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Alberto Moravia Gli amici senza soldi

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Academic year: 2022

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AAllbbeerrttoo MMooraravviiaa

GlGlii aammiiccii sseennzzaa ssoollddii

1 Se ne dicono tante sull’amicizia, ma, insomma, 2 che vuol dire essere amico? Basterà, come feci io, 3 per cinque anni di seguito, vedere al bar di

4 piazza Mastai sempre lo stesso gruppo, far la 5 partita sempre con gli stessi giocatori, discutere 6 di calcio sempre con gli stessi tifosi, andare 7 insieme in gita, allo stadio, a fiume, mangiare e 8 bere insieme alla stessa osteria? Oppure

9 bisognerà, d’ora in poi, dormire nello stesso letto, 10 mangiare con lo stesso cucchiaio, soffiarsi il naso 11 nello stesso fazzoletto? Io, più ci penso a questa 12 faccenda dell’amicizia, e più ci perdo la testa.

13 Crediamo per anni e anni di essere intimi, pappa 14 e ciccia come si dice, di volerci bene, di esser 15 fratelli. E poi, tutto a un tratto, scopriamo invece 16 che gli altri avevano tenuto le debite distanze e ci 17 criticavano e magari ci avevano sulle corna e, 18 insomma, non provavano per noi non dico il 19 sentimento dell’amicizia ma neppure quello della 20 simpatia. Ma allora, dico io, l’amicizia sarebbe 21 un’abitudine come prendere il caffè o comprare il 22 giornale; una comodità come la poltrona o il letto;

23 un passatempo come il cinema e la foglietta? Ma 24 se è così perché la chiamano amicizia e non la 25 chiamano piuttosto in un altro modo?

Alberto Moravia (1907-1990) è uno dei principali scrittori italiani del Novecento. I suoi protagonisti si muovono in ambienti senza valori né grandi speranze. In questo racconto, scritto nel 1954 e ambientato a Roma, il protagonista cerca Trentamila lire per una vacanza che permettesse di recuperare dopo una malattia, senza riuscire a trovarli dagli amici, ma solo dalla buona e cara mamma.

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26 Basta, io sono un uomo tutto cuore, di quelli che 27 non credono al male. Così, quell’inverno, dopo 28 avere avuto la polmonite, tra il medico che mi 29 diceva che dovevo passare un mese almeno al 30 mare, e i soldi che non c’erano perché tutti i pochi 31 risparmi se ne erano andati in medicine e cure, 32 dissi alla mamma che quelle trentamila lire che ci 33 volevano me le sarei fatte prestare dagli amici 34 del bar di piazza Mastai. La mamma non è come 35 me: tanto io sono entusiasta, credulo, avventato, 36 altrettanto lei è scettica, amara, prudente. Così, 37 quel giorno, mi rispose, senza voltarsi dal

38 fornello: «Ma quali amici, se durante la malattia 39 non è venuto a trovarti neppure un cane?»

40 Rimasi turbato dalla frase, perché era la verità 41 ma subito mi riebbi spiegando che era tutta gente 42 molto occupata. Lei scosse la testa, ma non disse 43 nulla. Era la sera, l’ora in cui si riunivano tutti al 44 bar. Mi coprii ben bene, perché era la prima 45 volta che uscivo, e ci andai.

46 Avvicinandomi al bar, con le gambe che non mi 47 reggevano dalla gran debolezza, dico la verità, 48 sorridevo mio malgrado e sentivo che quel sorriso 49 mi illuminava come un raggio di sole la faccia 50 smunta e sbiancata dalla malattia. Sorridevo di 51 allegria anticipata perché mi figuravo la scena:

52 io che apparivo alla soglia, loro che mi

53 guardavano un momento e poi si alzavano tutti 54 insieme e mi venivano incontro; e chi mi batteva 55 una mano sulla spalla, chi mi chiedeva notizie 56 della salute, chi mi raccontava quello che era 57 successo in mia assenza. Mi accorgevo, insomma, 58 da quel sorriso, di voler bene agli amici; e

59 quell’incontro mi faceva trepidare un po’ come 60 quando si rivede, dopo molto tempo, una donna 61 amata. Provavo il sentimento dell’amicizia e, 62 come succede, quel che provavo mi pareva che 63 dovessero provarlo anche gli altri.

64 Come mi affacciai al bari vidi, invece, che era 65 deserto. Non c’erano che il barista Saverio, 66 intento a pulire il banco e la vaporiera, e Mario,

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67 il padrone, che leggeva il giornale, seduto alla 68 cassa. La radio aperta suonava in sordina un 69 ballabile. Con Mario, un giovanottone grande e 70 moscio, con la testa piccola, e gli occhi di donna 71 sempre tristi, eravamo, si può dire, fratelli.

72 Eravamo cresciuti insieme nella stessa strada, 73 eravamo andati a scuola insieme, eravamo stati 74 sotto le armi insieme. Felice, trepidante, mi 75 avvicinai a lui che leggeva e dissi in un soffio, 76 che, un po’ per la debolezza e un po’ per la gioia, 77 quasi mi mancava la voce:

78 «Mario…»

79 «Oh, Gigi», fece lui alzando gli occhi, con voce 80 normale, «chi non more si rivede… che hai 81 avuto?»

82 «La polmonite e sono stato tanto male…»

83 «Ma davvero?» disse lui ripiegando il giornale 84 e guardandomi, «si vede… sei un po’ sbattuto…

85 ma ora, sei guarito?»

86 «Sì, sono guarito… per modo di dire, però… non 87 mi reggo in piedi… il dottore dice che dovrei 88 andare per un mese almeno al mare…»

89 «Ha ragione… sono malattie pericolose… prendi 90 un caffè?»

91 «Grazie… e gli amici?»

92 «Saverio, un caffè forte per Gigi… Gli amici? Sono 93 usciti proprio ora per andare al cinema.»

94 Adesso aveva aperto di nuovo il giornale, come 95 desideroso di riprendere la lettura. Dissi:

96 «Mario…»

97 «Che c’è?»

98 «Guarda, dovresti farmi un favore… per passare 99 un mese al mare ci vogliono quattrini… io non li 100 ho… potresti prestarmi diecimila lire? Appena 101 ricomincerò a lavorare, te le renderò.»

102 Lui mi guardò con quei suoi occhi neri, un lungo 103 momento. Poi disse: «Vediamo,» e aprì il

104 cassettino della macchina contabile. «Guarda,»

105 disse poi mostrandomi il cassetto quasi vuoto, 106 «proprio non li ho… ho fatto un pagamento poco 107 fa… mi dispiace.»

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108 «Come non li hai?» dissi sperduto, «diecimila lire 109 non sono molte…»

110 «Anzi, sono poche,» disse lui, «ma avercele…»

111 Come per una improvvisa ispirazione, levò gli 112 occhi verso il banco e gridò: «Saverio, ci avresti 113 diecimila lire da prestare a Gigi?» Il barista, un 114 poveruomo con famiglia, naturalmente rispose:

115 «Signor Mario… io, diecimila lire?» Allora

116 Mario si voltò verso di me e disse: «Sai chi può 117 prestartele? Egisto… lui ci ha il negozio che gli 118 rende… lui te le presta di certo.» Non dissi nulla:

119 ero gelato. Ma, per la forma, bevvi il caffè e poi 120 volli pagarlo io. Lui capì e disse:

121 «Mi rincresce, sai…»

122 «Figurati,» risposi, e uscii.

123 Egisto era un altro di questi cari amici che avevo 124 veduto tutti i giorni per anni. Il mattino dopo, 125 presto, uscii di casa e andai da Egisto. Aveva un 126 negozio di mobili usati dietro piazza Navona, in 127 via di Parione. Come giunsi davanti al negozio, lo 128 vidi subito attraverso i vetri della porta, ritto in 129 piedi tra cataste di seggiole e di panchetti, sullo 130 sfondo di un comò, in cappotto, con il bavero 131 rialzato sulla nuca e le mani in tasca. Sebbene mi 132 sentissi già meno entusiasta, pure quando

133 chiamai Egisto c’era ancora un fremito di gioia 134 nella mia voce. Lui disse «Addio Gigi,»

135 freddamente; ma non ci feci caso perché sapevo 136 che aveva un carattere freddo. Entrai e dissi 137 francamente: «Egisto, sono venuto per chiederti 138 un favore.»

139 Lui rispose: «Intanto chiudi la porta perché fa 140 freddo.» Chiusi la porta e ripetei la frase. Lui 141 andò in fondo al negozio, in un angolo buio dove 142 c’era una vecchia scrivania e una seggiola e 143 sedette dicendo: «Ma tu sei stato male…

144 raccontami un po’… che hai avuto?»

145 Capii dal tono che voleva parlare della malattia 146 per evitare il discorso sul favore che stavo per 147 chiedergli. Tagliai corto rispondendo seccamente:

148 «Ho avuto la polmonite.»

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149 «Ma davvero?... E lo dici così? Racconta un po’…»

150 «Non è di questo che volevo parlarti,» dissi; «il 151 favore piuttosto… avrei bisogno urgente di 152 quindicimila lire… prestamele: tra un mese te le 153 restituisco.» Avevo aumentato la somma perché, 154 venuto meno Mario, ormai erano in due soltanto 155 che potevano prestarmele.

156 Lui prese subito a rosicchiarsi l’unghia dell’indice 157 e poi attaccò quella del medio. Finalmente disse, 158 senza guardarmi: «Quindicimila lire non posso 159 prestartele… ma posso indicarti la maniera di 160 guadagnare cinquecento lire al giorno e anche 161 mille, senza fatica.»

162 Lo guardai, confesso, quasi con speranza: «E 163 come?»

164 Lui aprì il cassetto della scrivania, ne cavò un 165 ritaglio di giornale e me lo porse dicendo: «Leggi 166 qui.» Lo presi e lessi: «Da cinquecento a mille al 167 giorno guadagnerete senza fatica, a domicilio, 168 fabbricando oggetto artistico ricorrenza anno 169 santo. Inviare cinquecento lire casella postale.»

170 Per un momento rimasi a bocca aperta. Bisogna 171 sapere che quell’annuncio lo conoscevo già: si 172 trattava di certi furboni di provincia che

173 sfruttavano la credulità dei poveretti.

174 Mandavate cinquecento lire e ricevevate in 175 cambio un modellino di carta con i buchi da 176 ripassare all’inchiostro di Cina, sulle cartoline, 177 e loro dicevano che, data la grande affluenza dei 178 pellegrini, se ne potevano vendere facilmente da 179 cinquanta a cento al giorno, a cinquanta lire 180 l’una. Gli restituii il ritaglio osservando:

181 «Ti credevo un amico.»

182 Lui adesso si mangiava l’unghia dell’anulare.

183 Rispose senza alzare gli occhi: «E lo sono…»

184 «Ciao, Egisto…»

185 «Ciao, Gigi…»

186 Tornai a casa, quel mattino, che mi sembrava di 187 essere invecchiato di dieci anni. Alla mamma che 188 dalla cucina mi domandò: «Beh, e il denaro te 189 l’hanno prestato i tuoi amici?» Risposi: «Non li

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190 ho trovati.» Ma, a tavola, vedendomi avvilito, 191 lei disse: «Confessa la verità: non hanno voluto 192 prestarteli… per fortuna ci hai tua madre…

193 eccoli, i denari;» e si cavò dalla tasca tre biglietti 194 da diecimila, mostrandomeli. Le domandai come 195 avesse fatto, e lei mi rispose che l’amico del 196 povero è il Monte di Pietà; intendendo con questo 197 che aveva impegnato qualche cosa per

198 procurarmi quei soldi. S’era, infatti, impegnati gli 199 ori; e, a tutt’oggi, non ha ancora potuto prenderli.

200 Basta, passai quel mese al mare. Andavo in 201 barca, la mattina, al sole, e, qualche volta, 202 chinandomi a guardare sott’acqua a tutti i pesci 203 grandi e piccoli che ci nuotavano, mi domandavo 204 se, almeno tra i pesci, ci fosse l’amicizia. Tra gli 205 uomini no, sebbene la parola l’abbiamo inventata 206 noi.

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