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Corso di Laurea Magistrale in Filologia e Storia dell’Antichità

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Academic year: 2021

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D IPARTIMENTO DI F ILOLOGIA , L ETTERATURA E L INGUISTICA

Corso di Laurea Magistrale in Filologia e Storia dell’Antichità

ELABORATO FINALE

Ovidio, Metamorfosi X: il libro nel libro

CANDIDATO Francesco Busti

RELATORI

Chiar.ma Prof.ssa Lisa Piazzi Chiar.mo Prof. Gianpiero Rosati

ANNO ACCADEMICO 2016/2017

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RIASSUNTO ANALITICO

Nel libro decimo delle Metamorfosi di Ovidio entra in scena Orfeo, personaggio particolarmente adatto a fungere da alter ego del narratore principale: a lui è affidata la ‘battuta’ più lunga del poe- ma, un vero e proprio poemetto interno. Orfeo era considerato dalla tradizione il poeta epico per ec- cellenza, primo per cronologia e merito, figlio della Musa dell’epica, Calliope. Ovidio accentua questa connotazione per ribaltarla completamente: il suo Orfeo, infatti, rinuncia alla produzione

«più pesante», la Gigantomachia, per approdare a un genere «più leggero», gli amori pederastici degli dèi. Il percorso letterario di Orfeo ricalca quello di Ovidio, che da giovane aveva abbandonato una Gigantomachia per dedicarsi all’elegia, ma allo stesso tempo è in attrito con esso, perché lo stesso Ovidio era in seguito passato dall’elegia all’epica delle Metamorfosi, che nel libro primo con- tengono appunto una Gigantomachia. Il canto di Orfeo nel libro decimo, dunque, è pensato come una palinodia del libro primo (e quindi dell’intero poema): precisi riscontri testuali tra le due sezioni lasciano chiaramente intendere che il libro decimo è stato concepito come una riscrittura del primo.

In questo modo il poema supera sé stesso dal suo stesso interno.

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SOMMARIO

INTRODUZIONE Pag. 4

CAPITOLO PRIMO Figli delle Muse

7

CAPITOLO SECONDO Figli di Apollo

24

CAPITOLO TERZO Fratelli di Orfeo

45

CAPITOLO QUARTO Orfeo nuovo ‘Ovidio’

75

CONCLUSIONE 102

BIBLIOGRAFIA 104

(4)

INTRODUZIONE

Questo studio è la naturale prosecuzione di una ricerca recentissimamente confluita in un artico- lo dal titolo “Il mito di Giacinto in Ov. Met. 10, 162-219: metadiegesi e intertestualità”

1

. In quella sede si discute appunto dell’episodio del libro decimo delle Metamorfosi ovidiane dedicato a Gia- cinto, in un’analisi bipartita che tocca i due aspetti enucleati nel titolo del lavoro.

L’episodio di Giacinto non è raccontato dal narratore principale ‘Ovidio’

2

, bensì da un narratore secondario, Orfeo, protagonista assoluto di tutto il libro decimo del poema, nonché dei vv. 1-66 del libro undicesimo. All’inizio del libro decimo è raccontata l’improvvisa morte della promessa sposa di Orfeo, Euridice, e il viaggio agli Inferi che il cantore compie per recuperare l’amata (vv. 1-39):

dopo aver convinto le divinità infernali a restituirgli Euridice (vv. 40-52), l’amante, contravvenuto alla condizione imposta da Plutone e Proserpina di non voltarsi a guardarla finché non fosse uscito dall’Averno, perde per la seconda e ultima volta la sua donna (vv. 53-63), quindi si abbandona a un lamento disperato che lo porta a ritirarsi sulle inospitali cime dei monti della Tracia (vv. 64-77), sul- le quali resta per tre anni, maturando la decisione di non coltivare più femineam Venerem (v. 80), ma anzi di farsi auctor (v. 83), tra le genti della Tracia, dell’amore per i giovinetti (vv. 78-85). Un giorno, dunque, sedutosi su un vastissimo spiazzo in cima a un colle, con la sua musica attira un’intera foresta di alberi, delle specie più disparate (vv. 86-105), tra i quali il narratore principale,

‘Ovidio’ appunto, si focalizza sul cipresso, di cui racconta l’origine da Ciparisso, giovinetto amato da Apollo: il fanciullo aveva ucciso per sbaglio il suo diletto cervo e, in preda alla disperazione, aveva chiesto di piangere per sempre, al che era stato trasformato nell’albero luttuoso per eccellenza (vv. 106-142). Alla turba di alberi si uniscono intanto anche animali e uccelli, di fronte ai quali Or- feo si accinge a cantare (vv. 143-147). Il suo canto si estende dal v. 148 fino alla fine del libro de- cimo (v. 739), andando a costituire di fatto la ‘battuta’ più lunga di tutto il poema. Esso è articolato come un poemetto a tutti gli effetti: presenta addirittura un proemio e un proemio al mezzo.

1 MD 78 (2017), pp. 155-181.

2 Per ‘Ovidio’ si intende il narratore-autore, che di volta in volta cede il campo a un personaggio-narratore interno alla storia, il quale egli stesso narra una storia, diventando così narratore-autore di un suo proprio poema, cioè riprodu- cendo la situazione narrativa principale (cfr. Rosati 2002).

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Il proemio è chiaramente la sezione in cui, più che in tutte le altre, è declinata la funzione pro- grammatica del canto di Orfeo. Fin dai primi versi che pronuncia, il cantore si pone davanti all’attenzione del lettore come un vero e proprio poeta (vv. 148-154)

3

:

150

‘Ab Ioue, Musa parens (cedunt Iouis omnia regno), carmina nostra moue. Iouis est mihi saepe potestas dicta prius; cecini plectro grauiore Gigantas sparsaque Phlegraeis uictricia fulmina campis.

nunc opus est leuiore lyra; puerosque canamus dilectos superis inconcessisque puellas

ignibus attonitas meruisse libidine poenam.

Orfeo ha già assolto il compito del lavoro più pesante: la Gigantomachia che ha composto in prece- denza, simboleggia il genere di poesia più elevato di tutti, l’epica, la quale ora è respinta in nome della poesia amorosa. Il lavoro più leggero cui si accinge, dunque, riguarderà due argomenti speci- fici: i fanciulli amati dagli dèi e le perversioni meritatamente punite delle fanciulle. Si vede bene quanto la scelta di questi temi non sia affatto casuale, bensì derivi esplicitamente dalla svolta perso- nale che Orfeo ha maturato dopo la definitiva morte di Euridice: l’abbandono degli amori femminili e l’assunzione del ruolo di iniziatore degli amori maschili (vv. 78-85). Questa svolta personale im- plica necessariamente una svolta poetica: l’esaltazione degli amori maschili e la corrispettiva de- nuncia della perversione degli amori femminili servono al nuovo Orfeo a giustificare, prima di tutto davanti a sé stesso, il suo nuovo orientamento sessuale

4

.

Nel primo argomento – gli amori pederastici degli dèi – rientrano le storie di Ganimede (vv. 155- 161) e di Giacinto (vv. 162-219), narrate una di seguito all’altra subito dopo il proemio. Nel succita- to articolo di recentissima pubblicazione è stato analizzato in particolare il rapporto tra il narratore principale, ‘Ovidio’, il narratore secondario, Orfeo, e l’episodio di Giacinto (sezione 1: “Orfeo dop- pio di Ovidio”). Tale episodio ha uno statuto preferenziale all’interno di tutto il canto di Orfeo, per- ché il protagonista è Apollo, che Orfeo identifica come suo padre (cfr. v. 167 meus… genitor). Il fatto che sia Orfeo stesso a sottolineare questa parentela, indica chiaramente che egli vuole creare un filo rosso tra la sua esperienza attuale e l’esempio di suo padre Apollo, lasciando intendere quasi che il suo approdo alle relazioni maschili era naturalmente segnato. A questo motivo si aggiunge e si mischia quello di Apollo ‘padre’ dei poeti, risalente addirittura fino a Esiodo (Th. 94-95), che

3 Il testo delle Metamorfosi è citato da Tarrant 2004.

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permette non solo l’assimilazione tra Apollo e Orfeo, ma anche, tramite Orfeo, quella tra Apollo e Ovidio, anch’egli ‘figlio’ di Apollo, in quanto appunto poeta. Questa velata sovrapposizione dei due narratori – Orfeo e Ovidio – trova una diretta traduzione a livello testuale quando il narratore se- condario Orfeo, nel fornire l’αἴτιον finale del mito, cioè l’istituzione a Sparta delle Giacinzie, af- ferma che l’onore riservato all’amato di Apollo durat in hoc aeui (v. 218), un’espressione che va senz’altro riferita all’epoca storica di Ovidio, e non a quella mitica di Orfeo. L’intromissione, appa- rentemente cursoria, del narratore principale all’interno della ‘battuta’ del narratore secondario con- fonde le due voci fino a renderle indistinte, un espediente inquadrabile all’interno di quella demoti- vazione dei processi metadiegetici

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alla quale Ovidio lavora con intensità. Eppure, ciò non autorizza ad appiattire la voce del narratore secondario su quella del narratore principale, perché si è vista la profonda motivazione per cui Orfeo sceglie proprio quegli argomenti come materia del suo canto.

Se dunque le voci di Ovidio e di Orfeo possono sovrapporsi, è perché Orfeo è di fatto la proiezione mitica di Ovidio, il poeta originario da cui tutta la poesia deriva (non si dimentichi che Orfeo è fi- glio della Musa, cioè a dire della poesia), il perfetto «doppio» di Ovidio.

Questa è la conclusione fondamentale della prima sezione del succitato articolo. Ora, in questa sede si vuole tentare di estrapolare le implicazioni, se ve ne sono, di questa conclusione: si vuole capire in particolare come influisce, se influisce, la sovrapposizione tra Ovidio e Orfeo sulla dina- mica del libro decimo del poema, ed eventualmente sull’economia dell’intero poema. In un primo momento, si tenterà di spiegare perché proprio Orfeo sia stato scelto da Ovidio come il personaggio cui più di altri potesse essere attribuito un poema all’interno del poema. Si vedrà che le ragioni per favorire questa scelta sono state, per così dire, create da Ovidio stesso, il quale, agendo sul materia- le mitico che aveva a disposizione, ha assemblato un personaggio che non poteva non essere scelto in vista di quel ruolo che effettivamente ha nel poema. Si passerà quindi a enucleare le possibili va- lenze metaletterarie che Orfeo poteva assumere nel momento storico in cui è stato portato in scena da Ovidio, in particolare il rapporto del personaggio con il genere poetico dell’elegia. Si finirà per- tanto con l’analizzare come tali valenze agiscano all’interno del poema, con attenzione alla struttura del canto di Orfeo e ai suoi rapporti con la struttura dell’opera intera.

5 Cfr. Barchiesi 1989, p. 56.

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