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TRIBUNALE DI REGGIO CALABRIA. Seconda Sezione Civile REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

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N. R.G. 3568/2014

TRIBUNALE DI REGGIO CALABRIA Seconda Sezione Civile

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

__________________

Il Tribunale di Reggio Calabria, Seconda Sezione Civile, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Istruttore Dott.ssa Angela Giunta, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 3568/2014 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi, posta in decisione all’udienza del 20.02.20, decisa alla scadenza dei termini previsti dall’art. 190 c.p.c., e vertente tra:

STELITANO SEBASTIANO (C.F.: STLSST32R13H489Y) e STELITANO ANGELA (C.F.: STLNGL37D61H489Q) rappresentati e difesi dall’avv. Giuseppina Iaria ed elettivamente domiciliati presso il suo studio sito in Melito Porto Salvo (RC) Via Andrea Costa n.17.

-Attori Contro

MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI (C.F.: 80188210589) in persona del Ministro pro tempore e la SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PAESAGGISTICI PER LE PROVINCE DI REGGIO CALABRIA E VIBO VALENTIA (C.F.: 92065090802) in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, presso i cui Uffici siti in Reggio Calabria, via del Plebiscito n. 15 sono ope legis domiciliati;

-Convenuti

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con atto di citazione ritualmente notificato Stelitano Sebastiano e Stelitano Angela convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Reggio Calabria il Ministero per i beni e le attività culturali e la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici (Provincia di Reggio Calabria e Vibo Valentia) esponendo che in data 14.09.1985

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Stelitano Sebastiano aveva presentato domanda di condono edilizio per sanare un immobile di sua proprietà costruito abusivamente nel 1982 nel Comune di Melito Porto Salvo riportato al catasto al foglio 42 part. 1494 e che, in data 30.11.87, il Comune di Melito di Porto Salvo aveva rilasciato la concessione edilizia in sanatoria allegata in atti (allegato n.2). Tale concessione era relativa alla costruzione di un piano terra di un fabbricato (riportato al catasto, foglio 42 part. 1494) ed era stata emessa previa richiesta all’allora competente Soprintendenza per i beni ambientali artistici e storici presso la sede regionale di Cosenza della prescritta autorizzazione paesaggistica.

In particolare, la Soprintendenza, in esito alla richiesta del Comune di Melito di Porto Salvo, aveva comunicato con nota prot. 1384 del 26.2.1987 che la particella n.

1494 fg di mappa 42, non necessitava di autorizzazione in quanto non ricadente in area vincolata.

A distanza di anni, in data 28.2.2011 Stelitano Sebastiano aveva trasmesso all’Assessorato dell’ambiente della Regione Calabria un progetto in sanatoria relativamente al piano terra, avendo proceduto a trasformarlo da officina in civile abitazione.

Quindi, l’assessorato di Catanzaro, stante la necessità di acquisire il nulla osta paesaggistico-ambientale, inoltrava il relativo fascicolo alla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Reggio Calabria e Vibo Valentia.

In detta circostanza, la Soprintendenza a seguito di un riesame della pratica, rilevava che la particella n. 1494 ricadeva invero, ai sensi del D.M. 01.10.1974, in area sottoposta a vincolo paesaggistico; pertanto, con Determinazione Dirigenziale n.

11 del 15.04.13 allegata in atti (allegato n.4), ai sensi dell’art. 21 nonies L.241/90, annullava d’ufficio in autotutela il provvedimento prot. 1384 del 26.2.1987 e, al fine di consentire agli odierni attori di ottenere il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, precisava che restava in facoltà della Ditta F.lli Stelitano Sebastiano e Angela di attivarsi per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, depositando presso l’Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria il relativo progetto.

Pertanto, gli attori in data 11.10.13 presentavano nuova richiesta di permesso a costruire in sanatoria allegata in atti (allegato n. 6) per la costruzione di un fabbricato a due piani f.t. realizzato al piano terra con concessione n°25 del 30.11.87 ed al primo piano con concessione n.94 dell’1.12.87.

Con provvedimento del 04.11.13 il Comune di Melito Porto Salva, su istanza dell’11.10.13 degli odierni attori, annullava in autotutela la Concessione Edilizia in Sanatoria n. 25 del 30.11.1987 e la Concessione di Costruzione n. 94/87 del 01.12.1987, al dichiarato fine di consentire agli istanti di richiedere l’Autorizzazione Paesaggistica e dunque di ottenere il rilascio di un nuovo titolo abilitativo debitamente corretto.

Gli attori riferivano quindi di aver ottenuto il rilascio di n.2 titoli abilitativi che provvedevano a produrre giudizio (allegati n. 7) ovverosia, per il piano terra, concessione edilizia in sanatoria n.934 prot. 8880 del 14.04.14 e, per il primo piano, permesso di costruire del 21.05.14 prot. n. 10348.

Ciò premesso in fatto, gli attori lamentavano un grave danno patrimoniale derivante da perdita d’affare.

In particolare, gli attori deducevano che nel gennaio 2011 avevano stipulato con il Sig. Pangallo Dario Ivan un contratto preliminare immobiliare con riferimento al

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piano terra ad uso abitativo del maggior fabbricato insistente sulla particella riportata al catasto al foglio 42, part. 1494 per il prezzo di euro 90.000,00.

Riferivano, inoltre, che nel suindicato preliminare le parti avevano previsto, per l’ipotesi di mancata stipula del contratto definitivo, una clausola penale pari ad euro 30.000,00, somma rispetto alla quale – a fronte della mancata conclusione del definitivo – il Sig. Pangallo aveva già avanzato le proprie pretese. Producevano a tal fine richiesta di pagamento a firma di Dario Ivan Pangallo (allegato n.9).

Gli attori riconducevano causalmente la perdita dell’affare in questione alla condotta illegittima della P.A., in tal guisa fonte di responsabilità risarcitoria ex art. 2043 c.c.

Quantificavano, pertanto, il danno patrimoniale derivante dalla condotta colpevole della P.A. in euro 200.000,00 precisando che tale somma sarebbe derivata dal prezzo originariamente concordato per l’affare perso, a cui doveva altresì aggiungersi l’importo di euro 30.000,00 dovuto dagli attori a titolo della già indicata penale.

Inoltre, gli attori richiedevano la corresponsione, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, delle spese sostenute per redigere il nuovo progetto richiesto dalla Soprintendenza, in seguito all’annullamento in autotutela.

Lamentavano, altresì, un danno non patrimoniale, chiedendone relativa personalizzazione con danno biologico a livello psicologico.

Tanto premesso, rassegnavano le seguenti conclusioni: “1)accertare e dichiarare che dalla condotta della PA Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le Province di Reggio Calabria e di Vibo Valentia che ha prima indicato come non necessario il parere e poi viceversa come necessario all’opposto con annullamento di concessione è derivato un danno patrimoniale e non per gli attori pari ad euro 200.000,00 o a quella maggiore o minore somma che verrà determinata in corso di causa danno comprendente danno emergente e lucro cessante con le specifiche sopra poste; 2) conseguentemente, condannare il Ministero per i beni e le attività culturali in pers del Ministro pro tempore Roma e /o anche in solido la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le Province di Reggio Calabria e di Vibo Valentia al pagamento di quanto sopra con interessi e rivalutazione e con vittoria di spese competenze ed onorari da distrarsi a favore del procuratore costituito”.

In via istruttoria chiedeva interrogatorio formale del Dirigente della Sovrintendenza per i beni architettonici e paesaggistici Province di Reggio Calabria e Vibo Valentia sulle circostanze indicate in atto di citazione e l’ammissione di prova testimoniale.

Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 13.03.2015 si costituivano in giudizio le amministrazioni convenute eccependo, in via preliminare, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.

Nel merito, deducevano l’infondatezza della domanda sostenendo che il provvedimento annullato in autotutela si configurasse come fatto esclusivamente tecnico, volto a consentire agli attori di ottenere il rilascio in sanatoria del nulla osta paesaggistico per tutto l’edificio abusivamente edificato e che, allo stato in fatto, non ha prodotto alcun pregiudizio, atteso che gli attori avrebbero dovuto comunque presentare un progetto in sanatoria per il piano terra, abusivamente trasformato da officina in civile abitazione.

Nella ricostruzione offerta dalle convenute, quindi, l’Amministrazione invece di sanare il solo piano terra consentiva agli attori di sanare l’intero edificio.

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In subordine, osservava come gli abusi edilizi commessi da parte attrice costituissero fatto colposo del creditore, idoneo a ridurre o addirittura elidere le conseguenze dannose della presunta condotta colposa dell’Amministrazione.

Eccepivano infine l’infondatezza della pretesa risarcitoria avanzata da parte attrice, rilevando in prima battuta l’eccessività della somma quantificata in euro 200.000,00 atteso che gli attori non avevano comunque perso la proprietà dell’immobile ma, eventualmente, e sempre in via temporanea, l’occasione di venderlo; rilevavano altresì il difetto di prova in ordine all’asserito pagamento della penale oltre che delle spese progettuali, al cui risarcimento le amministrazioni non sarebbero in ogni caso tenute atteso che l’esigenza di redigere il progetto in sanatoria dell’immobile trasformato da officina in civile abitazione derivava dall’abuso edilizio commesso dagli attori e non certo dall’errore in cui era a suo tempo incorsa la Soprintendenza di Cosenza.

Tanto premesso, concludevano che fosse preliminarmente dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario ed in subordine il rigetto della domanda nel merito, con vittoria di spese e compensi di difesa.

All’udienza del 3.12.15 il G.I., ritenuto di dover preliminarmente decidere sulla questione attinente alla giurisdizione del giudice ordinario rinviava la causa all’udienza del 11.02.16 per discussione orale ex art. 281 sexies cpc ed assegnava alle parti termine per note sino al 3.2.16.

All’udienza del 11.02.16, come da verbale di udienza in atti, il G.I., letti gli atti e verbali di causa, le argomentazioni contenute nelle note difensive di parte attrice riteneva sussistente la propria giurisdizione e disponeva di procedersi oltre.

Successivamente, a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 12.05.16, con ordinanza del 19.05.16 ritenuta la causa matura per la decisione senza necessità di attività istruttoria, rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni.

All’udienza del 20.02.20 il G.I. rigettava la richiesta di revoca della predetta ordinanza ed invitava i procuratori delle parti a precisare le conclusioni.

I procuratori delle parti precisavano le conclusioni riportandosi ai propri atti e verbali di causa; la causa veniva, pertanto, assunta in decisione con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c., come da verbale in atti.

Si precisa che i termini di cui all’art. 190 c.p.c., in conseguenza della sospensione straordinaria dei termini processuali determinata dall’emergenza coronavirus dal 9 marzo all'11 maggio 2020 ex artt. 83, DL 18/2020 e 36, co. 1, DL 23/2020, sono maturati per le comparse conclusionali in data 23.06.2020 e per le memorie di replica in data 13.07.2020.

Nessuna delle parti ha depositato proprie comparse conclusionali né memorie di replica.

Preliminarmente, è necessario ribadire che la giurisdizione a pronunciarsi sulla domanda proposta da Stelitano Sebastiano e Stelitano Angela appartiene al giudice ordinario.

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L’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalle amministrazioni convenute deve, pertanto, essere rigettata.

In particolare, secondo la prospettazione di parte attrice, riprendendo quanto argomentato nelle note difensive del 13.12.15 dalla stessa depositate, la correttezza dell’introduzione del giudizio innanzi a codesto giudice ordinario deriverebbe dal principio consacrato dalle Sezioni Unite nelle tre ordinanze gemelle nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011, che hanno affermato che la giurisdizione sulla domanda di risarcimento del danno da lesione del legittimo affidamento del privato spetta al GO.

Per contro, le Amministrazioni convenute ritengono che la pretesa attorea debba essere qualificata in termini di domanda di risarcimento del danno da illegittimo esercizio della funzione amministrativa ed in quanto tale ricondotta ex art 30 co. 2 c.p.a alla giurisdizione del G.A.

Orbene, il Tribunale osserva che secondo il costante insegnamento della Corte di Cassazione, ai fini del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo rileva non tanto la prospettazione compiuta dalle parti, quanto il

«petitum sostanziale», che va identificato soprattutto in funzione della «causa petendi», ossia dell'intrinseca natura giuridica della posizione dedotta in giudizio (cfr., ex pludmis, Cass. Sez. U., 25/06/2010, n. 15323; Cass. Sez. U., 11/10/2011 , n. 20902; Cass. Sez. U., 15/09/2017, n. 21522; Cass. Sez. U., 26/10/2017 , n.

25456; Cass. Sez. U., 31/07/2018 , n. 20350; Cass. Sez. U. 19/11/2019, n. 30009).

Nel caso di specie, la domanda proposta dagli odierni attori ha ad oggetto il risarcimento del danno per il comportamento inadempiente dell'ente pubblico, concretatosi nella lesione del legittimo affidamento dei signori Stelitano Sebastiano e Stelitano Angela nella legittimità del permesso di costruire originariamente rilasciato in loro favore dall'ente pubblico, e poi annullato dalla Sovrintendenza ai beni culturali.

Giova precisare che, in seno alla giurisprudenza di legittimità, si è registrato un intenso dibattito in ordine alla questione del riparto di giurisdizione tra autorità giudiziaria ordinaria e giudice amministrativo con riferimento alla particolare ipotesi del risarcimento del danno subito dal privato che abbia incolpevolmente confidato in un provvedimento amministrativo a lui favorevole, successivamente annullato in via di autotutela o in forza di pronuncia giudiziale.

Orbene, in aperta contrapposizione con la giurisprudenza amministrativa – che, facendo leva sul concetto di comportamento amministrativo e dunque inquadrando la fattispecie in esame come responsabilità della P.A. derivante dalla lesione di un interesse legittimo, ha storicamente sostenuto la propria giurisdizione – nel 2011 le Sezioni Unite con le tre richiamate ordinanze gemelle, tutte e tre emesse in sede di regolamento preventivo di giurisdizione ex art. 41 c.p.c., hanno risolto il conflitto di giurisdizione a favore del giudice ordinario, da un lato osservando che venivano in rilievo diritti soggettivi e dall’altro escludendo che il pregiudizio subito dal privato fosse riconducibile all’esercizio del potere autoritativo.

L’attribuzione delle controversie in questione alla cognizione del giudice ordinario, muove dal tradizionale criterio di riparto della giurisdizione fondato sulla natura

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della posizione giuridica vantata dal privato che, nel caso di specie, secondo le Sezioni Unite, si atteggia in termini di diritto soggettivo e più precisamente come diritto alla conservazione dell’integrità patrimoniale; diritto leso dalle scelte negoziali operate confidando nella legittimità del provvedimento amministrativo successivamente eliminato.

In particolare, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nelle tre ordinanze emesse in data 23.3.11 muovevano dalla considerazione che, nelle fattispecie esaminate, il privato non invocava l’illegittimità dell’atto amministrativo che, in quanto ampliativo della sua sfera giuridica e comunque satisfattivo della sua richiesta, non era censurato quale fonte diretta di pregiudizio, ma denunciava il comportamento incoerente della P.A. che lo aveva indotto a confidare nella validità di un provvedimento amministrativo successivamente rimosso.

Infatti, una volta che sia legittimamente intervenuto l’annullamento dell’atto ampliativo illegittimo, quest’ultimo viene posto nel nulla e non rileva più come provvedimento che rimuove un ostacolo all’esercizio di un diritto, bensì soltanto quale comportamento degli organi che lo hanno rilasciato, integrando, ex art. 2043 c.c., gli estremi di un atto illecito per violazione del neminem laedere imputabile alla PA, per avere tale atto ingenerato l’incolpevole affidamento nel privato.

Pertanto “La parte che invoca la tutela risarcitoria non postula dunque un esercizio illegittimo del potere, consumato in suo confronto con sacrificio del corrispondente interesse sostanziale, ma la colpa che connota un comportamento consistito per contro nella emissione di atti favorevoli, poi ritirati per pronunzia giudiziale o in autotutela, atti che hanno creato affidamento nella loro legittimità ed orientato una corrispondente successiva condotta pratica, poi dovuta arrestare. La possibilità di questa sola e, quindi, autonoma tutela porta ad escludere la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, (...)stante la consistenza di diritto soggettivo della situazione, nel caso di specie, fatta valere.” (Cass. Sez. Un. 6594/2011).

In questa prospettiva, le Sezioni Unite concludono, pertanto, che “la controversia nella quale il beneficiario di una concessione edilizia (oggi permesso di costruire), annullata d'ufficio o su ricorso di altro soggetto in quanto illegittima, chieda il risarcimento dei danni subiti per avere confidato nella apparente legittimità della stessa, che aveva ingenerato l'incolpevole convincimento di poter legittimamente edificare, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, avendo ad oggetto un comportamento illecito della P.A. per violazione del principio del «neminem laedere», cioè di quei doveri di comportamento il cui contenuto prescinde dalla natura pubblicistica o privatistica del soggetto che ne è responsabile e che anche la P.A., come qualsiasi privato, è tenuta a rispettare. L'attrazione — ovvero la concentrazione — della tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo può, invero, verificarsi soltanto qualora il danno patito dal soggetto sia conseguenza immediata e diretta della dedotta illegittimità del provvedimento che egli ha impugnato, non costituendo il risarcimento del danno ingiusto una materia di giurisdizione esclusiva ma solo uno strumento di tutela ulteriore e di completamento rispetto a quello demolitorio (Cass.

Sez. U., 23/03/2011, n. 6594; Cass. Sez. U., 23/03/2011, n. 6595; Cass., 23/03/2011, n. 6596, che ha affermato lo stesso principio con riferimento all'annullamento dell'aggiudicazione in una gara)”.

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La linea interpretativa così sugellata dalle Sezioni Unite è stata sin da subito oggetto di accese critiche ad opera della prevalente giurisprudenza amministrativa, sostanzialmente riconducibili a due principali filoni ermeneutici.

Da un lato, ritenendosi la lesione de legittimo affidamento del privato espressione di un potere autoritativo, sia pure illegittimo perché mal esercitato, si è affermato che quest’ultimo debba ricondursi nella giurisdizione esclusiva del G.A., in quanto lesivo dell’interesse legittimo del privato cittadino all’agere della P.A secondo regole ispirate a principi di correttezza e buona fede (Sul punto T.A.R. Sicilia, sez. III, n.

1571/2011, T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, n. 1751/2012).

Dall’altro, si è esclusa la riconducibilità del danno da provvedimento favorevole alla categoria del diritto soggettivo, sostenendo che l’affidamento incolpevole non rileva quale autonoma situazione soggettiva, ma quale elemento che, arricchendo le situazioni giuridiche che già fanno capo ai soggetti parti di un rapporto, assume qualificazione diversa a seconda della situazione cui in concreto inerisce. Pertanto, con riferimento al rapporto tra P.A. e privato cittadino, in cui i termini della relazione hanno la consistenza di potere autoritativo e di interesse legittimo, nell’ipotesi in cui la P.A. con il suo agire determini la lesione dell’affidamento del privato, ad essere leso sarà sempre l’interesse legittimo (situazione cui l’affidamento appunto inerisce arricchendone il contenuto) e le controversie che ne conseguiranno rientreranno nella giurisdizione del giudice amministrativo (In tal senso T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, n. 1307/2013; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, n. 2144/2015).

Ebbene, proprio al fine di superare l’orientamento consolidatosi nella giurisprudenza amministrativa, oltre che nella prevalente dottrina, in virtù del quale la posizione giuridica del privato si atteggiava in termini di interesse legittimo al corretto agire della pubblica amministrazione, le Sezioni Unite con l’ordinanza n. 17586 del 2015 sono tornate nuovamente sul tema confermando la giurisdizione ordinaria e la natura di diritto soggettivo della situazione giuridica vantata dal privato, adducendo anche motivazioni parzialmente nuove.

Il ragionamento seguito dalla Corte di Cassazione si fonda essenzialmente sulla necessità di distinguere, con riferimento alla fattispecie di cui si controverte, la sussistenza in capo al privato di due distinte ed autonome situazioni di diritto.

La prima situazione si sostanzia nell’interesse c.d. pretensivo, di natura procedimentale, ad ottenere un provvedimento amministrativo favorevole: l’interesse in questione è soddisfatto dall’emanazione del provvedimento da parte della pubblica amministrazione, persino ove tale provvedimento risulti illegittimo, atteso che l’illegittimità dell’atto è del tutto irrilevante per il privato sino a quando non risulti lesiva della propria sfera giuridica.

Non può quindi sostenersi che ove il provvedimento richiesto dal privato sia attribuito dalla pubblica amministrazione in forza di un agire illegittimo, si verifichi una lesione dell'interesse legittimo posto a fondamento della richiesta di emissione del provvedimento: l’interesse legittimo fatto valere dal privato, avendo come oggetto non la pretesa a che la pubblica amministrazione agisca legittimamente, ma che la stessa agisca in vista di un provvedimento favorevole, deve ritenersi soddisfatto per il solo fatto dell’emanazione dell’atto richiesto.

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Ne consegue che, una volta che il provvedimento favorevole venga successivamente rimosso (in via di autotutela o in forza di una pronuncia giurisdizionale) il privato beneficiario che prospetti di aver subito un danno ingiusto per avere confidato nella legittimità del provvedimento, non denuncia la violazione dell’interesse legittimo che gli era stato indebitamente riconosciuto, ma la lesione di una situazione di diritto soggettivo rappresentata dalla conservazione dell’integrità del suo patrimonio

Nello specifico, secondo la Corte, il danno ingiusto di cui all’art. 2043 c.c. deriva dalla lesione dell’integrità del patrimonio del beneficiario riconducibile ad “una fattispecie complessa, rappresentata dall’essere stato il provvedimento ampliativo emesso illegittimamente, dall’essere stato l’agire della pubblica amministrazione nella sua adozione, in ragione delle circostanze concrete, determinativo di affidamento incolpevole, dall’essere stato il provvedimento illegittimo rimosso (perché tale) in modo oramai indiscutibile”.

Dunque, il danno del quale il privato chiede il risarcimento non discende dall’illegittimità del provvedimento (rispetto alla quale la parte si disinteressa) e neppure sic et simpliciter dall’azione della pubblica amministrazione, ma dalla realizzazione di una fattispecie complessa, ove l’esercizio del potere autoritativo costituisce solamente una delle concause della lesione patrimoniale da legittimo affidamento.

In sostanza, il potere della P.A. non rileva in quanto tale, ma per l’efficacia causale nella determinazione del danno derivante da affidamento incolpevole maturato sulla stabilità del provvedimento poi venuto meno.

Infine, le Sezioni Unite, riconducono l’efficacia causativa del danno non soltanto al provvedimento, ma anche ad una serie di elementi ulteriori ad esso collegati.

Il danneggiato non potrà dunque limitarsi a dimostrare di essere stato beneficiario del provvedimento favorevole illegittimo, ma è necessario che dimostri un quid pluris idoneo ad integrare fattispecie complessa, di cui il provvedimento è solo uno dei fatti integranti.

Alle pronunce della Corte di Cassazione del 2011 hanno fatto seguito, pertanto, anche numerose altre sentenze che hanno confermato, sul piano generale, il principio suesposto, operando qualche ulteriore precisazione nel percorso motivazionale seguito.

Si è, difatti, affermato che la domanda risarcitoria proposta nei confronti della P.A. per i danni subiti dal privato, che abbia fatto incolpevole affidamento su un provvedimento ampliativo illegittimo, rientra nella giurisdizione ordinaria, non trattandosi di una lesione dell'interesse legittimo pretensivo del danneggiato (interesse soddisfatto, seppur in modo illegittimo), ma di una lesione della sua integrità patrimoniale ex art. 2043 cod. civ., rispetto alla quale l'esercizio del potere amministrativo non rileva in sé, ma per l'efficacia causale del danno-evento da affidamento incolpevole (Cass. Sez. U., 04/09/2015, n. 17586; Cass. Sez. U., 22/05/2017, n. 12799).

Nella medesima prospettiva, si sono, da ultimo, poste le più recenti decisioni delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo le quali, qualora il privato abbia fatto incolpevole affidamento su un provvedimento amministrativo ampliativo della propria sfera giuridica, successivamente annullato, in via di autotutela od «ope iudicis», senza che si discuta della legittimità dell'annullamento, la controversia relativa ai danni subiti dal privato rientra nella giurisdizione del giudice ordinario.

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La domanda, in tal caso, ha invero ad oggetto, non già la lesione di un interesse legittimo pretensivo, bensì una situazione di diritto soggettivo rappresentata dalla conservazione dell'integrità del patrimonio, pregiudicato dalle scelte compiute confidando sulla legittimità del provvedimento amministrativo poi caducato (Cass.

Sez. U., 08/03/2019, n. 6885).

Deve, al riguardo, tenersi conto del fatto che la tutela risarcitoria può essere invocata davanti al giudice amministrativo soltanto quando il danno sia conseguenza immediata e diretta dell'illegittimità dell'atto impugnato, non costituendo il risarcimento del danno materia di giurisdizione esclusiva, ma solo uno strumento di tutela ulteriore, e di completamento, rispetto a quello demolitorio (Cass. Sez. U., 23/01/2018, n. 1654).

Si pone in linea con le precedenti pronunce anche una recente decisione della Terza Sezione della Corte di Cassazione che ha affermato che la controversia avente ad oggetto il risarcimento dei danni lamentati per la lesione dell'affidamento riposto nell'edificabilità di un'area e nella legittimità del conseguente permesso di costruire, successivamente annullato (nella specie, si trattava di sopravvenuta non edificabilità del suolo in quanto ricadente in area soggetta a vincolo paesaggistico), rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, non ravvisandosi un atto o provvedimento amministrativo della cui illegittimità il privato possa dolersi impugnandolo davanti al giudice amministrativo, con le conseguenziali statuizioni risarcitorie. Si è rilevato, infatti, che tale situazione di fatto non sollecita alcuna esigenza di tutela contro l'esercizio illegittimo di un pubblico potere consumato nei confronti del privato, né quest'ultimo richiede in alcun modo un accertamento, da parte del giudice amministrativo, dell'illegittimità del comportamento tenuto dalla P.A., che egli invece può solo subire (Cass., 22/11/2019, n. 30515).

Giova precisare che alla tesi della giurisdizione ordinaria ha aderito anche il giudice amministrativo, essendosi affermato che la domanda risarcitoria per affidamento incolpevole ingenerato dall'adozione di provvedimenti favorevoli, ma riconosciuti in giudizio illegittimi, esula — a prescindere dall'entità del risarcimento a tale titolo richiesto — dalla giurisdizione del giudice amministrativo. L'interesse legittimo pretensivo, che vale a radicare la giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo, si identifica invero — come situazione giuridica soggettiva — con l'interesse ad ottenere uno o più provvedimenti favorevoli (ovvero alla rimozione di quelli sfavorevoli), e non già con il mero interesse a che l'Amministrazione provveda sulle istanze del privato adottando provvedimenti legittimi, e peraltro, nella fattispecie, l'interesse pretensivo si è ormai esaurito con l'avvenuto accoglimento delle domande inoltrate da parte degli interessati (TAR Trentino Alto Adige, 19/06/2017, n.212).

Tale consolidato indirizzo è stato ulteriormente ribadito dalle Sezioni Unite con la recente pronuncia del 2020 n. 1423 le quali hanno ribadito il principio secondo cui

“la "causa petendi" della domanda con cui il beneficiario di un permesso di costruire, successivamente annullato in autotutela in quanto illegittimo, abbia invocato la risoluzione del contratto di compravendita del terreno, nonché la condanna della P.A.

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al risarcimento dei danni conseguenti alla lesione dell'incolpevole affidamento sulla legittimità del predetto atto ampliativo, risiede, non già nella lesione di un interesse legittimo pretensivo (giacché non è in discussione la legittimità del disposto annullamento) ma nella lesione del diritto soggettivo all'integrità del patrimonio;

pertanto la controversia è devoluta alla giurisdizione ordinaria, atteso che, avuto riguardo al detto "petitum sostanziale", il provvedimento amministrativo non rileva in sé (quale elemento costitutivo della fattispecie risarcitoria, della cui illegittimità il giudice è chiamato a conoscere "principaliter") ma come fatto (rilevabile "incidenter tantum") che ha dato causa all'evento dannoso subìto dal patrimonio del privato”.

Da ultimo, poi, con ordinanza n. 8236 del 28 aprile 2020 la giurisprudenza delle Sezioni Unite ha ampliato la giurisdizione del giudice ordinario, sino a questo momento circoscritta alle ipotesi caratterizzate da un pregresso annullamento del provvedimento favorevole in via giurisdizionale o di autotutela, sostenendo l’applicabilità dei principi sanciti nelle ordinanze gemelle del 2011 anche nelle ipotesi in cui manchi del tutto il provvedimento ampliativo, non avendo in tal caso la P.A. posto in essere alcun atto di esercizio del potere amministrativo.

Affinché si configuri la giurisdizione del giudice amministrativo, secondo le Sezioni Unite 2020 è necessario che “la causa petendi si radichi nelle modalità di esercizio del potere amministrativo. Ciò non accade quando la causa del danno di cui il privato chiede il risarcimento risieda non nel cattivo esercizio del potere amministrativo bensì in un comportamento la cui illiceità venga dedotta prescindendo dal modo in cui il potere è stato – o non è stato – esercitato e venga prospettata come violazione di regole comportamentali di buona fede e correttezza alla cui osservanza è tenuto qualunque soggetto sia esso pubblico o privato”

In detta occasione la Suprema Corte precisa che la situazione soggettiva fatta valere del privato non deve inquadrarsi, alla stregua del consolidato orientamento giurisprudenziale di cui si è dato precedentemente atto, in termini di diritto soggettivo all’integrità del patrimonio, bensì in termini di affidamento che il privato ripone sul corretto agire della pubblica amministrazione secondo criteri di buona fede e correttezza.

Inoltre, risolta la questione relativa alla giurisdizione, le Sezioni Unite forniscono importanti precisazioni in ordine alla natura giuridica della responsabilità che si configura in capo all’amministrazione derivante dalla lesione dell’affidamento del privato. In tal guisa, discostandosi dall’orientamento prevalente, che inquadra la responsabilità della pubblica amministrazione nell’alveo dell’art. 2043 c.c., le Sezioni Unite riconducono la responsabilità in questione allo schema della responsabilità relazionale, o da contatto sociale qualificato.

La peculiare natura della responsabilità gravante in capo alla pubblica amministrazione per l’ipotesi della lesione di legittimo affidamento, deriverebbe dal particolare rapporto-relazione che lega amministrazione e privato cittadino, caratterizzato dalla sussistenza in capo all’amministrazione un dovere di correttezza e protezione nei confronti del privato e dunque di un quid pluris rispetto al generale precetto del neminem laedere.

In queste ipotesi, inoltre, il danno concretamente addebitabile alla pubblica amministrazione non si sostanzia nella lesione derivante dal provvedimento

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amministrativo ampliativo, che venga successivamente annullato in autotutela o in sede giurisdizionale in quanto illegittimo, ma nel danno all’affidamento che il privato abbia riposto nella condotta procedimentale dell’amministrazione che si sia poi determinata in senso sfavorevole, indipendentemente dalla validità o meno della determinazione, o che addirittura non abbia emesso alcun provvedimento (S.U. 2020 n. 8236: “Spetta alla giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria la controversia relativa ad una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione dell'affidamento del privato nell'emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, atteso che la responsabilità della P.A. per il danno prodotto al privato quale conseguenza della violazione dell'affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell'azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica amministrazione ed il privato che con questa sia entrato in relazione) inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da "contatto sociale qualificato", inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell'amministrazione”.

Applicando le suindicate coordinate normative e giurisprudenziali al caso di specie, il Tribunale osserva che la causa petendi della domanda proposta in giudizio da Stelitano Sebastiano e Stelitano Angela non si è radicata sull'illegittimità del provvedimento concessorio emesso in loro favore, con conseguente lesione dell'interesse legittimo pretensivo dei ricorrenti, ma ha ad oggetto il preteso inadempimento dell’Ente pubblico, concretatosi nell'ingenerare nei privati l'affidamento in ordine alla legittimità del permesso di costruire emesso in loro favore, con conseguenti ricadute negative sul patrimonio degli istanti.

La pretesa risarcitoria degli attori si fonda sull’asserito incolpevole affidamento che gli stessi avrebbero riposto nei provvedimenti ampliativi della propria sfera giuridica, successivamente rimossi in autotutela.

Gli attori agiscono, infatti, in tale sede non al fine di far valere l’illegittimità dei titoli rilasciati in sanatoria degli abusi edilizi commessi, peraltro non censurati, ma al fine di ottenere ex art. 2043 c.c. il risarcimento dei danni conseguenti alla lesione della situazione di diritto soggettivo costituita dalla conservazione dell’integrità del patrimonio, che gli stessi assumono essere stata pregiudicata dalla condotta colpevole della pubblica amministrazione.

Nel caso di specie, peraltro, non ricorre nemmeno una questione in materia di urbanistica o di governo del territorio, tale da radicare la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, atteso che l'esercizio del potere amministrativo - tenuto conto del petitum sostanziale azionato in giudizio - non rileva in sé, ma per l'efficacia causale del danno-evento, asseritamente arrecato al patrimonio degli istanti, per effetto dell'affidamento incolpevole da essi riposto nella legittimità del provvedimento favorevole.

Il provvedimento ampliativo, nel caso adesso in esame, rileva come fatto - rilevabile incidenter tantum, anche perché coperto dall'annullamento in sede amministrativa -

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che ha dato causa al pregiudizio di cui gli odierni attori pretendono il risarcimento con la presente domanda giudiziale.

Sussiste, pertanto, nel caso di specie la giurisdizione del G.O.

Tanto premesso in ordine alla sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda proposta da Stelitano Sebastiano e Stelitano Angela, il Tribunale nel merito osserva che la domanda attorea è infondata e deve, pertanto, essere rigettata per le ragioni che di seguito si espongono.

Questo Tribunale, allineandosi alle considerazioni cui sono pervenute le Sezioni Unite n. 8236/2020, ritiene di aderire all’inquadramento della responsabilità in astratto ascrivibile alle pubbliche amministrazioni per lesione del legittimo affidamento riposto dal privato nel provvedimento favorevole poi caducato nell’ambito della responsabilità del contatto sociale qualificato.

La responsabilità da contatto sociale qualificato ricorre in tutte quelle ipotesi in cui, pur in carenza di uno specifico legame contrattuale, le parti entrano in contatto per effetto di una serie di situazioni in conseguenza delle quali risulta obiettivamente difficile qualificarli come estranei, sulla base del paradigma di cui all’art. 2043 c.c.

Nel caso di specie, emerge la sussistenza di un peculiare legame relazionale che, ispirato ai canoni di buona fede e correttezza, genera un contatto sociale qualificato tra gli stessi soggetti; trattasi di un contatto intriso di obblighi di protezione la cui violazione dà luogo ad un’ipotesi di responsabilità contrattuale da inadempimento.

Peraltro, il codice civile del 1942, con la riscrittura dell’art. 1173 c.c., ha creato un sistema aperto delle fonti delle obbligazioni, contemplando accanto al contratto ed al fatto illecito, anche “qualsiasi altro atto o fatto giuridico” che sia “idoneo” secondo l’intermediazione della legge a creare obblighi giuridici in capo alle parti entrate in relazione.

Ciò premesso in punto di inquadramento giuridico della fattispecie, nel caso di specie, il Tribunale osserva come la domanda di risarcimento del danno avanzata dagli odierni attori – anche laddove si ritenga di qualificare la domanda attorea come di responsabilità contrattuale da contatto sociale qualificato - non sia meritevole di accoglimento, non essendo stata fornita la prova del danno patrimoniale e non patrimoniale di cui gli attori chiedono il ristoro sia sotto il profilo dell’an che sotto quello del quantum.

Il danno lamentato dagli attori viene dagli stessi ricondotto alla ‘perdita d’affare’ per tale intendendosi la mancata stipula con il promissario acquirente Sig. Pangallo Dario Ivan del contratto definitivo di vendita avente ad oggetto il piano terra ad uso abitativo del maggior fabbricato insistente sulla particella riportata al catasto al foglio 42, part. 1494.

Gli attori producono a tal fine un contratto preliminare immobiliare datato 20.01.11, con cui i Sig.ri Stelitano Sebastiano e Stelitano Angela si impegnavano a trasferire al Sig. Pangallo la proprietà del suddetto immobile a fronte del corrispettivo concordato in euro 90.000,00.

Gli attori, alla luce della prospettazione che può ricavarsi dall’atto di citazione, lamentano la mancata stipula del contratto definitivo, con conseguente obbligo di

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corrispondere al promissario acquirente la somma di euro 30.000,00 a titolo di penale.

In tesi di parte attrice, la mancata stipula del contratto definitivo sarebbe ascrivibile alla condotta della pubblica amministrazione, che ingenerando negli odierni attori l’affidamento in ordine alla stabilità del provvedimento favorevole (rectius concessione edilizia in sanatoria del fabbricato) aveva erroneamente orientato le proprie scelte negoziali. Pertanto, dalla rimozione del provvedimento sarebbe derivata una lesione della loro sfera patrimoniale.

L’affidamento di parte risulterebbe leso nel momento in cui, dopo aver riconosciuto, a seguito di un riesame della pratica, che l’area ove ricade il fabbricato in questione era in realtà sottoposta a vincolo paesaggistico, la P.A. ed, in specie, la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Reggio Calabria e Vibo Valentia - con provvedimento del 15.04.2013 - ha rimosso in autotutela il provvedimento legittimante la concessione del condono edilizio.

Il Tribunale, tuttavia, osserva che, nel caso di specie, in primo luogo non può ritenersi sussistente un legittimo affidamento del privato ed, in secondo luogo, che non vi è alcuna prova che l’inadempimento del contratto preliminare stipulato in data 20.01.2011 e, pertanto, la mancata stipula del contratto definitivo che sarebbe dovuta avvenire entro il mese di marzo 2011, per come contrattualmente previsto, sia causalmente imputabile alla condotta della P.A. ed, in specie, all’annullamento d’ufficio del provvedimento concessorio, intervenuto ben due anni dopo rispetto alla stipula del contratto preliminare ed alla contrattualmente prevista stipula del contratto definitivo.

Per quanto riguarda l’insussistenza di un legittimo affidamento del privato, si osserva che dall’esame di quanto dedotto da parte attrice, oltre che dall’analisi della documentazione versata negli atti di causa, emerge che i Sig.ri Stelitano dopo aver ottenuto, nel 1987, concessione edilizia in sanatoria relativamente alla costruzione di un piano terra del fabbricato riportato al catasto foglio 42 part. 1494, nel 2011, chiedevano nuova concessione in sanatoria, sempre con riferimento al suddetto piano terra, in quanto abusivamente trasformato da officina in civile abitazione.

Le circostanze appena riferite paiono idonee ad escludere, innanzitutto, la sussistenza di un serio affidamento incolpevole, e dunque meritevole di tutela, in relazione alla stabilità del provvedimento amministrativo favorevole.

Infatti, come correttamente osservato sul punto anche dalle amministrazioni convenute, gli attori sarebbero stati in ogni caso tenuti a presentare un progetto in sanatoria del piano terra, peraltro, egualmente sopportandone le relative spese, per rimediare all’abusivismo dagli stessi determinato.

A tale argomento si aggiunge l’ulteriore argomentazione per cui non risulta, né allegato nè provato il nesso di causalità tra la mancata stipula del contratto definitivo di compravendita dell’immobile oggetto di concessione edilizia in sanatoria e la condotta della pubblica amministrazione che, a seguito di un riesame della pratica, ha annullato in autotutela il provvedimento concessorio originariamente concesso.

Nel caso di specie, manca la prova in ordine all’effettiva incidenza causale che la condotta della pubblica amministrazione avrebbe avuto sulla mancata stipula del contratto definitivo. Anzi, emerge la prova del contrario, atteso che la tesi sostenuta da parte attrice è con tutta evidenza smentita dalla documentazione che la stessa produce.

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In particolare, a sostegno della propria pretesa, gli attori deducono che la P.A., rimuovendo (legittimamente) in autotutela un provvedimento agli stessi favorevole, abbia leso il loro affidamento nella stabilità dell’attestazione in forza della quale era stato rilasciato il titolo edilizio in sanatoria, cosi determinando un danno patrimoniale sostanziatosi nel mancato guadagno che, in assenza dell’agire scorretto della pubblica amministrazione, gli attori avrebbero ottenuto trasferendo al Sig.

Pangallo la proprietà dell’immobile oggetto di sanatoria.

Orbene, la sussistenza del riferito nesso di causalità, peraltro delineato negli atti di causa in maniera del tutto generica, è da escludersi.

Infatti, parte attrice, al fine di dimostrare la perdita del proprio affare, produce in giudizio un estratto catastale da cui emerge che il promissario acquirente Sig.

Pangallo ha concluso con altri soggetti diverso accordo di compravendita per Notaio Autori Maria Luisa. Orbene, la stipula di suddetto contratto di compravendita è avvenuta in data 19.05.11 cioè ben tre anni prima che la Soprintendenza con determinazione dirigenziale n. 11 del 15.04.13 annullando d’ufficio in autotutela il provvedimento prot. 1384 del 26.2.1987, rimuovesse il presupposto giuridico del titolo edilizio rilasciato in sanatoria.

Conseguentemente, in assenza di prova in ordine al nesso di causalità nel senso sopra riferito, nulla potrà riconoscersi agli attori a titolo di risarcimento del danno patrimoniale sub specie di lucro cessante per aver perso l’occasione di vendere l’immobile de quo.

Il privato che invochi la responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di legittimo affidamento è, infatti, tenuto a dimostrare sia il danno-evento, e dunque la concreta lesione di un affidamento incolpevole (che, come sopra detto nel caso di specie si ritiene non sussistente) sia il danno-conseguenza, cioè la perdita patrimoniale prodottasi a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate, ed i relativi rapporti di causalità fra i pregiudizi lamentati e la denunciata condotta illegittima della pubblica amministrazione.

Peraltro, per quanto riguarda il risarcimento del danno conseguenza patrimoniale, occorre osservare che tale posta risarcitoria assolve alla funzione di reintegrare il patrimonio del danneggiato nella esatta misura della sua lesione.

Nel caso di specie, nemmeno in punto di allegazione risulta sufficientemente provato il danno patrimoniale, non essendo stato dimostrato né, come già detto, il nesso di causalità tra la condotta asseritamente antigiuridica e il pregiudizio lamentato né l’esistenza e la misura del pregiudizio di cui gli attori chiedono la riparazione.

Come chiarito dalla costante elaborazione giurisprudenziale, ciò che può essere rimesso alla valutazione equitativa del Giudice è esclusivamente il profilo concernente la quantificazione del danno, ma non la dimostrazione della sua esistenza.

Parte attrice, sotto lo specifico profilo del lucro cessante, non ha allegato né documentato sulla scorta di parametri di regolarità causale ed alla stregua di oggettivi e ragionevoli criteri rapportati alle circostanze del caso concreto, il mancato accrescimento della sua sfera patrimoniale e gli utili economici che avrebbe potuto

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conseguire, oltre che a monte la derivazione causale dei pregiudizi patrimoniali di cui si chiede il ristoro dalla condotta della P.A.

A ciò si aggiunge che anche sotto lo specifico profilo del danno emergente l’allegazione probatoria risulta del tutto deficitaria.

Infatti, gli odierni attori non hanno in alcun modo documentato le spese ed i costi obiettivamente sostenuti per evitare o contenere il danno.

Ne consegue che, alla luce di tutte le argomentazioni sopra esposte, alcuna somma potrà riconoscersi a titolo di ristoro delle spese asseritamente sostenute per far fronte alla necessità di presentare, a seguito dell’annullamento in autotutela delle concessioni edilizie, un nuovo progetto.

Parte attrice, infatti, non si è adoperata al fine di provare o quantomeno allegare le spese in questione, non avendo prodotto in giudizio eventuali ricevute o fatture dimostrative dei fatti addotti.

Con la conseguenza che la relativa domanda risarcitoria è da ritenersi, per tutto quanto sopra esposto, sprovvista di alcun sostegno probatorio.

Ne deriva che, sulla scorta delle considerazioni che precedono, gli attori non potranno essere ristorati della somma di euro 30.00,00 asseritamente pagata a titolo di penale, non avendo peraltro gli attori fornito in giudizio alcuna prova dell’effettivo esborso della somma in questione.

Gli attori chiedono, infine, il risarcimento del danno non patrimoniale sofferto a causa della condotta delle amministrazioni convenute, riferendo sul punto, in materia del tutto generica, di aver subito forte stress ansia, insonnia e difficoltà di relazione.

Tuttavia, allo stato degli atti, in aggiunta a quanto sopra detto in merito alla ritenuta inesistenza di un legittimo affidamento incolpevole in capo agli attori, si osserva che non vi è in atti alcuna allegazione o deduzione sul punto che possa considerarsi quantomeno alla stregua di principio di prova del danno lamentato.

Si precisa in proposito che la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto non meritevoli di tutela risarcitoria i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed ogni altro tipo di insoddisfazione, concernenti gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale e che, al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria, soltanto una condotta che comporti direttamente la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato sia fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale.

La tutela risarcitoria ex art. 2059 c.c. dei pregiudizi non patrimoniali, in assenza di reato ed al di fuori dei casi determinati dalla legge, deve essere riconosciuta ogni qualvolta essi siano conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona.

Ne consegue che, se non si riscontra la lesione di diritti costituzionalmente inviolabili della persona, non è data tutela risarcitoria.

Le Sezioni Unite, nel 2008, hanno avuto modo di chiarire che il danno non patrimoniale, pure quando esso sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce un danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato ed hanno precisato che vi è un ulteriore requisito per l’ammissione al risarcimento dei danni alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili.

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Tale ulteriore requisito è rappresentato dalla gravità della lesione e dalla serietà del danno, in quanto il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio.

Non ogni incisione minima di ogni diritto costituzionale dà luogo ad un danno non patrimoniale risarcibile, poiché è necessario che venga in rilievo una lesione seria e grave del diritto che produca conseguenze significative ed apprezzabili.

Questa prospettiva è stata fatta propria dalla successiva giurisprudenza di legittimità (Cass., 19.08.2009 n. 18356; Cass., 04.06.2009 n. 12885), che ha affermato che il risarcimento del danno non patrimoniale richiede la necessaria presenza di alcuni presupposti: la rilevanza costituzionale deve riguardare l’interesse leso e non il conseguente pregiudizio sofferto; la lesione deve essere grave, cioè, superare la soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale; il danno non deve essere futile, cioè non può consistere in meri disagi o fastidi.

Applicando tali coordinate normative e giurisprudenziali al caso di specie, occorre osservare come gli odierni attori non abbiano assolto al proprio onere probatorio in maniera adeguata.

Parte attrice ha chiesto il risarcimento del danno non patrimoniale, asserendo - in del tutto generica - di aver sopportato un danno a causa della condotta delle amministrazioni convenute, senza tuttavia, specificare, nemmeno in punto di allegazione e di richieste istruttorie, in cosa sarebbe consistito tale pregiudizio.

Conseguentemente, anche la domanda attorea di risarcimento del danno non patrimoniale deve essere rigettata.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate, tenendo conto del valore della controversia e dell’assenza di attività istruttoria, come da dispositivo.

PQM

Il Tribunale di Reggio Calabria, Seconda Sezione, in persona del giudice dott.ssa Angela Giunta, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da Stelitano Sebastiano e Stelitano Angela così provvede:

1. Rigetta le domande attoree;

2. Condanna i Sigg.ri Stelitano Sebastiano e Stelitano Angela in solido al rimborso in favore delle convenute MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI e SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PAESAGGISTICI PER LE PROVINCE DI REGGIO CALABRIA E VIBO VALENTIA, delle spese del presente procedimento liquidate ex D.M. 55/2014 in euro 5.000,00, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Reggio Calabria, li 05.08.2020 Il Giudice Dott.ssa Angela Giunta

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