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ACCADEMIA FORMAZIONE A DISTANZA. Dispense

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Academic year: 2022

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ACCADEMIA FORMAZIONE

A DISTANZA

N

r

Dispense

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La farina

Il frumento è uno dei cereali più coltivati e utilizzati. Commercialmente, esso si divide in grano tenero e grano duro. La distinzione è dovuta alla maggiore o minore presenza selle proteine e, in particolare, del glutine.

Le farine sono ottenute macinando i chicchi di grano tenero (cariossidi), dopo averli liberati dalle impurità. Le semole e i semolati si ottengono dal grano duro. Le prime vengono impiegate nella panificazione, i secondi nella produzione della pasta.

Il chicco di frumento è formato da tre parti: la crusca, il germe e l’endosperma. La crusca è costituita dall’involucro che ricopre il chicco, mentre il germe di grano è l’elemento più nutriente.

L’endosperma, ricco d’amico e di proteine, si trova nella parte interna del chicco.

Quando si macina il grano attraverso la raffinazione, si elimina progressivamente la crusca, cioè la parte esterna del chicco. La farina, quindi, diviene sempre più fine e bianca, a mano a mano che il processo di raffinazione procede.

A seconda del grado di raffinazione, troviamo le seguenti farine:

• Farina tipo 00

• Farina tipo 0

• Farina tipo 1

• Farina tipo 2

• Farina integrale

Le farine di tipo 1 e 2 contengono una maggiore quantità di glutine. La farina di tipo 00 ne contiene, invece, molto meno e per questo non viene generalmente utilizzata nel processo di panificazione.

La classificazione degli sfarinati che abbiamo ora esposto viene effettuata in base al grado di abburattamento (o tasso di estrazione), cioè in base alla quantità di farina (in kg) che si ottiene dalla macinazione di 100 kg di frumento.

Per la legislazione italiana si definisce di tipo 00 la frina che ha subito abburattamento al 50%, farina di tipo 0 quella abburattata al 72%, farina di tipo 1 quella all’80% e di tipo 2 quella all’85%.

La farina integrale, invece, ha subito solo un primo processo di macinazione, senza ulteriori buratti. Il fior di farina, invece, è un prodotto finissimo, ottenuto macinando la parte più interna del chicco. Esso contiene glutine di qualità e viene considerato tradizionale la farina per eccellenza nella produzione dolciaria.

La tabella 1 riassume le principali caratteristiche delle farine di grano tenero in commercio in Italia, mentre la tabella 2 si riferisce a quelle di grano duro.

La cosa più importante ai fini della panificazione è la presenza nella farina di sostanze proteiche, gliadina e glutenina. Queste, impastate nell’acqua, formano una massa elastica detta glutine, che permette all’impasto di gonfiarsi e non rompersi attraverso la lievitazione.

Esistono anche farine di mais, di orzo, di farro, di riso, di avena, di segale, di kamut, di monococco ecc. oppure di legumi, di frutta a guscio, di castagne, di ceci, tuberi e perfino di alcune specie di acacia australiane

TABELLA 1

Caratteristiche delle farine di grano tenere.

Valori delle ceneri e proteine calcolati su 100 parti di sostanza secca. Umidità consentita fino al 15,50%, se indicato in etichetta. Proteine: azoto k jeldahl x 5,7.

La tabella seguente riassume le principali caratteristiche delle farine di grano tenero in commercio in Italia, e le equivalenti classificazioni statunitensi, tedesche e francesi:

Denominazione del prodotto (in Italia)

Umidità max

Ceneri min

Ceneri

max Proteinemin USA Germania Francia Farina di grano

tenero tipo 00 14,50% – 0,55% 9,00% pastry

flour 405 40

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prodotto (in Italia) max min max Proteinemin USA Germania Francia Farina di grano

tenero tipo 00 14,50% – 0,55% 9,00% pastry

flour 405 40

Farina di grano

tenero tipo 0 14,50% – 0,65% 11,00% all-

purpose flour

550 55

Farina di grano

tenero tipo 1 14,50% – 0,80% 12,00% high

gluten flour

812 80

Farina di grano

tenero tipo 2 14,50% – 0,95% 12,00% first clear

flour 1050 110

Farina integrale di

grano tenero 14,50% 1,30% 1,70% 12,00% white

whole wheat

1600 150

TABELLA 2

Caratteristiche delle farine di grano duro

Valori delle ceneri e proteine calcolati su 100 parti di sostanza secca. Umidità consentita fino al 15,50%, se indicato in etichetta. Proteine: azoto k jeldahl x 5,7.

La tabella seguente riassume le principali caratteristiche delle farine di grano duro in commercio in Italia:

Denominazione del prodotto Umidità max

Ceneri min

Ceneri max

Proteine min

Semola * 14,50% – 0,90% 10,50%

Semolato 14,50% 0,90% 1,35% 11,50%

Semola integrale di grano duro 14,50% 1,40% 1,80% 11,50%

Farina di granoduro 14,50% 1,36% 1,70% 11,50%

LA FORZA DELLA FARINA

La qualità della farina può essere valutata con diversi metodi strumentali, tra i quali l’alveografo di Chopin, che sottopone l’impasto all’azione di un gas a pressione crescente, in modo che si formi al suo interno una bolla. La pressione del gas viene registrata sulla base del raggio della bolla stessa. Tale strumento fornisce delle utili informazioni circa l’attitudine “ panificatoria” delle farine, determinando la forza della farina. Il grafico che si ottiene viene valutato determinandone l’aria, che si indica con il simbolo W:

più essa è ampia , più il campione è buono. L’altezza massima della curva si indica con P, che da un idea della resistenza allo stiramento; la lunghezza della curva si indica con L, che rappresenta l’estensibilità dell’impasto ed è in correlazione con il volume del pane. La farina ideale per lla panificazione presenta i seguenti valori:

W>170:P/L 0,3 ÷ 0,7

Nella tabella 3 sono riportati i valori di W e P/L con le attitudini delle farine appartenenti alle classi indicate.

W > 250 e P/L> 0,70

Farina di forza da utilizzare solo in miscela

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W > 250 e P/L> 0,70

Farina di forza da utilizzare solo in miscela

160 < W < 250 e P/L > 0,70

Farine di media forza, ma troppo tenaci (da utilizzare solo in miscela)

160 < W < 250 e P/L < 0,40

Farine di media forza, ma troppo estensibili (da utilizzare solo in miscela)

160 < W < 250 e 0,40 < P/L < 0,60

Farine di media forza, equilibrate e con ottime attitudine alla panificazione

120 < W < 160 e 0,40 < P/L < 0,60

Farine deboli ma equilibrate e con scarsa attitudine alla panificazione

Il fattore W

A seconda di quanto glutine contiene una data farina, l’impasto con l’acqua sarà più o meno resistente ed elastico, e varierà anche il tempo necessario per la lievitazione.

Tecnicamente, la forza di una farina si indica con il fattore di panificabilità W che, però, non è di norma indicato nelle confezioni in commercio, in quanto decifrabile solo dai tecnici del settore (panificatori, pasticceri ecc.). Si può, comunque, fare una stima del fattore W di una farina osservando il contenuto di proteine riportato sulla confezione: quanto più essa contiene proteine, tanto più il suo fattore W è alto.

Un altro valore di W corrisponde a un alto contenuto di glutine; questo vuol dire che la farina assorbirà molta acqua e che l’impasto sarà resistente e tenace e che lieviterà lentamente perché le maglie del reticolo di glutine saranno fitte e resistenti.

Viceversa, un valore di W basso indica una farina che ha bisogno di poca acqua e che lievita in fretta, ma che darà un impasto ( e un pane) leggero e poco consistente. Il valore di W si misura per ogni farina in base a prove meccaniche su impasti standard.

• •

Fino a 170 W (farine deboli): per biscotti, cialde, grissini e dolci friabili; anche per besciamella e per rapprendere salse. Assorbono circa il 50% del loro peso in acqua.

• •

Da 180 W a 260 W (farina medie): pane francese, panini all’olio, pizza, pasta. Assorbono dal 55% al 65% dele loro peso in acqua.

• •

Dal 280 W a 350W (farine forti): pizza, pasta all’uovo, pasticceria a lunga lievitazione (babbà, brioches). Assorbono dal 65% al 75% del loro peso in acqua.

• •

Oltre i 350 W (farine speciali): fatte in genere con particolari tipi di grano, sono usate per

“rinforzare” le farine più deboli, attraverso opportune mescole, o per prodotti particolari.

Assorbono fino al 90% del loro peso in acqua.

La farina in vendita nei normali negozi e supermercati varia fra i 150 e i 200 W, ma si può trovare anche la farina manitoba (circa 400 W) che va miscelata alla farina “normale” per ottenere la forza voluta. La caratteristica di questa farina è di produrre una grossa quantità di glutine durante la lievitazione e durante la cottura. Questo tipo di farina proviene dai grani della provincia canadese del Manitoba è una farina molto tenace, con alta presenza di proteine, abitualmente usata dall’

industria (panettoni) e nella panificazione per aiutare le farine più deboli.

• •

Caratteristiche tecniche: intorno a w 380 /400 (a differenza delle deboli a partire da W 130).

• •

Lavorabilità: molto tenace in fase di lavorazione.

• •

Presenza sul mercato: qualche volta in pochi da chilo

• •

Accortezze: usare un quantitativo di lievito molto basso perché l’indice W è alto.

Può essere usata come elemento reattivo per le altre farine, sempre ammesso che si conoscano le

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• •

Accortezze: usare un quantitativo di lievito molto basso perché l’indice W è alto.

Può essere usata come elemento reattivo per le altre farine, sempre ammesso che si conoscano le caratteristiche tecniche della farina debole che s’intende tagliare.

LE CENERI

Le ceneri sono sostanze minerarie contenute nelle farine in percentuali variabili. Esse devono comunque rientrare nei valori stabiliti dalle tabelle ufficiali di riferimento indicati dalla legge 04/07/1967, n. 580.

Per ottenere il valore delle ceneri è indispensabile porre la farina in una muffola a contenuto della ceneri in proporzione al tasso di estrazione.

PANIFICABILITA’ DELLA FARINA E IL GLUTINE

Una farina può ritenersi panificabile se il glutine sviluppato dal suo impasto è in grado di trattenere i gas prodotti dalla fermentazione e di consentire al meglio lo sviluppo dell’impasto stesso, per un miglior risultato del prodotto finito.

Il glutine è un complesso proteico contenuto nel frumento, nel farro, nella segale, nel kamut, nell’orzo e in altri cereali minori, costituito da prolammine e glutine. Può creare intolleranze gravi (celiachia). È una sostanza collosa usata nell’industria alimentare moderna, in quanto aiuta a dare elasticità e consistenza al prodotto finale e favorisce la lievitazione e la panificazione, cosa molto difficile da ottenere utilizzando farine con l’acqua. In esso sono presenti proteine solubili e insolubili. Le proteine solubili, in misura del 10%, sono costituite dalla leucosina e dalla edestina.

Tra quelle insolubili ricordiamo la gliadina e la glutenina, che giocano un ruolo fondamentale per mantenere integre le caratteristiche del glutine stesso (la glutenina conferisce maggiore resistenza al glutine, mentre la gliadina ne aumenta la capacità di estensione).

GLUTINE= gliadina + glutenina + acqua + energia di lavorazione (o impastamento)

Il glutine perde la proprietà di estendibilità a partire dai 50 °C. Nel caso l’impasto stentasse vistosamente a prendere volume dopo la lavorazione, una della cause potrebbe essere determinata da un basso contenuto di glutine.

UMIDITA’ DELLA FARINA

Come molte materie prime, la farina contiene una quantità variabile di acqua al suo interno, la cui misura è data dal grado di umidità.

Il grado di umidità non deve superare dei precisi parametri, stabiliti dalla legge. In presenza di valori elevati di umidità, infatti, la conservabilità e, di conseguenza, l’integrità della farina possono essere irreparabilmente compromesse

CONSERVAZIONE DELLE FARINE

Dopo la macinazione, la farina necessaria di una fase di riposo (o confermazione) al fine di

raggiungere il maggior momento di pianificabilità. In questa fase si formano maltosio e destrine, per trasformazione delle molecole di amido e semplificazione delle proteine. Se questo periodo di riposo non viene rispettato, l’impasto che si ottiene potrebbe risultare rilassato, insufficientemente sviluppato e spugnoso.

Ecco alcune accortezze per la conservazione:

La farina va accatastata in appositi sacchi, appoggiati su paletti specifici non a contatto del terreno;

Lo stoccaggio deve essere effettuato in locali freschi ed aerati, privi di umidità;

I sacchi devono essere tenuti lontani dalle pareti.

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Lo stoccaggio deve essere effettuato in locali freschi ed aerati, privi di umidità;

I sacchi devono essere tenuti lontani dalle pareti.

FARINA DI AVENA

Mantiene un alto contenuto nutritivo e discretamente proteico. È molto ricca di calcio e magnesio ma ha scarsa forza e quindi necessita, come la farina di segale, di un aiuto da parte della farina di grano tenero per avere maggiore sviluppo nella lievitazione.

FARINA DI SEGALE

Si possono utilizzare altre farine per produrre il pane: una di queste è la farina di segale. In generale, la farina di segale ha un colore più scuro, un caratteristico odore e viene miscelata con la farina di frumento.

Le proprietà di cottura della farina di segale sono sostanzialmente diverse da quelle della farina di grano. Questo dipende dal fatto che nella pasta di segale le molecole di glutine non possono costruire alcuna struttura collante per il trattamento dei gas, a causa della presenza di pentosani.

Queste sostanze viscose hanno per la segale la stessa funzione che ha il glutine per il grano. I pentosani sono importanti per la possibilità di intrattenimento dell’acqua e per il legame idrico della farina durante l’introduzione della pasta e il processo di cottura.

Dal punto di vista reologico si tratta di una farina assai debole, con un basso indice W. Per facilitare lo sviluppo lievitativo, va miscelata con le farine di grano tenero.

FARINA DI MAIS

Fra le farine derivate dalla macinazione, la farina di mais è quella meno panificabile di tutte a causa della mancanza della forza (W) ma, se è opportunamente miscelata con farina di grano tenero, possiamo ottenere prodotti da forno compatti, dotati di buona conservabilità nel tempo.

ALTRI TIPI DI FARINE Da non cereali

• ​Farina di grano saraceno: dai semi del grano saraceno, che fa parte della famiglia delle Poligonacee, si ricava una farina utilizzata per la preparazione dei pizzoccheri, prodotto tipico della Valtellina, e della polentataragna.

• ​Farina amaranto: è una farina ottenuta dal grano amaranto, della famiglia delle Amarantacee. Era usata nella cucina pre-colombianaemeso-americana e oggi sempre più diffusa in negozi specializzati.

• ​Farina di canapa: è ottenuta da piante del genere Cannabis, della famiglia delle Cannabaceae. Come altri numerosissimi prodotti di questa pianta officinale, ha subito negativamente gli effetti della lotta contro lo spaccio di "droghe leggere" ricavabili dalla stessa pianta. Recentemente, in seguito a miglioramenti normativi, sta tornando in auge con nuovi prodotti, oltre che tessili e farmaceutici, anche alimentari: ne è esempio la pizza di canapa.

Da leguminose

• ​Farina di ceci (chiamata anche gramflour o besan): ottenuta dal cece, è di grande importanza nella cucina indiana, e in Italia, dove è utilizzata in Liguria per preparare la farinata, a Palermo per preparare le panelle, a Livorno per preparare la "torta di ceci", a Pisa per preparare la "cecina", a Sassari per preparare la"fainè".

• ​Farina di piselli: è una farina prodotta da piselli gialli arrostiti e polverizzati.

• ​Farina di fagioli: è una farina ottenuta da fagioli essiccati e polverizzati.

• ​Farina di soia: è una farina ottenuta dalla soia.

• ​Farina di fave: è una farina ottenuta dalla Fava.

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• ​Farina di soia: è una farina ottenuta dalla soia.

• ​Farina di fave: è una farina ottenuta dalla Fava.

Fecole

• ​Farina di patate o fecola di patate: è ottenuta riducendo le patate ad una poltiglia ed eliminando le fibre con lavaggio in acqua. Il prodotto essiccato è essenzialmente amido ma contiene anche qualche proteina.

• ​Farina di castagne: è ottenuta da castagne, popolare in Corsica, nelle regioni francesi della zona del Massiccio Centrale e in alcune aree appenniniche d'Italia. In Italia è principalmente usata per la preparazione di dolci tra cui il celebre castagnaccio, le frittelle, i necci in Toscana, eccetera. Sia in Corsica sia in Italia la farina di castagne è usata anche per preparare la tradizionale varietà di polenta dolce, che ha a lungo costituito l'alimento-base delle popolazioni di montagna in numerose zone dell'Appennino.

• ​Farina di manioca (o farina di tapioca): ottenuta dalla manioca (o tapioca).

Farine non più utilizzate

• ​Farina di taro, ottenuta da tubero di taro.

• ​Farina di tifa, ottenuta dalla tifa.

• ​Farina di ghiande, ottenuta dalle ghiande.

PRODUZIONE INDUSTRIALE

L'industria che provvede alla macinazione del frumento si chiama molitoria. I moderni mulini sono organizzati in tre sezioni distinte: nei sili vengono conservate le scorte di frumento, che devono essere periodicamente ventilate per evitare il formarsi di muffe; nella sala di macinazione ci sono le macine che trasformano il frumento in farina; nel magazzino vengono conservati i sacchi di farina in attesa della spedizione.

Nella sala di macinazione molte macchine sono disposte in file parallele, perché ognuna riceve il "macinato" dalla macchina precedente.

La prima operazione è quella di rottura. Il frumento proveniente dal silo entra nella prima macchina, dove viene "rotto" da due cilindri d'acciaio solcati da righe, che ruotano in senso contrario. Il macinato cade su un setaccio oscillante che trattiene i frammenti più grossi (crusca) e fa passare quelli più piccoli, costituiti da farina grossolana mescolata a crusca: questa operazione si chiama abburattamento (cioè setacciatura). Poi il procedimento si ripete nelle altre macchine, dove i cilindri sono sempre più ravvicinati e i setacci più fitti.

La lavorazione si conclude con l'operazione di rimacina. Il prodotto delle operazioni precedenti è avviato alla "rimacina", cioè alle macchine con rulli perfettamente cilindrici e molto ravvicinati:

si ottiene così la farina grossolana (tipo 2), fine (tipo 1), molto fine (tipo 0) e finissima (tipo 00).

ACQUA

L’acqua è un elemento di fondamentale importanza nel processo di produzione del pane. Essa, infatti, forma l’impasto, consente al glutine di svilupparsi e al lievito di svolgere lea sua azione.

Inoltre, apporta sali minerali in essa disciolti: la loro quantità e qualità influenzano la lavorabilità degli impasti, il sapore e la qualità del prodotto finale. Ad esempio, i Sali agiscono sulla fermentazione: un’acqua dolce può generare un impasto colloso, che si può evitare aggiungendo una quantità maggiore di sale. Un elevato contenuto di Sali di calcio e di magnesio acqua dura), invece, provoca un aumento di rigidità dell’impasto.

Per considerarne le dosi, è necessario valutare le caratteristiche della farina impiegata e la consistenza che si vuole dare all’impasto. In generale, la quantità di acqua da aggiungere alla farina va dal 50% al 65%. Una buona parte della produzione di pane viene effettuata utilizzando la normale acqua del rubinetto. Spetta al panificatore l’accortezza di installare un impianto che

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consistenza che si vuole dare all’impasto. In generale, la quantità di acqua da aggiungere alla farina va dal 50% al 65%. Una buona parte della produzione di pane viene effettuata utilizzando la normale acqua del rubinetto. Spetta al panificatore l’accortezza di installare un impianto che gestisca il filtraggio dell’acqua comune, anche perché non esiste nessuna normativa che obblighi l’artigiano a far uso di determinate apparecchiature di filtraggio. La temperatura e la durezza dell’acqua influiscono direttamente sulle caratteristiche del prodotto da forno finito. La durezza si misura in gradi francesi, su di una scala di utilizzo che va da 1 a 30, dove un grado corrisponde ad un grammo di carbonato di calcio disciolto in cento litri di acqua.

Da 5° a 10° francesi = acqua dolce (non contiene sali di calcio e magnesio, sapore gradevole)

Da 10° a 20° francesi = moderatamente dura (con una discreta quantità di Sali di calcio e magnesio insipido).

Da 20° a 30° francesi = dura (quantitativo superiore di Sali calcio/magnesio).

Oltre i 30° francesi = molto dura (eccessiva quantità di Sali di calcio e magnesio tanfo pesante).

Il contenuto in acqua del pane, a cottura completa, qualunque sia il tipo di sfarinato impiegato nella produzione (con la sola eccezione del pane prodotto con farina integrale, per il quale è consentito un aumento del 2%), è stabilito dall’art. 16 della legge n. 580/67. (Vedi tabella)

Contenuto in acqua del pane espresso in percentuale su pane a cottura completa.

Pezzature Fino a 70 grammi Massimo 29%

Pezzature Da 100 a 250 grammi Massimo 31%

Pezzature Da 300 a 500 grammi Massimo 34%

Pezzature Da 600 a 1000 grammi Massimo 38%

Pezzature Oltre i 1000 grammi Massimo 40%

Per le pezzature di tipo intermedio, il contenuto massimo di acqua è quello che risulta dalla interpopolazione tra i due valori limite.

Impasto con acqua dolce: è colloso e difficile da lavorare.

Impasto con acqua molto dura: l’acqua dura rallenta la fermentazione e irrigidisce il glutine ( è molto ricca di calcare).

Possiamo, però, bollirla per almeno 10 minuti per far depositare il calcare sul fondo, quindi filtrarla non appena freddata.

Usando gli stessi ingredienti in due località del nostro paese, tra loro distanti, ed utilizzando acque diverse, si ottengono risultati e “gusti” differenti.

TEMPERATURA DELL’ACQUA A SECONDA DELLE STAGIONI

Con stagioni molto calde usiamo sempre acqua abbastanza fredda per non scaldare l’impasto in lavorazione, mentre per stagioni invernali utilizziamo quella a temperatura ambiente e non fredda.

Scarsa quantità di acqua nell’impasto provoca i seguenti effetti:

Rallenta la lievitazione;

Volume dal prodotto finito insufficiente;

Difficoltà nella lavorazione e pezzatura (formatura);

Mollica troppo compatta;

Lacerazioni della crosta del prodotto finito;

Crosta scura del prodotto finito.

Eccessiva quantità di acqua nell’impasto provoca i seguenti effetti:

Impasto appiccicoso;

Lievitazione molto veloce;

Forma del prodotto finito appiattita§; mollica umida.

L’acqua in panificazione deve ovviamente essere potabile, inodore, incolore e non presentare nessuna anomalia visiva e olfattiva ecc. (deve mantenere integre le caratteristiche organolettiche).

La sua emissione deve avvenire da fonti e controllate (ad esempio, da un acquedotto che ne

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L’acqua in panificazione deve ovviamente essere potabile, inodore, incolore e non presentare nessuna anomalia visiva e olfattiva ecc. (deve mantenere integre le caratteristiche organolettiche).

La sua emissione deve avvenire da fonti e controllate (ad esempio, da un acquedotto che ne garantisca l’integrità ed il trattamento a norma di legge).

IL RUOLO DELL’ACQUA NEGLI IMPASTI L’acqua ha le seguenti funzioni:

o Attiva il lievito

o Gonfia i granuli dell’amido o Permette la solubilità del sale

o Accentua le qualità meccaniche e la reazione del glutine.

Vapore

Il vapore o vapore acqueo conferisce molteplici caratteristiche sia di natura estetica che di qualità al prodotto finito.

Il processo si effettua con l’emissione del vapore all’interno del forno professionale e permette di velocizzare la cottura, rallentando la formazione della crosta ed esaltandone alcune caratteristiche principali come:

o Crosta sottile e lucente;

o Colorazione più dorata della superficie;

o Mollica più soffice.

La cottura senza erogazione di vapore, invece, conferisce altre caratteristiche, come:

o Colore della crosta molto scuro;

o Maggiore spessore della crosta;

o Strappi o lacerazioni sulla superficie del prodotto SALE

Il sale migliora la consistenza e l’elasticità dell’impasto e ne aumenta la capacità di trattenere il gas con un conseguente aumento di volume del pane.

Il sale alimentare è formato da cloruro di sodio e po’ essere ricavato dall’acqua di mare (sale marino) oppure estratto dalle miniere (salgemma), grazie ad una lenta evaporazione di antichi bacini marini.

Dopo un procedimento di raffinazione che elimina la maggior parte degli altri Sali presenti, si ottiene un prodotto contenente solo cloruro di sodio.

Tra gli accorgimenti da considerare nell’utilizzo del sale ricordiamo che esso deve essere sciolto bene nell’acqua e deve essere aggiunto circa a fine impasto, in un quantitativo che varia sulla base delle diverse esigenze.

Il sale ha un’azione antisettica nei confronti di muffe e batteri, favorisce l’imbrunimento del pane, conferisce maggiore “croccantezza” e migliore sviluppo di aromi e sapidità. Incide, inoltre, sulla durata e sullo stato di conservazione del pane. Il dosaggio, in genere, varia tra lo 0,5% e l’1,5%

del peso della farina, eccezion fatta per particolari tipi regionali di pane.

Sale marino

Il sale marino è considerato il migliore per la panificazione. Si distingue per la maggiore umidità rispetto ad altri Sali e contiene circa il 97% di cloruro di sodio. Si ottiene per evaporare dell’acqua di mare in alcune saline artificiali (vasche naturali o artificiali) dopo svariati lavaggi. Dopo questo trattamento vengono aggiunti solfati di magnesio, cloruro di magnesio e calcio. In commercio lo si trova sia fino sia grasso (sapore eccessivamente salato).

o La sua percentuale di utilizzo varia fra il 2-3% sul peso della farina.

o Non lo si deve mai sciogliere nell’acqua insieme al lievito (rallenta la lievitazione).

o Ha il potere di rendere l’impasto meno appiccicoso trattenendo l’acqua.

o Disciolto in acqua non deve produrre una soluzione torbida.

o Non deve avere sapore amaro.

o In quantità eccessiva non permette, in genere, la formazione del glutine e rallenta la fermentazione.

o Conferisce un colore più vivace alla crosta ma sbianca la mollica.

Scarsa quantità di sale nell’impasto provoca i seguenti effetti:

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o Conferisce un colore più vivace alla crosta ma sbianca la mollica.

Scarsa quantità di sale nell’impasto provoca i seguenti effetti:

o L’impasto risulta appiccicoso e molle, ossia manca di consistenza;

o Difficoltà di lavorazione;

o Scarso volume dell’impasto;

o Forma del prodotto finito piatta;

o Prodotto finito con mollica più dura;

o Crosta del pane poco colorita;

o Sapore insipido e non appagante.

Eccessiva quantità di sale nell’impasto provoca i seguenti effetti:

o Prodotto finito con mollica ruvida;

o Strappi sulla superficie della crosta;

o Prodotto finito con crosta scura;

o Sapore eccessivamente salato e sgradevole.

SALE MARINO IODATO

Conserva tutte le caratteristiche del sale marino ma con in più l’aggiunta di iodio.

SALE MARINO INTEGRALE O GREZZO

Viene lavorato meno a livello di lavaggio ad è meno bianco, con un sapore meno intenso. La percentuale di cloruro di sodio è al di sotto dell’80%

AGENTI LIEVITANTI

Per far aumentare la massa degli impasti e renderli soffici, si utilizza generalmente il lievito, che può essere chimico, di birra o naturale.

In commercio possiamo trovare:

• ​Il lievito di birra fresco: si presenta come un panetto di colore grigio-giallastro e di consistenza morbida. È un prodotto che si deteriora facilmente e va quindi conservato in frigorifero, rispettando scrupolosamente la data di scadenza sulla confezione.

• ​Il lievito di birra liofilizzato: si tratta di normale lievito di birra, sottoposto a processo di liofilizzazione. In questo modo il lievito si conserva anche per un anno.

Il lievito chimico è composto da bicarbonato di sodio con l’aggiunta di un acido che, al contatto con il calore, libera anidride carbonica facendo così rigonfiare l’impasto. Si presenta sotto forma di polvere da mescolare alla farina o aggiungere all’impasto solo all’ultimo momento per conservare al meglio le proprietà di lievitazione. È consigliato per la preparazione di biscotti, panini dolci, torte, piccola pasticceria, ecc..

Il lievito di birra è costituito un fungo appartenente al genere Saccharomyces, responsabile di molti processi di fermentazione (come quelli per la produzione del vino e della birra).

Durante il processo di fermentazione, il lievito scompone gli zuccheri in gas e questi fanno rigonfiare l’impasto. Se la pasta non è zuccherata, il lievito trasforma in glucidi l’amido presente nella farina. Proprio per accelerare la lievitazione di alcune preparazioni salate, spesso si unisce al loro impasto una punta di zucchero o un po’ di miele. Questo tipo di lievito viene in genere utilizzato per la pasta di pane, le brioche, i pasticcini lievitati e le pizze.

Il lievito naturale, chiamato anche lievito acido, pasta acida, lievito madre e pasta madre, è un impasto di farina e acqua che contiene un complesso di lieviti e batteri in grado di avviare la fermentazione degli impasti. A differenza del lievito di birra, che contiene unicamente Saccharomyces, il lievito naturale contiene anche altri tipi di funghi, nonché numerosi batteri lattici, in particolare del genere Lactobacillus. Alla fermentazione operata dai batteri lattici, che produce acidi organici, si devono le migliori caratteristiche organolettiche dei prodotti ottenuti con il lievito naturale ed una loro maggiore digeribilità e conservabilità.

RISPETTO DELLE QUANTITA’

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acidi organici, si devono le migliori caratteristiche organolettiche dei prodotti ottenuti con il lievito naturale ed una loro maggiore digeribilità e conservabilità.

RISPETTO DELLE QUANTITA’

La quantità nell’impasto è orientativa ed è in relazione:

Al tipo di farina (attenzione alle farine forti di W, dosando con quantità inferiori);

Alla temperatura dell’impasto;

Al tipo di lavorazione prescelta.

Una scarsa quantità di lievito nell’impasto provoca i seguenti effetti:

Difficoltà di fermentazione dell’impasto (si prolungano i tempi di riposo);

Scarsa lievitazione e mancanza di volume;

Mollica umida e troppo compatta;

Superficie del prodotto finito lacerata.

Una eccessiva quantità di lievito nell’impasto provoca i seguenti effetti:

Tempi di fermentazione eccessivi e veloci, poiché lievita troppo in fretta;

Mollica con bolle grandi nel centro;

Crosta piuttosto chiara;

Pesantezza a livello digestivo da parte del consumatore;

Limitata conservabilità del prodotto finito.

CONSIGLI SUL MANTENIMENTO

L’ambiente nel quale il lievito viene conservato deve essere fresco ed aerato; se è troppo umido il lievito assume una colorazione giallo-verdastra. Il prodotto si deve presentare insipido al palato con colore bianco- grigiastro o paglierino, friabile ma allo stesso tempo consistente.

I valori consigliati per il mantenimento oscillano fra + 1 e +4 °C evitando bruschi sbalzi termici. È necessario prestare attenzione alle contaminazioni esterne ed al cambiamento di colore. È preferibile avvolgerlo in una pellicola trasparente in modo che sia impermeabile ad agenti e parassiti. Per sfruttare al meglio le sue qualità reagenti, è buona norma toglierlo dal frigo qualche ora prima di formare l’impasto.

I MIGLIORATORI

I miglioratori sono sostanze di origine chimica e biologica. Hanno la capacità di migliorare l’impasto a seconda del tipo di reazione che vogliamo ottenere. Possono quindi, modificare le caratteristiche reologiche e di

fermentazione (lievitazione), la velocità di produzione degli impasti e la conservabilità del prodotto nel tempo.

Possiamo distinguere i seguenti tre gruppi di miglioramenti:

Conservanti o antimuffa, che permettono la conservabilità del prodotto;

Miglioramenti della fermentazione delle farine (ad es: malto, amilasi e destrosio);

Miglioramenti delle caratteristiche delle farine, che permettono di dare forza o, viceversa, di renderle meno tenaci (ad es: glutine essiccato, vitamina c, ossidanti che stimolano la forza; cisteina e proteasi, che riducono gli effetti).

Amilasi

Le amilasi sono enzimi che permettono di dare un forte stimolo al processo di lavorazione accelerando maggiormente la fase di fermentazione. Sono solubili sotto forma di alfa-amilasi e si sciolgono in acqua prima di aggiungerle all’impasto (non superiamo, però, le dosi consigliate, in quanto di potrebbero avere risultati inversi a quelli desiderati).

I principali vantaggi sono:

Tempi inferiori di lavorazione;

Tempi inferiori di fermentazione;

Maggiore gusto del prodotto finito;

Crosta dorata.

Malto

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Crosta dorata.

Malto

Si estrae dalla germinazione dei chicchi d’orzo ed è una buona fonte di zuccheri e di enzimi. La base zuccherina che ne deriva è il maltosio. Visto che le cellule del lievito si nutrono di zuccheri, il malto aiuta il livello nella propria azione lievitativa favorendo al meglio la fermentazione dell’impasto.

Il malto conferisce, tra l’altro, una maggiore alveolatura della mollica, un migliore gusto e profumo del prodotto, e dona ad esso una bella crosta dorata.

I suoi derivati sono:

Farina di malto;

Estratto di malto in polvere;

Estratto di malto in sciroppo;

Estratto di malto concentrato in sciroppo.

Destrosio

Rispetto agli effetti del malto, il destrosio permette di velocizzare notevolmente molte situazioni:

Velocizza la fermentazione;

Reduce i tempi di lavorazione;

Riduce i tempi riposo dell’impasto;

Sviluppa notevolmente la mollica (anche il malto produce un effetto simile);

Dà intenso profumo al pane (anche il malto produce un effetto simile);

Dà gusto superiore al pane (anche il malto produce un effetto simile).

Proteasi E Cisteina

Quando siamo in presenza di farine con un indice di W molto alto bisognerà cercare di renderle più malleabili in fase di lavorazione, facendole diventare più dolci a seconda del nostro tipo di utilizzo. Esistono, in

particolare, due sostanze che diminuiscono la forza delle farine: la proteasi e la cisteina.

Il loro utilizzo produce i seguenti effetti:

Impasto più estendibile e malleabile;

Riduzione dei tempi di impasto;

Riduzione dei tempi di riposo dell’impasto;

Impasto soffice e meno gommoso.

ANOMALIE DEL PANE

Le anomalie del pane, in generale, sono dovute:

Al dosaggio errato degli ingredienti;

Alla scarsa qualità delle materie prime;

A problemi relativi alla cottura del prodotto finito.

ANOMALIE DEL PANE DOVUTE AL DOSAGGIO ERRATO DEGLI INGREDIENTI E ALLA SCARSA QUALITA’ DELLE MATERIE PRIME.

1. Impasto rilassato, insufficientemente sviluppato e spugnoso.

Causa: farina ancora fresca di macinazione; dobbiamo attendere un periodo di maturazione.

2. ​Difficoltà nella fermentazione (il prodotto finito risulta essere poco lievitato e stenta a prendere il dovuto volume con mollica densa e umidiccia. La crosta è lacerata e presenta una colorazione scura.

Causa: la quantità di lievito nell’impasto è insufficiente

3. ​Mollica ruvida e volume del pane poco sviluppato (sapore eccessivamente salato con una superficie della crosta strappata e di aspetto scuro).

Causa: quantitativo di sale eccessivo nell’impasto

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3. ​Mollica ruvida e volume del pane poco sviluppato (sapore eccessivamente salato con una superficie della crosta strappata e di aspetto scuro).

Causa: quantitativo di sale eccessivo nell’impasto

4. ​ Lievitazione lenta con difficoltà nel formare le pezzature (mollica umida con crosta scura; prodotto finito con volume poco sviluppato).

Causa: quantitativo insufficiente di acqua nell’impasto.

5. ​Impasto molto umido e attaccaticcio con difficoltà nella lavorazione (la lievitazione parte in fretta ma il volume finale del prodotto è scarso e insoddisfacente).

Causa: quantità eccessiva di acqua nell’impasto,

6. ​L’impasto tende a non assorbire l’acqua rimanendo unto o poco lavorabile, attaccaticcio (non prende consistenza per essere formato; il volume non aumenta e la mollica non si sviluppa sufficientemente: il risultato è un pane basso con una superficie della crosta molto scura).

Causa: la farina è debole ed ha un W basso

7. ​Aspetto del pane appiattito e poco sviluppato.

Cause: troppa lievitazione per una farina debole (attenti al W). Fare attenzione al forno:

potrebbe avere una temperatura troppo bassa.

8. ​Mollica secca che si sbriciola.

Causa: impasto caldo o troppo forte (W alto), malto insufficiente

9. ​Alveatura non regolare della mollica con presenza di bolle tra mollica e crosta (la crosta ed il pane sono pesanti da digerire; il volume è inferiore e la lievitazione troppo rapida) Causa: molto lievito nell’impasto

10. ​La crosta presenta screpolature varie in superficie.

Causa: eccesso di vapore nel forno o addirittura in cella.

11. ​Crosta vetrosa e sottile (superficie appena colorata)

Causa: la temperatura dell’impasto può essere troppo bassa, con uso di troppo vapore.

12. ​ Il pane presenta screpolature sulla superficie ed una mollica compatta tende a rompersi facilmente (si sbriciola durante la lavorazione con l’impastatrice; l’impasto diventa gommoso con la farina che assorbe avidamente l’acqua, con pezzature difficilmente lavorabili dal valore insoddisfacente).

Causa: stiamo attenti al W: magari stiamo utilizzando una farina troppo forte.

PROBLEMI RELATIVI ALLA COTTURA DEL PRODOTTO FINITO

1. Crosta sottile e fragile con screpolatura superficiale e bollicine (la forma tende a non essere stabile e si “deforma” nel forno).

Causa: la camera interna del forno è eccessivamente umida. Abbiamo dato troppo vapore nella fase d’infornamento.

2. Scompenso di cottura fra interno ed esterno (parte interna non cotta mentre all’esterno la superficie della crosta risulta piuttosto scura).

Causa: temperatura del forno troppo elevata.

Il Pane di Altamura

Il pane di Altamura è un prodotto di panetteria tradizionale di Altamura, nella città metropolitana di Bari.

È ottenuto dall'impiego di semole (molto ricca di glutine) rimacinate di varietà di grano duro coltivato nei territori dei comuni della Murgia. Cotto nei tradizionali forni a legno e in pietra, il pane di Altamura si distingue per la sua fragranza, il suo sapore ed il suo aroma. Ha una crosta molto croccante e una mollica soffice di colore giallo paglierino. Si presenta sotto due forme tradizionali; la prima denominata localmente

«U sckuanéte» (pane accavallato), è alta, accavallata, l'altra più bassa, localmente denominata «a cappidde del padre de simone» (a cappello di prete)

La storia

Il pane, come elemento base del regime alimentare delle popolazioni dell’Alta Murgia, prodotto

tradizionalmente in grandi pezzature, nella sua forma caratteristica, denominata “u sckuanète”, era impastato prevalentemente dalle donne tra le mura domestiche, e portato a cuocere in forni pubblici. La produzione del

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La storia

Il pane, come elemento base del regime alimentare delle popolazioni dell’Alta Murgia, prodotto

tradizionalmente in grandi pezzature, nella sua forma caratteristica, denominata “u sckuanète”, era impastato prevalentemente dalle donne tra le mura domestiche, e portato a cuocere in forni pubblici. La produzione del pane era dunque un atto corale, sul piano sociale e culturale, nel quale la sfera familiare e privata si

incrociava con quella pubblica.

Per evitare che le pagnotte si confondessero, il fornaio procedeva a marchiarle con le iniziali del proprietario o del capofamiglia, impresse su un timbro di ferro. Solo allora procedeva ad infornarle.

La principale caratteristica del pane, preservatasi nel tempo, era la durevolezza, indispensabile per assicurare il sostentamento di contadini e pastori nelle settimane che trascorrevano lontano da casa, al lavoro nei campi o nei pascoli, sulle colline murgiane. Il pranzo di questi lavoratori consisteva infatti essenzialmente in una zuppa di pane insaporita con olio di oliva e sale. Fino alla metà del secolo scorso si poteva udire per le strade di Altamura il grido del fornaio che annunciava, all’alba, l’avvenuta cottura del pane.

Il primo riferimento al luogo di origine del prodotto, se non proprio riconducibile ad Altamura ma sicuramente al territorio murgiano, è rintracciabile nel libro I, V delle “Satire” del poeta latino Orazio, il quale nella primavera del 37 A.c., nel rivisitare il paesaggio della sua infanzia, nota l’esistenza del “pane migliore del mondo, tanto che il viaggiatore diligente se ne porta una provvista per il prosieguo del viaggio”.

La tradizionale attività di panificazione di Altamura trova conferma ne “Gli Statuti Municipali della Città fatti nell’anno 1527”, i cui articoli relativi al dazio del forno sono stati trascritti, a cura di G. De Gemmis, nel Bollettino dell’Archivio-Biblioteca-Museo Civico, nell’anno 1954 (pag. 5-49).

Un altro documento, risalente al1420, sanzionava l’esenzione del dazio del pane per il clero di Altamura.

La consuetudine della cottura in forni pubblici traeva fondamento nel divieto posto ai cittadini dì ogni stato o condizione di cuocere nelle proprie abitazioni qualsiasi tipo di pane o focacce, pena il pagamento dì

un’ammenda rilevante, pari ad un terzo del costo complessivo della panificazione.

Anche l’attività molitoria doveva essere concentrata tutta in Altamura, considerato che agli inizi del 1600 esistevano ben 26 impianti di trasformazione in piena attività.

Il pane di Altamura viene prodotto ancora oggi seguendo l’antica ricetta tramandata di generazione in generazione da contadini e pastori, sin dal Medioevo. Immutati nel corso dei secoli sono gli ingredienti – sfarinato di grano duro, lievito madre, sale e acqua -, così come il processo di lavorazione, articolato in cinque fasi: impastamento, formatura, lievitazione, modellatura, cottura nel forno a legna.

La qualità del Pane di Altamura D.O.P. è garantita dal Consorzio di Tutela, investito delle funzioni di controllo, promozione e valorizzazione della DOP, nonché di vigilanza contro qualsiasi forma di contraffazione. Monitorando tutte le fasi di produzione, a partire dall’origine della materia prima, il

Consorzio garantisce al consumatore la tracciabilità del prodotto. Al suo interno riunisce agricoltori, molitori e panificatori.

LA PREPARAZIONE DEL PANE DI ALTAMURA

Secondo quanto previsto dal Disciplinare di Denominazione di Origine Protetta Pane di Altamura, l’impasto del pane di Altamura DOP deve essere effettuato con lievito madre che viene ottenuto con un minimo di tre rinnovi. Si prevedono, inoltre, 20 kg di lievito naturale, 2 kg di sale marino, 60 litri di acqua (ad una temperatura di 18°) ogni quintale di semola rimacinata di grano duro.

L’impasto ha una durata di 20 minuti ed è effettuato con una impastatrice a bracci tuffanti. Si prevede che la lievitazione avvenga sotto un telo di cotone e deve durare almeno 90 minuti prima di procedere ad una seconda fase di riposo che inizia con la pesatura e prosegue con la modellatura che viene effettuata manualmente. Dopo una fase successiva di altri 30 minuti di riposo, si passa alla rimodellatura e ad una terza fase di riposo seguita da una ulteriore modellatura manuale e da altri 15 minuti di riposo.

A quel punto non resta che informare il composto ma prima di ciò, esso viene capovolto e, con una leggera pressione della mano, viene accompagnato nel forno precedentemente portato alla temperatura di 250°.

Dopo una prima parte di cottura di 15 minuti a forno aperto, esso viene chiuso. Si aspettano altri 45 minuti.

Il pane di Altamura mantiene intatte le sue proprietà per diversi giorni (nasce infatti dall’esigenza dei contadini di preparare un pane che durasse a lungo).

Le forme tradizionali del pane di Altamura

U Scquanét - Il pane "accavallato"

Il pane veniva impastato in casa e prelevato da " u carrésciapéjne " che aveva il compito di trasportare il pane dalle case dove si era impastato, al forno. Qui il fornaio dava alla pasta la defintiva forma accavallata, la contrassegnava col marchio in legno o in ferro che riportava le iniziali del capo famiglia e dopo la infornava. Dopo circa un'ora apriva la bocca del forno perchè la crosta che si era formata, si asciugasse e divenisse croccante. Ultimata la cottura il fornaio lasciava raffreddare il pane su ripiani di legno e u carrésciapéjne provvedeva a consegnare il pane a domicilio.

Il compenso per u carrésciapéjne consisteva in un pezzo di pasta cruda di circa 300 grammi, u cecì, che riceveva quando caricava il pane e poi metteva assieme a tutti gli altri, ricavando il pane per la sua famiglia.

U Scquanét, normalmente è di 2kg, ma può raggiungere anche i 5kg.

U puéne a cappidde de prévete - Il pane " a cappello di prete "

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riceveva quando caricava il pane e poi metteva assieme a tutti gli altri, ricavando il pane per la sua famiglia.

U Scquanét, normalmente è di 2kg, ma può raggiungere anche i 5kg.

U puéne a cappidde de prévete - Il pane " a cappello di prete "

Questa forma di pane con poca mollica era il risultato dell'unione dei vari cecì che il fornaio trasportatore, u carrésciapéjne, riceveva dalle massaie. Un pane che quando veniva affettato non aveva un colore uniforme, proprio perchè nato dall'insieme di diversi impasti.

U puéne muédde - Il pane " morbido "

Questo tipo di pane era confezionato tradizionalmente per i contadini e i pastori che lo consumavano nei periodi di lunga permanenza nelle campagne, perchè si conservava più a lungo. Lo usavano anche per la ciallédde. Le modalità di impasto, modellatura e cottura sono le stesse del pane accavallato. Si usa farlo ancora oggi.

U puéne a 'mmenza stufe - Il pane " alla stufa "

Un pane speciale destinato alle tavole delle famiglie più agiate della città o prodotto per particolari occasioni (pane di nozze), impastato con farine speciali di grano duro di primissima qualità (tipo il " Senatore Cappelli

"). Viene posto dietro la " chianche ", cioè subito dietro la lastra di chiusura della bocca del forno.

U puéne du picce o u 'peccelatidde - Il pane del capriccio

Era il pane preparato e consumato nell'attesa della cottura d' u scquanéte. Il nome di questo pane deriva dalla necessità di calmare il capriccio del bambino, pertanto veniva preparato e cucinato in casa, sulla brace.

Curiosità

La farina è il prodotto ottenuto dalla macinazione di cereali o di altri prodotti. La semola è una farina di granulometria maggiore dove i singoli componenti sono di forma arrotondata e con presenza di poca polvere. es.: zucchero semolato o semola di grano duro. Nell'uso comune, il termine farina serve ad indicare quella di grano e in particolar modo quella di grano tenero, mentre si usa la parola semola per la farina di grano duro. Per il loro ruolo nella fabbricazione di pane e di pasta, queste sono infatti le più diffuse nel mondo, tutelate dalle leggi dei diversi paesi. La legge italiana ne stabilisce chiaramente caratteristiche ed eventuali denominazioni con il Decreto del Presidente della Repubblica n.187 del 9 febbraio 2001.

Focaccia di Altamura

Tonda, soffice, i bordi dorati e croccanti: è la focaccia pugliese, buona appena sfornata così come il giorno dopo, perfetta per le scampagnate o da portare in spiaggia. Caratterizzata dalla sua forma tondeggiante questa ricetta è comunemente chiamata ruota di focaccia, Pomodorini e olive con origano cipolle e le più svariate verdure. Il particolare impasto, gli conferisce la sua consistenza unica: soffice e profumata. La focaccia di Altamura è soffice e profumata ed è condita con pomodorini, origano e olio extravergine d’oliva.

Preparazione e Ricetta della focaccia di Altamura

Preparate l’impasto della focaccia sbriciolando il lievito di birra in una ciotolina ed unendovi lo zucchero e un poco di acqua tiepida (che prenderete dai 350 ml totali); mescolate e lasciate riposare fino a quando in superficie non affiorerà della schiuma; sciogliete il sale nella restante acqua tiepida. Mettete la farina in una ciotola capiente (o in una impastatrice), unite il composto di lievito, l’olio e l’acqua residua, quindi impastate per bene gli ingredienti fino ad ottenere una pasta liscia, elastica e un po’ collosa. Spolverizzate il fondo della ciotola con della farina ed adagiatevi l’impasto: coprite il tutto con un canovaccio pulito e lasciate riposare in un ambiente tiepido e privo di correnti d’aria per circa 2 ore (o comunque fino a che l’impasto avrà raddoppiato il suo volume). Trascorso il tempo necessario, stendete la pasta con le mani in una teglia ben oliata (delle dimensioni della leccarda del forno) fino a raggiungere lo spessore di 1 cm scarso. Fate pressione con i polpastrelli sulla pasta e oliate la superficie in modo che l’olio finisca nelle fessure praticate dai polpastrelli delle dita. Lasciate lievitare per un’altra mezzora in luogo tiepido. Quando l’impasto sarà lievitato, premeteci sopra i mezzi pomodorini in modo da farli penetrare bene, quindi salateli internamente, spargete l’origano essiccato sulla focaccia e completate con un filo d’olio extravergine d’oliva. Lasciate lievitare ancora per mezz’ora e poi infornate la focaccia in forno già caldo a 190° per circa 30-40 minuti fino a che non diventerà ben dorata e i pomodorini risulteranno raggrinziti.

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Pane di Laterza

Il Pane di Laterza è un prodotto ottenuto dall'impiego di farina di semola di grano duro rimacinata, acqua, sale e lievito madre.

Il Pane di Laterza viene cotto in forni con cupole in materiale refrattario, a riscaldamento diretto.

La legna utilizzata è quella della macchia mediterranea (lentisco e terebinto), molto aromatica e/o di ulivo.

Un vero spettacolo è rappresentato dall'accensione del forno. Le fascine ardono sprigionando da subito i loro profumi tipici ed unici.

Il forno, una volta riscaldato, viene liberato dalla legna per consentire che la cottura del pane avvenga con il calore delle "chiangh(e)" ad una temperatura di circa 300°/400°.

(Prima di infornare il pane vengono infornate le focacce che hanno bisogno di una cottura breve ma ad una temperatura più alta rispetto a quella del pane).

Caratteristiche del Pane di Laterza:

-Ingredienti per l’impasto: farina di semola di grano duro rimacinata, acqua, sale, lievito madre;

-Lievitazione: 6 ore;

-Preriscaldamento del forno: utilizzo di fascine di legna di bosco e/o di ulivo; in alternativa viene utilizzato nocciolino di albicocca o buccia di mandorle a seconda della disponibilità stagionale;

-Cottura: lenta di 2 ore a 400 gradi in forno a riscaldamento diretto su pietra (dette "chianche") -Pezzatura: forme di pane (in dialetto "panédd") da uno, due e quattro kg di peso, con un diametro rispettivamente di circa 25, 35 e 45 cm.

Dopo la cottura ecco pronto il Pane di Laterza con una crosta spessa circa 3 mm di color marrone ed una mollica di colore bianco avorio.

Nel 1999, per tutelare, valorizzare e promuovere questo magnifico prodotto nasce il Consorzio Pane di Laterza.

La città di Laterza fa anche parte dell'Associazione Nazionale Città del Pane, che ha tra i suoi scopi quello di promuovere il riconoscimento e la valorizzazione dei pani e di tipologie specifiche di pane legate a determinati territori.

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