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IL NATALE, TRA ISTITUZIONE E TRADIZIONE

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Academic year: 2022

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IL NATALE, TRA ISTITUZIONE E TRADIZIONE

Sono interessanti le ricerche storiche sull’origine della festa del Natale. Varie Chiese Evangeliche le hanno usate per andare contro questo evento, altre, invece, per avvalorarla.

Poco si è fatto per distinguere il Natale, quale istituzione della Chiesa Cattolica, dalle varie tradizioni popolari che si sono aggiunte alla festività.

Il Natale in quanto istituzione è un culto celebrativo della nascita del Redentore svolto all’interno di una chiesa. In quanto tradizione è una festività che viene trascorsa all’insegna della felicità, tra addobbi di luci e colori, presepi in piazza, lettere a Babbo Natale, regali, pasti familiari, giochi tra parenti e amici, spettacoli pirotecnici e così via. Questo è l’aspetto laico della festa e ciò che è tradizione non è istituzione.

Per quanto riguarda l’istituzione, il Natale ha due possibili origini, quella “pagana” e quella “cristiana”.

La più conosciuta è ovviamente la prima: il Natale nascerebbe da un antico culto solare.

Il culto ad una divinità solare è sempre stato presente nelle grandi religioni pagane del passato. In quella babilonese la divinità del Sole era Shamash, trasferita poi alla grande dea madre Semiramide o Ishtar che insieme a suo marito (Cush secondo la storia biblica – Gen. 10:8-12) hanno generato Tammuz o Nimrod, che fu considerato l’incarnazione del Sole.

Nel culto egizio la dea madre si radicò in Iside (Astarte in Canaan) che era una divinità solare. Suo marito era Osiride che insieme hanno dato vita ad Horus, figlio del Sole.

In Persia e India il dio Sole era Mitra e fu questo culto che venne adottato prima dall’esercito romano, poi dagli imperatori romani. Mitra nacque da una donna vergine nel solstizio d’inverno e fu sopranominato Sole Invincibile.

A Roma il culto fu promosso per volontà imperiale da Eliogabalo (der. da El-Gabal), natio di Emesa di Siria, intorno al 220, ma cessò di essere coltivato a motivo della sua morte violenta. Vi fece ritorno come culto primario nel 274 grazie all’imperatore Aureliano che nel 25 dicembre dello stesso anno indisse una festa in onore del dio Sole: Dies Natalis Solis Invicti – giorno di nascita del Sole Invincibile. In quel giorno indossò una corona a raggi, richiamando il Sole, nel tempio che fece costruire a Roma dedicato alla divinità.

Tale culto andò ad inglobare il culto romano dei Saturnali che cadeva nello stesso periodo (poco prima del solstizio invernale) e il culto al dio Elios e Apollo.

Il culto solare nel solstizio d’inverno ha sempre avuto un grande significato nella cultura pagana. Si celebravano le nozze della notte più lunga con il giorno più corto. È la rinascita della luce che dà vita in una stagione dove la vita va in letargo e la natura muore, per poi rinascere grazie al Sole. Solstizio dal lat.

significa “sole stazionario”, perché nei paesi dell’emisfero nord, nel periodo dal 22 al 25 dicembre il sole sembra fermarsi in cielo. Da qui l’idea di fermezza, di sicurezza, di invincibilità.

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A perpetuare il culto del Sole Invitto e a darne maggiore diffusione e lustro fu l’imperatore Costantino, grande sacerdote del dio Sole (pontifex maximus). Sulla moneta ufficiale fece coniare l’immagine del Sol Invictus con la dicitura “al compagno, il Sole Invitto” e istituì il giorno del Sole nel primo giorno della settimana quale giorno di riposo – domenica (decreto del 7 marzo 321):

«Nel venerabile giorno del Sole, si riposino i magistrati e gli abitanti delle città, e si lascino chiusi tutti i negozi. Nelle campagne, però, la gente sia libera legalmente di continuare il proprio lavoro, perché spesso capita che non si possa rimandare la mietitura del grano o la semina delle vigne; sia così, per timore che negando il momento giusto per tali lavori, vada perduto il momento opportuno, stabilito dal cielo».

L’imperatore Costantino è stato un abile stratega, un autentico sincretista religioso. La sua “conversione”

al cristianesimo nell’ottobre del 312 e l’editto di Milano nel 313 (libertà di culto cristiano e fine delle persecuzioni) è stata una strategia per iniziare un processo di assimilazione del cristianesimo al culto del dio Sole.

Nel 330 emise un decreto che ufficializzò la festa della natività di Gesù nel giorno del Sole Invitto, tassello importante per l’assimilazione. Nel 337 papa Giulio I confermò l’ufficialità del 25 dicembre in nome della Chiesa Cattolica, come riferito da Giovanni Crisostomo nel 390.

Una successiva testimonianza del nuovo culto al Solis Invictus al 25 dicembre è data dall’imperatore Licinio, nel Cronografo del 354 (i due culti erano contemporanei, quindi erano distinti), ma nel 376 il culto di Mitra a Roma venne soppresso per ordine del prefetto e successivamente con l’editto di Teodosio del 392 iniziarono le persecuzioni contro i riti pagani. La situazione si invertì: ora furono i pagani ad essere perseguitati. L’unico culto legale fu quello cristiano, nella forma costantiniana, non più apostolica, una forma assunta già dal Concilio di Nicea (325).

Per quanto riguarda l’interessante tesi dell’origine cristiana del Natale dobbiamo andare a quella generazione di discepoli post-apostolici (II sec.) di origine pagana. Il primo cristianesimo aveva solide basi ebraiche, perché i primi discepoli erano giudeo-cristiani, ma quando questo si diffuse all’interno dell’Impero Romano coinvolse persone provenienti dal paganesimo, quindi non educate nelle Scritture e in quella antica tradizione dei padri d’Israele ben presente nel cristianesimo apostolico.

Lo zelo dei pagani convertiti era tale da aver spinto molti a ricercare la data della nascita del Redentore:

era nella loro cultura dare importanza alla nascita della divinità che si intendeva adorare.

Origene d’Alessandria (185-254) dichiarava: “Nelle Scritture sono i peccatori e non i santi che celebrano la loro nascita”, in riferimento diretto alle feste di compleanno degli imperatori. Nel 200 Clemente di Alessandria si lamentò dicendo: “C’è chi poi, con minuziosa pedanteria, cerca di assegnare alla nascita del Salvatore non solo l’anno, ma il giorno: sarebbe il 25 del mese Pachon (il 20 maggio) del ventottesimo anno di Augusto” (libro di Stromati).

Sono affermazioni che fanno trasparire una certa diffidenza per tale ricerca, ma allo stesso tempo ne testimoniano l’attività prima che il culto al Sole Invincibile arrivasse a Roma (274). Notiamo anche diversità di date, perché nel II e III sec. la nascita del Cristo aveva date diverse:

- per S. Cipriano era il 28 marzo

- per Clemente d’Alessandria il 20 maggio (oppure il 6 o il 10 gennaio) - per altri era il 18 aprile o 29 maggio

- per Alessandro, vescovo di Gerusalemme (morto nel 251), il 25 dicembre, secondo la testimonianza di Vittorino di Petovio.

Costantino, sempre preoccupato di dare unità e vigore al suo Impero, uniformò la data scegliendo il 25 dicembre convergendo le due tradizioni, quella pagana e quella cristiana di provenienza gentile, nella data assegnata al Sole Invitto.

Bisogna tener presente che il cristianesimo preoccupò non poco gli imperatori dei primi secoli dopo Cristo. Erano numerose le conversioni al cristianesimo, tanto che i cristiani potevano considerarsi un popolo all’interno dell’Impero. In quel periodo si andava affermando il culto all’imperatore quale figlio degli dèi, ma era totalmente rigettato dai cristiani che consideravano il Cristo il loro unico Signore. Questi predicavano la buona notizia del Regno all’interno del “regno” romano, senza usare armi o arti magiche.

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un fenomeno in forte espansione, senza l’ausilio di immagini visive, senza armi e con una fede incrollabile su Gesù il Risorto. Tutto ciò era visto come una minaccia all’Impero che già stava risentendo dei primi segnali di decadimento, sia militare che spirituale.

La scelta di introdurre un nuovo culto nell’Impero si inserisce in questo contesto. Bisognava ridare vigore e unità all’Impero, perciò fu visto di buon occhio il culto di Mitra già praticato dai soldati romani, quindi da un settore strategico di Roma. Il culto solare è stato sempre affascinante per i pagani e con l’avanzata del cristianesimo e il suo messaggio di luce che vincono le tenebre, con il loro Cristo quale sole della giustizia (Mal. 4:2) e luce del mondo (Giov. 8:12), era arrivato il momento di distogliere la gente dell’Impero da questo culto promuovendo il culto del Solis Invictus.

Il genio di Costantino, però, fu quello di creare un punto di convergenza dei due culti per unificarli, perciò il primo passo è stato la sua “conversione”, poi la libertà di culto con la fine delle persecuzioni che a niente valsero per spegnere il fenomeno, poi entrare nel suo interno come benefattore e promotore del culto cristiano (istituzione della domenica, della festa del Natale; direzione del Concilio di Nicea), poi l’inizio dell’assimilazione, poi le conversioni forzate operate in seguito dai suoi successori. Il culto cristiano venne dichiarato come unico culto legale e religione di Stato. Fu in questo modo che si ebbe il pieno controllo del cristianesimo minando totalmente i suoi fondamenti apostolici.

L’idea di Gesù paragonato alla luce del sole era un’associazione indipendente dal culto di Mitra che arrivò più tardi a Roma rispetto al cristianesimo. La profezia di Malachia citata ne è una prova. Inoltre nella necropoli vaticana troviamo un interessante mosaico datato 150-180 d.C. dove Gesù veniva raffigurato con raggi solari sul capo durante la sua ascensione (cfr Mat. 17:2 la trasfigurazione).

Sulla base di queste evidenze e la loro rilettura storica, non possiamo più a cuor leggero affermare che il Natale trova le sue origini nel culto solare romano; ma abbiamo fin qui parlato della sua istituzione quale culto celebrativo della nascita del Redentore. Dobbiamo ora spostare la nostra attenzione sulle tradizioni che si sono legate nel corso dei secoli alla festa della natività di Gesù.

L’albero di abete

La celebrazione della rinascita del Sole nelle varie culture pagane nordiche avveniva attraverso vari segni e simboli, tra cui l’abete, albero sempre verde, simbolo di vita perenne. È un albero cosmico perché il suo tronco lungo si innalza verso il cielo volendo creare un ponte terrestre.

Prima del solstizio ci si recava nel bosco, se ne tagliava uno e portato poi in casa. Veniva decorato dalla famiglia con ghirlande, uova dipinte e dolci.

Questo antico segno della cultura pagana nordica si trasferì nell’albero di Natale che venne adottato pian piano in tutta Europa nel periodo dell’umanesimo.

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Pasti conviviali e regali

Una delle feste più attese e gioiose dell’anno a Roma era i Saturnali (dal 17 al 23 dicembre), in onore di Saturno, dio dell’agricoltura e della pastorizia. Nella mitologia era il dio che aveva avviato l’Età dell’oro, dove gli uomini si consideravano tutti fratelli e avevano ogni bene in comune, grazie all’abbondanza della terra.

“I Romani in questi giorni si abbandonavano alla più sfrenata allegria. Si sospendevano le operazioni militari, il lavoro, l’amministrazione della giustizia, la scuola.

I Saturnali si aprivano con un solenne sacrificio nel tempio di Saturno sul Campidoglio, a cui seguiva un grande banchetto in comune. S’intonava il grido “Io, Saturnalia!” che veniva ripetuto dappertutto per le strade e le case della città. S’invitavano gli amici a pranzo, si mandavano e si ricevevano doni, detti strenae (strenne), si permetteva il gioco d’azzardo, che in tempi normali era severamente proibito.

Gli schiavi avevano piena parità coi padroni: potevano rinfacciare loro vizi e magagne. Sedevano a tavola con loro e anziché servire venivano serviti con quanto di meglio offrisse la cucina e la cantina” (tratto da studiarapido.it).

Questa festa romana è quella che più ha caratterizzato l’atmosfera gioiosa famigliare nel periodo natalizio della festività cristiana: la grande attesa, il senso di magia, l’essere tutti più buoni, i cibi succulenti, i regali, la fraternità in piazza o nelle strade principali delle città, l’ospitalità, le vacanze e i giochi.

Babbo Natale

Personaggio indiscusso per la gioia dei bambini è Babbo Natale. Ogni popolo ne ha uno e ognuno con la propria storia, ma tutte le narrazioni che si sono susseguite negli anni hanno una radice comune: il vescovo Nicola della città di Myra, un’antica città turca (IV sec.). Si dice che l’uomo, in seguito santificato, decise di portare il cristianesimo sino alle zone più fredde del continente; in quei luoghi bui e desolati i bambini andavano difficilmente a messa, a causa delle temperature gelide e del clima ostile. San Nicola trovò un nuovo metodo per diffondere il suo credo e la storia di Gesù: iniziò a recarsi di casa in casa portando con sé un dono per ogni ragazzino. Tutte queste cose venivano trasportate dai parroci su una slitta trascinata da cani.

In Europa (in particolare nei Paesi Bassi, in Belgio, Austria, Svizzera, Germania, Repubblica Ceca, Slovenia, ed in alcune parti d'Italia) viene ancora rappresentato con abiti vescovili.

Presepe

Il presepe è un’antica tradizione cristiana che nasce in Umbria su iniziativa di S. Francesco, nel 1223, che poi si espanse in tutto il mondo. Il santo ebbe l’idea di rappresentare, con un lavoro artigianale, il momento della nascita del Redentore. Presepe, termine latino, significa infatti “davanti al recinto”, quello degli animali, ossia, stalla o mangiatoia.

Le ultime due tradizioni citate hanno un’origine cristiana, mentre le prime due hanno un’origine pagana, ma teniamo a precisare che sono tradizioni volute dal popolo, non sono istituzione della Chiesa Cattolica, anche se vengono tollerate.

I primi festeggiamenti del Natale nella storia della Chiesa Cattolica consistevano solo in culti celebrativi perché erano stati messi al bando i culti pagani con le relative tradizioni. Solo successivamente, con le nuove generazioni di cristiani e clero cattolico, si sono ripresi gli antichi costumi, ovviamente senza il culto. Ben disse S. Girolamo (347-420): “Dopo la conversione degli imperatori, la Chiesa è cresciuta in potere e ricchezza, però è diminuita in virtù”. Ma perché la Chiesa avrebbe permesso la diffusione di tali pratiche che affondano le loro radici nel paganesimo?

“L’inculturazione della fede è un fenomeno normale, comune e legittimo della vita della Chiesa, si tratta della trasformazione, dell’integrazione e del potenziamento dei valori che si incontrano nelle civiltà in cui si innesta il cristianesimo. Esse non vengono cancellate, ma valorizzate attraverso una spiritualità nuova”

(tratto da cristianicattolici.net).

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L’unica preoccupazione della Chiesa Cattolica è che non ci sia l’abbandono dei dogmi o l’introduzione di credenze pagane all’interno del culto celebrativo, in modo da evitare l’ennesima deriva sincretista.

La preoccupazione degli apostoli era di tutt’altra natura e così sintetizzata: Voi, per questa stessa ragione, mettendoci da parte vostra ogni impegno, aggiungete alla vostra fede la virtù; alla virtù la conoscenza (I Pt 1:5). Avendo solide basi bibliche-ebraiche, gli apostoli avevano la grande preoccupazione di insegnare, riprendere, correggere, educare le genti alla giustizia di Dio (II Tim. 3:16).

Nel rapporto di alleanza fra Dio e Israele, quello che L’Eterno chiese al suo popolo quando si sarebbe stanziato nella terra di Canaan, era di: “Non farete quello che si fa nel paese d'Egitto dove avete abitato, né quello che si fa nel paese di Canaan dove io vi conduco, e non seguirete i loro costumi” (Lev. 18:3).

La nuova spiritualità che Israele doveva vivere nel suo nuovo cammino di fede davanti a Dio era basato su un nuovo ciclo di vita, con un nuovo calendario, nuove festività, nuovo culto, nuove tradizioni, nuovi rapporti sociali. Fondamentalmente erano tutte cose di rottura con i culti e le tradizioni dei popoli pagani.

Vale la pena ricordare che il culto cristiano cattolico divenne a Roma l’unico culto ammesso. Ci furono conversioni forzate dell’intera popolazione all’interno dell’Impero. Se si voleva continuare ad essere cittadini romani, bisognava essere “cristiani”, in definitiva cittadini romano-cristiani. Doveva essere un nuovo status sociale che non passava da un’autentica conversione a Cristo, ma ad un’adesione ad un nuovo credo-decreto dell’Impero che passava dal battesimo secondo il rito della Chiesa Cattolica.

Perciò non c’era da stupirsi se le generazioni successive alle conversioni di massa tornassero alle tradizioni ancestrali, usando però appellativi “cristiani”. Alcune di queste, forse quelle più significative, hanno creato un senso di imbarazzo e disgusto fra le autorità ecclesiali di spicco. Ecco la testimonianza di papa Leone I: “E’ così tanto stimata questa religione del Sole che alcuni cristiani, prima di entrare nella basilica di S. Pietro in Vaticano, dopo aver salito la scalinata, si volgono verso il Sole e piegando la testa si inchinano in onore dell’astro fulgente. Siamo angosciati e ci addoloriamo molto per questo fatto che viene ripetuto per mentalità pagana. I cristiani devono astenersi da ogni apparenza di ossequio a questo culto degli dèi” (7° sermone nel Natale del 460).

La conversione a Cristo nasce da una esigenza interiore di diventare figli di Dio. Questo è quello che troviamo nella storia e nelle predicazioni degli apostoli. Mettere la propria fede in Gesù è una scelta che matura grazie all’opera di convincimento dello Spirito di Dio nel cuore dell’uomo (Giov. 16:7-10).

L’esperienza della conversione ci permette di diventare “nuove creature” e “membri” del Corpo spirituale del Cristo di Dio (II Cor. 5:17; I Cor. 12:27). Con il battesimo la persona dichiara la sua appartenenza a Cristo, essendo divenuto suo discepolo e servo di Dio (Atti 2:41; 18:8).

Il teologo cattolico Hugo Rahner parlando della profonda relazione tra la Pasqua e il Natale secondo la teologia della Chiesa, sintetizza molto bene il “mistero del battesimo”, che ricordiamo essere applicato a tutti i bambini neonati di famiglie cattoliche: “Quando, nel mistero cristiano del Battesimo, la grazia del Risorto viene comunicata agli uomini, anche questi diventano una “nuova creatura” (II Cor. 5:17), la grazia battesimale è una nuova nascita, il Cristo nasce in modo nuovo nel cuore del credente” (1957).

Con il battesimo viene rimosso il “peccato originale” e si diventa membri ufficiali della Chiesa Cattolica, sottoposti ai dogmi che essa ha promulgato.

Dov’è il punto? Il punto focale della questione è che se oggi assistiamo a festeggiamenti del Natale nelle case dei cristiani senza che il Cristo sia al centro della festa, o è perché si è cristiani disattenti o è perché non si è mai fatta l’esperienza della conversione di cuore e mente a Gesù il Cristo. La nuova nascita produce necessariamente un cambiamento di stile di vita, “le cose vecchie sono passate”, tutto è diventato nuovo (II Cor. 5:17), un nuovo culto, nuove tradizioni, nuove feste solenni che prima non si avevano. Un neonato non può mai fare l’esperienza della conversione attraverso il battesimo; è una scelta che dovrà fare quando lo Spirito di Dio comincerà a parlare al suo cuore attraverso l’ascolto della Parola di Dio:

Così la fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta viene dalla parola di Cristo (Rom. 10:17).

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Perciò sono tante le persone che scelgono oggi di vivere la festa in modo laico, separato dall’evento della nascita del Redentore ed è per questo motivo che non c’è nessuna obiezione se si introducono tradizioni nelle proprie case e città che hanno avuto una valenza pagana in passato. Non c’è da stupirsi se Babbo Natale ha tolto il posto d’onore che spetta al Figlio di Dio.

Fino a quando la Chiesa Cattolica e Ortodossa terranno in piedi il Battesimo ai bambini come mezzo per ricevere la grazia salvifica, produrranno generazioni di “cristiani” che non conosceranno il Cristo (come i pagani romani forzatamente convertiti), cammineranno senza la fede di Gesù e senza la Parola di Dio in loro e quando la loro vita giungerà al termine, quando incontreranno Dio, Egli non li riconoscerà, perché non avranno avuto nulla della vita di un discepolo che segue il suo maestro, il Messia Redentore:

“Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo”

(Giov. 17:3). Qui il verbo conoscere non è in senso intellettuale, ma nel suo significato biblico-ebraico implica una profonda relazione tra la persona e Gesù il Figlio di Dio.

In conclusione

La fede in Cristo si fonda sulla sua morte espiatrice e sulla sua resurrezione che ha sancito la vittoria sul peccato e sulla morte, come giustamente affermano tutte le confessioni di fede cristiana (I Cor. 15:14). La nascita del Redentore rimane una festa celebrativa subordinata alla Pasqua. Non avrebbe alcun valore se l’opera della croce non avesse avuto luogo.

Un culto celebrativo dedicato alla natività del Redentore non è stato mai contemplato dagli apostoli, ma ciò non significa che se ne possa istituire uno sulla base delle proprie convinzioni teologiche. Dedicare un giorno dell’anno per dare seguito ad un tale culto è facoltà di ogni chiesa cristiana, ognuna nella propria forma di culto. Non è affatto antiscritturale in una data precisa avere un culto dove ci sono canti che inneggiano la sua venuta al mondo, letture sui brani della nascita e sull’attesa del Messia promesso, preghiere che si elevano a seguito di quanto ascoltato, salmi di propria composizione, commenti su determinate Scritture, rievocazioni del contesto storico-sociale del primo secolo, recite di bambini e attività simili.

Il vero problema è se Gesù il Signore continuerà ad avere il primato nelle case dei fedeli quando i culti terminano nelle chiese; il vero dramma è quando costumi e tradizioni di popoli pagani soffocano il pianto del Figlio di Dio che è nato e quando spengono lo splendore di colui che è stato dichiarato Luce del mondo; il vero fallimento è quando il Messia nasce in quel giorno e alla sera dello stesso giorno muore, non avendo avuto la possibilità e la gioia di far germogliare la sua vita nella vita dei “cristiani”.

…prese in braccio il bambino, e benedisse Dio, dicendo:

«Ora, o mio Signore, tu lasci andare in pace il tuo servo, secondo la tua parola;

perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, che hai preparata dinanzi a tutti i popoli per essere luce da illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele»

Luca 2:28-32

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