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Il tasso di prevalenza di ictus nella popolazione anziana (età 65-84 anni) italiana è del 6,5%, più alto negli uomini (7,4%) rispetto alle donne (5,9%).

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2. Epidemiologia

In Italia l’ictus è la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, causando il 10%-12% di tutti i decessi per anno; rappresenta inoltre la principale causa di invalidità.

Il tasso di prevalenza di ictus nella popolazione anziana (età 65-84 anni) italiana è del 6,5%, più alto negli uomini (7,4%) rispetto alle donne (5,9%).

L’età è il principale fattore di rischio per l’ictus. L’incidenza di questa patologia aumenta con l’età e, a partire dai 55 anni, raddoppia per ogni decade. Il 75% degli ictus si verifica dopo i 65 anni.

Altri fattori di rischio ben documentati sono ipertensione arteriosa, alcune cardiopatie (in particolare, fibrillazione atriale), diabete mellito, stenosi carotidea, iperomocisteinemia, ipertrofia ventricolare sinistra, fumo di sigaretta, eccessivo consumo di alcool, ridotta attività fisica, regime dietetico errato, precedenti TIA.

L’ictus ischemico rappresenta la forma più frequente di ictus (80% circa), mentre le emorragie intraparenchimali rappresentano il 15%-20% dei casi e le emorragie subaracnoidee circa il 3% del totale.

L’ictus ischemico colpisce soggetti con età media superiore a 70

anni, più spesso uomini che donne; quello emorragico

intraparenchimale colpisce soggetti leggermente meno anziani,

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sempre con lieve prevalenza per il sesso maschile; l’emorragia subaracnoidea colpisce più spesso soggetti di sesso femminile, di età media sui 50 anni circa.

Ogni anno si verificano in Italia circa 196.000 ictus, di cui l’80%

sono nuovi episodi (157.000) e il 20% recidive, che colpiscono soggetti già precedentemente colpiti (39.000).

Si calcola che l’evoluzione demografica (aumento dell’età media della popolazione) porterà, anche in Italia, ammettendo che l’incidenza rimanga costante, ad un aumento dei casi di ictus nel prossimo futuro.

Nel mondo il numero di decessi per ictus è destinato a raddoppiare entro il 2020.

Il numero di soggetti che hanno avuto un ictus (dati sulla popolazione del 2001) e ne sono sopravvissuti, con esiti più o meno invalidanti, è calcolabile, in Italia, in circa 913.000.

La mortalità acuta (30 giorni) dopo ictus è pari a circa il 20%-25%

mentre quella ad 1 anno ammonta al 30%-40% circa; le emorragie (parenchimali) hanno tassi di mortalità precoce più alta (30%- 40% circa dopo la prima settimana; 45%-50% ad 1 mese). Le emorragie subaracnoidee hanno un tasso di mortalità precoce simile alle emorragie intraparenchimali; i decessi nel primo mese si concentrano in ¾ dei casi nella prima settimana.

Gli infarti lacunari hanno prognosi migliore, in acuto e ad un anno, rispetto a quelli non lacunari, sia in termini di mortalità, sia di disabilità residua, sia di tasso di ricorrenza.

Nella sola area vasta Nord-Ovest si stima l’incidenza di circa 2800

nuovi casi di stroke all’anno con il 20% di decessi a 3 mesi ed oltre

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il 45% di disabilità residua; ne consegue una spesa sanitaria pari a

circa 50.300.000 di euro per il primo anno e di 24.235.000 di euro

per gli anni successivi.

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