delle istanze indipendentiste anche presso quella parte di opinione pubblica che in precedenza non era stata coinvolta92.

Il susseguirsi di questi eventi rese palese la perdita del controllo da parte dell'autorità centrale, senza che tuttavia ciò provocasse un qualche cambiamento politico «i miti del passato si stanno disfacendo.. l'immagine del socialismo sbiadisce, l'ideologia non esiste più, l'impero-federazione cade a pezzi, il partito è nel caos e non vi è alcuna nuova autorità in grado di prenderne il posto»93.

In Asia, i movimenti per l'indipendenza furono più sommessi, più blandi, anche se non si nascosero i malumori per la politica di ristrutturazione che sembrava nei fatti aver peggiorato le cose, piuttosto che migliorarle. I (pochi) conflitti che si registrarono furono contro le altre nazionalità94, ad esempio lo scontro avvenuto in Turkmenistan dove si verificò un vero e

proprio pogrom organizzato dalla popolazione locale contro gli armeni per questioni relative al commercio95.

Malgrado la tensione diffusa (l'Accademia delle Scienze registrò nel 1991 circa ottanta conflitti in corso nel territorio dell'Unione, e la medesima quantità di conflitti allo stato latente96), fu solo con l'annuncio fatto da El'cin nel giugno del 1990, ossia con la

dichiarazione di sovranità della Russia, che le repubbliche decisero una dopo l'altra di dichiarare a loro volta la propria indipendenza. In occasione della dichiarazione di sovranità russa, fu il presidente della Repubblica Socialista Russa a spingere gli altri stati a fare lo stesso dichiarando: «Prendetevi pure quanta sovranità sarete capaci di gestire»97.

La prima dichiarazione avvenne il 19 gennaio 1990 e fu la Repubblica autonoma del Nachčivan facente parte dell’Azerbaigian, seguirono l’11 marzo 1990 la Repubblica federata di Lituania, il 30 agosto 1990 la Repubblica autonoma Tatara facente parte della Federazione

90 M. Lorusso, Vent'anni di dis-unione sovietica. State building o state nation? Il caso della Georgia, in “ , ISPI

ANALYSIS” 2011, n.41. p.4

91 Ibidem p.5

92 A. Graziosi, L'Urss dal trionfo al degrado, op. cit. p.585 93 A. Graziosi, L'Urss dal trionfo al degrado, op. cit. , p.587 94 G. D'amato, op. cit,. p. 532

95 Ibidem p.535

96 A. Graziosi, L'Unione Sovietica, op. cit. 97 G. Chiesa, op.cit. , p. 46

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Russa, il 27 novembre 1990 la Repubblica autonoma Ceceno–Ingusheta anch'essa parte della Federazione Russa, il 9 aprile 1991 la Repubblica di Georgia, l’8 giugno la parte cecena della Repubblica autonoma Ceceno–Ingusheta, il 20 agosto l’Estonia, il 21 agosto la Lettonia, il 24 agosto l’Ucraina, il 25 agosto la Bielorussia, il 27 agosto la Moldavia, il 30 agosto l’Azerbaijan, il 31 agosto il Kirghizistan, il 1° settembre l’Uzbekistan, il 9 settembre il Tagikistan, il 23 settembre l’Armenia, il 27 ottobre il Turkmenistan, il 12 novembre la Russia, il 16 dicembre il Kazakistan. Il Soviet Nazionale, organo dell’Unione nato il 5 settembre 1991 e composto dai vertici delle repubbliche federate e presieduto dal presidente dell’Unione, riconobbe il 6 settembre 1991 l’indipendenza dei tre paesi baltici98.

La fine dell'Unione Sovietica avvenne tramite la firma di un documento l'8 dicembre 1991 in una dacia presso Belovežskaja Pušča, in Bielorussia99 dai presidenti della Russia, della

Bielorussia e dell'Ucraina; nel documento si affermava che: «Noi... constatiamo che l’Unione Sovietica, in quanto soggetto della legge internazionale e come realtà geopolitica, cessa di esistere»100. Il passo successivo furono le dimissioni di Gorbačëv da presidente dell'Unione

Sovietica il 25 dicembre e l'ammaina della bandiera sovietica sul Cremlino sostituita dal tricolore russo.

Gradualmente questi nuovi stati acquisirono il riconoscimento internazionale, grazie anche alla loro ammissione in organizzazioni quali l'ONU, il Consiglio D'Europa e l'OSCE.

Non tutte le indipendenze vennero proclamate da entità statali, alcuni movimenti nacquero in seno a regioni o repubbliche autonome che non chiedevano di separarsi dall'Unione ma dalla Repubblica di cui erano parte101, sicché non a tutte queste dichiarazioni corrispose una

effettiva indipendenza. Il caso più noto è ancora una volta quello della Cecenia e dell'Ingushezia. In quanto a queste entità, alcune hanno abbandonato le istanze separatiste, come ad esempio il Nachčivan o il Tatarstan, altre continuano ancora oggi a lottare per ottenere la propria indipendenza: parliamo delle tre regioni del Nord Caucaso, le due regioni della Georgia, Abkhazia e Ossezia del Sud102, e la Transnistria103 in Moldavia104.

Tutti gli stati che si formarono all'indomani del collasso dell'Unione Sovietica si trovarono ad

98 M. Lorusso, op. cit 99 G. D'Amato, op. cit. 100 Ibidem p. 42 101 M. Lorusso, op. cit.,

102 Il riconoscimento de iure di questi due stati è avvenuto a seguito della guerra russo-georgiana del 2008 da

parte della Russia e di altri tre stati.

103 La Transnistria – o Pridnestrovia- è una regione della Moldavia, con capitale Tiraspol che rivendica una

propria autonomia su base etnica: laddove storicamente la Moldavia è latina, la regione della Transnistria invece ha profonde radici slave. Il governo centrale, tuttavia rivendica l'unità territoriale.

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affrontare un processo di state building105. Man mano che si procedette alla ricostruzione, esse si ritrovarono di fronte a problemi alla base della costituzione di uno stato, ossia come creare un mercato interno e su quali basi; se seguire una logica capitalista o rimanere ancorati al socialismo; come rendere autonomo il processo produttivo; ci si chiese anche se bisognasse stampare una propria moneta nazionale o continuare ad usare il rublo; che rapporti mantenere con le altre repubbliche sorelle e con la Russia, distacco che risultò più problematico per alcuni, come Ucraina, Bielorussia e Moldavia, che per altri. E ancora: la mancanza di un sistema amministrativo indipendente che potesse garantire i servizi; chiarezza giuridica sul diritto di cittadinanza; un'unità territoriale ben precisa; il monopolio esclusivo dell'uso della forza106. Inoltre le nuove dirigenze dovettero dar vita anche al processo di nation building:

data l'ingente presenza di minoranze, causata dai grandi flussi di migrazione interna all'Unione, gli stati dovettero riunificare una popolazione altamente composita onde evitare problemi causati dalle istanze separatiste che già gravavano su alcuni stati. Si trattava di riunire «un mosaico di differenti tasselli etnici, religiosi, linguistici, di censo se non di ceto, di convinzioni politiche»107.

Vi sono degli aspetti comuni che segnarono la costruzione delle nuove repubbliche: con l'obiettivo di dare stabilità, a diventare capo di stato dei nuovi paesi furono i segretari dei partiti comunisti nazionali ai quali spesso venne allungato il primo mandato per favorire la transizione108; venne rapidamente emanata una costituzione, nella quale vennero espressi

molti dei principi democratici che in seguito rimasero lettera morta; in molti casi l'opposizione venne tacitata con mezzi tutt'altro che democratici, e i leader del dissenso furono confinati nelle prigioni o mandati in esilio109. La transizione verso regimi più

democratici, dunque, non sempre riuscì, i riferimenti sono in particolar modo alla Bielorussia110 e al Kazakhstan111, dove ancora oggi si riscontrano censure e violazione dei

diritti politici, civili ed umani112.

Su questo processo di ricostruzione gravò l'idea della “fuga” dalla Russia: l'opera di derussificazione ebbe inizio con l'eliminazione del russo dalle costituzioni e dando lo status di lingua ufficiale alle lingue nazionali113, con l'eccezione del Kazakhstan, Kyrgyzistan e

Bielorussia, cosa che sopratutto all'inizio causò non pochi problemi di comunicazione tra

105 M. Lorusso, op. cit.

106 Per questi temi confronta R. Medvedev e M. Lorusso. 107 M. Lorusso, op. cit.

108 G. D'Amato, op. cit. 109 Ibidem

110 http://www.hrw.org/europecentral-asia/belarus 111 http://www.hrw.org/europecentral-asia/kazakhstan

112 http://graphics.eiu.com/PDF/Democracy_Index_2010_web.pdf

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l'establishment e la popolazione. Lo stesso Lukashenko, Presidente della Bielorussia, dopo qualche discorso televisivo durante il quale si era rivolto alla nazione usando il bielorusso, dovette poi desistere e passare al russo perché i suoi connazionali stentavano a seguirlo appieno114.

Il passaggio meno problematico per alcuni aspetti fu quello della Federazione Russa, che da una parte ereditò le istituzioni sovietiche ed il seggio in seno al Consiglio di Sicurezza dell'Onu115, ma dall'altro ne prese in carico anche i fardelli come il debito pubblico e gli

obblighi internazionali116. Per tutti, i primi anni post crollo furono durissimi.

In Georgia scoppiò la guerra civile tra georgiani e abkhazi. Nel periodo tra 91' al 96' il potere di Tblisi fu molto debole e l'autorità era rappresentata dai Mkhedrioni117, che rivendicavano

di essere i discendenti dei georgiani che lottarono contro gli occupanti persiani ed ottomani. Legati alla chiesa ortodossa georgiana e ai traffici di danaro illecito in molte attività, i Mkhedrioni furono solo uno dei gruppi paramilitari che riuscirono ad avere una certa influenza in tutto lo stato all'indomani dell'indipendenza118.

Il primo presidente eletto fu Zviad Gamsakhurdia nel 1991, presto contestato sia a livello interno che dalle associazioni internazionali per la massiva violazione di diritti umani, politici e civili119 e infine dall'opposizione, che protestò per i «comportamenti dittatoriali120» assunti

dal presidente; nel tentativo di rafforzare la propria posizione, Gamsakhurdia utilizzò il linguaggio nazionalista per scagionarsi, accusando l'opposizione di essere nemica della Georgia121 ed iniziò a sobillare la popolazione contro di essa. La situazione peggiorò

rapidamente fino al colpo di stato che lo obbligò alla fuga a seguito della quale riparò in Armenia. Quest'ultima non volendo guastare i rapporti di vicinato, spinse l'ex presidente georgiano a rifugiarsi in Cecenia, dove ottenne la protezione di Dudayev, capo della ribellione separatista122. Alla carica di presidente gli successe Ėduard Ševardnadze, ma la sua nomina

non diede la stabilità tanto agognata al paese, infatti nel 1993 Gamsakhurdia decise di creare un governo in esilio presso la città di Zugdidi, nella Georgia occidentale123. Il disordine si

trasformò in guerra civile. Con il fine di contribuire alla stabilizzazione del paese, Azerbaijan e Russia espressero supporto politico a Ševardnadze; la Russia fornì altresì truppe e arsenale

114 G. D'amato, op. cit

115 Yehuda Z. Blum, Russia Takes Over the Soviet Union's Seat at the United Nations, 1991 116 Russia paying off USSR debt, entitled to Soviet Assets, in “RIA Novosti” 1/7/2006

117 Paul Collier; Nicholas Sambanis, Understanding Civil War., 2005, World Bank Publications. p. 272 118 G. D'amato, op. cit.

119 Conflict in Georgia, Human Rights Violations by the Government of Zviad Gamsakhurdia, in “Human Right

Watch Report” del 27/12/1991 Vol.3 Issue 16

120 G. D'Amato, op. cit.

121George Khutsishvili, Intervention in Transcaucasus, Boston University Perspective,1994 p.34

122 Thomas Goltz, Georgia diary: A Chronicle of War and Political Chaos in the post-soviet Caucasus, New

York, M. E. Sharpe, 2006.

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bellico, collaborando alla caduta di Zugdidi. Gamsakhurdia morì poco dopo in circostanze poco chiare124.

Il nuovo presidente rimase alla guida del paese fino al 2003, quando si aprì la stagione delle “rivoluzioni colorate” e nuove proteste portarono ad un cambio di leadership.

In Ucraina il passaggio fu meno traumatico dal punto di vista politico, ma più pesante da quello economico125. La produzione peggiorava di anno in anno, nel 1993 scese del 40%

rispetto all'anno precedente, con un'inflazione del 10.000%126. Qui più che altrove il

problema fu legato al ciclo di produzione: in Ucraina non c'erano molti degli impianti di fine produzione, il paese era il serbatoio sovietico per le materie prime ed il diamante della metallurgia, con dei bacini di estrazione del carbone coke richiestissimi dall'industria sovietica; i materiali venivano poi inviati ad altri stabilimenti ed il ciclo finiva nelle altre repubbliche; il paese ormai indipendente dovette in primis dedicarsi alla costruzione di moltissimi impianti127.

Anche qui vi furono delle difficoltà legate alla presenza di minoranze etniche: la Crimea in particolare visse prima una fase di russificazione per poi essere trasferita alla Russia all'Ucraina nel 1954; in seguito si ritrovò ad accogliere gli oltre 270.000 tatari che erano stati cacciati dalle proprie case durante la seconda guerra mondiale come punizione per aver collaborato con l'esercito nazista durante l'occupazione128.

A rendere la situazione ancora più delicata c'era la questione della flotta russa stanziata a Sevastapol: l'accordo originario venne siglato causando più di qualche malumore tra il presidente ucraino Kučma e El'cin e prevedeva che la Russia avrebbe ottenuto l'affitto delle infrastrutture portuali e il permesso per l'ancoraggio della propria fotta, circa 835 vascelli129,

in cambio di una riduzione del debito ucraino sul pagamento del gas russo130. I rapporti tra i

due paesi rimasero tesi non soltanto per l'accordo sulla flotta, che venne raggiunto molto tardi (bisognerà attendere il 1997), ma anche per la questione degli armamenti nucleari in cui erano coinvolti anche la Bielorussia ed il Kazakhstan: come terza parte mediatrice intervennero gli Stati Uniti, che guidarono il processo di denuclearizzazione dell'Ucraina, ben 180 testate

124 Burial Mystery of Georgian Leader, in “Institute for War and Peace” 16/2/2010 125 G. D'amato, op. cit.

126 Ibidem

127 Ottorino Cappelli, Demokratizatzija: La transizione fallita. Democrazia populista e presidenzialismo plebiscitario nell'Urss e nello spazio post-sovietico, Napoli, Guida Editori, 2004

128 Ibidem

129 Russia's Black Sea Fleet Pact, blocks Ukraine's Nato Union, in

http://www.worldreview.info/taxonomy/term/1102/all

130 Russia, Ukraine agree on naval-base-for-gas deal, in

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nucleari, iniziato qualche mese prima dell'indipendenza ed ultimato soltanto nel 1996131.

L'Ucraina, al contrario delle altre repubbliche, ricevette ingenti aiuti economici per affrontare il processo di state building, in particolare fu l'amministrazione Clinton, durante il primo mandato (1993-1997)132 a finanziare Kiev, terzo paese a ricevere aiuti economici americani

dopo l'Egitto ed Israele133. Ciò gettò nuova tensione nei rapporti tra Washington e Mosca, che

crebbe ulteriormente in seguito al tentativo successivo da parte della Nato di estendere all'Ucraina la membership atlantica.

Il percorso d'indipendenza dell'Azerbaijan venne segnato dalla guerra del Nagorno-Karabach, che ufficialmente si concluse nel 1994, decretando l'indipendenza della regione. Ma lo scontro non si considerò realmente finito né da una parte né dal''altra e la questione rimane tutt'ora aperta; la secessione generò un milione di rifugiati che destabilizzarono entrambi gli stati coinvolti. Il primo governo comunista azero formatosi non riuscì a mantenere il controllo del paese: fu tentato un colpo di stato, nei fatti riuscito, ma a seguito della sollevazione popolare il neo insediato Ayaz Mutalibov venne subito cacciato134. Alle elezioni presidenziali

del maggio 1992 ci furono sette candidati: fu Abülfaz Elçibay ad ottenere la vittoria, primo presidente non comunista del paese135. Elçibay si impegnò per liberare il paese dalla pesante

eredità sovietica, sottraendo al controllo russo basi militari sia terrestri che navali136. La

nuova politica estera dell'Azerbaijan guardò ad ovest, ed Elçibay stabilì stretti rapporti commerciali con la Turchia, cui Baku era legata dall'ideologia panturca e dalla religione islamica137. L'economia, nel frattempo, stentava a decollare, così il presidente si ritrovò ad

affrontare molteplici insuccessi: con l'opposizione armata e le contestazioni, riparò nel suo villaggio natio fino a quando non venne formalmente deposto agli inizi del 1993138; qualche

mese più tardi si tennero le elezioni che sancirono la vittoria del leader dell'opposizione Heydar Aliyev, il quale pose fine formalmente alle ostilità con gli armeni.

La questione del Nagorno-Karabach ha senza dubbio colpito anche il processo evolutivo dell'Armenia, non soltanto dal punto di vista economico, ma anche sociale. Lewon

Ter-131 Nadia Schladow, Denuclearization of Ukraine: Consolidation Ukranian Security, in “Harvard Ukranian

Studies” vol 20, 1996

Caretto Ennio, Clinton Vola A dissinnescare l'Ucraina, in “Corriere della sera” 13/1/1994

132 http://www.ukrweekly.com/old/archive/1996/469601.shtml 133 G. D'amato, op. cit., p.452

134 Levan Chornajan, The Caucasian Knot, History and Geopolitics of Nagorno Karabach, Londra, Zed Book

Ltd, 1994

135 Ibidem

136 G. D'Amato, op. cit. 137 Ibidem

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