Parere pro veritate in materia di acquisto di crediti deteriorati da parte di società di recupero crediti ex art. 115 TULPS
SOMMARIO: 1. Il quesito. – 2. Le operazioni di acquisto di crediti consentite alle società di recupero dal d.m. Economia n. 53/2015. – 3. L’acquisto di crediti deteriorati a fini di recupero. – 4. La nozione di credito deteriorato e il suo accertamento. – 5. I finanziamenti dei soci e dei terzi. – 6. Il divieto di concessione di finanziamenti ai debitori ceduti. – 7. La disciplina applicabile alle società di recupero e alle operazioni di acquisto. – 8. Conclusione.
1. Il quesito. – Mi viene chiesto di chiarire con quali limiti e a quali condizioni le so- cietà titolari di licenza per l’attività di recupero crediti ai sensi dell’art. 115 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza possano acquistare crediti anche diversi da quelli d’imposta sul valore aggiunto.
2. Le operazioni di acquisto di crediti consentite alle società di recupero dal d.m. Eco- nomia n. 53/2015. – L’acquisto di crediti da parte di società di recupero crediti autorizzate con licenza del questore ex art. 115, TULPS è ammesso e disciplinato dal d.m. Economia, 2 aprile 2015, n. 53. La novità s’inquadra nell’ambito di una serie d’interventi normativi succe- dutisi negli ultimi anni al fine di agevolare gli investimenti in crediti d’impresa sia attraverso l’ampliamento dei soggetti autorizzati all’acquisto, che mediante nuove regole volte ad age- volarne la circolazione (cfr., ad esempio, le disposizioni in tema di cartolarizzazione introdot- te dal d.l. 23-12-2013, n. 145 conv. con l. 21-2-2014, n. 9 e dal d.l. 24-6-2014, n. 91, conv.
con l. 11-8-2014, n. 116).
In particolare, l’art. 2, comma 2, del decreto prevede due ipotesi: i) l’acquisto di crediti iva; ii) l’acquisto di crediti cc.dd. deteriorati. Trattasi all’evidenza di fattispecie del tutto di- verse. Nel primo caso, infatti, il decreto intende favorire il pronto smobilizzo di crediti con- trassegnati da un rischio di credito pressoché nullo, al fine di venire incontro alle esigenze di cash flow d’imprese in bonis, oppure a quelle di celerità di chiusura delle procedure concor- suali quando titolare del credito iva sia un’impresa fallita. Nel secondo caso, invece, scopo della disciplina è consentire per la prima volta alle società ex art. 115, TULPS d’investire nel settore dei prestiti non performanti (c.d. non performing loans), contrassegnati da un altissi- mo grado di rischio e da lunghi tempi di recupero, al fine di sviluppare il mercato dei crediti deteriorati, che come noto appesantiscono i bilanci degli istituti di credito, limitandone la ca- pacità operativa.
L’eterogeneità delle fattispecie giustifica il loro differente trattamento. L’acquisto di crediti iva da parte di società di recupero ex art. 115, TULPS è ammesso senza limitazioni di sorta. L’art. 2, comma 2, lett. a), d.m. Economia, n. 53/2015 colloca tale attività al di fuori di quelle riservate alle banche e agli intermediari finanziari, stabilendo, con disposizione dal te-
nore inequivoco, che l’acquisto di crediti iva non costituisce attività di concessione di finan- ziamenti ex art. 106, Tub. E ciò in armonia con la considerazione che la natura finanziaria dell’operazione è qui non poco affievolita dalla sostanziale assenza di un rischio di credito assunto dal cessionario.
L’acquisto di crediti deteriorati è invece un’attività finanziaria a tutti gli effetti, peraltro marcatamente aleatoria. Pertanto, in linea di principio, è riservata alle banche e agli interme- diari finanziari. Il d.m. Economia n. 53/2015 dà tuttavia alle società di recupero ex art. 115, TULPS la possibilità di acquistare crediti deteriorati, purché esse rispettino un insieme di condizioni essenzialmente volte a evitare la sostanziale trasformazione delle società di recu- pero in intermediari finanziari non soggetti alla disciplina speciale e alla vigilanza prudenzia- le della Banca d’Italia.
3. L’acquisto di crediti deteriorati a fini di recupero. – Procedendo quindi ad analizza- re le singole condizioni stabilite dalla norma regolamentare per l’acquisto dei crediti deterio- rati, può innanzitutto osservarsi che essi devono essere acquistati con finalità esclusiva di re- cupero. Le società ex art. 115, TULPS non possono finanziarsi ricollocando sul mercato i crediti appena acquistati. La formulazione dell’art. 2, comma 2, lett. b), n. 1, d.m. Economia, n. 53/2015 porta ad escludere la legittimità di qualunque operazione di successivo ritrasferi- mento dei predetti crediti. Il che si spiega ove si consideri che l’acquisto finalizzato alla suc- cessiva cessione dei crediti NPL è un’attività intermediaria nella circolazione del credito tipi- ca degli istituti bancari che è del tutto estranea all’ambito operativo delle società di recupero ammesso dalla legge. Naturalmente, le società di recupero non possono neppure procedere ad operazioni di cartolarizzazione dei crediti deteriorati di cui sono divenute titolari. Attività quest’ultima riservata alle società di cui all’art. 3, l. 30-4-1999, n. 130, nel rispetto delle re- centi regole dettate dall’art. 7.1., introdotto dal d.l. 24-4-2017, n. 50, conv. con l. 21-6-2017, n. 96.
4. La nozione di credito deteriorato e il suo accertamento. – L’art. 2, comma 2, lett. b), n. 1, d.m. Economia, n. 53/2015 prevede poi che i crediti devono essere «ceduti da: i. banche o altri intermediari finanziari sottoposti alla vigilanza della Banca d’Italia, i quali li hanno classificati in sofferenza, ovvero ii. soggetti diversi da quelli indicati al punto i), purché si tratti di crediti vantati nei confronti di debitori che versano in stato di insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili, secondo quanto accer- tato dai competenti organi sociali; non rileva, a tal fine, l’esistenza di garanzie reali o per- sonali». I termini dell’alternativa indicata dalla norma ministeriale sottendono che la qualifica soggettiva del cedente – l’essere cioè una banca oppure un intermediario finanziario vigilato – rileva al solo fine di variare le modalità di accertamento del presupposto oggettivo costitui- to dal carattere deteriorato del credito. Cedente può infatti essere anche un qualunque sogget- to (persona fisica o giuridica) diverso da una banca, oppure da un intermediario finanziario.
Tuttavia, in tal caso, siccome non è possibile fare affidamento sull’elemento formale dell’appostazione del credito a sofferenza presso la Centrale dei Rischi, la disposizione pre- vede dei sistemi alternativi di riscontro della natura deteriorata del credito.
Gli aspetti salienti su cui occorre soffermarsi sono quindi l’individuazione della nozio- ne di credito deteriorato accolta dalla norma e le modalità di determinazione del carattere de-
teriorato del credito ogni qualvolta manchi una classificazione in sofferenza perché il cedente non è una banca o un intermediario finanziario.
Riguardo al primo punto, bisogna innanzitutto sottolineare che la disposizione in com- mento postula un concetto di credito deteriorato più unitario di quanto potrebbe apparire sulla base di una prima lettura: tale è infatti quello concretamente segnalato a sofferenza presso la Centrale dei Rischi quando il cedente è un operatore professionale del credito; mentre è quel- lo astrattamente suscettibile di essere classificato in sofferenza se il cedente non è una banca o un intermediario. A questa conclusione si perviene ove si consideri la sostanziale identità tra la nozione ministeriale di credito deteriorato dettata al punto ii) della disposizione in og- getto («crediti vantati nei confronti di debitori che versano in stato di insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili») e quella di credito in sofferenza secondo la Circ. Banca d’Italia, 11-2-1991, n. 139, come modificata da ultimo nel 2016 (cfr. il Cap. II, Sez. II, Par. 1.5: «Nella categoria di censimento sofferenze va ricondotta l’intera esposizione per cassa nei confronti di soggetti in stato di insolvenza, anche non ac- certato giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dall'intermediario. Si prescinde, pertanto, dall’esistenza di eventuali garanzie (reali o personali) poste a presidio dei crediti»). In sinte- si, le società di recupero possono acquistare solo crediti classificati in sofferenza, oppure classificabili come tali.
Tanto premesso, al fine di dare un contenuto più analitico alla nozione di sofferenza occorre prendere in considerazione le Istruzioni della Banca d’Italia contenute nella Circ. n.
139/1991, nonché l’elaborazione della dottrina e della giurisprudenza soffermatesi sulle con- dizioni di legittimità dell’appostazione di un credito a sofferenza presso la Centrale dei Ri- schi. Ne risulta quanto segue:
a) la segnalazione in sofferenza corrisponde al più elevato livello di deterioramento del credito secondo la progressione stilata dalla Banca d’Italia;
b) l’appostazione a sofferenza implica una valutazione della complessiva situazione fi- nanziaria del debitore (così, la Circ. Banca d’Italia n. 139/1991, Cap. II, Sez. II, Par. 1.5); è quindi un giudizio avente come termine di riferimento non l’andamento del singolo rapporto di credito ceduto, bensì la situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore; ciò significa, come precisa la Banca d’Italia, che uno o più ritardi nel pagamento del debito, op- pure la contestazione del credito da parte del debitore, non giustificano automaticamente l’appostazione in sofferenza, ove essa non sia supportata da un giudizio negativo sulla solvi- bilità del soggetto inadempiente; mentre, di converso, come specifica anche la disposizione ministeriale in commento, l’attenuazione del rischio di credito per la presenza di garanzie rea- li o personali non impedisce la considerazione del credito come in sofferenza, se la situazione patrimoniale del debitore lo richiede;
c) sono suscettibili di essere inquadrati nella categoria “a sofferenza” non solo i crediti vantati verso debitori che si trovano in stato d’insolvenza conclamata e irreversibile secondo la nozione di cui all’art. 5 l.f., ma anche quelli verso debitori in stato di grave e non transito- ria difficoltà economica (così, Cass., 12 ottobre 2007, n. 21428; Cass., 1° aprile 2009, n.
7958); la sofferenza copre pertanto uno spettro che va dalla definitiva irrecuperabilità del cre- dito al rischio concreto e oggettivo d’insolvenza del debitore, con esclusione della crisi transi- toria di liquidità (cfr., più di recente, G.B. FAUCEGLIA, La segnalazione a sofferenza alla Centrale dei rischi: presupposti sostanziali ed obblighi di preavviso, in Banca e borsa, 2016, II, 216 ss.; FLORIO, Sulla nozione di “sofferenza” ai fini della segnalazione alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia, ivi, 2011, II, 654 ss.; M
lazione alla Centrale dei rischi della Banca d’Italia: presupposti della segnalazione, risarci- mento del danno e strumenti di tutela del soggetto illegittimamente segnalato, in Dir. fall., 2010, II, 582 ss.).
Va aggiunto che la segnalazione del credito presso la Centrale dei Rischi dev’essere at- tuale al momento della cessione. Pertanto, essa non dev’essere stata eliminata in esecuzione di un provvedimento dell’autorità giudiziaria, oppure su iniziativa della stessa banca.
Passando ora al secondo punto – vale a dire, l’individuazione delle forme di accerta- mento del carattere deteriorato del credito quando manca una classificazione in sofferenza presso la Centrale dei Rischi perché il cedente non è una banca o un intermediario – la norma ministeriale in commento contempla due alternative:
i) l’accertamento giudiziale;
ii) l’accertamento non giudiziale compiuto dai competenti organi sociali.
L’accertamento giudiziale del deterioramento del credito si ha quando il debitore è sot- toposto a una procedura concorsuale che presuppone lo stato d’insolvenza del debitore, ovve- ro situazioni ad esso equiparabili. È il caso di debiti d’imprese fallite, oppure in liquidazione coatta amministrativa con accertamento dello stato d’insolvenza ex artt. 195 e 202 l.f., oppure ancora in amministrazione straordinaria. Qualche dubbio si pone in caso di debiti d’imprese in concordato preventivo, dato che sono ammesse a tale procedura anche quelle che versano solo in stato di crisi (art. 160, commi 1 e 3, l.f.). La soluzione dipende pertanto da come s’interpreta il presupposto oggettivo del concordato preventivo. Se si ritiene che lo stato di crisi ex art. 160 l.f. sia una situazione di difficoltà economico-finanziaria comunque grave e non transitoria, in un certo senso prodromica dell’insolvenza (in tal senso, v. Trib. Modena, 16 ottobre 2009, in Fall., 2010, 121; ROCCO DI TORREPADULA, La crisi dell’imprenditore, in Giur. comm., 2009, I, spec. 232 s.), si può concludere che l’ammissione al concordato pre- ventivo integri l’accertamento giudiziale di una condizione di sofferenza del credito, posto che, come osservato poc’anzi, essa sussiste anche quando il debitore non è ancora irrimedia- bilmente insolvente. Se invece si accoglie un concetto più ampio dello stato di crisi ex art.
160 l.f., comprensivo quindi anche della mera temporanea difficoltà di adempiere suscettibile di essere superata senza tramutarsi in insolvenza (in quest’ordine di idee, cfr. FERRO, Com- mento all’art. 160, in La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico2, a cura di Ferro, Cedam, 2011, 1717; Cass., 6 agosto 2010, n. 18437; Trib. Treviso, 15 luglio 2005, in Falli- mento, 2006, 63; Trib. Bari, 11 novembre 2005, in Dir. e giust., 2005, 1210), si deve ritenere che un’impresa in concordato preventivo non versi sempre in una situazione patrimoniale co- sì grave da giustificare la classificazione dei suoi debiti in sofferenza. Con la conseguenza che l’apertura di una procedura di concordato preventivo a carico del debitore ceduto non è in sé sufficiente a giustificare la cedibilità del credito a una società di recupero.
Ogni qualvolta manchi un accertamento giudiziale della sofferenza e non è dato neppu- re fare affidamento su una classificazione in tal senso presso la Centrale dei Rischi, la dispo- sizione in oggetto prevede la possibilità di un accertamento non giudiziale eseguito dagli or- gani sociali competenti. Su questo punto la norma è oggettivamente mal formulata, tanto da lasciare aperto qualche dubbio sul se la competenza all’accertamento stragiudiziale spetti agli organi sociali del cedente, oppure a quelli del debitore ceduto. Nel primo senso milita, tutta- via, un motivo di simmetria con l’ipotesi che il cedente sia un istituto di credito, poiché in quest’ultimo caso è la banca cedente a riscontrare lo stato d’insolvenza del debitore attraverso l’inoltro della segnalazione alla Centrale dei Rischi. D’altronde, il diritto societario non disci- plina nessun meccanismo di autoattestazione dello stato d’insolvenza ad opera della società debitrice. Tale in particolare non è – e non può ritenersi – il procedimento di riduzione obbli-
gatoria del capitale per perdite previsto per le società di capitali (cfr. gli artt. 2446-2447 e 2482 bis e ter c.c.), perché la situazione patrimoniale sottostante alla riduzione obbligatoria del capitale non s’identifica con l’insolvenza. Anche quando le perdite hanno eroso il minimo legale talvolta residua un’eccedenza dell’attivo sul passivo. Senza considerare che, secondo un orientamento consolidato, finanche quando il passivo supera l’attivo potrebbe non esservi insolvenza, se l’imprenditore gode di credito sul mercato e riesce a procurarsi i mezzi finan- ziari per il regolare pagamento dei debiti (cfr. Cass., 8 febbraio 1989, n. 795; Cass., 16 luglio 1992, n. 8656; in dottrina, v. G.F.CAMPOBASSO, Diritto commerciale. 3. Contratti. Titoli di credito. Procedure concorsuali5, a cura di M. Campobasso, Utet, 2014, 344 testo e nt. 6). Sot- to altro aspetto, la società debitrice non accerta il proprio stato d’insolvenza neppure all’atto della proposizione della c.d. istanza di autofallimento, perché con essa si limita piuttosto a sollecitare l’accertamento da parte del Tribunale.
Chiarito che, verosimilmente, l’attestazione di sofferenza va eseguita dal cedente e non dal debitore ceduto, ne consegue che qualora il cedente sia un’impresa fallita essa competerà al curatore fallimentare, oppure, in caso di sottoposizione ad altra procedura concorsuale, agli organi funzionalmente corrispondenti al curatore. Peraltro, la sufficienza dell’attestazione del curatore fallimentare dell’impresa cedente circa la sofferenza del debitore ceduto ai fini dell’osservanza delle condizioni stabilite dalla norma ministeriale va riconosciuta quand’anche si ritenga, in contrasto con quanto sopra osservato, che la disposizione richieda, in alternativa all’accertamento giudiziale, un’autocertificazione di sofferenza da parte del de- bitore. È infatti ragionevole ritenere che nel concetto di accertamento giudiziale, inteso in senso lato, vada ricompreso anche quello eseguito dal curatore dell’impresa cedente. Infatti:
i) il curatore è nominato dall’autorità giudiziaria con la sentenza di fallimento (art. 27 l.f.); ii) ha natura di pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni (art. 30, l.f.); iii) opera in po- sizione di terzietà; iv) è dotato di specifici attributi di professionalità richiesti ai fini dell’espletamento dell’incarico (art. 28 f.l.). Per tutte queste ragioni, il giudizio da lui espres- so sulla condizione economica e patrimoniale del debitore ceduto è dotato di un grado di affi- dabilità senz’altro non inferiore di quello della banca cedente che segnala il credito in soffe- renza alla Centrale dei Rischi, così giustificandosi l’interpretazione estensiva della norma.
Se si eccettua questa particolare ipotesi di accertamento della sofferenza del debitore ceduto da parte degli organi della procedura concorsuale dell’impresa cedente, in tutti gli altri casi il riferimento normativo agli organi sociali competenti implica che cedente debba neces- sariamente essere una società il cui consiglio di amministrazione attesti che il credito oggetto di cessione è vantato nei confronti di un debitore in stato d’insolvenza, oppure in una situa- zione economica altamente critica assimilabile all’insolvenza.
5. I finanziamenti dei soci e dei terzi. – Le società ex art. 115, TULPS debbono acqui- stare i crediti deteriorati prevalentemente con mezzi propri, potendosi avvalere di capitale preso in prestito da terzi solo in misura ridotta. L’art. 2, comma 2, lett. b), n. 2, d.m. Econo- mia, n. 53/2015 prevede infatti che «i finanziamenti ricevuti da terzi dalla società acquirente non superano l’ammontare complessivo del patrimonio netto». La norma assolve la funzione di assicurare il rispetto della riserva di attività prevista dall’art. 10, Tub: solo le banche – e nei limiti di cui all’art. 11, Tub gli altri intermediari finanziari ex art. 106, Tub – possono acqui- stare crediti NPL con risorse provenienti dalla raccolta di risparmio tra il pubblico. La corre- lazione della disposizione in commento con gli artt. 10-11, Tub è confermata dal fatto che il
del netto, è identico a quello che era previsto per i cc.dd. intermediari finanziari minori (iscritti nell’elenco generale di cui all’art. 106, vecchio testo, Tub) dall’art. 9, comma 1, della delibera CICR, 19 luglio 2005, n. 1058 sulla raccolta del risparmio da parte di soggetti diversi dalle banche, emanata in attuazione dell’art. 11, Tub. Le prescrizioni contenute nella delibera del CICR permettono di definire meglio la portata della disposizione ministeriale in commen- to. In particolare:
a) per patrimonio netto deve intendersi la somma delle voci del netto patrimoniale del bilancio della società di recupero indicate all’art. 2424 c.c. (capitale sociale; riserve legali;
riserve statutarie; riserve disponibili; utili portati a nuovo; utili di esercizio);
b) ai fini dell’individuazione del patrimonio netto occorrerà fare riferimento all’ultimo bilancio approvato (così, l’art. 9, comma 1, del. CICR n. 1058/2015);
c) la precisazione che il limite del patrimonio netto riguarda i finanziamenti ricevuti da terzi sta a significare che esso non si applica ai finanziamenti provenienti direttamente dai so- ci con modalità diverse dall'emissione di strumenti finanziari. L’art. 11, comma 3, Tub stabi- lisce infatti che «non costituisce raccolta di risparmio tra il pubblico quella effettuata presso specifiche categorie individuate in ragione di rapporti societari» e la delibera del CICR n.
1058/2015, attuativa di tale disposizione, prevede che tutte le società – e quindi anche le so- cietà di recupero – possano raccogliere risparmio presso soci, beninteso senza emettere stru- menti finanziari, purché tale facoltà sia prevista dallo statuto (art. 6, comma 1) e a condizione che, se la società è di capitali, i soci finanziatori detengano almeno il 2% del capitale e siano iscritti nel libro soci da almeno tre mesi (comma 2); tali presupposti devono quindi essere ri- spettati anche dalle società ex art. 115, TULPS in caso di finanziamenti dei soci;
d) le società per azioni e a responsabilità limitata di recupero crediti ex art. 115 TULPS possono anche procedere all’emissione degli strumenti finanziari di raccolta del risparmio nel rispetto della disciplina codicistica del tipo societario (rispettivamente: obbligazioni e titoli di debito). Tuttavia, in tal caso, oltre a dover osservare i limiti di emissione di cui agli artt. 2412 e 2483 c.c., dovranno attenersi al limite dell’ammontare complessivo del patrimonio netto stabilito dalla disposizione in esame.
6. Il divieto di concessione di finanziamenti ai debitori ceduti. – Il d.m. n. 53/2015 pre- scrive infine che alle società di recupero non è consentita la «la stipula di nuovi contratti di finanziamento con i debitori ceduti, la novazione di quelli in essere, la modifica delle condi- zioni contrattuali; non rilevano a tali fini l’estinzione anticipata e la posticipazione dei ter- mini di pagamento». Anche tale disposizione è finalizzata a scongiurare il pericolo che l’acquisto di crediti non performanti da parte delle società ex art. 115, TULPS divenga un modo per aggirare la riserva di attività prevista in favore degli intermediari finanziari dall’art.
106, Tub: siccome le società di recupero non possono svolgere attività di concessione di fi- nanziamenti a terzi, non possono neppure esercitare tale attività con i debitori ceduti attraver- so la stipula di nuovi contratti di finanziamento diversi da quelli oggetto di cessione, oppure mediante la novazione di quelli già esistenti. Per la medesima ragione sono vietate anche le modifiche minori delle condizioni contrattuali del credito acquistato. Vale a dire, quelle che implicano un mutamento di alcuni profili negoziali senza determinare la novazione oggettiva dell’oggetto o del titolo dell’obbligazione (art. 1231 c.c.).
Unica eccezione al principio d’intangibilità del credito ceduto è la possibilità di conve- nire con il debitore l’estinzione anticipata dell’obbligazione, oppure la posticipazione dei termini di pagamento. La salvezza di tali operazioni si giustifica per l’esigenza di conciliare
l’interesse pubblico al rispetto della riserva di attività posta in favore delle banche e degli in- termediari finanziari con quella di non inibire alle società ex art. 115, TULPS le attività nego- ziali strettamente funzionali al recupero del credito. È infatti evidente che la situazione eco- nomico-patrimoniale dei debitori ceduti non permette il pagamento integrale del debito alle scadenze inizialmente convenute. Al fine di consentire il recupero del credito sono pertanto ammessi gli accordi di rimodulazione del finanziamento con proroga dei termini di pagamen- to (cc.dd. piani di rientro), nonché quelli di estinzione anticipata della posizione debitoria.
Inoltre, nell’ambito di questi ultimi appaiono verosimilmente consentiti anche quelli che pre- vedono il pagamento solo parziale del debito. Altro è infatti la modifica delle condizioni con- trattuali. Altra cosa è la semplice remissione parziale del debito dietro pagamento immediato del residuo (c.d. saldo e stralcio). Sebbene la giurisprudenza consideri l'accordo remissorio diretto a estinguere il debito verso il pagamento da parte del debitore di una quota di esso come un negozio a struttura bilaterale (cfr. Cass., 22 febbraio 1995, n. 2021), trattasi pur sempre di un accordo con il debitore ceduto avente una finalità opposta a quella, vietata, della stipula di nuovi finanziamenti. In senso permissivo depone d’altronde il dato che l’ammessa estinzione anticipata di un credito deteriorato si accompagna quasi inevitabilmente alla rinun- cia a una parte del suo valore nominale.
Problema distinto, ma affine, è quello della possibilità di transazioni con i debitori ce- duti. La norma regolamentare non specifica nulla in merito, nonostante sia abbastanza fre- quente che i crediti deteriorati siano contestati in tutto o in parte dai debitori ceduti. La man- cata inclusione degli accordi transattivi tra le operazioni espressamente vietate porta a negare l’esistenza di una preclusione assoluta. Allo stesso tempo occorre considerare che la norma regolamentare vieta sia la novazione che la semplice modifica del rapporto giuridico ceduto.
Il che senz’altro inibisce alle società di recupero la stipula di transazioni novative, nonché quelle che importino la modifica delle clausole del rapporto oggetto di contestazione tra le parti (art. 1965, comma 2, c.c.). Tenuto conto di queste restrizioni, l’unica forma transattiva molto probabilmente compatibile con la norma in esame è quella esaurentesi in una rinuncia totale o parziale della pretesa.
7. La disciplina applicabile alle società di recupero e alle operazioni di acquisto. – Con la contestuale osservanza di tutte le condizioni sopra descritte l’acquisto di crediti dete- riorati da parte delle società di recupero ex art. 115, TULPS non è normativamente considera- to come un’attività di raccolta di risparmio, oppure di concessione di finanziamenti (così, l’art. 2, comma 2, d.m. Economia n. 53/2015). Di conseguenza, non è prevista l’applicazione alle società di recupero di un regime speciale assimilabile a quello degli intermediari finan- ziari, né la sottoposizione alla vigilanza prudenziale della Banca d’Italia. L’uno e l’altra val- gono infatti solo in caso di svolgimento di attività riservate a banche e a intermediari finan- ziari e tale non è l’acquisto di crediti deteriorati realizzato alle condizioni ora indicate. Pertan- to, nell’attuale quadro normativo la disciplina delle società di recupero crediti non subisce so- stanziali modifiche per effetto dell’attività in oggetto. Né appare ipotizzabile, in linea di prin- cipio, applicare ad esse in via estensiva e/o analogica le regole valevoli per le banche e gli in- termediari finanziari.
La scelta normativa di non assimilare in punto di disciplina le società di recupero che acquistano crediti NPL agli intermediari finanziari comporta inoltre che le operazioni di ac- quisto in massa di crediti deteriorati non possono essere regolate dalle disposizioni sulle ces-
2-1991, n. 52) e sulla cartolarizzazione dei crediti (l. 30-4-1999, n. 130). Tali complessi nor- mativi presuppongono infatti che il cessionario sia una banca (art. 58, comma 1, Tub), un in- termediario finanziario (art. 1, comma 1, lett. c, l. n. 52/1991), oppure una società di cartola- rizzazione (art. 1, comma 1, lett. a, l. n. 130/1999). Ne consegue che la cessione dei crediti non performanti alle società di recupero dev’essere regolata dalle norme codicistiche sulla cessione del credito (artt. 1260 ss. c.c.). Pertanto, le cessioni dovranno essere accettate o noti- ficate secondo le regole ordinarie ai fini dell’opponibilità ai debitori ceduti e ai terzi (artt.
1264 e 1265 c.c.). Inoltre, qualora il credito ceduto sia assistito da garanzie, valgono le regole di diritto comune sul trasferimento delle garanzie (art. 1263 c.c.) e sulle formalità da osserva- re per la relativa opponibilità ai terzi.
8. Conclusione. – In definitiva, le società di recupero ex art. 115, TULPS possono ac- quistare crediti iva nei casi previsti dalla normativa vigente. Inoltre, possono acquistare credi- ti deteriorati alle condizioni sancite dall’art. 2, comma 2, lett b), d.m. Economia, 2 aprile 2015, n. 53, secondo le regole della cessione del credito. In entrambi i casi lo statuto dovrà indicare nell’oggetto sociale l’esercizio di tali attività con un’espressione del tipo «acquisto di crediti d’imposta sul valore aggiunto nonché di crediti deteriorati secondo la nozione e nei limiti stabiliti dal decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 2 aprile 2015, n.
53 e successive modificazioni». Gli organi sociali competenti delle società di recupero do- vranno poi verificare, nel corso della vita della società, il costante e rigoroso rispetto delle condizioni operative previste dalla disciplina di rango regolamentare, onde evitare d’incorrere, a seconda dei casi, nell’abuso di raccolta di risparmio tra il pubblico (art. 131, Tub), oppure nell’esercizio abusivo di attività finanziaria (art. 132, Tub).
Prof. avv. Gian Paolo La Sala
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